tag:blogger.com,1999:blog-76778451396928596752024-03-17T08:52:25.399+01:00CondaminaUn blog di Adriano MainiAdriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comBlogger583125tag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-47019849106983479322024-03-17T08:51:00.001+01:002024-03-17T08:51:41.242+01:00Milano, durante gli anni Settanta, fu il centro propulsore italiano di nuove sperimentazioni sociali <div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqNHfgs17KM0ej5L0wqt3-CtBxJ4aZo4LGQ0sBwdrKXR_bODpp9QhuNOpTwQZpopz4bj1b3Ov4K_BktItaIXnNIJNY48TyBNTmtCrSv4_6FZo6GeAyMo2wRcHv4ctlmKexRJJ2BFqMva0W0cGW9kb9X1mAO28IjLMD7XFgsTKtbwDHJ_-C-lKD_I_XmOY/s2048/mi-2011-221.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqNHfgs17KM0ej5L0wqt3-CtBxJ4aZo4LGQ0sBwdrKXR_bODpp9QhuNOpTwQZpopz4bj1b3Ov4K_BktItaIXnNIJNY48TyBNTmtCrSv4_6FZo6GeAyMo2wRcHv4ctlmKexRJJ2BFqMva0W0cGW9kb9X1mAO28IjLMD7XFgsTKtbwDHJ_-C-lKD_I_XmOY/w640-h480/mi-2011-221.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Milano: Colonne di San Lorenzo in Corso di Porta Ticinese<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Prendendo in esame la politica culturale di Milano tra anni Settanta e Ottanta, non possiamo non verificare come essa venne egemonizzata da due personalità di spicco del PSI: Aldo Aniasi, eletto sindaco di Milano il 16 novembre 1967, e restato in carica per tre mandati fino al 12 maggio 1976, al quale succedette Carlo Tognoli, rimasto in carica sino al 19 dicembre 1986. Vero spartiacque nella storia amministrativa di palazzo Marino, tuttavia, furono le elezioni del 1975 che segnarono una netta vittoria del PCI il cui gruppo consiliare risultò ampliato di sei unità, passando dalle 19 del mandato precedente, alle 25, effetto di un aumento percentuale di sette punti rispetto alle elezioni comunali del 1970. Elezioni che, del resto, videro per la prima volta la presenza del cartello politico di Democrazia Proletaria, formato da Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, il Movimento Studentesco, nonché Avanguardia Operaia. In questo clima, che vide in ogni caso la rielezione di Aniasi a sindaco, si profilava uno scenario nebuloso e instabile, con il programma di Giunta sempre soggetto a ritrattazioni e rimodulazioni.<br />In quegli anni Milano era forse la vera capitale italiana della strategia della tensione: ogni settimana il capoluogo lombardo si trovava suo malgrado a ospitare episodi di violenza politica e a rappresentare la sede privilegiata del processo di costruzione e consolidamento della già citata maggioranza silenziosa, desiderosa di far confluire all’interno di un fronte unico tutte le forze conservatrici e reazionarie della società italiana. A tal proposito, l’obiettivo precipuo del PCI era quello di creare uno schieramento unitario ed il più compatto possibile, aperto anche ai moderati-conservatori, purché manifestamente antifascisti, al fine di scongiurare la formazione di questo fronte compatto delle forze reazionarie. Per pervenire a questo obiettivo, il PCI si schierò a fianco di altre forze antifasciste, all’interno del Comitato Permanente Antifascista per la Difesa dell’Ordine Repubblicano, che si era prodigato in difesa dell’agibilità degli atenei milanesi, quello della Statale in particolare. Si registrava dunque, soprattutto da parte comunista, una tendenza a far coincidere la maggioranza costituzionale e elettorale presente in città con quella consiliare. Secondo Luigi Vertemati e Gianni Cervetti, con l’inizio degli anni Settanta era venuta a formarsi una Giunta tanto “informale” quanto “armonica” - ovvero in grado di lavorare in serenità, seppur le possibili cause di attrito erano ben presenti - composta da Cervetti stesso in qualità di segretario provinciale del PCI, Vertemati come segretario socialista, Colombo come segretario cittadino della DC, Massari come segretario provinciale del PSDI e Aniasi, in qualità di Sindaco.<br />Non solo “piombo” tuttavia - secondo un recente volume curato da Irene Piazzoni: Milano, durante gli anni Settanta, e nel periodo di avvicendamento tra Aniasi e Tognoli, fu il centro propulsore italiano di nuove sperimentazioni sociali dove, come sottolineava Walter Tobagi in una inchiesta sul “Corriere della sera”, si stava affermando una struttura economica e sociale diversificata che non vedeva più nei grandi capitani d’industria e nelle fabbriche delle periferie della città la grandezza del territorio, ma un “vulcano in ebollizione” costituito da un intricato reticolo di piccole e medie imprese costrette a entrare in relazione con un mondo che ormai poteva definirsi “planetario”: dalle radio di “movimento” (o libere), come Radio Milano International, alle radio commerciali, dai vecchi capitani d’industria, sorti durante il Ventennio, a novelli imprenditori - Berlusconi e Armani su tutti - fino a una precisa riorganizzazione urbanistica, che vide nella Variante generale del 1976-1980 una profonda riorganizzazione territoriale. Questo nuovo piano regolatore, difatti, venne proposto dall’amministrazione comunale per tentare di risanare il tessuto edilizio preesistente, atto anche al recupero delle aree urbane allora in disuso e soggette, come vedremo, a occupazioni abusive; non ultimo, in questa logica, la pianificazione di un decentramento amministrativo degli uffici della pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, il Comune tentò di attuare un progetto di miglioramento della vita quotidiana dei cittadini: progetto un processo di calmierazione degli affitti attraverso l’istituzione dell’Istituto case popolari, e cercò di migliorare la viabilità urbana dando avvio nel 1979 al prolungamento delle metropolitane 1 e 2, nonché impostando i lavori per la terza linea, che venne aperta solo un decennio più tardi, nel 1990; nel 1980-1981, infine, l’amministrazione di Tognoli concentrò le proprie finanze per la municipalizzazione del gas e nella metanizzazione utile a ridurre l’inquinamento atmosferico.<br />Anche la cultura stava rapidamente cambiando; se interventi come la “Mostra incessante per il Cile” organizzata nel corso di 5 anni presso la Galleria di Porta Ticinese di Gigliola Rovasino - vero e proprio centro di ricerca autogestito e autofinanziato per l’arte “impegnata”, i vari murales che organizzazioni della sinistra giovanile dipingevano sui muri del centro cittadino, come quelli fatti dal Collettivo Pittori di Porta Ticinese o dal Gruppo Femminista per il salario domestico, o i momenti di appropriazione urbana attraverso la pratica artistica - Franco Mazzucchelli, solo per citare una delle esperienze più interessanti <112, afferivano ancora a un mondo politicamente connotato, tali momenti convivevano con esperienze del tutto svincolate da una pratica “militante”. Le gallerie private, che sempre maggiormente venivano a caratterizzare la cultura cittadina, fornivano una lettura differente dell’arte degli anni Settanta, passando dall’ospitare artisti tipicamente nazionali, con altri di interesse internazionale: se all’Annunciata di Bruno Grossetti aperta a fine anni Trenta, nel corso dei Settanta, durante l’affiancamento del figlio Sergio, si proposero mostre di De Pisis, Lilloni, Del Bon, Cassinari, ma anche i “vecchi” surrealisti, nel 1975 alla galleria Salvatore Ala Gordon Matta-Clark proponeva - dopo aver tentato la rimozione di una parte del pavimento dello spazio della galleria di via Mameli - "Untitled Wal and Floor Cutting": un filo d’acciaio installato lungo le pareti dello spazio, che dalla corte d’ingresso passava attraverso finestre e luoghi di servizio. Anche presso Toselli, Michael Asher, nel settembre del 1973 esportava l’intonaco delle pareti interne tramite una sabbiatrice per mostrare le alterazioni subite dalla struttura nel corso del tempo. Come abbiamo visto, dunque, non si può dare una visione unilaterale di quello che avveniva nel campo artistico negli anni Settanta: la figura portata in scena da Crispolti alla Biennale del 1976 - ovvero quella dell’operatore culturale quale “provocatore di autocoscienza culturale altrui” <113 - conviveva con altre esperienze d’arte per l’arte, che si richiamavano alla più classica storia dell’arte dei secoli passati.<br />Anche il comune, del resto, fece la sua parte in questo campo: l’organizzazione e l’avviamento di nuovi spazi espositivi, come il PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea, la quale programmazione, dopo la nuova apertura del 1979, fu affidata a Zeno Birolli, Vittorio Gregotti e Germano Celant: uno spazio, e un progetto, “multidisciplinare attento alle interrelazioni della ricerca artistica d’avanguardia con la progettazione architettonica e con gli altri settori della cultura contemporanea, in primo luogo quello letterario” <114, ma aperto anche ai musei stranieri <115. Da ricordare, inoltre, anche la riapertura, il 24 aprile del 1980 - alla presenza del Presidente Pertini - della Pinacoteca Civica (riallestita per l’occasione di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva). E ancora: gli spazi dell’antico convento delle Stelline di corso Magenta, riutilizzati dal 1980 quale luogo adibito a esposizioni temporanee; il riallestimento e riammodernamento dei sotterranei e del piano terra di Palazzo Reale, che avrebbero dovuto ospitare, ancora, mostre di giovani artisti, ma non solo - come l’ormai celebre "Anni trenta: arte e cultura in Italia" - nell’attesa che i piani superiori del palazzo piermariniano avrebbero potuto ospitare la collezione del CIMAC, il Civico Museo d’Arte contemporanea, che effettivamente venne aperto nel 1984.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">112 Una ricognizione di queste esperienze nella Milano degli anni Settanta la si può trovare nel volume: La parola agli artisti. Arte e impegno a Milano negli anni Settanta, (Lissone, MAC - Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, 24 settembre - 25 novembre 2016), a c. di Cristina Casero e Elena Di Raddo, Milano, Postmedia books, 2016. Il volume nient’altro è che la pubblicazione a corredo di una esposizione tenuta a Lissone su tali momenti artistici.</span><br /><span style="font-size: x-small;">113 Enrico Crispolti, Padiglione Italia, in La Biennale di Venezia 1976. Ambiente, partecipazione, strutture culturali, vol. 1, Venezia, Alfieri, 1976, p. 106.</span><br /><span style="font-size: x-small;">114 Maria Fratelli, Paolo Rusconi, Mostre e spazi espostivi pubblici a Milano dal 1945, in Storia di Milano. Il Novecento, vol. III, Istituto della Ecnciclopedia italiana, Roma, 1996, p. 445.</span><br /><span style="font-size: x-small;">115 Irene Piazzoni, Introduzione, in Non solo piombo. Politica e cultura nella Milano degli anni Settanta, a c. di Irene Piazzoni, Milano-Udine, Mimesis, 2017, p. 25</span><br /><b>Andrea Capriolo</b>, <i>Manifestazioni artistiche nei centri sociali autogestiti della Milano tra anni Settanta e Ottanta. Dai Circoli del proletariato giovanile al movimento punk</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, 2023</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-28701254706409399842024-03-11T11:22:00.003+01:002024-03-11T11:23:18.515+01:00Gli alleati si prepararono in maniera sostanzialmente autonoma e scoordinata rispetto alla fase finale della campagna d'Italia<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3Ss1S-x9Gu0JjpErHOCfVwLhTPh1xQqw08Vkpk-FIgeI6bb60d7___Wjv9LLHK3grO9JdXj0uWD2EspaVgCQeGStu_QBwdvOGTrDPbJYHEc3vGnXzPJiZEPMwP8bxLsU2ndPby1GqZZasH8j_jfBw4Xv7j6jNhg05WcEpWVFfB0vZ33hwvt6DEmWTXCE/s205/tp2.JPG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="205" data-original-width="150" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3Ss1S-x9Gu0JjpErHOCfVwLhTPh1xQqw08Vkpk-FIgeI6bb60d7___Wjv9LLHK3grO9JdXj0uWD2EspaVgCQeGStu_QBwdvOGTrDPbJYHEc3vGnXzPJiZEPMwP8bxLsU2ndPby1GqZZasH8j_jfBw4Xv7j6jNhg05WcEpWVFfB0vZ33hwvt6DEmWTXCE/w293-h400/tp2.JPG" width="293" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Nel periodo di marzo [1945] altre missioni avevano completato l'addestramento ed erano pronte per partire: Grape II (alto Friuli al confine con la Jugoslavia), composta di un agente e un operatore radiotelegrafista; Mitra (Tagliamento) costituita di due agenti e un radiotelegrafista; Date II (Valtellina), la cui squadra era composta di un agente e un radiotelegrafista; Lorelei (Trentino) con un radio operatore; Mohawk (Val D'Aosta) la cui squadra sarebbe stata formata da tre agenti. Inoltre, si stava programmando l'infiltrazione della Venezia Tridentina, area ancora scoperta <22. La missione Mohawk si pose l'obiettivo di assumere il comando di tutte le formazioni partigiane della Val d'Aosta in nome del CLNAI e fu il risultato di un'accesa discussione concernente il riconoscimento dell'autonomia della regione rispetto allo Stato italiano del dopoguerra, che costituiva oggetto di pretesa, con l'appoggio francese, da parte di un gruppo di partigiani valdostani rifugiatisi in Francia. La discussione si svolse agli inizi di aprile presso il Comando dell'OSS di Siena, presente il colonnello Riepe del XV Gruppo d'Armata, il maggiore Max Corvo per il SI, il maggiore Augusto Adams, ufficiale dello Stato Maggiore italiano, inviato dal SI alla stazione dell'OSS di Annemasse per aiutare il colonnello Baker a comporre la questione, il capitano Cesare Olivetti, nome in codice “Adam Mesard”, capo degli autonomisti valdostani, nonché un delegato del CLNAI, Eugenio Dugoni, il quale ordinò che non vi fossero spargimenti di sangue e, nel caso di avanzata francese, le formazioni partigiane si ritirassero nel Canavese <23. Si decise, così, con l'approvazione del XV Gruppo d'Armate, Divisione Speciale G-3, di inviare una missione composta dal maggiore Adams, il maggiore Pistocchi e il capitano “Mesard”. La missione non rappresentò l'OSS, per evitare di 'trovarsi in una trappola diplomatica quando i Tedeschi si sarebbero ritirati dalla regione e l'amministrazione del territorio sarebbe potuta diventare oggetto di contesa tra Francia e Italia' <24 ma, su richiesta del CLNAI, fu addestrata e preparata dal SI, che altresì, assicurò alla squadra un circuito per le comunicazioni radio <25. La squadra fu paracadutata in Val d'Aosta, nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1945, in una delle aree bersaglio della missione Diana che si trovava al di là delle linee nemiche già da parecchi mesi. In quello stesso periodo - era il 4 aprile - si svolse una conferenza presso il Quartier Generale della Company D e, più tardi, presso il Comando della Divisione G-3 del XV Gruppo d'Armata a Firenze, cui presero parte il maggiore Suhling, Comandante della Company D, il maggiore Corvo, della sezione italiana del SI, e il maggiore Cagiati, dell'AAI, nonché un rappresentante del SOE, da un lato, e il generale Cadorna, alias “Valenti”, e Parri, “Generale Maurizio”, di ritorno dalla Svizzera, su importanti questioni concernenti i piani che i partigiani avrebbero dovuto attuare. I due rappresentanti del CLNAI furono, quindi, condotti al cospetto del generale Alfred Gruenter, capo di Stato Maggiore del generale Mark Clark e, il giorno successivo, furono ospiti del SOE, per poi partire il 6 aprile alla volta di Roma e, di lì, ritornare nella Milano occupata dai tedeschi.<br /><b>I preparativi in vista dell'offensiva finale</b><br />Nei primi mesi del 1945, mentre l'Allied Force Headquaters (AFHQ) e il XV Gruppo d'Armate discutevano per definire la questione dei rifornimenti ai partigiani <26, l'OSS, il SOE e la Commissione Alleata posero in essere una serie di preparativi in vista dell'offensiva finale contro la 'linea gotica' ritenuta imminente.<br />A quel tempo, nell'Italia occupata dal nemico operavano cinquantanove ufficiali del SOE, cui si aggiungevano sessantasei militari di grado inferiore e novantadue agenti di altre nazionalità addestrati dal SOE. Quanto all'OSS, erano in campo settanta squadre diramate dalle varie Sezioni, cui si aggiungevano quelle degli OG <27. Solo quelle di competenza del SI erano quarantacinque <28.<br />L'OSS stava pianificando la costituzione di squadre speciali, composte di ufficiali messi a disposizione in massima parte dalla Sezione italiana del SI, da inviare nelle principali città dell'Italia settentrionale, nel caso di un'improvvisa evacuazione da parte dei tedeschi. Tali squadre (North Italian City Units), che si sarebbero avvalse dell'appoggio del personale già attivo nel nord dell'Italia con la rispettiva rete di agenti e subagenti, avrebbero dovuto adempiere le seguenti funzioni: - il sequestro dei documenti più importanti; - l'arresto delle persone sospette; - il raduno e coordinamento delle missioni a quel tempo attive in campo; - la preparazione delle basi per l'avvio di una fase di spionaggio intermedia nella stagione del passaggio dei poteri. L'istruzione e l'addestramento di tali unità cittadine furono avviati dal SI dal 2 aprile e diretti dai capitani Passanisi e Puleo della base di Siena, sotto la generale supervisione del maggiore Max Corvo <29. Squadre speciali sarebbero state inviate a Bolzano, Trieste, Udine, Udine, Genova, Torino, Venezia, Milano, Bologna. I servizi segreti americani appresero, altresì, del piano del SOE di lanciare missioni nelle principali città dell'Italia settentrionale e, in particolare, che le missioni britanniche già in Piemonte erano pronte a essere posizionate nelle principali città della regione tra le quali Torino, Asti, Alessandria e Novara, con le seguenti funzioni: a) per il presente, informarsi sull'esistenza di formazioni partigiane e prendere contatti con i Quartieri Generali; b) per il futuro, in caso di collasso del nemico, avvertire immediatamente i Comitati di Liberazione Nazionale locali di fronte ai quali avrebbero rappresentato gli Alleati nel periodo di transizione tra la ritirata tedesca e l'arrivo delle truppe alleate <30.<br />Il piano dell'OSS di costituire delle unità speciali da inviare nelle principali città del nord dell'Italia, in caso d'improvvisa evacuazione tedesca, dovette, pertanto, fare i conti con i sopra citati piani dei servizi segreti britannici e, in particolare, si discusse della necessità di definire, al più presto possibile, modi e mezzi di trasporto di una parte di quelle unità sul campo. A quel tempo erano disponibili due piste di atterraggio a Milano e Torino: il piano fu, dunque, quello di predisporre due B-25 per far atterrare una parte delle missioni dell'OSS il giorno stabilito. Fu anche preparato uno scaglione di retroguardia aggregato al Quartier Generale della Company D nel caso di improvviso collasso della resistenza tedesca il cui responsabile sarebbe stato il capitano Arthur Latina. Lo staff avrebbe, poi, organizzato spazi e strutture per le squadre di ritorno dal campo. Il capitano Passanisi avrebbe comandato la base di Siena e, sotto la sua direzione, sarebbe stato approntato il ritorno di alcune missioni meno importanti nonché un programma di de-addestramento delle stesse. Il piano procedette velocemente: a ciascuna operazione fu assegnato un nome in codice; per ciascuna squadra furono preparate cartelle contenenti istruzioni complete e obiettivi della relativa missione di competenza. Infine, la partenza delle principali Northern Italy City Teams fu fissata nella primavera del 1945: a titolo esemplificativo, la squadra speciale destinata a Bologna partì dal Comando di Siena il 21 aprile; quella per Venezia il 26 aprile e le unità di competenza di Milano e Genova il 29 aprile <31. Responsabile del personale dell'unità per la città di Milano sarebbe stato il capitano Emilio Daddario, nome in codice “Mim / Mimo”, (agente n. 809) della Sezione italo - albanese del SI dell'OSS <32. D'accordo con Daddario che, a quell'epoca, era in missione in Svizzera fu, altresì, predisposto un piano d'infiltrazione clandestina nelle principali città dell'Italia del nord che si articolava nei seguenti punti:<br />- agenti fidati sarebbero stati infiltrati, attraverso la Svizzera, nelle seguenti città italiane: Venezia, Padova, Verona, Trieste, Udine, Trento e Bolzano;<br />- i suddetti agenti sarebbero stati investiti dei seguenti compiti: a) procacciamento di tutti gli importanti documenti disponibili; b) attività di contro-spionaggio nei confronti degli agenti e dei servizi segreti sia tedeschi sia fascisti e redazione di relativi rapporti; c) attività d'intelligence politica, economica e industriale;<br />- ciascun agente avrebbe dovuto conservare il materiale raccolto fino all'arrivo dell'ufficiale competente nella città di propria competenza e, operando sempre sotto copertura, avrebbe dovuto infiltrarsi nelle società segrete naziste e fasciste;<br />- all'ingresso degli Alleati nella città di sua competenza, ciascun agente speciale si sarebbe presentato all'ufficiale alleato di competenza con il nome in codice già speso e, ove l'indirizzo non fosse stato disponibile, avrebbe dovuto fare rapporto al CLN locale e, ivi, aspettare l'arrivo dell'ufficiale dell'OSS, il quale si sarebbe identificato con un nome in codice <33.<br />L'OSS fu, poi, particolarmente attivo nel salvataggio (anti-scorch) contro la furia distruttiva dei tedeschi delle industrie dell'Italia del nord, nelle quali anche gli americani avevano forti interessi economici, e del patrimonio artistico e culturale (in particolare a Firenze), nonché dei porti dell'Italia settentrionale (Genova e Venezia). <br />I servizi segreti alleati addestrarono agenti antisabotatori e prepararono e inviarono missioni investite di particolari compiti a tutela delle attrezzature industriali e del patrimonio nazionale, tema che si pose alla loro attenzione sin dall'inverno del '43 - '44, come sopra evidenziato, ma che si presentò in tutta la sua gravità durante la stasi invernale degli anni '44 e '45, tanto da far temere che le misure già adottate non fossero sufficienti. <br />Alla vigilia delle operazioni di primavera del 1945 fu, dunque, posto in essere un piano organico di salvataggio degli impianti idroelettrici; stilata una graduatoria in ordine d'importanza degli impianti interessati; predisposto, per ciascun impianto, un preciso piano di salvataggio e, infine, individuate le misure necessarie per l'attuazione e la sorveglianza del programma <34. <br />Le missioni alleate incaricate di porre in essere le misure di cui sopra agirono anche in cooperazione con il Movimento della Resistenza italiana, il cui contributo nell'opera di antisabotaggio, soprattutto nella fase finale del conflitto, non fu di poco momento e si condensò nelle seguenti misure:<br />-in qualche settore si agirà con la corruzione, ché l'esperienza insegna essere i germanici molto avidi;<br />-in qualche altro settore si agirà con l'astuzia, disattivando mine, interrompendo circuiti elettrici d'accensione, provocando preventive distruzioni appariscenti ma sostanzialmente non esiziali;<br />-altrove si schierano reparti di patrioti destinati alla difesa attiva di determinati impianti;<br />-se ne isolano altri con preventive interruzioni stradali;<br />-gli industriali e gli operai cooperano attivamente intanto a rimuovere ed imboscare macchinari e scorte;<br />-si organizzano nelle officine squadre antisabotaggio <35.<br />Infine, l'AC ridefinì la politica delle operazioni di smobilitazione e disarmo dei partigiani, alla luce delle esigenze militari dell'avanzata alleata e, soprattutto, dei timori delle ripercussioni che una smobilitazione disordinata e troppo lenta avrebbe potuto avere sia sulla sicurezza delle truppe alleate sia sull'ordine pubblico e, in generale, sulla situazione socio-economica del Paese, alla cui ricostruzione generale essi non potevano e non volevano declinare. <br />Le linee guida elaborate nel corso di una riunione del 9 febbraio e, poi, trasfuse nell'appendice alle istruzioni operative del XV Gruppo d'Armate del 12 aprile, sono così sintetizzabili:<br />- Il disarmo doveva essere 'indorato', graduale <36 e celere e cioè: a) non doveva avvenire né troppo presto (come primo atto ufficiale) né troppo tardi e, in definitiva, non oltre una settimana dopo l'arrivo degli Alleati, perché 'l'esperienza ha mostrato che l'entusiasmo iniziale della liberazione cede gradualmente il posto alla disillusione che nasce dalla non realizzazione di aspettative che gli Alleati non possono sperare di soddisfare. Più cresce questa disillusione, più il disarmo diventa difficile' <37; b) doveva essere preceduto da una sfilata di parate con la consegna di diplomi al merito, medaglie e premi in denaro <38; c) alla fine delle celebrazioni ufficiali, le armi dovevano essere restituite <39;<br />- Il trattamento dei partigiani doveva essere 'giusto ma fermo', cioè il più amichevole possibile, in considerazione sia del contributo che il Movimento della Resistenza aveva arrecato alla guerra contro il nemico, sia delle problematiche di carattere politico, economico e sociale involte nella smobilitazione e disarmo delle formazioni partigiane, allo scopo di evitare il prodursi di fattori di disillusione e instabilità nella delicata fase tra la ritirata del nemico e l'arrivo delle truppe alleate, che avrebbero potuto ragionevolmente nuocere alla sicurezza delle stesse truppe alleate nonché al mantenimento dell'ordine e sicurezza pubblica <40;<br />- 'Le azioni di giustizia' intraprese dai partigiani sarebbero state tollerate solo se compiute prima dell'arrivo degli Alleati, mentre, dopo, non sarebbe stata più consentita alcuna azione autonoma. Conseguenze meno gravi si sarebbero prodotte se gli ufficiali alleati avessero proceduto a una giusta e ordinata azione di epurazione delle amministrazioni. Coloro che erano detenuti nei quartieri di comando partigiani ovvero in prigioni private avrebbero dovuto essere rilasciati ovvero, nei casi dubbi, internati in regolari prigioni sotto il controllo delle autorità di pubblica sicurezza italiane. I partigiani o altri, che fossero stati colti nell'atto di farsi giustizia da sé o avessero preso parte a esecuzioni sommarie illegali di chicchessia, sarebbero stati arrestati <41.<br />In quest'epoca fu, altresì, elaborata una linea politica di reclutamento di volontari tra le formazioni partigiane da destinarsi alle fila dell'esercito italiano, secondo ben precisi criteri di reclutamento e sotto il rigoroso controllo del Governo Militare Alleato (AMG) per la Regione Lombardia e della Commissione Alleata, Divisione per il reclutamento dei patrioti, Sottocommissione per i governi locali (MMIA) <42.<br />In conclusione si è rilevato che l'AFHQ, il XV Gruppo d'Armata, l'OSS, il SOE e l'AC si prepararono in maniera sostanzialmente autonoma e scoordinata rispetto alla fase finale della “campagna d'Italia”.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">22 Si veda Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 April 1945 cit., p. 7.</span><br /><span style="font-size: x-small;">23 Risulta che la posizione di Dugoni fosse alquanto precaria, poiché le autorità francesi gli chiesero di lasciare la Francia e così, concorde il CLNAI, fu paracadutato in Piemonte per eseguire gli ordini del CLNAI concernenti la questione francese. Si veda, a tal proposito, Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 3, § 3). La coraggiosa missione di Dugoni in Piemonte è raccontata anche in M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., p. 343.</span><br /><span style="font-size: x-small;">24 M. Corvo, Ivi, pp. 334 e 335.</span><br /><span style="font-size: x-small;">25 Si vedano: Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., p. 9; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 3.</span><br /><span style="font-size: x-small;">26 La direttiva del 4 febbraio 1945 fu, infatti, rivista il 17 aprile 1945, quale risultante di una discussione interalleata scaturita dal fatto che sia il XV Gruppo d'Armate e la sua Sezione Operazione Speciali, al comando del colonnello Riepe, che l'OSS non si attennero ai limiti ivi statuiti sulla quota di 550 tonnellate mensili, come risulta anche dalla documentazione del SI qui trattata, né al rapporto tra rifornimenti non militari e armi, ritenendo prioritarie le esigenze militari e trascurandone, invece, le implicazioni politiche di una crescita del movimento della Resistenza italiana. Si veda a tal proposito, oltre alla documentazione richiamata nelle note precedenti, il citato Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence, relativo al periodo di aprile 1945, che, alla sezione dedicata alle attività operative della sezione italiana del SI e, in particolare, al capo sui progressi delle attività in generale, focalizza bene il ruolo del SI nell'erogazione dei rifornimenti alle formazioni partigiane del nord dell'Italia quale mediatore tra i comandi di queste ultime e la Sezione Operativa della Company D; nonché le modalità e i criteri di ripartizione fondati su 'esigenze di importanza tattica e strategica funzionali allo schema di combattimento delle Armate Alleate nell'Italia del Nord'. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., sez. I Operational Activities, cap. C General Progress, § 2. General Activity, p. 10. Per approfondimenti sulla revisione della questione dei rifornimenti nei primi mesi del 1945, si veda anche T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 216 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">27 T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., p. 224.</span><br /><span style="font-size: x-small;">28 Può, a tal proposito, essere utile un sintetico riepilogo delle squadre in campo nei primi mesi del 1945. Si noti che i nomi in codice delle operazioni sono seguiti da quelli corrispondenti ai relativi circuiti radio nonché, in taluni casi da quelli dei rapporti d'intelligence prodotti all'esito delle relative missioni. Alo; Apple I (Meriden) - Kankakee; Apple II (Cromwell) - Cree; Apple III (Betty) - Mars; Apricot (Jolliet) - Hopi; Boston (Boston) - Venus; Brutus; Cherry (Saybrook) - Yaqui; Citron (Baldwin) - Winnebago; Date; Date II (Clinton) - Pluto; Detachment “F”; Dick (Anita) - Mercury; Edera; Feach (Marianna) - Natchez; Feltre; Finch (GrapeII); Franconia (Elinor) - Jupiter; Gastone (Tully); Giovanna; Icu; Lancia (Lancia) - Lambeth; Lobo (Lobo) - Lobo; Lorelei; Mangostine (Chrysler) - Sauk; Maria Giovanna; Melon (Youngstown) - Ohio; Mitra; Mitraglia (Linda) - Cosmic; Mohawk; Montreal (Montreal) - Oak; Morristown (Rosetta) - Morrison; Norma (Westfield) - Lagoon; Offence; Orange (Gobi) - Sioux; Papaya (Fratello) - Cherokee; Pear; Pineapple (Diana) - Oneonta; Piroscafo (Piroscafo) - Piroscafo; Plum (Olivetti) - Felucca; Pomegranate (Portland) - Trireme; Quince (Locust) - Iowa; Strawberry (Marianna); Wildcat (Wildcat) - Wilkinson; Zita (Zita) - Zephir. Cfr. Italian Source List cit. nonché i pluricitati: Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 28 February 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 March 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945.</span><br /><span style="font-size: x-small;">29 M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 335 e 336.</span><br /><span style="font-size: x-small;">30 Si cfr. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence …Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., sez. I, cap. C. Future Plans, §. 1. British Plans, p. 20. Sui preparativi del SOE in vista della fase finale della campagna d'Italia, si cfr. anche T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 220 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">31 Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 April 1945 cit., pp. 21 e 22; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., pp. 5, 10.</span><br /><span style="font-size: x-small;">32 'Ho dato istruzioni che sia responsabile di tutto il personale dell'unità nell'area della città di Milano, in coerenza con le istruzioni originali conferite al suo predecessore Corvo. Di conseguenza, Daddario incrementerà la sua generale supervisione sull'area. Egli sta facendo un buon lavoro ed è un'eccellente persona.' Messaggio di Glavin a Suhling del 3 maggio 1945, in NARA, R.G. 226, E.211, B. 5.</span><br /><span style="font-size: x-small;">33 Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 11.</span><br /><span style="font-size: x-small;">34 Questi obiettivi furono descritti in un documento preparato da Max Corvo e distribuito a tutti i membri delle missioni della Company D destinate a essere inviate sul campo. Cfr. M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., p. 346.</span><br /><span style="font-size: x-small;">35 Relazione del capo di Stato Maggiore Generale Giovanni Messe Il Movimento Italiano di Liberazione dall'oppressione nazifascista, parte I Origini e Sviluppo. Stato Maggiore Generale - Ufficio Informazioni, maggio 1945, pp. 50-53. Archivio Centrale di Stato (ACS), Archivi di famiglie e di persone, Fondo De Felice Renzo, B. 5, F. 24.</span><br /><span style="font-size: x-small;">36 A tal proposito, non si trascuri che Cadorna e il Corpo Volontari Libertà (CVL), in generale, proposero che il disarmo dei partigiani fosse graduale, piuttosto che immediato, adducendo varie ragioni a sostegno, tra le quali l'ostilità dei gruppi di fascisti ancora insediati a Milano che continuavano ad attaccare i partigiani; la mancanza di vie e mezzi di trasporto e, in generale, di cibo e mezzi economici che rendeva difficile il ritorno dei partigiani alle loro case e, infine, il pericolo di rastrellamenti fascisti che suggeriva il mantenimento dell'armamento almeno dei gruppi partigiani più disciplinati. Si veda, a tal proposito, il Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., sez. II Political; cap. E Partisan Activities; par. 7 Disarming of Partisans, p. 55.</span><br /><span style="font-size: x-small;">37 Sul tema della smobilitazione e disarmo delle formazioni partigiane, si cfr. e multis T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 222-224.</span><br /><span style="font-size: x-small;">38 Ad esempio, si racconta che mercoledì 11 aprile il distaccamento del SI a Siena partecipò alla cerimonia ufficiale per la consegna di decorazioni da parte del colonnello Glavin in persona a quattro agenti che si erano distinti nelle rispettive missioni dietro le linee nemiche e meritarono le medaglie Legion of Merit. Essi erano: il sergente Albino Perna, operatore radiotelegrafista della missione Date; il caporale Carl Bova, operatore radiotelegrafista della missione Artic; il caporale Chester Maccarone, capo della missione Artic; il soldato semplice Valeriano Melchiorre, agente della missione Date. Erano tutti presenti, escluso il caporale Maccarone che era in missione. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 4. In una circolare, senza data, emanata dal Quartier Generale del CVL, d'accordo con il Comando Alleato, a firma del Generale Cadorna, si fissavano i principali punti in materia di smobilitazione e disarmo dei partigiani in base ai quali redigere un proclama del CLNAI - CVL a tutti i partigiani che sarebbe stato diffuso a mezzo stampa e radio il 3 maggio 1945. Con particolare riferimento ai premi ai partigiani, si prescriveva l'elargizione di: a) certificati al merito da concordare con gli Alleati; b) premi in denaro da parte del Governo Italiano nella misura di Lire 1000; b) premi in denaro a carico del CVL per un importo da determinarsi; c) indennità ai partigiani feriti e agli invalidi di guerra nella misura di Lire 5000; d) premi in denaro alle famiglie dei caduti per l'ammontare di Lire 10.000. Circolare CVL, Prot. N. 44/ow, Partisan - Patriots, April 1945-June 1945, in ACS, Fondo Allied Control Commission (ACC), AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700- 122/112.</span><br /><span style="font-size: x-small;">39 Il tema della smobilitazione e disarmo dei partigiani nel nord dell'Italia meriterebbe invero una trattazione separata anche alla luce dell'ampia documentazione del Quartier Generale dell'Allied Military Government (AMG) per la Regione Lombardia, oggi, consultabile sotto microfilmatura in ACS nel Fondo della Commissione Alleata di Controllo (ACC). In particolare, degni di nota sono i corposi rapporti così rubricati Patriots Policy June 1944-May 1945 e Patriots General June 1944-July 1945, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Operations, UA-10700-133/141, nonché il rapporto intitolato Directive on Italian Partisans del 22 maggio 1945 indirizzato a tutti i commissari provinciali e cittadini per la Regione Lombardia a firma del Commissario Regionale Charles Poletti, nel quale si stabiliva che: a) entro e non oltre la data del 1° giugno 1945 prorogabile al 7 giugno 1945 tutte le formazioni partigiane nella città di Milano e in ciascuna altra provincia della Regione Lombardia dovevano restituire le armi in loro possesso; b) da allora tutti i posti di blocco partigiani avrebbero dovuto essere immediatamente eliminati; c) le armi da restituire ai comandi partigiani avrebbero dovuto essere poi affidate al diretto controllo del questore ovvero poste a disposizione alle Forze Alleate; d) i partigiani o chiunque fosse stato sorpreso nel portare armi illegalmente detenute sarebbe stato arrestato e processato innanzi ai Tribunali dell'AMG. Directive on Italian Partisans, Partisan-Patriots, April 1945-June 1945 in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700-122/113. La smobilitazione delle organizzazioni partigiane in Milano e nelle altre province della Lombardia iniziò l'8 maggio 1945 e di essa fu redatto un interessante rapporto stilato dal CLNAI-CVL per gli Alleati del 9 maggio 1945, a firma del Comandante Generale di Milano, Emilio Faldella. Report on the demobilization of the Partisan Forces of Milan and of the Province, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700-122/174.</span><br /><span style="font-size: x-small;">40 Le istruzioni di politica generale sul trattamento dei partigiani furono diramate in una missiva riservata del Quartier Generale dell'AMG della V Armata del 29 dicembre 1944 a tutte le Autorità alleate nel nord dell'Italia e confermate nei successivi atti di queste ultime. Cfr. Handling of Partisans, del 29 dicembre 1944, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, Partisan Reports, 10/1944-05/1945, UA-10700-122/174. A tal proposito, quattro furono le soluzioni elaborate allo scopo di assicurare un giusto trattamento dei partigiani: a) impiego temporaneo in incarichi di pubblica sicurezza nel limite massimo di mille unità nella città di Milano e cinquecento per ciascuna provincia della Regione; b) possibile arruolamento nelle forze armate previo giudizio di una commissione competente a Roma; c) occupazione, attraverso le competenti agenzie, in speciali organizzazioni civili e/o militari; d) ritorno alle loro case e occupazioni. Ove nessuna di tali soluzioni fosse stata percorribile, i partigiani avrebbero dovuto evacuare i reception centres. La città di Milano fu, all'uopo, suddivisa in nove settori, ciascuno dei quali fu trasformato in punto di raccolta dei partigiani cui avrebbero dovuto confluire le formazioni partigiane di competenza della relativa area geografica. Si cfr. la menzionata circolare del Quartier Generale del CVL sulla smobilitazione del CVL, Partisan - Patriots, April 1945-June 1945 cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">41 'Si dovranno arrestare partigiani o altri che prendano parte ad esecuzioni illegali di chicchessia. Le azioni di partigiani che si fanno giustizia da sé devono cessare immediatamente. Soltanto le Speciali Corti di Assise e i Tribunali militari italiani sono autorizzati a processare e condannare i colpevoli di crimini nazi fascisti commessi prima dell'avvento al potere del Governo Militare Alleato. Questo Quartier Generale dovrà essere tenuto informato dell'arresto di persone per la violazione delle direttive qui statuite.' Directive on Italian Partisans cit., § 7.</span><br /><span style="font-size: x-small;">42 Si confrontino i rapporti con i relativi allegati dell'AC, Land Forces Sub. Com. (MMIA), che autorizzò l'arruolamento di quattromila volontari specialisti nelle fila dell'Esercito Italiano. Cfr. Partisan Recruiting, Sept. 1944-June 1945, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Operations, UA- 10700-133/138</span><br /><b>Michaela Sapio</b>, <i>Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione</i>, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-4131236920556151462024-03-02T18:43:00.002+01:002024-03-02T18:45:30.243+01:00L’episodio del rogo conduce la procura di Bergamo ad approfondire le dinamiche della vita amministrativa dell’alta valle<div><div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDwsEnR3ApouOte-wdTcPhLA4pZIh7ewJMBsXf2PUbxePbTA3jRJr3bTycNNFJxOZfIJVl9YaURHqcMzyWh-KHBk2QMa2D0iq61yN7-5PPZfEcFNsI3qqFYzTEnf5GPS6A4GVlyg1j9wtUjlZ-bMz8MTLsRPgJn6QySVlvX7xOBxfWXTuJeVdUw0KG50E/s2997/vlwk.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1945" data-original-width="2997" height="416" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDwsEnR3ApouOte-wdTcPhLA4pZIh7ewJMBsXf2PUbxePbTA3jRJr3bTycNNFJxOZfIJVl9YaURHqcMzyWh-KHBk2QMa2D0iq61yN7-5PPZfEcFNsI3qqFYzTEnf5GPS6A4GVlyg1j9wtUjlZ-bMz8MTLsRPgJn6QySVlvX7xOBxfWXTuJeVdUw0KG50E/w640-h416/vlwk.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Valleve (BG). Fonte: Celendir su Wikipedia<br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Prima di addentrarsi nell’analisi delle <a href="https://collasgarba.wordpress.com/2023/12/15/foppolo-sta-per-subire-un-attentato-alla-sua-fisionomia-paesaggistica/" target="_blank">vicende</a> criminali di Foppolo con un taglio più scientifico, risulta utile fornire alcuni elementi orientativi, di stampo cronachistico, circa le inchieste giudiziarie che hanno posto al centro questa piccola località della val Brembana.<br />Il gruppo di potere al centro delle vicende foppolesi <5, come visto, poggia e affonda le proprie radici su un mosaico ben definito di famiglie, inserite in maniera cruciale nel tessuto economico, sociale e amministrativo del paese da decenni, con un ruolo sempre più influente a partire dal secondo dopoguerra. Ma è la svolta di millennio quella su cui l’attenzione deve maggiormente posarsi. La formazione di un apparato amministrativo deviato, incline al sistematico ricorso alla condotta illecita, non si sostanzia di un momento originario, di un “big bang”, bensì lascia trasparire i contorni di un processo di stratificazione e di saldatura tra gruppi e attori singoli, cementato da fattori strutturati e da contingenze più o meno prevedibili, esogene o endogene, la cui combinazione porta al definitivo allontanamento dai binari della legalità e alla piena affermazione di un’organizzazione volta all’assoggettamento, al controllo e alla regolazione totale dell’alta valle (cfr. Procura di Bergamo 2017). Sono dunque molteplici i tasselli che qui s’incardinano nel corso degli anni: l’ascesa al potere, nel ruolo apicale di sindaco, di Giuseppe Berera a Foppolo (1999) trova la contemporanea elezione di Santo Cattaneo a Valleve, entrambi rappresentanti dei “ceppi” familiari più importanti nei rispettivi micro-comuni; l’arrivo nell’alta valle di un gruppo imprenditoriale “forestiero” (2003), quello capeggiato dalla famiglia Quarti, con la possibilità di intaccare il monopolio locale, è temporalmente coincidente con la piena affermazione del radicamento istituzionale di Berera e Cattaneo (e degli interessi di cui sono rappresentanti e portatori), dunque rende inevitabile uno scontro; la crisi economica globale (dal 2007), i cui effetti in chiave locale si riverberano nella crisi dell’edilizia e del turismo, impone la ricerca di nuove vie e opportunità per salvaguardare l’alta valle, con ogni mezzo; l’inchiesta della procura di Bergamo (2016) si avvia quando il potere d’influenza e condizionamento esercitato dalla “consorteria amministrativa” è massimo, e perciò il lavoro d’indagine si trova a incontrare ritrosie e omertà.<br />Il progressivo disvelamento del gruppo di potere incistato nel comune (e, più in generale, nell’alta valle) affonda le proprie basi giudiziarie in un evento dal forte impatto simbolico e mediatico, tipico della violenza e dell’intimidazione espressa dalle organizzazioni mafiose <6. Nella notte tra il 7 e l’8 luglio 2016, infatti, un incendio «di chiara natura dolosa» (ivi, p. 11) distrugge le garitte della sala di manovra, insieme ai relativi apparati elettrici, degli impianti di risalita Ronchi-Quarta Baita e Quarta-Baita Montebello (per semplicità, nel prosieguo si parlerà semplicemente di Quarta Baita), oltre alla sala macchine dell’impianto Ronchi-Quarta Baita. Si tratta delle principali seggiovie che servono le piste da sci di Foppolo, una risorsa strategica per l’economia locale. Il mosaico degli interessi in gioco è composito e intreccia attori pubblici con attori economici privati (cfr. ivi; «L’Eco di Bergamo», 9 luglio 2016): le seggiovie sono di proprietà del comune di Foppolo, che a sua volta le ha date in gestione alla Brembo Super Ski (di seguito, spesso abbreviata in Bss), società totalmente partecipata dai comuni di Foppolo, Valleve e Carona, in quel periodo in piena crisi economica, con dipendenti e fornitori non pagati per un totale di diversi milioni di euro (alcuni dipendenti avevano nei mesi precedenti avviato istanza di fallimento); i terreni e i “muri” delle stazioni di partenza/arrivo sono invece di proprietà della Devil Peak, una società privata con sede a Milano, ma partecipata da imprenditori bergamaschi, da un veneto e dalla nota holding Cir-De Benedetti.<br />La matrice dolosa del gesto appare evidente sin dal primo sopralluogo delle forze dell’ordine. Le reazioni del tessuto sociale e politico locale, che sulla stampa bergamasca trovano ampia eco <7, forniscono già l’indicazione di un serpeggiante clima di tensione, evidentemente trascinatosi da tempo. «Purtroppo si è creato un clima di tensione e quanto successo non fa bene a nessuno», afferma il sindaco di Foppolo, Giuseppe Berera. Un operaio, dipendente della Brembo Super Ski, rincara la dose: «Non riesco a capire perché un operaio potrebbe aver fatto una cosa del genere proprio ora. Se si voleva danneggiare la società si poteva farlo a ottobre, all’inizio della scorsa stagione, non adesso. […] La questione dei dipendenti [non pagati] è in realtà solo la punta dell’iceberg dei problemi della Brembo Super Ski. Ci sono fornitori che vantano crediti ben maggiori. […] Purtroppo sono riusciti a dividerci [si parla delle diatribe che hanno portato, nei mesi immediatamente precedenti all’incendio, al commissariamento del consiglio comunale di Carona], ma queste sono guerre tra poveri che alla fine fanno male a tutti, a noi e alla valle» («L’Eco di Bergamo», 9 luglio 2016).<br />L’episodio del rogo conduce la procura di Bergamo ad approfondire le dinamiche della vita amministrativa dell’alta valle quantomeno lungo il quindicennio precedente. Il lavoro d’indagine, coordinato dal pubblico ministero Gianluigi Dettori <8 e svolto operativamente dalla compagnia dei carabinieri di Zogno e dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Bergamo, porta a delineare uno scenario di «particolare convergenza di interessi economici tra più soggetti operanti in diversi settori economici» (Procura di Bergamo 2017, p. 15). Si apre una fase di progressivo disvelamento del sistema di potere locale, con l’esecuzione di misure cautelari e un successivo processo di rilevante impatto per la vita pubblica di una parte consistente della Bergamasca <9.<br /><i>4.2. Gli attori protagonisti. La genesi del gruppo</i><br />In filigrana, dunque, analizzando il caso di Foppolo e le attività criminali del gruppo al centro dell’indagine, è necessario tenere una definizione di organizzazione, astraendola rispetto al fenomeno mafioso e criminale più in generale. Tra le molte proposte dalla letteratura, quella di Catino (2012, p. 18) descrive le organizzazioni come «entità sociali, intese come un processo di azioni e di decisioni, che perseguono un obiettivo, o un insieme di obiettivi, basandosi su processi di differenziazione e integrazione, con ruoli distinti assegnati ai partecipanti e con un sistema di autorità riconosciuta e accettata dai membri come decisore, in interazione dinamica con l’ambiente esterno».<br /><i> </i></div><p></p><p style="text-align: justify;"><i></i></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJEVrER6SM8k_cCbpyDfjdMoB-NpuBg9XN1T41ao13I19ivIf7i5Wz46IC7rQEi-ewae9Bu1n1RQlGmcXRhjs2lpXP7i5sO9I5Kl3sr0TuLr3YePpvblvygkwr5Vv5nSPs843t9pC_mscZc0JwNE0xsu5sZ_xQdJ7IbMsGjbm1IeNWc_lIOiy3ZpmmkEw/s1396/vb3.GIF" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="836" data-original-width="1396" height="384" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJEVrER6SM8k_cCbpyDfjdMoB-NpuBg9XN1T41ao13I19ivIf7i5Wz46IC7rQEi-ewae9Bu1n1RQlGmcXRhjs2lpXP7i5sO9I5Kl3sr0TuLr3YePpvblvygkwr5Vv5nSPs843t9pC_mscZc0JwNE0xsu5sZ_xQdJ7IbMsGjbm1IeNWc_lIOiy3ZpmmkEw/w640-h384/vb3.GIF" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Immagine qui ripresa da Luca Bonzanni, Op. cit. infra<br /></td></tr></tbody></table><i><br /></i></div><div style="text-align: justify;"><i>L’entità sociale. Le persone, gli incentivi</i><br />Decostruendo la definizione organica in diversi sottopunti <10, come proposto dall’autore, si colgono le differenti sfaccettature del fenomeno indagato. In primis la nozione di entità sociale, che per Catino (2012, p. 18) è l’insieme di persone «che contribuiscono alla realizzazione delle attività organizzative in cambio di incentivi di diversa natura». Ora, la consorteria foppolese è indicata come un «gruppo organizzato di persone» (Procura di Bergamo 2017, p. 313), con un nucleo centrale sviluppato attorno alle figure dei sindaci di Foppolo (Giuseppe Berera, detto Beppe), Valleve (Santo Cattaneo) e Carona (Giovanni Alberto Bianchi): essi rappresentano un livello politico-decisionale, cui fanno capo le funzioni di indirizzo e di coordinamento tra le varie componenti dell’organizzazione; i tre esponenti politici, a loro volta ordinati in una micro-gerarchia che pone Berera come dominus e Cattaneo e Bianchi come gregari, sono anche i garanti dell’organizzazione, i collanti delle varie parti, i soggetti rivestiti della massima autorità, un’autorità che ha sia carattere pianificatorio, sia pacificatorio-risolutorio <11.<br />La catena gerarchica scende direttamente al livello base, quello tecnico-amministrativo, composto da funzionari, esperti della normativa, la cui funzione, prettamente “materiale”, è quella di trasfondere in atti amministrativi - dando a questi una parvenza di legalità, una forma apparentemente inappuntabile, con cui mascherare le finalità illecite - gli indirizzi politici del livello superiore: troviamo a questo livello <12 il segretario comunale di Foppolo (e per un periodo anche di Valleve) Saverio de Vuono, l’impiegata comunale di Foppolo (e consigliera comunale a Valleve) Luisa Carla P., la dipendente della Brembo Super Ski (e moglie di Giuseppe Berera) Roberta V..<br />Tra il livello politico-decisionale e quello tecnico-amministrativo si ravvisa tuttavia una intersezione imprenditoriale, ovvero l’inserimento all’interno del gruppo, in maniera tangenziale, di una enclave di imprenditori (il profilo emblematico, si vedrà, è quello di Sergio Lima) che esercitano una influenza, costruendo opportunità di criminalità economica; pur organici all’organizzazione, gli imprenditori sono subordinati al livello politico.<br />I fini dell’organizzazione sono illeciti, la gerarchia è plasmata parzialmente sulle strutture burocratico-amministrative proprie dell’ente locale. Si assiste qui in realtà a una con-fusione tra diverse strutture burocratico-amministrative - da un lato i comuni e dall’altro la Brembo Super Ski, articolazione economica di diritto privato, diretta emanazione degli enti locali sia per assetto societario, poiché partecipata dai comuni di Foppolo, Valleve e Carona, sia per fine “politico”, ossia perché provvede alla promozione dell’industria sciistica dell’intero comprensorio - in una conformazione dai confini labili, porosi, osmotici13. Gli incentivi alla partecipazione all’organizzazione si ritrovano nei benefici che scaturiscono dall’esserne parte. Sono benefici economici personali e - soprattutto - benefici politico-sociali, di legittimazione, di integrazione nella comunità locale, di acquisizione di risorse utili a perpetuare il consenso. Nei livelli apicali, quelli dei decisori politici, tra i benefici economici personali si annovera la possibilità di partecipare alla spartizione tangentizia, come nel caso di una sovrafatturazione - risalente a un periodo tra 2010 e 2011 - di 200 mila euro per l’acquisto di una seggiovia da installare nella conca della val Carisole, versante del comprensorio sciistico della Brembo Super Ski. In quel rigonfiamento dei costi - la “costruzione”, attraverso un artificio contabile, di fondi occulti - si cela la possibilità di vantaggi personali per i partecipanti al patto occulto. Così racconta Mauro Arioli, ex vicesindaco di Carona, che ha confessato di aver incassato 10 mila euro in quella quota di transazione illecita:<br />"Lima [imprenditore bresciano considerato organico al gruppo capeggiato da Berera], il venditore dell’impianto, con tutte le sue società era riuscito a giustificare l’uscita [i 200 mila euro sovrafatturati]. La Bss pagava i 200 mila euro in più e a noi arrivava la nostra quota, in nero. [Una tangente di Lima agli amministratori pubblici, è così?] A chi aveva voce in capitolo per dire: “Mettiamo quell’impianto”. [E lei in quell’affare come ci entra?] Seguivo la cosa per Carona. Ho pensato: “Se funziona così, perché devo tirarmi indietro?” [Insomma, aveva capito che qualcuno ci mangiava] Berera amava dire: “Non siamo in giro a pettinare le bambole”. [Alla fine a lei arrivano solo 10 mila euro] Sì. E a Berera 50 mila («L’Eco di Bergamo», 29 giugno 2018)" <14.<br />Specularmente, nel patto tangentizio, dal lato degli imprenditori, l’incentivo all’integrazione nell’organizzazione è rappresentato dalla possibilità di trarre quel vantaggio illecito che si ricava dalle transazioni corruttive <15, ossia la costituzione di un canale preferenziale per l’accesso agli appalti, attraverso un aggiramento delle norme basato sulla produzione ad hoc di atti burocratici (cfr. Sciarrone 2017).<br /><i>Gli obiettivi dell’organizzazione</i><br />Le organizzazioni sono orientate alla realizzazione di specifici obiettivi, fini, il tratto peculiare di ciascuna organizzazione (Catino 2012, p. 18). Nel caso di studio, il fine del gruppo di potere, espresso attraverso l’uso strumentale e distorto della Brembo Super Ski, è «una gestione domestica e spregiudicata del territorio, al fine di accentrare nei suoi esponenti l’incondizionato controllo economico e politico del territorio» (Tribunale di Bergamo 2018a, p. 136).<br />Per il perseguimento dei fini, l’organizzazione necessita di risorse. Qui le risorse paiono diversificate - sia materiali, sia immateriali. Tra le prime, si annoverano le risorse economiche nella disponibilità degli imprenditori che prendono parte al rapporto sinallagmatico della corruzione: si tratta di fondi che acquisiscono una parvenza di legalità, come visto, attraverso un sistema non troppo sofisticato di artifici contabili, necessari per mimetizzare la carica illecita dell’affare <16. Importante è poi il repertorio di risorse immateriali di cui dispone l’organizzazione, che possono preliminarmente essere distinte in risorse immateriali tecnico-burocratiche e risorse immateriali simboliche. Le prime sono diretta conseguenza del ruolo rivestito da elementi-chiave dell’organizzazione, dove per ruolo si intende «l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione in una più o meno strutturata rete di relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale» (Gallino 1978, p. 582): un amministratore pubblico - per esempio un consigliere comunale, o ancor di più chi ricopre una carica monocratica, come il sindaco - può incidere politicamente, attraverso l’esercizio di un’influenza nella formazione di un atto o attraverso l’espressione di voti, “firme” o di veti nella parte terminale dell’iter, in un preciso segmento della filiera di formazione dei provvedimenti; un funzionario pubblico ha un ruolo nella concreta redazione dell’atto. Le risorse immateriali simboliche discendono dal potere incarnato, dalla reputazione, dalla profonda capacità d’influenza della vita economica, politica, amministrativa dell’alta valle.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">5 Nel caso di Foppolo, come si sostiene nelle pagine che seguono, opera un gruppo organizzato di persone che esercita appunto un potere, quello che Weber (2005, p. 325) definisce come macht, cioè «la possibilità di uno o più uomini di affermare la propria volontà in un agire comunitario anche contro la resistenza di altri partecipanti». Naturalmente, si tratta di un potere da situare: ossia da porre in relazione alla dimensione micro del contesto. Le fonti restituiscono però i tratti di un nucleo di soggetti in grado di condizionare pesantemente la vita quotidiana dell’alta valle nella pluralità dei suoi aspetti: l’economia, attraverso il controllo della Brembo Super Ski, il principale attore economico del comprensorio; la politica locale, ontologicamente, considerate le cariche ricoperte dalle figure apicali del gruppo; la società nel senso più ampio, all’incrocio appunto tra economia e politica, con un potere di influenza, condizionamento, una capacità di incidere nelle vite private attraverso processi di esclusione e di inclusione. Gli elementi saranno posti in luce di paragrafo in paragrafo.</span><br /><span style="font-size: x-small;">6 Sul ricorso agli incendi dolosi come forma di intimidazione e violenza da parte delle mafie, tra i vari riferimenti possibili - siano essi dedicati a un’analisi specifica della violenza mafiosa o della narrazione dei gruppi mafiosi - pare utile citare alcuni dei più recenti: Moro e Sberna (2015), dalla Chiesa (2017d), Catino e Moro (2019, pp. 58-59), Gatta (2019). Gli incendi dolosi sono indicatori che contribuiscono alla costruzione degli indici sulla presenza mafiosa, come già trattato nel capitolo metodologico. Roghi dolosi, come evidenziato per esempio da Ruggiero (2006), sono ricorrenti anche nella violenza politica.</span><br /><span style="font-size: x-small;">7 All’indomani dei fatti, l’incendio è la notizia di apertura della prima pagina sia de L’Eco di Bergamo («Foppolo, le seggiovie date alle fiamme»), sia dell’edizione bergamasca del Corriere della sera («Raid in moto, fuoco alle seggiovie»).</span><br /><span style="font-size: x-small;">8 Dettori, sostituto procuratore di Bergamo, componente del “gruppo specializzato” con competenze per i reati contro la famiglia e i soggetti deboli e in materia sessuale, apre il fascicolo in quanto pm di turno quella notte. Il lavoro da lui coordinato mostra una profondità d’analisi di assoluto rilievo, frutto di una particolare sensibilità anche per i reati contro la pubblica amministrazione e le infiltrazioni mafiose. Ancora prima dell’inchiesta, così si esprimeva sulla presenza della criminalità organizzata in provincia di Bergamo e sulle attività di contrasto: «L’attività di polizia giudiziaria dipende dalle sollecitazioni della stampa e dell’opinione pubblica, che non sempre - come, per esempio, per i furti in appartamento - trova riscontri nelle statistiche, ma si lascia condizionare dagli aspetti emozionali. Non c’è, a proposito della criminalità organizzata, una sufficiente sensibilità investigativa. Scoprire determinate sfaccettature del fenomeno dipende dalla dimestichezza che la magistratura ha con tali reati, e a Bergamo è più difficile che nelle regioni a tradizionale insediamento mafioso. Non si ha quella dimestichezza che spesso si acquisisce anche attraverso una consapevolezza sociale che matura quotidianamente» (intervista 15 ottobre 2014).</span><br /><span style="font-size: x-small;">9 In sintesi, le tappe salienti: tra novembre 2016 e gennaio 2017 si svolgono le prime perquisizioni tra il municipio di Foppolo, gli uffici della Bss e le abitazioni di Giuseppe Berera, sindaco di Foppolo, e Santo Cattaneo, sindaco di Valleve; il 16 aprile 2018 vengono eseguite le prime misure cautelari (richieste dalla procura di Bergamo già nel giugno 2017), con gli arresti domiciliari in particolare per Giuseppe Berera e Santo Cattaneo; tra fine aprile e inizio maggio 2018, a causa delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri e degli stessi sindaci, interviene lo scioglimento dei consigli comunali di Foppolo e Valleve; il 25 giugno 2018 Giuseppe Berera e gli imprenditori Sergio Lima e Giancarlo M. sono destinatari della misura della custodia cautelare in carcere per una presunta tangente legata all’appalto per la sostituzione degli impianti distrutti dal rogo doloso del luglio 2016; nel luglio 2018 la procura di Bergamo iscrive nel registro degli indagati nove persone, tra cui Giuseppe Berera ed Enrico Piccinelli, ex assessore provinciale all’Urbanistica e poi senatore, per una presunta tangente da un milione di euro volta a sbloccare, in sede di amministrazione provinciale, l’iter per l’approvazione del nuovo Piano di governo del territorio (Pgt) di Foppolo, all’epoca fermo per incompatibilità con il Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp); il 12 novembre 2018 la procura di Bergamo chiude il primo filone dell’inchiesta sul sistema-Foppolo, con 17 indagati e 44 capi d’imputazione, con accuse di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alla truffa, corruzione e concussione; a Giuseppe Berera sono contestati 23 capi d’imputazione; il 15 dicembre 2018, Giuseppe Berera è condannato in primo grado, con rito abbreviato, a 4 anni di reclusione per peculato e bancarotta fraudolenta, nell’ambito di uno stralcio del procedimento principale legato al fallimento della Bss; il 10 settembre 2019 giungono i primi patteggiamenti per il filone principale. Il 10 dicembre 2019 sono pronunciate le condanne di primo grado con rito abbreviato: condanna a 10 anni e 6 mesi per Giuseppe Berera; 8 anni per Santo Cattaneo; 3 anni per l’ex impiegata comunale Luisa Carla P.; 2 anni per l’ex segretario comunale Saverio De Vuono; cade il reato di associazione per delinquere.</span><br /><span style="font-size: x-small;">10 L’articolazione per punti di una definizione di organizzazione è naturalmente una prassi sedimentata nel tempo in letteratura. Tra le varie proposte, interessante - e in molti aspetti simile - è quella di Gallino (1978, pp. 491-492), enucleata attraverso uno schema di riferimento che propone la misurazione di diversi aspetti: le dinamiche del potere (autorità) e della legittimazione; gli scopi costitutivi dell’organizzazione e i «prodotti»; l’ambiente sociale esterno; le risorse; il reclutamento e la socializzazione del personale; la mobilità interna; i processi di decision making; la tecnologia impiegata; i mutamenti; i processi di differenziazione e integrazione.</span><br /><span style="font-size: x-small;">11 Si scorgono in queste figure, in particolare in Berera, i compiti chiavi dei leader secondo quanto enucleato da Selznick (1976): definizione della missione e del ruolo istituzionale; incorporazione istituzionale e dello scopo; difesa dell'integrità istituzionale; composizione dei conflitti interni.</span><br /><span style="font-size: x-small;">12 Per ricostruire l’“organigramma” si è fatto riferimento all’avviso di conclusione delle indagini preliminari da parte della Procura di Bergamo (2018b).</span><br /><span style="font-size: x-small;">13 Sciarrone e Storti (2019) propongono ampie riflessioni sulla con-fusione tra organizzazioni (e attori) illegali e organizzazioni (e attori) legali. Il termine può essere qui ripreso e adattato allo specifico contesto, segnalando come le due sfere che vanno a con-fondersi non siano l’una legale e l’altra illegale, bensì entrambe originariamente legali eppure endogenamente venate da una cruciale componente illegale.</span><br /><span style="font-size: x-small;">14 Ancora Arioli: «Giancarlo M. [imprenditore accusato di corruzione all’interno dell’inchiesta, contiguo a Lima] mi diede i soldi, 10 mila euro, per la sovrafatturazione della seggiovia della Conca. Tremila me li portò al bar Hemingway, davanti al tribunale, arrivando in Vespa; 7.000 me li consegnò alla Bremach, la ditta di cui era titolare. Perché a me solo 10mila euro su 200.000? Lo deve chiedere a loro. Poi so della sovrafatturazione della telecabina Ronchi-Montebello. Ma lì io non c’ero giù più. Secondo lei era roba che facevano una sola volta?» («L’Eco di Bergamo», 28 giugno 2018).</span><br /><span style="font-size: x-small;">15 Ad amplificare i vantaggi è la creazione di reti stabili di corruzione, con scambi continuativi e strutturati (Sciarrone 2017).</span><br /><span style="font-size: x-small;">16 Analogo è il meccanismo scelto per dare un mascheramento legale alla (presunta) tangente indirizzata nel 2014 all’assessore provinciale all’Urbanistica di Bergamo, Enrico Piccinelli, finalizzata a sbloccare in sede di amministrazione provinciale il Pgt di Foppolo (vedi infra): in questo caso, ricostruisce la procura di Bergamo, la dazione di denaro è mascherata da un imprenditore «acquistando dalla società a capitale parzialmente pubblico Foppolo Risorse, due piani seminterrati nel piazzale parcheggi di Foppolo a un prezzo inferiore al loro valore reale»; nella sostanza, la compravendita viene sovrafatturata e con la differenza tra valore di vendita sulla carta e prezzo realmente pagato si sarebbero costituiti fondi neri con cui alimentare la tangente («L’Eco di Bergamo», 31 ottobre 2018). Con riferimento però a un contesto in cui i player principali sono di estrazione mafiosa, dalla Chiesa e Cabras (2019) segnalano come le false fatturazioni «aumentano il grado di complicità e di fiducia degli stessi imprenditori taglieggiati».</span><br /><b>Luca Bonzanni</b>, <i>Criminalità e comunità. Il caso delle valli bergamasche</i>, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2018-2019</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-86371089640791926772024-02-22T10:53:00.005+01:002024-02-22T10:53:57.495+01:00Il supporto americano a Pinochet<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk7DFoJjidkJrXpPViirEZttXf0o_VC9XzzExF_bxeRKwPogQkJqELzRYz2bqB6cl3lNd4FPztPENTU4L-iJjjsXq2WjM0yPkTmbzuImXd4g5XXQrDGI4mfIXSp-lkxiSNH7ti8-tPk2zUGejWskvy9Mru44-p4qWgWdfa9caMvO-ae5PBGDNApvIrdck/s500/jh2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="353" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk7DFoJjidkJrXpPViirEZttXf0o_VC9XzzExF_bxeRKwPogQkJqELzRYz2bqB6cl3lNd4FPztPENTU4L-iJjjsXq2WjM0yPkTmbzuImXd4g5XXQrDGI4mfIXSp-lkxiSNH7ti8-tPk2zUGejWskvy9Mru44-p4qWgWdfa9caMvO-ae5PBGDNApvIrdck/w283-h400/jh2.jpg" width="283" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Il 16 settembre 1973 apparve sul Washington Post un articolo che accusò gli Stati Uniti di aver condotto una campagna di pressioni economiche contro il Cile, campagna che portò alla caduta di Allende. <266 Il Dipartimento di Stato elaborò un documento, che sottopose a Kissinger, nel quale fu respinta l’accusa del Washington Post. Innanzitutto il documento specificò come gli Stati Uniti non condussero una guerra economica contro il Cile ma che la difficile situazione economica del Cile fu la conseguenza di politiche economiche chiaramente errate. Non furono effettuati embarghi al commercio e il governo statunitense continuò ad erogare normalmente i piccoli prestiti bilaterali rimanenti. Nonostante il continuo desiderio di vedere il governo Allende crollare, il governo statunitense non intraprese alcuna azione contro il governo cileno che non può essere giustificata all’interno delle norme di diritto internazionale bancario o commerciale e non produsse alcuna politica con l’intento diretto di promuovere un colpo di Stato. <267 William J. Jorden del NSC specificò come le ulteriori richieste di prestiti da parte del Cile furono respinte per questioni economiche e non politiche; il Cile aveva contratto enormi debiti con gli Stati Uniti. <268 Invece, per quanto riguarda l’accusa dell’utilizzo di strumenti internazionali; ovvero la Banca Mondiale, la Banca Interamericana per lo Sviluppo e altre istituzioni bancarie; per indebolire l’economia cilena, il Dipartimento di Stato ritenne questa accusa palesemente falsa. 'The international institutions cited are independent bodies which have their own lending criteria and have sufficient experience in this field to formulate their own judgments'. <269<br />Possiamo dire però che le azioni economiche statunitensi crearono degli ostacoli al governo Allende anche se non ne furono la causa principale che portò al colpo di Stato.<br />Semmai, il colpo di Stato derivò da un generale accumulo di insoddisfazione e dalla percezione del caos presente nel Paese che spinsero i militari ad agire. <270<br />Certamente gli Stati Uniti contribuirono a creare quel caos finanziando i partiti d’opposizione, alcune organizzazioni private di destra e soprattutto sostenendo economicamente i maggiori scioperi che si tennero tra il 1972 e il 1973; primo fra tutti lo sciopero dei camionisti. Un ruolo rilevante lo ebbe l’American Institute for Free Labour Development (AIFLD). Il presidente della Sociedad Fomento Fabril, Orlando Saez, ricordò: ' Sono stati depositati dollari per noi in cinque conti che avevamo in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina '. <271 Molti di questi soldi molto probabilmente provenivano dagli Stati Uniti ma si cercò di nascondere il più possibile la fonte. A fine 1972, un gruppo di leader sindacali andarono in Virginia a seguire una sorta di addestramento “economico” presso l’AIFLD. Inoltre, ex capi di scioperi dei colletti bianchi frequentarono corsi di economia avanzata del lavoro presso un’università di Washington DC. Prats disse ad un giornalista che la IIT, società statunitense di telecomunicazioni, versò 400.000 dollari per lo sciopero dei propri lavoratori dopo un incontro con gli industriali cileni in Argentina. <272<br />Il Congresso americano, subito dopo il golpe, avviò un’indagine per fare chiarezza circa il coinvolgimento degli Stati Uniti negli avvenimenti Cile. Davanti alla sottocommissione della Camera per gli Affari Interamericani, l’assistente segretario di Stato per gli Affari Interamericani, Kubisch affermò esplicitamente che ' it is untrue to say that the United States Government was responsible either directly or indirectly for the overthrow of the Allende Regime'. <273<br />Alla domanda se il governo degli Stati Uniti aveva saputo qualcosa sul colpo di Stato o se erano state prese delle decisioni da parte del NSC in merito alla posizione degli Stati Uniti nel dare incoraggiamento o sostegno ai gruppi di opposizione, Kubisch rispose negativamente. ' In my judgment .., I think it would be a mistake to think that the United States did anything that had any kind of significant impact on what has happened in Chile. I do not exclude the possibility that there were some small program or activities that within the United States Government there was sponsorship of, but compared to what the situation was in Chile, compared to what has happened - and taken in the context of what has happened in Chile - I would say they were insignificant or nearly insignificant, what I know of them '. <274 ' Our policy in recent months was - as far as Chile was concerned—not to do anything to bring about the overthrow of Allende '. <275 Il vice segretario Shlaudeman aggiunse che ' Despite pressures to the contrary, the United States Government adhered to a policy of nonintervention in Chile’s internal affairs during the Allende period. That policy remains in force today'. <276 Politica confermata da vari documenti risalenti ai due anni precedenti al colpo di Stato tra cui il memorandum del vicedirettore per il Coordinamento, Ufficio di Intelligence e Ricerca, McAfee, inviato al direttore delle operazioni Gardner, in cui consigliò di “tenersi alla larga” da un colpo di Stato. <277<br />Prima della testimonianza davanti alla Camera, il 20 settembre, si svolse una riunione tra la CIA e l’ARA in cui il rappresentante della CIA, Philips, autorizzò Kubisch ad affermare che nessun elemento della CIA era stato coinvolto nel colpo di Stato e che nel caso in cui gli fosse stato chiesto delle attività della CIA, Kubish avrebbe dovuto riferire i suoi interrogatori all’Agenzia. <278 La CIA infatti fu l’autore e il maggior decisore delle attività attuate in Cile, con l’appoggio di Nixon e Kissinger. La CIA fu molto attenta nell’evitare l’apparenza di favorire un colpo di Stato tant’è che ebbe difficoltà nel prevedere i tempi e la natura del colpo di Stato. Sembrerebbe che un primo contatto diretto tra gli Stati Uniti e i golpisti si ebbe il 10 settembre 1973, quando la CIA riferì a Kissinger che un contatto nell’esercito cileno aveva incontrato un agente della CIA per comunicare agli Stati Uniti l’intenzione di compiere il colpo di Stato l’11 settembre. Inoltre, chiese se gli Stati Uniti fossero pronti a fornire sostegno al golpe. L’agente statunitense rispose che l’azione panificata contro il Presidente Allende fu un’operazione esclusivamente cilena. <279 Il direttore della Central Intelligence Agency, Colby rassicurò Kissinger che ' The Santiago Station would not be working directly with the armed forces in an attempt to bring about a coup nor would its support to the overall opposition forces have this as its objective '. <280 Kissinger non rispose a questo memorandum, probabilmente perché non ci fu il tempo sufficiente per una nuova direttiva prima dell’esecuzione del colpo di Stato. Kubisch, qualche giorno dopo il colpo, in un incontro tra l’ARA e la CIA, disse che ' all here were aware of the possibility but that it was not accurate to say that the Government had received a clear indication that a coup was about to be triggered '. <281 Riportò anche che il giorno dopo il colpo di Stato, un leader cileno, il cui nome non fu specificato, affermò all’Ambasciata statunitense in Cile che avevano specificamente deciso di nascondere le informazioni sulle tempistiche del colpo di Stato. Se fosse veritiera o meno la rivelazione di Kubisch non lo si può sapere e allo stesso modo, non si può escludere che Kissinger, informato sulla situazione in Cile, abbia preferito tenere all’oscuro l’intera amministrazione.<br />Interessante però è la trascrizione di una conversazione telefonica tra Kissinger e Nixon in cui emerge chiaramente come in realtà gli Stati Uniti contribuirono notevolmente alle dinamiche che portarono al colpo di Stato. Parlando proprio del rovesciamento del governo Allende, Nixon disse chiaramente ' our hand doesn’t show on this one though ' e Kissinger rispose ' We didn’t do it. I mean we helped them, created the conditions as great as possible '. <282 Alla luce di questa conversazione è difficile sostenere la tesi portata avanti da Kubish secondo la quale gli Stati Uniti non avevano avuto nulla a che fare con il colpo di Stato. Sicuramente sia per l’immagine interna degli Stati Uniti, sia per quella internazionale la soluzione più corretta fu quella di insabbiare le accuse e continuare a negare: ' I do want to give you this assurance: first, we did nothing to oppose the election of Mr. Allende in 1970 or to support his opponents in that election; second, we never - in any shape or form - supported any move at any time to overthrow the legal government of Chile. We did not encourage or back any coups '. <283<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">266 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume E-16, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2015, document n°149, Memorandum from William J. Jorden of the National Security Council Staff to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger).</span><br /><span style="font-size: x-small;">267 K. Gustafson, op.cit., p. 223.</span><br /><span style="font-size: x-small;">268 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume E-16, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2015, document n°149, Memorandum from William J. Jorden of the National Security Council Staff to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger).</span><br /><span style="font-size: x-small;">269 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">270 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n°353, Minutes of a Meeting of the Washington Special Actions Group.</span><br /><span style="font-size: x-small;">271 J. Haslam, op. cit., p 193.</span><br /><span style="font-size: x-small;">272 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">273 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume E-16, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2015, document n° 141, Excerpts from Testimony Before Congress by Assistant Secretary of State for Inter-American Affairs (Kubisch) and the Deputy Assistant Secretary of State for Inter-American Affairs (Shlaudeman).</span><br /><span style="font-size: x-small;">274 Ivi, p. 730.</span><br /><span style="font-size: x-small;">275 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">276 Ivi, p.731.</span><br /><span style="font-size: x-small;">277 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n° 344, Memorandum from the Deputy Director for Coordination, Bureau of Intelligence and Research (McAfee) to Director of Operations, Bureau of Intelligence and Research (Gardner).</span><br /><span style="font-size: x-small;">278 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n° 362, Memorandum from the Director of Operations Policy, Bureau of Intelligence and Research (Gardner) to Deputy Director for Coordination, Bureau of Intelligence and Research (McAfee).</span><br /><span style="font-size: x-small;">279 K. Gustafson, op.cit., p 222.</span><br /><span style="font-size: x-small;">280 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n°342, Memorandum from Director of Central Intelligence Colby to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger) and the Assistant Secretary of State for Inter-American Affairs (Kubisch).</span><br /><span style="font-size: x-small;">281 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n°354, Memorandum from the Deputy Director for Coordination, Bureau of Intelligence and Research (McAfee) to the Director of Operations Policy, Bureau of Intelligence and Research (Gardner).</span><br /><span style="font-size: x-small;">282 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n° 357, Transcript of a Telephone Conversation Between the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger) and President Nixon.</span><br /><span style="font-size: x-small;">283 Foreign Relations of the United States, 1969-1976, Volume XXI, Chile 1969-1973, Washington, US Government printing office, 2014, document n° 356, Memorandum from William J. Jorden of the National Security Council Staff to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger).</span><br /><b>Chiara Turconi</b>, <i>L'amministrazione Nixon e il Cile dall'elezione di Allende al colpo di stato militare (1970-1973)</i>, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-8357511385696898492024-02-17T17:04:00.001+01:002024-02-17T17:04:51.362+01:00Tra i comandanti partigiani in provincia di Parma anche un pastore danese<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIXdxQMhONY6UWQ0a6-dmvskpzhNpUbsfWyYF7E22KqdoQzzJl4nuU9qy0XSpvJW-MV4p0sCJMe3Wq_Rp_T87TEenTT3w0oVHKZcrvsBZVag5xytV0Dm4PT0z8lipyh4b3WP6cLcTx45HYBl2H40D6VebkED1VnredWcLjqcEQ66kPL4CMg1COPreqv7E/s570/prl1.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="570" data-original-width="419" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIXdxQMhONY6UWQ0a6-dmvskpzhNpUbsfWyYF7E22KqdoQzzJl4nuU9qy0XSpvJW-MV4p0sCJMe3Wq_Rp_T87TEenTT3w0oVHKZcrvsBZVag5xytV0Dm4PT0z8lipyh4b3WP6cLcTx45HYBl2H40D6VebkED1VnredWcLjqcEQ66kPL4CMg1COPreqv7E/w470-h640/prl1.GIF" width="470" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Come si è detto nell’introduzione al presente capitolo, i Comandanti presi in esame sono frutto di una scelta, di alcuni capi, tra tutti coloro che parteciparono alla Resistenza parmense guidando un Brigata. Si tratta di una selezione che, inevitabilmente, ha escluso quei Comandanti che non sono stati esaminati in questo studio non per minor importanza, ma per ragioni principalmente di spazio e soprattutto di scarsità di documenti; fattore, quest’ ultimo, che ha impedito di rilevare le caratteristiche e le eventuali problematicità su di essi. Tra i capi la cui figura non è stata approfondita in questa tesi, è doveroso riportare i nomi di alcuni Comandanti, le cui persone, seppur poco emerse dalle fonti, hanno fornito un importante contributo alla causa patriottica.<br />È il caso ad esempio di Libero (Primo Brindani) che, come Giuseppe Del Nevo (Dragotte) e Alfredo Moglia (Bill), partecipò alla nascita della Resistenza nella Alta Val Taro, e ha poi guidato la I Julia dopo l’allontanamento del Dragotte. Come Libero, anche il nome di Camillo (Dario Giagnorio) è da ricordare; Camillo, dopo l’allontanamento di Dario (Luigi Marchini) assunse il Comando della 12a Garibaldi, denominata “Fermo Ognibene” e la guidò fino alla Liberazione. Figure significative per la Resistenza, furono anche William (Massimiliano Villa) e Max (Guido Bertolotti) che divennero comandanti, rispettivamente della 143a Brigata Garibaldi “Aldo” e della 143a “Franci”. Sul Comandante Max, Leonardo Tarantini, pochi giorni dopo la Liberazione di Parma, scrisse un rapporto sommario sull’attività del patriota Max, dove si legge: "Giovanissimo, fra i primi patrioti accorreva al richiamo della patria sui monti, iniziatore sagace del movimento di liberazione. […] con l’esempio personale e con grandissima audacia trascinava gli uomini in vari combattimenti, da cui usciva sempre vittorioso con pochissime perdite […] promosso sul campo comandante di Brigata per meriti di guerra, prendeva il comando della 143° Garibaldi “Franci” e la conduceva con brillanti azioni che culminarono con l’occupazione di un settore della città di Parma, dopo aver catturato numerosi prigionieri ed ingente quantità di materiale bellico". <535<br />Questo è il principale giudizio rinvenuto su Bertolotti Guido. Un ruolo molto importante nel movimento parmense, fu quello ricoperto dai fratelli Beretta, Guglielmo e Gino Cacchioli, che fondarono rispettivamente, la I e II Brigata Beretta, operanti nella zona di Albareto, comune della Val Taro; Guglielmo Cacchioli divenne in seguito Comandante della Divisione “Cisa”. Si tratta di una Divisione che, pur dipendendo formalmente dal Comando Unico, preservava il proprio carattere autonomo ed operava a cavallo della Cisa e la Liguria. Purtroppo tutta la documentazione relativa ai Beretta è in possesso di privati, non rintracciabili e non è presente nell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza di Parma.<br />È da nominare anche il Comandante della III Brigata Julia, Lauritzen Arendt; Paolo il Danese, così era il suo nome di battaglia, era un pastore che, arruolatosi nell’esercito, dalla Danimarca arrivò in Italia con il grado di Sottotenente. Le vicissitudini lo portarono poi a Parma e infine, sui monti. Sulla storia e la vita di Paolo Danese sono già stati pubblicati due volumi: il libro <i>Paolo il Danese, un prete partigiano</i> <536, scritto da Thomas Hardar e <i>Paolo il Danese, cammina fratello cammina</i>, scritto dai suoi famigliari, Paolo e Rosita Lauritzen. Questi e ad altri ancora, sono i nomi e gli esempi dei Comandanti senza i quali, la Resistenza Parmense avrebbe avuto, probabilmente, altre caratteristiche e altre memorie.<br /><i>Le differenze e le caratteristiche</i><br />Tornando ai Comandanti esaminati nel capitolo, come si era detto nell’introduzione, essi sono stati scelti, perché lo studio del loro percorso come Comandanti della Resistenza, permette di cogliere diversi e frastagliati aspetti del movimento partigiano nel suo complesso, al fine di ricavare un quadro più completo della lotta di Liberazione condotta sui monti parmensi. Ogni capo, la cui figura è stata in questa sede approfondita, reca con sé alcune caratteristiche, di varia natura, che in parte lo differenziano, e in parte lo accomunano, agli altri Comandanti.<br /><i>Zona territoriale</i><br />Partendo dai tratti che tra di loro si contraddistinguono, uno è senz’altro l’area territoriale in cui essi sono stanziati e che controllano. Ciascun Comandante infatti opera in una realtà geografica differente; l’insieme delle zone assegnate a questi Comandanti, ricopre la maggior parte del territorio in cui si è combattuta la Resistenza parmense. Come abbiamo visto, le Brigate di Dragotte e Bill appartengono alla Alta Val Taro. La formazione di Del Nevo è attiva nella zona limitrofa al comune di Borgotaro, vicino ad un’importante via di comunicazione: la linea ferroviaria che collega Parma e La Spezia; mentre la 32a Brigata di Bill (Alfredo Moglia), nata dal “Gruppo Penna” conduce le proprie azioni nelle prossimità del Monte Penna, un importante monte dalle cui pendici nascono i fiumi Ceno e Taro e si formano le rispettive valli. Dall’altra parte della Vallata, nella Val Ceno, sono stanziate la 31a Brigata guidata da Trasibulo (Ettore Cosenza) e poi da Annibale (Luigi Rastelli), il cui comune di riferimento è quello di Varano. Nella Alta Val Ceno, intorno al Comune di Bardi, opera la 135a Garibaldi “Mario Betti”, la formazione nata dall’allontanamento di Dario (Luigi Marchini) dalla 12a Brigata. Tutte queste Brigate appartengono alla zona Ovest del Passo della Cisa, e dipendono dal Comando Unico di Arta (Giacomo Ferrari) e Poe (Achille Pellizzari). Passando alla Zona Est della Cisa, le Brigate che operano sotto il Comando di Gloria (Paolo Ceschi) e Mauri (Primo Savani) sono la 143a Brigata, che sotto la guida di Nardo (Leonardo Tarantini) è stanziata nella Val D’Enza, al confine con la provincia di Reggio, e la 12a Brigata, che come si è visto, nell’settembre 1944 effettua un lungo e pericoloso spostamento dalla Val Ceno alla Val Parma, dove rimarrà operativa.<br /><i>Appartenenza politica</i><br />Una seconda caratteristica che diversifica i Comandanti è la loro appartenenza politica. Su questo punto si può fare una distinzione tra chi appartiene esplicitamente ad un partito, tra chi invece è di posizione apolitica e quelli il cui credo politico è ambiguo. Dario e Annibale, appartengono alla prima categoria; entrambi infatti sono militanti del Partito Comunista. Se per Dario, il suo credo politico traspare meno nella sua attività di Comandante, nel caso di Annibale il suo legame con il Partito è molto evidente, dal momento che per tre volte, nell’aprile, nel settembre e nel dicembre 1944, è incaricato come responsabile politico dalla Federazione. Il Comandante Bill e il Capo Nardo, si sono dimostrati invece estranei dalle questioni politiche. Nel caso di Alfredo Moglia, come si è visto, viene più volte ribadita la sua apoliticità, ed egli stesso non assume una posizione precisa nel momento in cui, nel settembre del 1944, era in corso la questione sulla denominazione della Brigata. Anche se per Nardo non si può parlare pur non con sicurezza di apoliticità, alcuni fattori sembrerebbero dimostrarlo, quali la sua impostazione militaresca, e il fatto che non si faccia mai cenno ad una esplicita fede politica. Si può concludere che il suo ruolo di Comandante non fu influenzato da una manifesta appartenenza politica, lasciando probabilmente il suo credo politico alla sfera privata.<br />Infine, Trasibulo e Dragotte possono essere considerati una “via di mezzo”, dal momento in cui, durante la loro carriera di comandanti, sono partiti da una posizione di indifferenza, o aperto contrasto, verso il Partito Comunista, per poi verso la fine della guerra, avvicinarsene. Sebbene non fosse un “compagno” la presenza di Trasibulo alla guida della 31a Garibaldi era apprezzata dal Partito Comunista e verso la fine della guerra la posizione di Ettore Cosenza si approssima sempre più a quella del Partito, tanto da meditare di iscriversi, come si evince dalla lettera, già presa in esame, firmata dal suo commissario politico, il comunista Leris Luigi, alias Gracco. Meno certo è il passaggio di Dragotte da una posizione monarchica e badogliana ad una comunista, come affermato nel lavoro di Giacomo Vietti. Il dubbio nasce dal fatto che nessun documento fa cenno ad una vicinanza di Del Nevo con il pensiero Comunista; ne, d’altra parte, nessun documento pervenuto attesta l’effettiva o meno iscrizione di Cosenza e Del Nevo al partito.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">535 AISRECP, Fondo Lotta di liberazione, busta DI, fasc. RI d, f. 14.</span><br /><span style="font-size: x-small;">536 Cfr. Paolo e Rosita Lauritzen, Paolo il Danese, cammina fratello… cammina,1943-1945, Mattioli 1885, Parma, 2015 e Thomas Harder, Paolo il Danese. Un prete partigiano, Mattioli 1885, Parma, 2016.</span><br /><b>Costanza Guidetti</b>, <i>La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma</i>, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-62656447672245414322024-02-09T08:29:00.001+01:002024-02-09T08:30:16.406+01:00Le forze di intelligence in ambito militare lavoravano per mantenere l’Italia ancorata al blocco occidentale<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfAL59V2avqb-QI4RiMjbMYI7zwVuekg2j5GFuGvzF1Dy91mVaDA37SVHKbwoJOmqtnXy6InCxg-7K6-spoKUzK-2uT7Dn_8QzHUbtGlpWLxoiE_dC9Dy-Py0XHtyEPmQ9S-aCfbrELOZhoWs7ID0GPsts1U10rjZlEJF7Fl5lBecIRxr5msICwZ2yJBs/s640/sps4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="419" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfAL59V2avqb-QI4RiMjbMYI7zwVuekg2j5GFuGvzF1Dy91mVaDA37SVHKbwoJOmqtnXy6InCxg-7K6-spoKUzK-2uT7Dn_8QzHUbtGlpWLxoiE_dC9Dy-Py0XHtyEPmQ9S-aCfbrELOZhoWs7ID0GPsts1U10rjZlEJF7Fl5lBecIRxr5msICwZ2yJBs/w420-h640/sps4.jpg" width="420" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Un testimone importante per ricostruire la rete di responsabilità statunitense è Carlo Digilio. Informatore dei servizi segreti statunitensi interni alla base Ftase di Verona, Digilio si era infiltrato nell'ambiente di On di Venezia al fine di riferire quali fossero le attività di tale area. In tale contesto egli aveva appreso e riferito importantissime notizie sugli <a href="https://collasgarba.wordpress.com/2024/02/08/a-pochi-giorni-dalla-strage-di-piazza-fontana-martin-avvertiva-nixon-che-in-italia-si-stava-realizzando-un-grande-cambiamento/" target="_blank">attentati</a> del 12 dicembre 1969. Dalle sue dichiarazioni sappiamo che David Carret, un ufficiale della Us Navy in servizio presso la suddetta base, era stato informato della strage imminente dallo stesso Digilio, e queste informazioni “erano risultate in perfetta corrispondenza con gli elementi che l’ufficiale andava ricevendo certamente dalla struttura centrale di On collocata a Roma” <838. Ecco quanto affermato da Digilio: “Confermo innanzitutto che Maggi mi parlò del fatto che vi sarebbero stati grossi attentati, che bisognava aspettarsi perquisizioni nel nostro ambito e che vi sarebbe probabilmente stata anche una grossa reazione da parte delle forze di sinistra. Di conseguenza i militanti conosciuti dalla Polizia dovevano liberarsi in fretta di ogni materiale compromettente che avevano in casa. Qualche giorno dopo, e quindi pochissimi giorni prima degli attentati, ebbi un incontro con il capitano Carret dinanzi al Palazzo Ducale. Era uno dei nostri incontri consuetudinari, che avvenivano ogni 15 giorni circa e in cui facevamo il punto della situazione. […] Io riferii a Carret quanto mi aveva detto Maggi, facendone anche il nome, e percepii che la struttura di Carret aveva già le antenne alzate e si aspettava qualcosa e del resto Carret stesso mi confermò che sapeva benissimo che la destra in quel periodo stava preparando qualcosa di grosso nella direzione di una presa di potere da parte delle forze militari. Carret mi chiese di raccogliere e riferire tutte le informazioni possibili in merito a quanto stava per avvenire” <839. Nel corso di un secondo incontro tra i due, verificatosi il giorno dell’Epifania del 1970, Digilio afferma di aver riferito al capitano gli altri particolari acquisiti “e in particolare che il dr. Maggi aveva consentito imprudentemente l'uso della sua autovettura e Carret mi disse che, nonostante non ci fosse stata quella sterzata a destra che si pensava [e cioè, il Presidente del consiglio non aveva dichiarato lo stato di emergenza e non si era adoperato per lo scioglimento delle Camere], la situazione era comunque sotto controllo e, nonostante la reazione delle sinistre, l'ambiente di Ordine Nuovo non sarebbe stato toccato dalle indagini” <840. Digilio afferma poi “Il capitano Carret mi confermò che quello era stato il progetto, ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come Rumor. Mi spiegò anche che nei giorni successivi alla strage le navi militari sia italiane sia americane avevano avuto l'ordine di uscire dai porti perchè, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite. Anche con Sergio Minetto, a casa di Bruno Soffiati, vi furono da parte di quest'ultimo commenti simili prima ancora dei colloqui che ebbi con Carret” <841.<br />Sempre da dichiarazioni di personaggi implicati nell’eversione, in questo caso di Gian Adelio Maletti, possiamo raccogliere informazioni decisive sulle responsabilità dei servizi segreti dell’intellgence americana. Maletti ricorda di aver appreso, da un’informativa del centro di spionaggio di Trento, che l’esplosivo utilizzato a Piazza Fontana proveniva da un deposito militare statunitense. Nello specifico, era stato trasportato dalla Germania a bordo di un tir e, giusto a Mestre, era stato consegnato ad un esponente della cellula mestrina di On. Su questo punto la testimonianza di Maletti sembra corrispondere a quella di Digilio, che ricorda di aver visionato a Mestre delle cassette militari contenenti esplosivo con delle scritte in inglese all’interno di un portabagagliai. Maggi affermò di dover trasportare quelle cassette fino a Milano nei giorni successivi <842. Tornando invece alla testimonianza di Maletti, il generale non sapeva dire se l’esplosivo fosse stato consegnato direttamente dagli americani. Inoltre a tratti i suoi ricordi diventano offuscati. Su un aspetto, comunque, non sembrava nutrire dubbi, e cioè che: “gli americani (Cia e Counter intelligence corps, il servizio segreto dell’esercito) diedero la loro approvazione. Avevano grande disponibilità di materiali ed erano interessati a condurre un’operazione politica in un paese vicino […] avevano interesse a proteggere e foraggiare i gruppi estremisti […] Gli americani fornivano il materiale, ovvero l’esplosivo. Per il resto, c’era una sorta di laissez-faire, cioè un indirizzo generale, che poi veniva messo in pratica da gruppi italiani o internazionali”. Il generale si spinge ancora oltre arrivando a sostenere che: “il Presidente degli Stati Uniti aveva senz’altro conoscenza del fatto che la Cia stava lavorando in Italia. Forse, non sapeva dell’episodio in sé prima che questo si verificasse, ma può anche darsi” . Infine, Maletti afferma di essere convinto che “gli americani non volessero la strage, avvenuta invece “per caso, per disguido, per errato calcolo dei tempi. La banca era aperta, l’ora era sbagliata e le transazioni erano ancora in corso. La bomba, almeno nelle intenzioni, doveva essere quasi innocua. Non si trattò di un’azione militare, ma di una mossa psicologica, politica” <843. E’ sempre Maletti a parlare di un rapporto subalterno tra Servizio americano e quello italiano: “questo derivava dal fatto che da parte americana vi era una consistente iniezione di mezzi tecnici e non, al contrario, di informazioni. La collaborazione era più spesso unilaterale e il rapporto era, per lo meno nel periodo in cui sono stato a capo di quella branca, di scarsa fiducia nei nostri confronti e più che un rapporto era una decisa azione autonoma del Servizio americano in Italia, in appoggio alla loro politica e senza molto riguardo per quello che noi conoscevamo e sapevamo” <844.<br />Emerge quindi un quadro molto frastagliato e di complessa ricostruzione delle responsabilità statunitensi nella strage di Piazza Fontana. Da un lato, gli organi della diplomazia ufficiale statunitense tendevano a scartare la possibilità di una presa del potere da parte dei comunisti italiani almeno nei successivi due o tre anni, ma ritenevano necessario correggere la deriva a sinistra della politica italiana e influenzare le forze democratiche italiane attraverso misure tradizionali che consentissero di incrementare la fiducia della leadership italiana da parte dell’opinione pubblica e di sostenere i sindacati democratici <845. Al tempo stesso, le forze di intelligence in ambito militare lavoravano per mantenere l’Italia ancorata al blocco occidentale, attraverso modalità che andavano ben oltre il limite delle azioni rientranti nelle possibilità di un Servizio di Sicurezza di un Paese alleato, in quanto prevedevano l’appoggio materiale e logistico per la realizzazione di attentati e la strumentalizzazione di personaggi della destra eversiva implicati a vario titolo nelle stragi.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">838 Sentenza ordinanza del G.I. Guido Salvini, 1998, cit. p. 292; A. Giannuli, Il braccio della destra nera la mente della Cia e i Servizi a depistare, in “L’Unità”, 12 dicembre 2009.</span><br /><span style="font-size: x-small;">839 Interrogatorio di Carlo Digilio, 5 marzo 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 252-255.</span><br /><span style="font-size: x-small;">840 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">841 Interrogatorio di Carlo Digilio, 21 febbraio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 244-247.</span><br /><span style="font-size: x-small;">842 Interrogatorio di Carlo Digilio, 16 maggio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 301-307.</span><br /><span style="font-size: x-small;">843 A. Sceresini, N. Palma, E. M. Scandaliato, Piazza Fontana. Noi sapevamo. Le verità del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti, 2010, pp. 87-88, 98, 100-101. Su questi punti si veda anche: P. E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 380.</span><br /><span style="font-size: x-small;">844 Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Audizione del Gen. Gian Adelio Maletti, 3 marzo 1997, disponibile al link: www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/maletti1.htm. 845 Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Box 1248, Saunders Chron File, NSSM 90, Us Policy on Italy and the Northern Mediterranean National Security Study Memorandum 88, 12 febbraio 1970; Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Nsc Institutional Files (H-Files), Box H–169, National Security Study Memoranda, NSSM 88, Response to National Security Study Memorandum 88, 11 giugno 1970; L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. pp. 68, 74.</span><br /><b>Letizia Marini</b>, <i>Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020 <br /></div><div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-3911798188168457352024-02-05T10:51:00.002+01:002024-02-05T10:51:45.634+01:00L’alienazione artistica è sublimazione<div><p style="text-align: justify;"><i></i></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3bKKJ70aKRsoRb3ftZSxDYwKzWqYLpxVZFK2n99c-P0FTmyLr-WHcbIzBRKTIxey5863eW0Z5DD6mC5cm0DhoQEbVVTx8QgE6vcpHQO8XMwS_aXfHwG_LINt39X9kYibpKgJr10mfTtpA5rYRgEa7lHEJPBj-7wQvFtiGaUUAibV_G_DxZycBP-eoC18/s613/gcap1.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="613" data-original-width="613" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3bKKJ70aKRsoRb3ftZSxDYwKzWqYLpxVZFK2n99c-P0FTmyLr-WHcbIzBRKTIxey5863eW0Z5DD6mC5cm0DhoQEbVVTx8QgE6vcpHQO8XMwS_aXfHwG_LINt39X9kYibpKgJr10mfTtpA5rYRgEa7lHEJPBj-7wQvFtiGaUUAibV_G_DxZycBP-eoC18/w640-h640/gcap1.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Gaspare Caramello, Action Pixeling</td></tr></tbody></table><i><br /></i></div><div style="text-align: justify;"><i>La posizione di Marcuse nei confronti dell’Arte</i><br />L’interpretazione estetico-sociologica del Neomarxismo del Novecento trova nell’arte uno strumento di denuncia sociale, di emancipazione e promozione umana.<br />La posizione di Herbert Marcuse cambia nel corso della sua produzione filosofica; a partire dagli anni ’60, infatti, l’arte perde per lui la sua funzione di libertà. <br />Nel suo saggio "L’Uomo a una Dimensione" scrive:<br />“Nel rapporto con la realtà della vita quotidiana, l’alta cultura del passato era molte cose - opposizione e ornamento, grido e rassegnazione. Ma era anche una prefigurazione del regno della libertà, il rifiuto di comportarsi in un dato modo. Tale rifiuto può essere scartato senza un compenso che sembri dare più soddisfazione che non il rifiuto stesso. La conquista e l’unificazione degli opposti, che trova il suo coronamento ideologico nella trasformazione dell’alta cultura in cultura popolare, ha luogo su una base materiale di accresciuta soddisfazione. Questa è pure la base che permette di realizzare una travolgente desublimazione”.<br />L’opera, del 1964, denuncia la resa dell’artista a un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo che, soprattutto, ha inglobato anche una dimensione potenzialmente e tradizionalmente anti-sistema come l’arte.<br /><i>Evoluzione del pensiero di Marcuse</i><br />In "Eros e civiltà" (1955), Marcuse sosteneva l’importanza e la valenza positiva del progresso tecnologico in grado di generare le premesse per una liberazione dall’obbligo del lavoro (l’automazione può ridurre il tempo e le energie dedicate al lavoro) e ritornare a liberare la propria libido verso il soddisfacimento del piacere e della felicità (in un lavoro gratificante, nelle attività sociali, nei rapporti interpersonali). L’Eros può spaziare liberamente dando vita a una società nuova dove la stessa sessualità sia liberata dalle restrizioni, dove viga un libero rapporto tra i sessi e l’arte possa essere creatività non alienata, la voce che non condanna, ma canta e intuisce un ordine senza repressione.<br />In "L’Uomo a una dimensione", Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata che appiattisce l'uomo in un’unica dimensione, quella di consumatore, euforico e ottuso:<br />“L’alienazione artistica è sublimazione. Essa crea immagini di condizioni irreconciliabili con il principio di realtà stabilito, le quali diventano tuttavia, come immagini culturali, non solo tollerabili, ma perfino edificanti e utili. Questo tipo di immagini va ora perdendo ogni validità. Il loro inserimento nella cucina, nell’ufficio, nella bottega; la loro trasmissione commerciale a fini economici come a fini di passatempo rappresentano, in un certo senso, una forma di desublimazione, la sostituzione di una gratificazione mediata con una immediata. Si tratta, però, di una desublimazione praticata da una ‘posizione di forza’ da parte della società la quale può permettersi di concedere più cose di un tempo perché i suoi interessi si son fusi con gli impulsi più intimi dei suoi cittadini e perché le gioie che essa concede promuovono la coesione e la contentezza sociali”.<br />La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione altra è asservita al potere capitalistico e al consumo, la civiltà industriale sostituisce i veri bisogni umani con altri artificiali, i fini con i mezzi.<br />Nelle moderne democrazie occidentali i valori, che una volta erano propri di una parte della società (la classe borghese), si sono diffusi a tutti gli altri soggetti sociali, mantenendo così inalterato l'ordine esistente: è in questo quadro che Marcuse elabora il concetto di tolleranza repressiva, ovvero il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo.<br />L’Arte deve quindi ritrovare il suo aspetto rivoluzionario e farmi promotrice di un messaggio di liberazione delle coscienze.<br /></div><div><b> </b><p></p><p style="text-align: justify;"><b></b></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUGU-ZSiOBAUMnp0URbpspW4JJTHjXP0lzPCfJfkDkyE9_gNATcr8ltoiGyBpsN0-iRtoyrqHADZwe_1JcqcNVg89iwWOOlC1Nw4as5PA9T_K82JyYgqEgfTax8nWzCJFB-HEXqL21C1VpNCNB2z5LnRIrFWIBDjhAerFbA0LSvjPZkQ3Ec2HzOccXpYo/s960/gcgpc2.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="639" data-original-width="960" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUGU-ZSiOBAUMnp0URbpspW4JJTHjXP0lzPCfJfkDkyE9_gNATcr8ltoiGyBpsN0-iRtoyrqHADZwe_1JcqcNVg89iwWOOlC1Nw4as5PA9T_K82JyYgqEgfTax8nWzCJFB-HEXqL21C1VpNCNB2z5LnRIrFWIBDjhAerFbA0LSvjPZkQ3Ec2HzOccXpYo/w640-h426/gcgpc2.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Gaspare Caramello, No-War (Give Peace a Chance)</td></tr></tbody></table><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><b>Gaspare <a href="http://www.gasparecaramello.com/chi-siamo" target="_blank">Caramello</a></b>, <i>L’interpretazione sociologica dell’arte in Marcuse</i>, gennaio 2024<br /></div><div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-75298377275142405742024-02-04T10:34:00.001+01:002024-02-04T10:34:39.709+01:00La Milano del dopo armistizio si presenta come una città devastata dalle incursioni aeree<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDynhyphenhypheno8zlWcIyn_YTzAQma4MtLu9ZtznhDq5qp-Hui_5-eRGD9y_XQAT2jS80KZOtmBkih3e3FN9Z_jjmsBMVNHGtDGQ923T3iJ4LQByx6NWh7HfNuR0rQKkLiJ7ZsQz8q4XK6Y2Wm7ulCi-5lp1mkCWZbv7bwQ1AdWlWAU7pt4emV4v82FVqsI4_gmU/s500/lb4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="311" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDynhyphenhypheno8zlWcIyn_YTzAQma4MtLu9ZtznhDq5qp-Hui_5-eRGD9y_XQAT2jS80KZOtmBkih3e3FN9Z_jjmsBMVNHGtDGQ923T3iJ4LQByx6NWh7HfNuR0rQKkLiJ7ZsQz8q4XK6Y2Wm7ulCi-5lp1mkCWZbv7bwQ1AdWlWAU7pt4emV4v82FVqsI4_gmU/w249-h400/lb4.jpg" width="249" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Attorno al giorno dell'armistizio una serie di nodi si intrecciano: una massiccia ondata di licenziamenti, iniziata ad agosto e che proseguirà fino a dicembre; il drastico aumento del costo della vita; i danni della guerra, soprattutto sul fronte abitativo. L'inizio dell'occupazione nazista e la proclamazione della Repubblica sociale, assieme al venir meno di fatto del governo badogliano (salvato unicamente dall'avanzata angloamericana da sud), accentuano, nel quadro di un nuovo scenario istituzionale e governativo, aspetti emersi nei mesi precedenti nel nord.<br />Così ci si presenta <a href="https://collasgarba.blogspot.com/2024/02/ce-anche-un-altro-elemento-da.html" target="_blank">Milano</a> nel primo mese di occupazione nazifascista: "Settembre 1943, gli stracci sono sempre i primi a volare. La Milano del dopo <a href="http://storiaminuta.altervista.org/milano-8-settembre-1943-ho-trovato-linvasor/" target="_blank">armistizio</a> si presenta come una città devastata dalle incursioni aeree dell'agosto precedente. Degli oltre duecentomila abitanti rimasti senza tetto la maggior parte sono operai: alloggiavano in abitazioni malsane e carissime e ora, dopo che i bombardamenti alleati hanno infierito sui quartieri popolari di Porta Genova, Porta Ticinese, Porta Garibaldi e sull'area a nord dell'Arena, non hanno più nemmeno quelle. Diverso il discorso per i ceti abbienti, i quali, a quest'epoca, sono già sfollati trovando riparo nelle campagne e nelle valli lombarde. Le autorità municipali, di fronte a tale situazione, ventilano sì un progetto di accertamento e requisizione dei vani disponibili, ma basta il coro di proteste del sindacato proprietari di fabbricato perché tutto si areni e la proverbiale solidarietà meneghina, il “gran coeur de Milan”, si blocchi di fronte all'inviolabilità della proprietà privata. Adesso, dopo l'8 settembre, il problema degli alloggi è aggravato anche dalle requisizioni operate dai tedeschi. Trovare casa, anche un buco in cui accalcarsi, diventa impresa sempre più ardua, almeno per chi non possiede un reddito superiore. Non meno drammatica si presenta la situazione alimentare: le razioni assegnate a prezzi controllati - per ammissione degli stessi repubblichini - forniscono meno di un terzo del fabbisogno minimo. Il ricorso al mercato nero è, dunque, un fatto scontato e indispensabile, senonchè i prezzi vanno registrando un'impennata vertiginosa. <270<br />A questa situazione drammatica, si aggiungano: l'aumento senza precedenti del costo della vita, soprattutto sul capitolo alimentazione, e la mancanza di combustibile e legna da ardere per affrontare l'inverno alle porte <271. Va da sé che in questo contesto la difesa del posto di lavoro e del salario diventa ancora più centrale che nei mesi precedenti. Come già anticipato, una pesante crisi occupazionale interessa i lavoratori milanesi e della provincia: "Le cifre statistiche relative all'intera Italia settentrionale trovano conferma in ciò che accade nel capoluogo lombardo. Tra settembre e ottobre si scatena una massiccia ondata di licenziamenti: la Caproni (6.000 dipendenti) ne espelle 2.000, la Lagomarsino (4.000) ne caccia 3.000, la Brown Boveri 2.000 su un totale di 5.000, la Safar (3.000 dipendenti) ne allontana 1.500, la Olap 500, le Rubinetterie riunite 1.300, la Montecatini 700, la Rizzoli riduce il personale da 200 a 70 unità, la Magni chiude, l'Innocenti non licenzia ma sospende 1.500 lavoratori. A nessuno viene corrisposto il previsto pagamento del 75% del salario da parte della cassa integrazione e i licenziamenti sono accompagnati dalla contrazione delle ore lavorative e dal mancato rispetto di accordi aziendali […]" <272.<br />A questa offensiva padronale si aggiunge il doppio regime di occupazione nazista e collaborazionista interno che considera la produzione industriale terreno di disciplina militare e, di conseguenza, lo sciopero e l'agitazione sindacale un crimine, che dal giugno '44 può essere punito con la morte (sebbene i tedeschi per i primi mesi si mostreranno più disponibili a fare concessioni alle maestranze in un'ottica di pacificazione e in generale la situazione di guerra renderà gli operai sempre difficilmente sostituibili).<br />Al tempo stesso l'organizzazione comunista in fabbrica si presenta come piuttosto disgregata. La particolarità del tessuto industriale milanese, rispetto a quello di una città come Torino, è la maggiore diffusione ed estensione sul territorio: caratteristica che aveva già rivelato le difficoltà di coordinamento e mobilitazione in occasione degli scioperi di marzo e che ora, con la nuova situazione politica, mette in risalto i problemi organizzativi delle forze operaie. "Anche al 5° settore (zona Vittoria), che per numero e importanza delle sue fabbriche è secondo soltanto alla mitica Sesto San Giovanni, la situazione organizzativa si presenta grave: persi tutti i collegamenti con gli stabilimenti dopo il 9 settembre, se ne sono ora ristabiliti circa la metà ma - avverte un ignoto relatore - 'in alcuni di quelli collegati il contatto è soltanto per mezzo di un simpatizzante'. Completamente scollegati i maggiori complessi industriali come la Vanzetti, la Falk di Rogoredo, l'Ilva, le Smalterie, la Garelli e altri ancora, perduti i contatti con i licenziati e inesistenti o quasi quelli con i disoccupati, rimangono, unico e magro conforto, i ventiquattro membri (su 4.000 dipendenti) della cellula comunista alla Caproni di Taliedo". <273 Le uniche aziende in cui si registra una capacità di risposta ai licenziamenti sono la Magnaghi di Turro e la Breda della cittadella operaia di Sesto San Giovanni. <br />Questo quadro desolante si inserisce nel generale attendismo che caratterizza tutte le forze antifasciste (con la significativa eccezione dei socialisti di Basso proprio a Milano, che fin dal gennaio '43 avevano fondato il MUP - Movimento di unità proletaria). La dirigenza comunista, rappresentata nell'Italia occupata da Luigi Longo e da Pietro Secchia (quest'ultimo responsabile dell'organizzazione militare del Pci, esponente dell'ala operaista interna, destinato ad avere molto seguito a Milano), nonostante la oggettiva situazione di difficoltà, avvia una tenace e inizialmente solitaria riorganizzazione politico-militare-sindacale capace di tenere insieme città, fabbrica e montagna secondo una duplice tattica: lotta di massa e lotta armata. È qui che avviene il passaggio dalla parola d'ordine pre-armistizio della 'pace' a quella della 'lotta armata' contro l'occupante nazista e il governo-fantoccio di Salò.<br />"Mentre prima dell'8 settembre la parola d'ordine più generale era quella della pace, dopo diventa quella della lotta armata. A chi continua a richiedere 'pane, pace e libertà' si obietta: 'Bene per pane e libertà. Ma perché la pace? Bisogna dire: vogliamo la guerra di liberazione' ". <274<br />La lotta armata rappresenta un capitolo a parte, soprattutto per la sua novità come pratica conflittuale del movimento operaio e rivoluzionario (eccezion fatta per gli anarchici e la significativa esperienza delle guardie operaie e contadine durante il Biennio Rosso), quindi per il particolare significato che assume quando si innesta, come scelta consapevole e tattica di lotta da parte dei comunisti, sulla cultura conflittuale delle classi subalterne e nella politica del conflitto che esse portano avanti in questo periodo fino alla Liberazione. La affronteremo nel paragrafo successivo, per il momento ricordiamo che essa prende due principali forme: il partigianato di montagna delle Brigate Garibaldi (che assume carattere urbano dopo lo sciopero generale del marzo '44 e la fondazione delle SAP - Squadre di azione patriottica); il terrorismo urbano dei GAP - Gruppi di azione patriottica e, in parte, delle stesse SAP. In particolare l'azione di GAP e SAP vuole essere sempre collegata, a volte più idealmente che realmente, alla lotta di massa che in parallelo si cerca di sviluppare in fabbrica e poi nelle strade e nei quartieri popolari.<br />Riprendendo quindi il filo del discorso relativamente alla lotta di massa, possiamo comunque affermare che questa vive di caratteri spontanei e che le sono propri, ma che nel nuovo contesto dell'occupazione essa è suscitata soprattutto in prima battuta dalle azioni dei GAP e dalla promessa, in parte anche mito collettivo, delle squadre armate che avrebbero appunto dovuto difendere gli operai durante le mobilitazioni. La funzione dei due livelli di lotta e del contesto geografico in cui avvengono è nazionale: d'accordo con una cultura politica che attribuisce alla classe operaia il ruolo di soggetto rivoluzionario indiscusso dei moti di trasformazione sociale, è dalla capitale industriale e dalle altre città operaie che deve partire il moto insurrezionale dell'intero paese non ancora liberato.<br />Ma prima bisogna rompere quella cappa di indifferenza, timore, paura, inattività che sembra essere calata sulla città dopo l'8 settembre: "Accanto ad una Milano operaia che fa la fame, ne esiste anche un'altra: una Milano che sembra non voler pensare a quanto sta succedendo, una Milano che vuole stordirsi, che vuole o finge di illudersi che tutto stia tornando alla normalità. E i tedeschi, che di questa pseudonormalità hanno bisogno, ne incoraggiano gli aspetti più frivoli concedendo a tutto spiano autorizzazioni alla riapertura di cinema e teatri. I sette cinematografi rimasti aperti nei giorni dell'armistizio diventano ventotto alla fine di ottobre, più quattro teatri". <275<br />I GAP sono lo strumento che il Partito comunista organizza per rompere questa pseudonormalità: "La massa ha bisogno di guida e di organizzazione, ma soprattutto essa ha bisogno di esempi […] queste masse però sono passive, manca l'atmosfera di 'guerra', di lotta contro i tedeschi e i fascisti. Ed è questa atmosfera che bisogna creare con l'esempio dell'azione". <276<br />Le necessità della guerra di Liberazione si intrecciano dunque con la spontaneità di un conflitto sociale causato dall'asprezza delle condizioni di vita delle classi subalterne. Osserviamo ora più da vicino gli episodi conflittuali del ciclo che dall'autunno '43 si protrae in un crescendo fino allo sciopero generale del marzo '44: ci sono le agitazioni operaie del novembre 1943, sempre connesse ai licenziamenti e alle indennità da corrispondere ai lavoratori lasciati a casa, in particolare nelle fabbriche di Sesto San Giovanni e alla Magnaghi di Turro. Ma è soprattutto a dicembre che si verifica il cosiddetto 'grandioso sciopero dei sette giorni': la prima grande prova di forza organizzata da parte del Partito comunista, in questo momento l'unico che spinge per rompere l'attendismo sia della massa operaia (che faticosamente decide di appoggiare la lotta contro l'occupante, con tutti i rischi che ciò comporta), sia soprattutto del fronte antifascista. Da segnalare l'importante presenza e contributo socialista nel settore tranviario, dove appunto i sindacalisti erano di orientamento PSIUP. L'organo del PCI milanese, "La Fabbrica" (che nei primi numeri riporta il sottotitolo significativo di Giornale sindacale), lancia l'appello allo sciopero che riscuote un importante successo: "Dal 13 al 18 dicembre l'attività industriale è pressoché paralizzata, soprattutto nei primi quattro giorni di sciopero, durante i quali il movimento si estende a macchia d'olio coinvolgendo oltre 60 fabbriche per un totale di 150-160 mila operai. I primi segni di stanchezza si avvertono in seguito all'intervento tedesco che alterna le blandizie e le promesse di miglioramenti alimentari alle minacce e all'uso della repressione armata. Tuttavia la ripresa del lavoro, decisa dal Pci per lunedì 18, può avvenire senza che su di essa gravi un senso di sconfitta e di impotenza". <277<br />Una volta messa in moto la mobilitazione nelle aziende principali (Magnaghi, Ercole Marelli, Marelli Magneti, Olap, Pirelli e così via), anche gli stabilimenti più piccoli dichiarano lo sciopero. L'agitazione di carattere politico, antifascista e antinazista, è anticipata da un piano rivendicativo chiaro e forte: aumenti retributivi pari al 100%, aumento indennità giornaliera, premio di 500 lire al capofamiglia e 350 agli altri, miglioramento delle mense e degli spacci, liberazione dei detenuti politici, pagamento del 75% per i lavoratori sospesi. <278 Soprattutto, vero elemento di novità, gli operai rifiutano di incontrarsi con i tedeschi e la prefettura, ma vogliono trattare direttamente e solo con gli industriali: "Porre rivendicazioni relative al rapporto di lavoro e, in generale, alla vita in fabbrica implicava la necessità di individuare un interlocutore. Su questo terreno erano i fatti stessi a far riemergere il problema della coincidenza, o della dissociazione, delle tre figure del padrone, del fascista, del tedesco. Il secondo e il terzo erano dei nemici espliciti […] La figura del padrone era invece una figura ambigua". <279<br />L'azione di massa era stata accompagnata in questi due mesi, novembre e dicembre, dall'incalzare dell'iniziativa armata delle bande partigiane (non ancora un esercito) e dei GAP di città (lo vedremo fra poco); in particolare, il giorno stesso in cui si conclude lo 'sciopero dei sette giorni', il 18 dicembre, avviene l'attentato al commissario federale fascista Aldo Resega. È un atto importante che, unito al successo dello sciopero, aumenta sicuramente il morale operaio e dei partigiani. Al tempo stesso però emerge un carattere centrale della Resistenza milanese urbana: "Svincolare la classe operaia da un terreno di lotta i cui limiti siano marcati, da un lato, dallo scontro economico-rivendicativo in fabbrica e, dall'altro, da un impegno clandestino che rischia di essere mortificato in una attività esclusivamente assistenziale verso il nascente partigianato di montagna. La lezione dei fatti è, insomma, che il potenziamento della lotta in difesa degli interessi di vita e di lavoro delle masse, e il suo crescente e sempre più saldo collegamento con la guerra di liberazione nazionale, devono avvenire attraverso la partecipazione diretta e la conduzione in prima persona della lotta armata in città da parte della classe operaia". <280<br />E tuttavia la critica e l'autocritica della Federazione comunista milanese riguardo la necessità di costituire gruppi armati di difesa e nuclei partigiani in fabbrica non supererà i limiti della teoria. Questa è anche la principale problematica emersa nel grande sciopero generale del marzo 1944. Preceduto dalla crisi dei GAP a seguito della disastrosa scelta di compiere un attentato alla Casa del Fascio di Sesto San Giovanni (da dove proveniva la quasi totalità dei primi gappisti), che aveva portato all'arresto e alla morte di tutti i suoi membri; preparato e organizzato secondo linee confuse, tra lo sciopero politico-rivendicativo e quello insurrezionale, creando quindi un'aspettativa non chiara nella classe operaia: tutto ciò, al netto dell'indubbio successo politico e del primato storico europeo rappresentato dalla classe operaia milanese durante la Seconda guerra mondiale, porterà a un netto ripiegamento soprattutto a causa dell'assenza di strutture di autodifesa al momento della durissima repressione nazifascista.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">270 L. Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera, p. 13, Franco Angeli 1995</span><br /><span style="font-size: x-small;">271 Il capitolo alimentazione del settembre 1943 registra un aumento di 50 punti rispetto ai 14 dell'anno precedente e quello del vestiario di 74 punti (contro gli 8 del '42); il capitolo riscaldamento, invece, segna un aumento di 84 punti.</span><br /><span style="font-size: x-small;">272 L. Borgomaneri, op. cit., pp. 14-15</span><br /><span style="font-size: x-small;">273 Ivi</span><br /><span style="font-size: x-small;">274 C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., p. 338</span><br /><span style="font-size: x-small;">275 L. Borgomaneri, op. cit., p. 32</span><br /><span style="font-size: x-small;">276 R. Scappini (Giovanni), Considerazioni sulla situazione generale in Piemonte, in P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit. p. 120; citato in S. Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, p. 22, Einaudi 2014</span><br /><span style="font-size: x-small;">277 L. Borgomaneri, op. cit., p. 18</span><br /><span style="font-size: x-small;">278 Vedi L. Ganapini, op. cit., pp. 74-75</span><br /><span style="font-size: x-small;">279 C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., p. 339</span><br /><span style="font-size: x-small;">280 L. Borgomaneri, op. cit., p. 19</span><br /><b>Elio Catania</b>, <i>Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-45775568340545011282024-01-31T11:33:00.003+01:002024-01-31T11:34:19.547+01:00Graziani si oppose a questa trattativa di “resa separata”<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgn5hw9ZKg2c7zHQutvCTyrOSAxpZJiQ_9-WOfNk28E_5hxc-LOennWHMQbUI5ls3s3EdMNKV9h1itlzLnUCXIRCgaxvLOHH7xv7UWqfQ22wlnCKAq5V8omsuWYKnSk-P9Z8iUna2hlELOhZ25kEnauKRR43QeF6PfNk17XSXsjT-00BUdbHb46WofqN-Q/s550/ptd5.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="550" data-original-width="391" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgn5hw9ZKg2c7zHQutvCTyrOSAxpZJiQ_9-WOfNk28E_5hxc-LOennWHMQbUI5ls3s3EdMNKV9h1itlzLnUCXIRCgaxvLOHH7xv7UWqfQ22wlnCKAq5V8omsuWYKnSk-P9Z8iUna2hlELOhZ25kEnauKRR43QeF6PfNk17XSXsjT-00BUdbHb46WofqN-Q/w454-h640/ptd5.jpg" width="454" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Sappiamo che nei primi mesi del '45 e sin dalla liberazione di Roma vi fu un pullulare di servizi segreti esteri in Italia: si contendevano il campo inglesi e americani, ma anche russi, francesi e tedeschi. Il circuito più diffuso fu quello inglese, ma vi erano anche polacchi e jugoslavi, questi ultimi, soprattutto, nel sud dell'Italia e a Bari <8. Nel corso delle ultime settimane di aprile '45, gli uomini del britannico Secret Intelligence Service (d'ora in poi, SIS) si diedero a una gara di velocità con i colleghi dell'americano Office of Strategic Services (d'ora in poi, OSS), allo scopo di far prevalere la posizione di Churchill su quella di Roosevelt: quest'ultimo riteneva, infatti, che il Duce, come i criminali nazisti, avrebbe dovuto essere condotto innanzi a un tribunale internazionale per essere processato, in quanto ispiratore del fascismo europeo <9, mentre Churchill, al contrario, era favorevole a un'esecuzione “a caldo” del Capo della Repubblica Sociale Italiana (d'ora in poi, RSI), sì da non lasciare parola allo “scomodo testimone” <10. Non deve essere, altresì, trascurato, alla luce del quadro storico internazionale delineatosi mentre la seconda guerra mondiale volgeva al termine, che emerse anche una ferma volontà russa di uccidere Mussolini, resa esecutiva in Italia mediante il suo satellite comunista, a fronte della quale i servizi segreti americani non poterono agire o, in taluni casi, agirono troppo tardi. Parimenti è a dirsi per i servizi segreti tedeschi attivissimi nell'Italia settentrionale che, per ordine del generale Wolff e, d'intesa con gli americani, si furono mimetizzati nella zona ma non poterono essere utili e, comunque, in molti casi furono travolti dalle repressioni comuniste né furono in grado di comunicare con i propri superiori. Tale complesso gioco di alleanze segrete ha rivelato che la volontà e l'interesse di salvare Mussolini fosse, in definitiva, degli americani e non degli inglesi, forse anche perché i primi speravano di potersene servire nella guerra segreta contro il bolscevismo all'epoca alleato intoccabile <11.<br /><i>§ 2. Ciò che rivelano gli archivi dell'OSS</i><br />Renzo De Felice citava un certo numero di documenti, testimonianze e “piste”, che contraddicevano la vulgata, a cominciare da una relazione segreta, di circa cinquecento pagine, redatta da un agente dell'OSS, alla fine della sua missione nell'Italia del nord, foriera di 'molte nuove verità' <12. Tale fonte, che è stata analizzata in altra sede <13, fu il frutto dell'indagine compiuta dal colonnello Valerian Lada Mocarski - agente n. 441, nome in codice “Valla”, “Maj”, “Topper” <14 - per ordine di Allen Dulles, direttore della Sezione svizzera del Secret Intelligence (d'ora in poi, SI) dell'OSS, al fine di ricostruire i fatti e accertare le responsabilità della morte di Benito Mussolini, dopo che gli americani dovettero, loro malgrado, registrare il fallimento delle molteplici missioni lanciate nell'Italia settentrionale durante le ultime tumultuose settimane di aprile '45 miranti all'obiettivo di catturare il Duce vivo <15. L'indagine di Mocarski, che iniziò il 29 aprile 1945 e proseguì per i successivi sei mesi, da subito non si prospettò facile. Infatti, come annotò l'autore, nonostante che fossero trascorse solo ventiquattro ore dall'esecuzione di Mussolini, egli non fu in grado di ottenere i resoconti autentici sulle circostanze sia dell'arresto sia dell'esecuzione della condanna a morte del dittatore né riuscì a interrogare alcun testimone oculare a Como, come a Dongo e Milano, perché la popolazione locale fu tenuta all'oscuro della parte più importante di quegli eventi e neanche un singolo attore del complessivo dramma pare avesse assistito all'intera vicenda, senza considerare che ben pochi protagonisti sopravvissero per raccontare la loro parte di verità: delle tre o massimo quattro persone che presero parte alla fucilazione di Benito Mussolini, infatti, una, che rispondeva al nome di Giuseppe Frangi, nome in codice “Lino”, s'imbatté in un fatale 'accidente' pochi giorni dopo il fatto, un'altra, Luigi Canali, alias il “capitano Neri”, scomparve in circostanze misteriose, mentre gli ultimi due, il “colonnello Valerio” (che, probabilmente, non era altri che Aldo Lampredi, nome di battaglia “Guido”) e il commissario comunista Michele Moretti, conosciuto come “Pietro”, riuscirono a sottrarsi all'investigazione dell'OSS. Nonostante la scarsezza di fonti orali e la difficoltà di giudicarne l'affidabilità, per essere queste nella maggior parte dei casi infarcite di pregiudizio derivante dall'educazione, esperienza ovvero orientamento politico, il rapporto Mocarski <16, che constò di due memoranda, dei quali il primo risalente ai primi di maggio e il secondo iniziato il 30 maggio 1945 e, probabilmente, completato successivamente alla prima decade di giugno, come agevolmente rilevabile dall'elenco delle persone interrogate sino al 13 giugno <17, è degno di interesse, perché ricostruisce, in maniera sufficientemente analitica, gli ultimi quattro giorni della vita di Benito Mussolini e della Repubblica Sociale Italiana (d'ora in poi RSI) nel periodo dal 25 al 28 aprile del 1945, riuscendo, dunque, nella missione affidatagli per conto dell'OSS. La relazione dell'OSS non si esaurisce, pertanto, nella ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Benito Mussolini, sui quali - si deve, sin d'ora, evidenziare - l'agente dell'OSS vi apportava segretamente alcune importanti novità, ma narra gli ultimi quattro tormentati giorni di una Repubblica e del suo Capo.<br /><i>§ 3. L'incontro in Arcivescovado</i><br />Su questo incontro dall'esito tragicamente fallimentare molto si è scritto <18. L'agente dell'OSS ne ha ricostruito prologo, motivazioni, modalità e conclusioni, avvalendosi delle testimonianze di alcuni suoi celebri protagonisti, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, il generale Raffaele Cadorna, il prefetto Riccardo Lombardi, l'azionista Leo Valiani e redigendo accurati resoconti dei relativi colloqui, quindi puntualmente inseriti nel suo rapporto <19. E' noto ed è confermato da tale relazione che il presule, ansioso per la sorte di Milano e di tutta la Lombardia, intessé una fitta rete di rapporti diplomatici con tutte le parti in conflitto, ergendosi a trait d'union tra il CLNAI e, in particolare, il democristiano avv. Achille Marrazza, da un lato, e gli emissari tedeschi, le cui trattative con i servizi segreti alleati fervevano, nonché, almeno dal 22 aprile, con i responsabili fascisti, che pure avevano dato segni di essere propensi a negoziare la resa, dall'altro <20. Invero, già dal dicembre 1944, i dirigenti della RSI, su autorizzazione di Mussolini ovvero anche autonomamente, avevano avviato con alcuni esponenti del CLNAI una stagione di trattative, i cui principali intermediari furono il giornalista Carlo Silvestri <21; il ministro dell'Economia della RSI Angelo Tarchi <22, l'industriale Gian Riccardo Cella, acquirente del giornale 'Il popolo d'Italia', che Mussolini aveva fondato nel 1914 e a cui era rimasto affezionato <23.<br />Alle ore 15,00 del 25 aprile 1945, Benito Mussolini, con due cartelle di cuoio contenenti importanti documenti <24, giunse nel palazzo arcivescovile, accompagnato dal maresciallo Rodolfo Graziani <25, il ministro degli Interni Paolo Zerbino, il prefetto di Milano Mario Bassi, il sottosegretario alla Presidenza Francesco Maria Barracu e l'industriale Gian Riccardo Cella. È noto che, prima di iniziare la conferenza, Mussolini e Schuster restarono soli per più di un'ora durante la quale discussero in maniera pacata di vari argomenti <26. Dopo circa un'ora arrivarono i delegati del CLNAI: Raffaele Cadorna, presidente del CVL, Achille Marrazza, per il partito della Democrazia Cristiana (DC), Riccardo Lombardi e Matteo Arpesani, per il Partito di Azione (Pd'A). Dopo un breve scambio di saluti, ciascuno si sedette, come si evince dallo schizzo vergato da Cadorna per Mocarski <27. Mussolini avrebbe voluto trattare con Raffaele Cadorna, in quanto, come avrebbe più tardi riferito ai suoi ministri riuniti a Como, era l'unico che conoscesse tra i presenti, ma questi rispose che era stato delegato quale rappresentante militare, mentre Achille Marrazza era il rappresentante politico del CLNAI. Il Duce domandò quali condizioni gli fossero offerte e Achille Marrazza gli rispose seccamente che la resa avrebbe dovuto essere incondizionata. Mussolini si proclamò meravigliato, poiché pensava che alcune condizioni sarebbero state accettate ma Cadorna intervenne, affermando che, conformemente alle istruzioni diramate dall'Alto Comando Alleato, sia le milizie sia le famiglie dei fascisti sarebbero state trattate alla stessa stregua di prigionieri di guerra. Mussolini, sulle prime, manifestò la volontà di negoziare ma, in quel momento, intervenne Graziani, il quale sollevò la questione dell'onore, obiettando che il governo fascista non poteva iniziare trattative per la resa con l'avversario prima di aver informato l'alleato tedesco, perché non si fosse accusati di rinnovare il tradimento dell'8 settembre. A questo punto, la discussione si accese e Cadorna fece rilevare che i tedeschi stavano già trattando la resa con gli Alleati e avevano manifestato delle aperture in tal senso anche con lui. Mussolini s'irritò di fronte a questa notizia <28 e Schuster non poté far altro che confermare la correttezza della dichiarazione. Il capo della RSI dichiarò, dunque, che avrebbe immediatamente incontrato Wolff per fargli rilevare che questa volta era l'Italia a essere stata pugnalata alle spalle: 'I tedeschi ci hanno sempre trattato come servi e ora mi stanno tradendo. Date le circostanze, io mi ritengo libero e recupero la libertà di adottare l'azione che riterrò opportuna', proclamò adirato <29. Mussolini chiese, quindi, un'ora di tempo per meditare sulla situazione e incontrare gli alleati tedeschi <30. I dirigenti fascisti partirono immediatamente, promettendo di dare una risposta entro le ore 20,00.<br /><i>§ 4. La fuga da Milano</i><br />Il ritorno di Mussolini in Prefettura fu assai tumultuoso. Secondo la testimonianza degli astanti, il Duce imprecava: 'Volevano crearmi un'altra trappola tipo 25 luglio […] i tedeschi ci hanno tradito' e, ancora, 'se fossi stato armato li avrei uccisi tutti'. Poi, accusando Cella, gli disse: 'Voi siete responsabile di quanto è accaduto: non voglio credere che foste d'accordo con la cricca ci-ellenistica […] volevano giungere esclusivamente alla mia cattura […] ma non mi avranno' <31. Seguì un'accesa discussione sul da farsi. La ricostruzione degli eventi è resa assai complicata dalla mancanza di fonti, perché ci si può riferire esclusivamente alle testimonianze dei presenti, non sempre coerenti e, comunque, suscettibili di verifica. Sul punto, la storiografia è ampia e articolata e la questione dei piani dell'ultimo Mussolini non è stata completamente chiarita <32.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">8 A tal proposito, illuminante è un rapporto della Divisione italiana del Secret Intelligence (SI) rubricato Foreign Intelligence Organizations currently operating in Italy del 5 marzo 1945, inviato dal suo capo Vincent Scamporino a J. Jesus Angleton, responsabile della Sezione italiana del servizio di controspionaggio dell'OSS (X-2). Ivi si compie un'accurata disamina delle organizzazioni dei servizi segreti stranieri in Italia, con particolare riguardo a quelli inglesi considerati i più diffusi, preparati e inseriti nella realtà politica, sociale ed economica italiana, sin dall'epoca antecedente all'entrata in guerra dell'Italia. Foreign Intelligence Organizations currently operating in Italy in National Archives and Records Administration, College Park, MD (d'ora in poi NARA), R.G. 226, E. 211, B. 7.</span><br /><span style="font-size: x-small;">9 R. De Felice, Rosso e Nero cit., pp. 144 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">10 Si cfr. il “Punishment of war criminals“, appunto scritto da W. Churchill il 9 novembre 1943, conservato nel Public Record Office (PRO) di Londra (War Cabinet Paper WP(43) 496, F. CAB. 66/39) e riportato in F. Andriola, Carteggio segreto Churchill-Mussolini, Sugarco, Milano 1995, p. 45.</span><br /><span style="font-size: x-small;">11 V. Teodorani, Perche' fu ucciso Mussolini, in «Asso di Bastoni», 21 e 31 ottobre, 7, 14 e 21 novembre 1954. Vanni Teodorani, Capo della Segreteria Militare della Repubblica Sociale Italiana, fu accanto a Mussolini sino al tragico epilogo. In tale veste, oltre che in quella di genero, narra la missione condotta allo scopo di salvargli la vita insieme con i delegati alleati Giovanni Dessy e Salvatore Guastoni, di cui in seguito si dirà.</span><br /><span style="font-size: x-small;">12 R. De Felice, Rosso e Nero cit., p. 145.</span><br /><span style="font-size: x-small;">13 Uno stralcio di tale relazione segreta è stato riportato, nella versione tradotta in italiano, in appendice al saggio di M. Sapio, Gli ultimi giorni di Mussolini tra storia e verità cit. nonché commentato, in chiave critica, in M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola fine? cit. Una sintesi è stata pubblicata con il titolo The last three days of Mussolini in 'Atlantic Montlhy', n. 6 del dicembre 1945.</span><br /><span style="font-size: x-small;">14 Valerian Lada Mocarski, russo, discendente di una famiglia nobile travolta dalla rivoluzione bolscevica emigrata negli Stati Uniti, si arruolò quale ufficiale nell'esercito americano nel 1941 e fu, quindi, reclutato nell'OSS e destinato in Medio Oriente, Egitto, Francia e, infine, in Svizzera, dove si trovava durante gli ultimi giorni di Mussolini. Nel giorno di Piazzale Loreto, passò nell'Italia del nord e, infine, si ritirò dall'esercito nel 1945. Dopo la guerra fu nominato vicepresidente della G. Henry Shroeder Banking Corporation a New York.</span><br /><span style="font-size: x-small;">15 Oltre alla missione del capitano Emilio Daddario già trattata nel capitolo precedente, molteplici furono le missioni alleate di cui si resero artefici, soprattutto, i servizi segreti americani, che furono lanciate nel nord dell'Italia nelle ultime settimane di aprile '45, con l'obiettivo di catturare Mussolini vivo. Per una panoramica di queste iniziative, si rinvia a M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola Fine? cit., nt. 43, p. 142.</span><br /><span style="font-size: x-small;">16 Il rapporto, conservato in Archivio Centrale di Stato (d'ora in poi ACS), Archivi di famiglie e di persone, Fondo De Felice Renzo, si compone di undici capitoli intitolati Last days of Mussolini and his Ministers con vari sottotitoli e diciassette capitoli, variamente intitolati, cui si aggiunge un report di un autore sconosciuto (che Lada Mocarski ipotizza essere Riccardo Lombardi) dal titolo First and Last meeting with Mussolini, nonché un memorandum anonimo intitolato La libertà fiorisce a Tremezzina. V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">17 L'elenco suddetto vergato di proprio pugno dall'autore è il seguente: «1. Cardinale Ildebrando [sic] Schuster, 8 giugno; 2. Generale Raffaelle [sic] Cadorna, 30 aprile, 9 e 10 maggio, 9 giugno; 3. Leo Valiani, notte tra 8 e 9 giugno; 4. Com. Gustavo Ribet, 29 e 30 aprile e 9 giugno; 5. Prefetto fascista di Como, Renato Celio, 29 aprile; 6. Federale di Menaggio E. Castelli, giugno; 7. Com. Gementi, 29 aprile; 8 Com. Baridon; 9. Prefetto di Como Bertinelli, 29 aprile; 10. Com. “Pedro”, 6 giugno; 11. “Bill”(Lazzaro Urbano), 6 giugno; 12. “Renzo”; 13.“Mennefreggo”[sic], 12 giugno; 14. Arturo (“Roma”), 9 maggio; 15. Paolo Gerli, 10 maggio; 16. Vet. Dr Giacobbi; 17. Plinio Sergiuti; 18. Signora Romano, 10 maggio; 19. Giacomo e Lia De Maria, 9 maggio e 13 giugno; 20. Don Mainetti, 13 giugno; 21. Padre Accursio, 13 giugno; 22. Padre Ferrari, 13 giugno; 23. Giovane Romano, 13 giugno; 24. Brig. Scappin, 12 giugno; 25. Il partigiano di Pianello Lario, 9 maggio; 26. Oscar Sforni; 27. Maggiore De Angelis; 28. Comandante Dessy; 29. Autista Tacchino; 30. Dr. Guastone [sic]; 31.Com. Pinto; 32. Capitano Nicola; 33. Questore di Como; 34. Fotografo in Lugano; 35. Poletti; 36. Fotografo (…); 37. [incomprensibile]; 38. (…)» V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers cit., List of people interrogated during the investigation.</span><br /><span style="font-size: x-small;">18 Si confrontino e multis R. Cadorna, La riscossa cit.; R. Graziani, Una vita per l'Italia cit.; R. Lombardi, Primo e ultimo incontro con Mussolini, in «Italia Libera», 28 maggio 1945; A. Marrazza, Il colloquio del CLNAI con Mussolini nell'arcivescovado di Milano, in AA.VV., La Resistenza in Lombardia cit. (in polemica con quello che definisce il “libro bianco” del cardinale Schuster, accusato di aver alterato i fatti con particolare riferimento al tema della transigibilità della “resa incondizionata” da parte del CLNAI.); A. I., Schuster, Gli ultimi tempi di un regime, Daverio, Milano 1960; L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma cit.; M. Viganò, Mussolini e i colloqui di piazza san Sepolcro in «Nuova Antologia», gennaio-marzo 1999.</span><br /><span style="font-size: x-small;">19 I relativi resoconti sono riportati in versione tradotta, in appendice al saggio di M. Sapio, Gli ultimi giorni di Mussolini tra storia e verità cit., pp. 70 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">20 Il cardinale Schuster nel febbraio del 1945 scrisse una lettera a Mussolini nella quale lo supplicava di evitare la distruzione di Milano e della Lombardia che era di grande importanza per l'economia italiana e lo invitava a cessare le ostilità, offrendogli i suoi servigi per una trattativa di resa con gli Alleati. Dopo dieci giorni di silenzio, il presule fu contattato da Vittorio Mussolini il quale dichiarò che il Duce, suo padre, era determinato a difendere la Lombardia con tutte le sue forze e avrebbe portato a termine questi piani trattandosi di una misura disperata, salvo che gli Alleati avessero voluto venire incontro a certe condizioni che includevano la garanzia della salvezza per l'esercito neofascista e delle altre formazioni militari, la personale salvezza dei suoi ministri e delle loro famiglie e la garanzia per la sua vita e quella della sua famiglia. Il 13 marzo, Vittorio Mussolini ritornò dal cardinale con una lettera che contemplava le condizioni di resa offerte dal padre, condizioni che il cardinale inoltrò attraverso la Nunziatura Papale di Berna, alla Santa Sede e quindi agli Alleati, che, però, dichiararono di rifiutare ogni negoziato e di esigere la resa incondizionata. La corrispondenza tra l'Arcivescovado di Milano e le Autorità alleate, da un lato, e i rappresentanti della RSI nonché i dirigenti nazisti, dall'altro, è riportata in I. Schuster, Gli ultimi tempi di un regime cit., pp. 90 e ss. Schuster riferì a Mocarski di non aver comunicato la notizia a Mussolini, poiché temeva la sua reazione furibonda che lo avrebbe reso 'più determinato di quanto già non fosse nella difesa della Lombardia con il risultato della distruzione di questa importante provincia italiana'. La relazione dell'OSS conferma, dunque, che erano in corso trattative anche da parte dei dirigenti fascisti e, in particolare, informa di un tranello escogitato da un elemento dello staff di Mussolini, allo scopo di indurlo a entrare in diretto contatto col Cardinale nella speranza che quest'ultimo lo persuadesse ad arrendersi agli Alleati: il 23 aprile, infatti, qualcuno - ma il Mocarski non precisa chi - disse a Mussolini che il cardinale voleva vederlo. I successivi eventi sia a Milano sia a Como avrebbero provato, infatti, che 'i ministri di Mussolini tentarono disperatamente di provocare un qualche tipo di resa preordinata al fine di far salva la vita del Duce e la loro. Il cardinale non aveva inviato alcun messaggio a Mussolini […] ma, ciononostante il duce rispose che sarebbe stato lieto di vederlo […] Due giorni dopo, un intermediario, (che secondo ciò che Cadorna riferì si trattava di un tale Cella), si recò dal Cardinale di primo mattino con la dichiarazione che Mussolini lo avrebbe incontrato alle 15,00 di quel pomeriggio perché, disse l'intermediario, egli voleva firmare una resa incondizionata.' Schuster fu naturalmente d'accordo a prestare i suoi uffici a tale scopo e subito ne informò il generale Raffaele Cadorna. V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers cit., Meeting between Mussolini and CLNAI on April 25 1945 held at Cardinal Schuster's Palace in Milan.</span><br /><span style="font-size: x-small;">21 Nel pomeriggio del 24 aprile, Carlo Silvestri contattò l'azionista Leo Valiani, del quale era un amico di gioventù e dichiarò che Mussolini era pronto a cedere il potere al partiti Azionista e Socialista poiché entrambe le formazioni politiche erano repubblicane e, pertanto, 'accettabili per il Duce che era stato il capo della Repubblica Italiana.' ma i dirigenti di entrambi i partiti respinsero tassativamente tali proposte. Per una narrazione più dettagliata si veda C. Silvestri, Nessuno poteva salvare Mussolini condannato a morte da Mosca, in 'Settimo Giorno', n. 10 del 1951, pp. 54 e 55. La missione Silvestri è confermata dal rapporto Mocarski che riporta, in particolare, l'incontro tra Silvestri e Valiani.</span><br /><span style="font-size: x-small;">22 Angelo Tarchi, ministro dell'Economia Corporativa della Repubblica Sociale Italiana, fu autorizzato dal duce ad avviare segretamente le cosiddette 'trattative di Piazza San Sepolcro', condotte attraverso l'industriale Gallioli, il quale, a sua volta, instaurò contatti col CLNAI che nominò quale delegato l'avv. Giuseppe Brusasca nonché col Comando Alleato che delegò il suo emissario, colonnello italo-americano Max Salvador William, alias “Max Salvadori”. Tali trattative furono presto sospese poiché, come ha raccontato Tarchi, il Duce ritenne che la situazione non fosse così disperata e, nello stesso tempo, 'altre trattative […] sono in corso'. A. Tarchi, Teste Dure, Editrice S.E.L.C., Milano 1967, pp. 149-160. Per una trattazione ampia, sia pure con la parzialità che connota la fonte, si veda Gli ultimi giorni della Resistenza. Le trattative per la resa di Mussolini. Discorso del sen. Avv. Giuseppe Brusasca, Rotary, Roma, 13 maggio 1975, del quale una copia è conservata in Archivio Centrale di Stato (ACS), Archivi di famiglie e di persone, Fondo De Felice Renzo, B.10, F. 50.</span><br /><span style="font-size: x-small;">23 Fu l'industriale Gian Riccardo Cella, dopo il fallimento della missione Silvestri, a indurre Mussolini a trattare la resa con il CLNAI, avvalendosi dei buoni uffici dell'Arcivescovo di Milano. Quindi il prefetto Gatti inviò il sig. Bruni, praticante in Prefettura, dal cardinale Schuster per avvertirlo che alle ore 15,00 del 25 aprile Mussolini sarebbe venuto lì e avrebbe voluto abboccarsi con Cadorna e Marrazza. I. Schuster, Gli ultimi tempi di un regime cit., p. 164.</span><br /><span style="font-size: x-small;">24 Poco prima di partire dalla Prefettura per dirigersi alla sede arcivescovile, Mussolini estrasse da due casse zincate alcuni documenti e li trasferì in due capienti cartelle di cuoio. Secondo Silvestri, che lo assistette nell'operazione, si trattava d'importanti documenti di valore storico contenenti le prove di quello che Mussolini e la Repubblica di Salò avevano fatto per evitare la guerra civile e il completo asservimento ai tedeschi. Al figlio Vittorio che gli era accanto, Mussolini disse:'Dimostrerò con le lettere di Hitler che ho salvato la Svizzera dall'invasione. E ho le prove della malvagità degli inglesi che ha portato alla guerra'. P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Momenti e protagonisti dell'Italia fascista nei National Archives di Washington, Net, Milano 2004, p. 312.</span><br /><span style="font-size: x-small;">25 Il generale Rodolfo Graziani, ministro delle Forze Armate della RSI, ha raccontato, nel suo diario edito, di aver suggerito al Duce di non andare personalmente ma di delegare una commissione, soluzione che Mussolini pareva avesse accolto. Invece, poco prima delle ore 17,00, avviatosi verso l'ufficio di Mussolini per gli ultimi accordi, si avvide che questi, seguito da Barracu, Zerbino e Bassi, usciva senza preavvisarlo. Graziani, quindi, accompagnato dal generale Sorrentino, si unì agli altri in Arcivescovado e, accolto da monsignor Terraneo, al quale consegnò il cinturone con la pistola, attese nell'anticamera, mentre Mussolini era già a colloquio con Schuster. R. Graziani, Una vita per l'Italia cit., pp. 238 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">26 Il colloquio privato tra Schuster e Mussolini è trattato in I. Schuster, Gli ultimi giorni di un regime cit., pp. 164-169. Di pari tenore, è la testimonianza del prelato a Lada Mocarski riportata nel resoconto sopra citato.</span><br /><span style="font-size: x-small;">27 Lo schizzo mostra nell'ordine: Schuster, Mussolini, Lombardi, Arpesani, Cadorna, Marrazza, Barracu, Zerbino, Graziani, Bassi. V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers cit., Meeting between Mussolini and CLNAI which took place on April 25, 1945 in Cardinal Schuster 's Palace in Milan.</span><br /><span style="font-size: x-small;">28 Sulla reazione di Mussolini, mentre il prelato riferì che, a suo parere, Mussolini era sinceramente sorpreso, perché vittima di un inganno da parte di un membro del suo entourage, al contrario, Cadorna ritenne che il Duce si fingesse sbalordito e adirato ma, in realtà, si trattasse di una mera manovra. Di certo, Mussolini fu tenuto all'oscuro delle trattative che, sin dall'autunno '44, intercorrevano tra Wolff e Rahn e i servizi segreti americani nella persona di Allen Dulles e il suo segretario Gaevernitz. Il ministro Tarchi ha dichiarato che gli era trapelata la notizia, poi, confermata da Gallioli, che erano in corso contatti, per il tramite di Don Bicchierai, messo del cardinale Schuster, tra il CLNAI e i tedeschi Wolff e Rahn, per una resa separata della Germania, il tutto all'insaputa di 'Mussolini relegato a Gargnano'. Graziani, nel suo diario, affermò che, almeno sino al 22 aprile, giorno in cui si recò dall'Arcivescovo di Milano con l'incarico, sciente Mussolini, del generale Von Vietinghoff di investire il prelato dell'opportunità che 'il clero e la popolazione collaborassero a un'opera di salvezza in caso di ritirata tedesca: se i partigiani non avessero molestato le truppe, sarebbero stati risparmiati impianti, opere d'arte e industrie', i dirigenti fascisti erano inconsapevoli delle trattative dei rappresentanti tedeschi in Italia. 'Né dall'ambasciatore né dal generale Wolff, né da altri ne avevamo avuto il minimo indizio'. E, a ulteriore supporto che le direttive del comando superiore germanico erano di resistere ad oltranza e, solo dal 23/24 aprile, di ritirarsi dalla riviera per assestarsi sulla linea Po-Ticino, il Maresciallo d'Italia esibiva il documento recante l'ordine del generale Von Vietinghoff di procedere 'in comune con l'ambasciatore dott. Rahn e il generale delle SS Wolff, dando speciale premura di intavolare il collegamento con i rappresentanti della Chiesa'. R. Graziani, Una vita per l'Italia cit., pp. 231-237. Sappiamo, invero, che il generale Vietinghoff, come Himmler e Kesselring, sebbene messi al corrente da Wolff delle trattative di resa solo nell'aprile '45, non lo autorizzarono a procedere alla capitolazione incondizionata o, almeno, non apertamente sino al 2 maggio 1945. Sulla crisi interna agli Alleati a proposito della resa tedesca in Italia, cfr. E. Aga Rossi e B. Smith, La resa tedesca in Italia cit., pp. 96-188.</span><br /><span style="font-size: x-small;">29 V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers, Meeting between Mussolini and CLNAI cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">30 Sui rapporti tra Mussolini e i tedeschi, in particolare con il dottor Rahn e il generale Wolff, che Mussolini definiva l'uno “Viceré d'Italia” e l'altro il “ministro dell'Interno per l'Italia“, le simpatie del duce erano rivolte al secondo più che al primo. Come Dolfin aveva osservato, Wolff era, infatti, considerato da Mussolini, al pari dell'ambasciatore giapponese Hidaka, 'amico del nostro Paese e suo personale' e, con lui, il Duce scambiava ogni tipo di confidenze, anche personali. G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, Garzanti, Milano 1949-1950, pp. 49 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">31 Convergenti le testimonianze degli astanti: e multis si cfr. A. Tarchi, Teste dure cit., p. 165. Inoltre l'unico racconto disponibile su ciò che fece Mussolini dopo essere partito dal palazzo della Prefettura di Milano è contenuto in un articolo scritto dall'industriale Cella e pubblicato su 'Il popolo' del 2 maggio 1945, in base al quale fu stilato dai servizi segreti inglesi un rapporto sugli ultimi giorni di Mussolini conservato in Public Record Office (PRO), Foreign Office (371/49872), una copia del quale è conservata in ACS, Archivi di famiglie e di persone, Fondo De Felice Renzo, B. 11, F. 53.</span><br /><span style="font-size: x-small;">32 Sul punto va richiamata l'indagine condotta da F. Andriola in Appuntamento sul lago cit., pp. 41 e ss, ove si evidenzia un'evoluzione dei piani del Duce. Notizie e approfondimenti si rinvengono in M. Sapio, La morte di Mussolini tra storia e verità cit. Compie, inoltre, un'accurata analisi sull'attendibilità dell'ipotesi di una “fuga” in Svizzera, giudicandola poco verisimile e, al contrario, accreditando una precisa volontà di Mussolini di raggiungere Como quale località più favorevole per difendersi ovvero trattare con emissari inglesi o, infine, raggiungere il ridotto della Valtellina, in attesa dell'arrivo degli Alleati, M. Viganò, Mussolini, i gerarchi e la 'fuga' in Svizzera (1944-'45) in 'Nuova Storia Contemporanea', n. 3 del 2001.</span><br /><b>Michaela Sapio</b>, <i>Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione</i>, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012</div><p></p><p style="text-align: justify;">Nel pomeriggio del 25 aprile si svolse, presso l’Arcivescovado di Milano, una riunione organizzata dal cardinale Ildegardo Schuster alla quale presero parte vertici del CLNAI (tra i quali Sandro Pertini, Riccardo Lombardi, Achille Marazza, Giustino Arpesani ed il generale Raffaele Cadorna comandante del CVL, da poco rientrato in Italia da Berna) ed esponenti fascisti, tra cui lo stesso Mussolini, accompagnato dal maresciallo Graziani, dal ministro dell’interno Zerbino, dal sottosegretario Barracu, dal prefetto Bassi e dall’industriale Cella (che avrebbe dato il via all’incontro). Prendiamo ancora nota di quanto riferisce Giovanni Pesce, e cioè che il 25 aprile, quando Marazza andò a cercare Cadorna per andare assieme alla riunione, lo trovò assieme al neo-questore Elia, Nemo <1.<br />Lo scopo della riunione era quello di salvare la vita dell’ex “duce”, consegnandolo agli Alleati, ed il cardinale Schuster aveva addirittura fatto preparare una stanza per ospitare Mussolini al sicuro prima di consegnarlo agli Alleati come prigioniero di guerra.<br />Nel corso della riunione Graziani si oppose a questa trattativa di “resa separata” <2, «affermando che principi di onore e lealtà impedivano al governo della Repubblica sociale di trattare all’insaputa dei tedeschi», ma a queste parole sarebbe intervenuto Marazza, «precisando che in realtà le autorità germaniche in Italia stavano negoziando la resa da oltre dieci giorni». Ciò avrebbe provocato l’abbandono della riunione da parte di Mussolini <3, e successivamente lo stesso Pertini avrebbe sintetizzato in questo modo l’esito della riunione, in una lettera inviata a Lombardi e resa nota dal ricercatore Manlio Cancogni nel 1996:<br />«Ricordo benissimo quanto avvenne all’Arcivescovado. Arrivato quando Mussolini aveva lasciato la riunione, il cardinale Schuster, presenti voi, mi mise al corrente dell’esito del vostro incontro con Mussolini e cioè Mussolini si sarebbe arreso al CLNAI e nei suoi confronti si sarebbero applicate le norme del diritto internazionale. Richiesto da me d’una più precisa spiegazione su codesto punto, soggiunse che avrebbe dovuto essere considerato prigioniero di guerra e quindi consegnato agli alleati. Questo il Cardinale, in vostra presenza, mi comunicò, soggiungendo che Mussolini si era recato in Prefettura, ove avrebbe telefonato la sua ultima decisione. Voi, appunto, eravate in attesa di codesta telefonata quando giunsi io. Dissi al Cardinale, che Mussolini arrendendosi al CLNAI, sarebbe stato da noi consegnato ad un Tribunale del Popolo. Ricordo benissimo che Tiengo <4 si alzò, allora, e, dopo un vivace battibecco con me, si precipitò al telefono. Rientrò poco dopo annunziando enfaticamente che “Mussolini non si sarebbe più arreso”. Ripetutamente, in seguito, su periodici e quotidiani si fece risalire a me “la colpa” se quell’accordo era andato a monte. Se da altri quel mio atteggiamento è stato giudicato una “colpa”, per me naturalmente è sempre stato considerato un merito. E lo rivendico a mio onore senza peccare di presunzione alcuna» <5.<br />[...] In serata partì pertanto da Como (in direzione Dongo, quindi deviata verso est rispetto alla Valle d’Intelvi) una colonna, guidata dal capitano Dessy (che sembra avere avuto direttamente da Dulles l’incarico di salvare Mussolini <18), comprendente anche Colombo, Romualdi, Vanni Teodorani (marito di una nipote di Mussolini), ed il sottotenente dei Carabinieri Egidio De Petra.<br />Il gruppo fu però fermato dai partigiani (alcune fonti dei reduci della RSI sostengono che sarebbe stata una manovra del “colonnello Valerio” per impedire il salvataggio di Mussolini) e, nonostante i documenti di Dessy che lo accreditavano come agente dei servizi statunitensi, fu impedito loro di proseguire; Colombo fu arrestato e fucilato il 28/4/45, mentre Romualdi e Teodorani riuscirono a salvarsi, non essendo stati riconosciuti.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />1 G. Pesce, “Quando cessarono gli spari”, Feltrinelli 1977, p. 26. Elia era il comandante della rete spionistica Nemo, organizzata dal SIM italiano in collaborazione con l’IS britannico (cfr. C. Cernigoi, “Alla ricerca di Nemo”, reperibile in http://www.diecifebbraio.info/2013/06/alla-ricerca-di-nemo-una-spy-story-non-solo-italiana-2/).<br />2 In realtà era da mesi in corso l’operazione Sunrise, lavoro di intelligence portato a termine dai servizi angloamericani con i servizi nazisti e l’appoggio dei servizi svizzeri e l’intervento di agenti italiani per giungere ad una “resa separata” (tagliando fuori da una parte l’URSS e dall’altra la scomoda Repubblica di Salò) che garantisse la salvaguardia degli stabilimenti industriali e delle infrastrutture italiane dalla minaccia nazista di fare “terra bruciata” al momento della ritirata, in cambio dell’impunità per molti gerarchi nazisti. <br />3 Luca Frigerio, “25 aprile 1945: il drammatico incontro fra il cardinal Schuster e Mussolini”, 24/4/15 (http://www.incrocinews.it/arte-cultura/25-aprile-1945-il-drammatico-incontro-br-fra-il-cardinal-schuster-e-mussolini-1.107599).<br />4 L’ex prefetto Carlo Tiengo «faceva parte di quei funzionari dello Stato inviati al confine orientale e scelti tra coloro che provenivano dalle fila del Partito Nazionale Fascista» (https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Tiengo, che cita Annamaria Vinci, “Sentinelle della Patria” Laterza 2011, p. 171); ricoprì la carica a Gorizia e a Trieste, dove entrò in conflitto con i vescovi sloveni delle due città, facendoli trasferire; fu inviato a Bologna, Torino e Milano, ed infine nominato Ministro delle Corporazioni nell’ultimo governo Mussolini. <br />5 http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/09/Mussolini_Schuster_Pertini_scriveva_che_co_0_9605098884.shtml.<br />18 Cfr. http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_MBarozzi_100818_Morte-Mussolini-28aprile45-La-strabiliante-giornata-di-Valerio-e-Guido.htm. Aggiungiamo qui per dovere di cronaca (ma in assenza di conferme) che secondo l’autore di questa ricostruzione sarebbe stato l’agente dell’OSS Emilio Daddario (colui che mise successivamente in salvo il maresciallo Graziani) a firmare il lasciapassare (poi consegnato da Vittorio Palombo) che permise al “colonnello Valerio”, cioè Walter Audisio (il dirigente garibaldino che ricopriva anche l’incarico di responsabile della polizia militare del CVL) di raggiungere il luogo dove era stato bloccato Mussolini in fuga, e procedere quindi alla sua esecuzione.</span><br /><b>Claudia Cernigoi</b>, <i>Manovre di vari Servizi intorno alla cattura di Mussolini</i>, Giuseppe <a href="http://www.giuseppevergara.com/" target="_blank">Vergara</a>, 29 aprile 2020 <br /></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-51320146189002172942024-01-27T11:40:00.001+01:002024-01-27T11:40:34.301+01:00Il convento fiorentino di Santa Marta ospitò, oltre che i fratelli Pacifici, numerosi bambini ebrei<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtqmT_jQ1loO3fc2UD0G0cj4wCgigBTNl31PqFKNgevGfy8oHg7YLfxgm5z6G8k43pemT8QVI0PEf89pzDK38892fMxlVoxuSlWns7YUZR9xiTvUl5X2UwkeYMDSzSinX5dQupL44MrFnQtwxrDHJ6hDuEgz0ujvmtLllSliIfwaGVyj3lbHDx0kbRAGA/s2280/ep8.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2280" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtqmT_jQ1loO3fc2UD0G0cj4wCgigBTNl31PqFKNgevGfy8oHg7YLfxgm5z6G8k43pemT8QVI0PEf89pzDK38892fMxlVoxuSlWns7YUZR9xiTvUl5X2UwkeYMDSzSinX5dQupL44MrFnQtwxrDHJ6hDuEgz0ujvmtLllSliIfwaGVyj3lbHDx0kbRAGA/w432-h640/ep8.webp" width="432" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Lasciata la madre, Emanuele Pacifici e il fratello Raffaele vennero portati dallo Zio in un altro istituto religioso fiorentino dove speravano di trovare ospitalità: "Lo zio ci accompagnò a Settignano nel collegio di Santa Marta, ma non eravamo sicuri di essere accettati. Fortunatamente suor Marta Folcia, che faceva le veci della superiora momentaneamente indisposta, ci disse che potevamo rimanere e dopo aver brevemente parlato con lo zio, rivolgendosi a me e Raffaele, disse: «Allora ragazzi, salutate vostro zio e andate subito a mangiare nella sala refettorio». Era la domenica 21 novembre 1943: il mio destino mi imponeva ancora una volta una separazione dai miei cari, ancora una volta un ambiente estraneo". <98<br />Il convento fiorentino di Santa Marta ospitò, oltre che i fratelli Pacifici, numerosi bambini ebrei; fra questi per un periodo ci fu anche, il poco sopra citato Umberto Di Gioacchino. Inizialmente egli era stato lasciato dai genitori alle suore di Santa Marta già nell’ottobre del 1942, quando Umberto aveva solo un anno. Umberto era nipote del rabbino di Firenze, Nathan Cassuto, il quale da tempo si era prodigato nell’assistenza dei profughi israeliti provenienti dai paesi in cui la persecuzione antisemita aveva messo in pericolo la loro vita. Per questo motivo il rabbino di Firenze fu edotto molto presto delle drammatiche conseguenze alle quali andavano incontro gli ebrei capitati sotto il giogo nazista e, intuendo il possibile pericolo che correvano gli ebrei italiani, non aveva indugiato nel cercare di porvi rimedio in anticipo. Di Gioacchino ha raccontato a riguardo: "Lo zio, Nathan Cassuto, era in una posizione privilegiata per avere notizie, informazioni, che, ovviamente, all’epoca non c’erano o quanto meno non giravano tra il pubblico e quindi cominciò ad avvertire un po’ la situazione pericolosa. La prima cosa che fu decisa fu come sistemare il bambino che era quello più facilmente, in un certo senso, nascondibile, perché non c’erano documenti, non c’era la carta di identità ecc. I miei avevano lasciato la casa, erano andati ospiti di amici in un’altra casa e mi trovarono una sistemazione presso le suore di Santa Marta". <99<br />Poiché nell’ottobre 1943 la situazione a Firenze sembrava degenerare, il piccolo Umberto venne però ripreso dai genitori che ritennero più sicuro portare il figlio con sé a Colle di Compito, un paese nella campagna lucchese. <100<br />Dopo l’8 settembre, le famiglie di Guido Bedarida e del fratello, per il timore di essere stati individuate dai tedeschi, lasciarono la grande fattoria nella campagna grossetana, dove si erano sistemate sin dal ritorno dalla Francia avvenuto nel febbraio del 1943. La ricerca di un luogo sicuro li condusse a Radicondoli, uno sperduto paesino nella provincia di Siena. Qui, entrambe le famiglie trovarono alloggio in un piccolo albergo <101. Lasciata Radicondoli, dopo una tappa di qualche giorno presso dei contadini («gente poverissima che non si lavava perché non c’era acqua, gente analfabeta, però gente di cuore»), i Bedarida raggiunsero il paese di Montieri, tra la provincia di Grosseto e Siena. A Montieri c’era un convento di suore Stimmatine le quali accolsero solo Anna, la più grandicella dei tre figli di Guido Bedarida e Pia Toaff, poiché le suore non potevano tenere maschi. Lasciata Anna, il resto della famiglia Bedarida tornò indietro e trovò ospitalità nella fattoria del conte Pannocchieschi ad Anqua, sempre nel comune di Radicondoli. Intenzionati a salvare i figli, Guido Bedarida e la moglie affidarono Gabriele e Davide al parroco della piccola frazione di Anqua, don Mario Bracci, che li tenne nascosti nella propria casa, senza farli mai uscire e chiudendoli nella dispensa quando il pievano temeva visite dei militi fascisti <102. Tuttavia la madre di don Bracci che viveva insieme a lui si sentì investita di troppa responsabilità e così, dopo un paio di settimane, i due bambini vennero ricondotti dal conte Pannocchieschi. Il ritorno dai genitori fu caratterizzato da momenti di vero terrore; infatti, quando i due bambini, accompagnati dal fattore di un’anziana nobildonna che nel frattempo aveva preso a ben volere i coniugi Bedarida, incontrarono un prigioniero russo, anch’egli fuggitivo, temettero fortemente di poter essere aggrediti: "Durante quella fuga dalla prima casa nel senese con una persona di fiducia, mi ricordo a Radicondoli, passavamo per i boschi durante la notte e abbiamo incontrato un prigioniero russo che scappava e lì c’era da aspettarsi di tutto anche di essere aggrediti, di essere fatti fuori perché ognuno aveva paura dell’altro e mi ricordo la figura di quest’uomo che scappava e ha chiesto qualche cosa al nostro accompagnatore. Poi mi ricordo che siamo arrivati alla piazza di Radicondoli…" <103 Quella fuga notturna, per i piccoli Gabriele e Davide, prese tutti i connotati di un viaggio zeppo di immagini spettrali, e tale rimane fissato ancor oggi nella memoria: "Ecco bisogna immaginare questi paesini del senese arroccati sulle colline, la piazza centrale, la scarsa illuminazione la sera, e io mi ricordo che noi aspettavamo che il nostro accompagnatore sbrigasse delle cose e io guardavo su e c’era una persona che mi guardava, doveva essere una vecchia pazza, e questa donna mi faceva delle smorfie orribili. Quindi l’atmosfera era piuttosto cupa perché noi eravamo bambini e sapevamo, non so perché ma sapevamo, ma non ci rendevamo conto perché ci dovevamo nasconderci e oltretutto nella nostra solitudine vedere questa vecchia che ci faceva delle smorfie orribili e io non riuscivo a staccare gli occhi da questa vista… tremendo!" <104<br />Per loro fortuna i due bambini riuscirono a tornare dai loro genitori sani e salvi, dopo di che, sempre attraverso l’intercessione dell’anziana nobildonna senese, vennero accolti nel collegio vescovile di Montepulciano <105.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">98 E. Pacifici, «Non ti voltare», cit., p. 61.</span><br /><span style="font-size: x-small;">99 Intervista a Umberto Di Gioacchino, Verona, 17 settembre 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">100 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">101 Gabriele Bedarida descrive così il peregrinare in quei giorni: «Avevamo trovato un alberghetto in comune di Radicondoli, non so chi ce l’aveva consigliato. L’alberghetto era immerso nella foresta, senza luce elettrica, senza acqua corrente ma ‘fare buon viso a cattiva sorte!’. E così siamo stati lì qualche settimana, finché peggiorando la situazione abbiamo deciso di dividerci, perché cerano voci di rastrellamenti da parte dei repubblichini». Intervista a Gabriele Bedarida, Livorno, 10 settembre 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">102 «Lì» il pievano, racconta Davide Bedarida, «mi ricordo ci rinchiudeva nella dispensa e noi per passare il tempo si mangiava quest’uva secca!; lui poi ci lasciava un pochino per la casa ma le finestre erano chiuse, quando suonavano o si sentiva qualche macchina che generalmente le macchine erano dei repubblichini e allora ci rinchiudeva. Mi ricordo che questo pievano aveva scoperto che io cantavo bene e allora lui si metteva al piano e cantavo l’Ave Maria di Schubert!, me lo ricordo ancora… e mi piaceva, avevo sette anni». Intervista a Davide Bedarida, Livorno, 29 ottobre 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">103 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">104 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">105 «La Palazzuoli aveva arrangiato perché fossimo portati al Collegio vescovile di Montepulciano e mia madre aveva parlato con il vescovo Mons. Emilio Giorgi, e così finimmo prima a Siena a casa di Monsignor Petrilli, che era uno della curia arcivescovile di Siena e, molto gentile, ci dette da mangiare, ci fece passare una mezza giornata piacevole in attesa dell’autobus per Montepulciano, poi il fattore Filippini ci portò a Montepulciano e lì ci lasciò». Intervista a Gabriele Bedarida, Livorno, 10 settembre 2007.</span><br /><b>Paolo Tagini</b>, <i>"Le prefazioni di una vita". I bambini ebrei nascosti in Italia durante la persecuzione nazi-fascista</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Verona, 2011</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-11556393248469730612024-01-21T17:08:00.005+01:002024-01-21T17:09:47.341+01:00Durante la Presidenza Johnson la MLF sarebbe divenuta ormai un’ipotesi irrealizzabile<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5PuPZBAEKFKc3tLFOl_3spxR3oltr1SK-_-chudrCHzuF0oT2l-JBEWylo5vX4Ztlfun2HCH7Nl2ERRItb2fMh-TNqfsUuymlYIo37Nxbh4WplI71O3iLuSHDic3xIx6WwyCr6Y4v-uiJNOMHrLxUlo80xHN1fhSG4cpb7RObPcL5whH7BjUQ_89gIcY/s1500/srs1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="972" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5PuPZBAEKFKc3tLFOl_3spxR3oltr1SK-_-chudrCHzuF0oT2l-JBEWylo5vX4Ztlfun2HCH7Nl2ERRItb2fMh-TNqfsUuymlYIo37Nxbh4WplI71O3iLuSHDic3xIx6WwyCr6Y4v-uiJNOMHrLxUlo80xHN1fhSG4cpb7RObPcL5whH7BjUQ_89gIcY/w414-h640/srs1.jpg" width="414" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">La stretta connessione quindi tra questione economica e il progetto di MultiLateralForce era fondamentale per il funzionamento di una simile politica. La MLF, secondo l’amministrazione Kennedy, costituiva in qualche modo la chiave alla soluzione sia del problema tedesco, sia atlantico che bipolare.<br />Concepita durante la II amministrazione Eisenhower, la MLF avrebbe dovuto essere un organismo militare atlantico in grado di conferire una sorta di status nucleare a tutti gli alleati partecipanti senza che questi acquisissero e utilizzassero indipendentemente dagli Usa armi nucleari, sebbene questo implicasse una sorta di riarmo per la RFT. D’altronde non c’era più ragione to keep the Germans down, dato anche il ruolo di Bonn sempre più centrale nell’Alleanza. La MLF, una volta realizzata, avrebbe dovuto essere una flotta di superficie composta di 25 unità navali, ciascuna delle quali avrebbe portato 8 missili nucleari Polaris e sarebbe stata gestita da equipaggi multinazionali, la cui responsabilità però sarebbe stata assegnata al Comandante Supremo alleato NATO. Gli Stati Uniti avrebbero comunque mantenuto il potere di veto sull’uso delle armi nucleari della MLF, sottraendo quindi agli alleati qualsiasi velleità decisionale <32.<br />Sebbene fosse parsa un’efficace soluzione affinché gli europei si occupassero della propria difesa, facendo addirittura arrivare l’amministrazione Kennedy a definire la questione della difesa convenzionale in mano agli europei “a matter of highest priority” <33, nel ’66, durante la Presidenza Johnson la MLF sarebbe divenuta ormai un’ipotesi irrealizzabile, sia per le difficoltà incontrate con gli alleati, sia per il disappunto di Mosca, che vedeva nel progetto il pericolo di un riarmo (nucleare) tedesco34. Il dibattito che sarebbe derivato dalla presa d’atto della sua irrealizzabilità, avrebbe seguito strade molto diverse.<br />Tra il ’65 e il ’66 Johnson dopo aver abbandonato in maniera ufficiale il progetto di MLF, avrebbe dato avvio alla realizzazione del Nuclear Defense Affairs Committee e del più importante Nuclear Planning Group <35. Due organismi la cui concezione sarebbe passata inevitabilmente per la questione di un “relativo riarmo” della Germania federale, molto più soft (sarebbe infatti stato un “finto riarmo”: nessun grilletto atomico sarebbe passato per la mano di Bonn!), grazie alla successiva adozione della dottrina della flexible response in ambito NATO. Una dottrina che, oltre la sua connotazione militare, aveva una rilevante prerogativa politica <36.<br />L’adozione della risposta flessibile da parte degli alleati NATO avrebbe infatti permesso alla Casa Bianca di continuare il dialogo con Mosca sfrondato da tutta una serie di implicazioni sul ruolo degli alleati nella gestione del condominio bipolare, e avrebbe altresì acconsentito a risolvere l’inveterata diatriba transatlantica sull’uso delle armi nucleari. Un uso che comunque sarebbe rimasto in mano a Washington, fugando le paure dei sovietici per una Germania “nuclearizzata”.<br />Nel dibattito transatlantico infine giaceva da tempo la necessità di una ristrutturazione graduale e concettuale dell’Alleanza Atlantica finalizzata alla riconferma da parte degli alleati del Trattato nel 1969; necessità che divenne urgenza nel corso del 1966 e con cui Johnson dovette rapidamente fare i conti, proprio a causa della “scossa di de Gaulle al sistema”.<br />Sotteso al quadro delle sfide che attendevano il Presidente in questo secondo scorcio degli anni sessanta era l’impegno nel Sud Est asiatico. Gli anni che videro un maggior coinvolgimento statunitense coincisero proprio con il biennio ’66-’68, gli ultimi due dell’amministrazione Johnson e i più densi di significativi avvenimenti. L’impatto che ebbe il conflitto del Vietnam sulla conduzione della politica estera americana e sulla percezione in patria dell’impegno statunitense a livello internazionale, fu cruciale.<br />A causa della sovraesposizione militare di Washington nel Sud Est asiatico, la crisi in Vietnam si legò presto alle altre problematiche in gioco: sul fronte europeo in misura principalmente negativa, su quello sovietico più positivamente. Innanzitutto gli europei iniziarono a perdere stima nei confronti dell’alleato senior proprio a causa del conflitto vietnamita, arrivando addirittura a divenire teatro di manifestazioni e a forme più o meno forti di anti-americanismo, Francia in particolare. Se da una parte ancora nell’agosto del ’67 gli Stati Uniti avevano bisogno, secondo le stime del Pentagono, di oltre 200 000 uomini per continuare quella escalation volta a fiaccare il nemico Vietcong; dall’altra si trovavano a dover negoziare con la RFT sulla quantità di truppe americane su suolo tedesco. In altre parole, Washington era incastrata nell’annosa questione dell’offset agreement e la necessità di avere forze nuove nel Sud est asiatico. Il dispiegamento delle truppe americane nella RFT aveva un costo e un significato: il secondo aspetto del problema aveva la sua ragion d’essere nel principio di base di alleanza, nello spirito che l’aveva informata. Il costo delle truppe per Washington invece era connesso con quanto i tedeschi sarebbero stati disposti a pagare per esse, dando così respiro alla bilancia dei pagamenti statunitensi. Laddove parte dei costi non potevano essere garantiti da parte tedesca, Washington era costretta a ritirare le forze e/o a disporne una diversa gestione (rotazione di divisioni, partecipazione di brigate britanniche, etc.).<br />In questo senso sicuramente il conflitto vietnamita accelerò, tra il ’66 e il ’67, il trend che avrebbe portato ad un diverso tipo di impegno americano in Europa, più defilato e sottotono, ma la questione sarebbe comunque rimasta una problematica con cui la Casa Bianca aveva a che fare da tempo e di cui avrebbe continuato a preoccuparsi negli anni a venire <37.<br />Dinnanzi alla prospettiva di un’Europa in forte crescita, proiettata verso la realizzazione di una se pur ancora lontana, unione economica e politica che travalicasse i confini della embrionale CEE, i governi alleati europei non erano del tutto disposti ad aumentare il proprio impegno economico e finanziario a favore della loro difesa. Piuttosto guardavano al proprio interno cercando di tirare le somme di una politica di welfare state costruita negli anni precedenti, e preferivano, anzi insistevano, affinché all’aspetto militare pensasse ancora Washington. E questo inevitabilmente creava difficoltà alla Casa Bianca, già sotto pressione per la richiesta di riduzione delle forze sia da parte dell’opinione pubblica che dal Congresso, con quella che in agosto sarebbe diventata la Risoluzione del Senatore Mike Mansfield.<br />Perché - si chiedevano nell’amministrazione Johnson e una parte crescente dell’opinione pubblica - Washington doveva continuare a fare sacrifici per la difesa dell’Europa se gli europei non volevano prestare un aiuto al loro alleato in tempo di guerra? Allo stesso tempo però i partners europei s’interrogavano se fosse corretto e accettabile che il conflitto in Vietnam diventasse un issue atlantico.<br />La discussione, com’era prevedibile, avrebbe riacceso il dibattito sul burden sharing e una buona dose di ostilità, contribuendo a scavare ulteriormente nelle crepe del rapporto transatlantico.<br />Al contrario, con i sovietici, il “fattore Vietnam” non incideva negativamente. Il riavvicinamento e la gestione di questo nuovo rapporto tra le due superpotenze, ancora molto cauto ma più rilassato, influiva tuttavia su quello che Mosca aveva con il “fratello minore” cinese, che appunto accusava l’URSS di tradire il socialismo con l’apertura ad ovest.<br />Una diretta conseguenza del miglioramento di questi rapporti si ebbe nell’avvio di una serie di contatti e scambi sia commerciali che culturali tra i paesi dell’Est e quelli dell’Ovest, finalizzati, da parte di Washington, ad influenzare il comportamento dei paesi comunisti verso l’esterno (verso i paesi occidentali) e l’interno (provocando criticità e dissenso verso i rispettivi governi e la società, all’interno della stessa compagine alleata comunista).<br />Nell’ambito degli accordi sulle riduzioni delle armi nucleari il riavvicinamento tra Usa e URSS si consumò contemporaneamente al conflitto e al dibattito sull’accesso alle armi nucleari nel blocco occidentale transatlantico.<br />Nel bel mezzo del 1966 Mosca avrebbe dichiarato alla Casa Bianca che non avrebbe voluto collegare alcun accordo sulle riduzioni di forze o sul disarmo con la questione del Vietnam e che su questo non sarebbe stata ostaggio della Repubblica Popolare Cinese <38. In sostanza Mosca non voleva mostrarsi troppo pronta a concludere un accordo che addirittura andava contro gli interessi di indipendenza nucleare dell’ormai antagonista cinese, ma ammetteva indirettamente che ormai era pienamente coinvolta in un processo irreversibile, peraltro già inaugurato dal Limited Test Ban Treaty.<br />Per il Cremlino il percorso che avrebbe condotto al Non Proliferation Treaty del ’68 - inaugurato dalla politica sul controllo degli armamenti - partiva dall’assunto (comune con la Casa Bianca) per cui non si dovevano permettere ulteriori sviluppi di armi né proliferazione nucleare, compreso (soprattutto) lo sviluppo della capacità atomica da parte della RPC che ormai s’avviava a far parte del club nucleare mondiale, grazie al primo test del ’64. Altrettanto divieto doveva sussistere per gli alleati degli Stati Uniti, la RFT, prima tra tutti. Nella seconda metà degli anni ’60, e in particolar modo a seguito della Peace Note del marzo del ’66, che aprì una nuova fase nella politica estera americana e tedesca, la Presidenza Johnson riuscì a legare concettualmente i negoziati per il Non Proliferation Treaty con gli obiettivi dell’Alleanza.<br />In pratica Washington doveva fare in modo di riportare gli alleati europei sul terreno degli interessi comuni, da cui in realtà si erano distanziati da tempo, quello cioè della conduzione delle relazioni Est-Ovest come sfida futura dell’Alleanza, togliendo terreno a chi in Europa, invece - e qui il riferimento alla Francia era esplicito - avrebbe voluto condurre una politica distensiva bilaterale. Quello che però avrebbe permesso all’amministrazione di portare a compimento un simile percorso e di concentrarsi sulla politica estera per l’Europa in stretta connessione con quella concepita per l’URSS, fu la realizzazione di una minaccia palesata da tempo, se non nelle sue estreme misure quanto meno nella sua intenzione: il ritiro francese dalla struttura integrata di comando.<br />La crisi di fiducia che a seguito dell’uscita di Parigi si determinò all’interno dell’organizzazione, come vedremo più avanti, avrebbe tuttavia determinato condizioni più favorevoli all’Alleanza stessa e a Washington, palesandosi più come un’opportunità che come una semplice minaccia.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">32 Stanley Sloan, NATO’s Future. Toward a New Transatlantic Bargain, National Defense University Press, Washington DC, 1985, pp. 40-43; M. Trachtenberg, A constructed peace, op. cit. pp. 310-315; Paul Hammond, LBJ and the Presidential Management of Foreign Relations, University of Texas Press, Austin, 1992.</span><br /><span style="font-size: x-small;">33 FRUS, 1961-1963, Vol. XIII, “Policy Directive: NATO and the Atlantic Nations”, 20 April 1961, p.288.</span><br /><span style="font-size: x-small;">34 Le difficoltà da parte degli alleati sulla MLF, come vedremo più in là nel nostro studio, scaturivano soprattutto dalla criticità di Francia e Gran Bretagna. La prima puntava a realizzare un deterrente nucleare autonomo e quindi non voleva impegnarsi in un progetto multinazionale come la MLF; la seconda non voleva abbandonare la sua pur limitata capacità atomica coadiuvata precedentemente dall’aiuto americano e proponeva invece la formazione di un Allied Nuclear Force, in cui a contare sarebbe stato la forza aerea britannica e gli Jupiter rimossi dalla Turchia e dall’Italia. De Gaulle, che in linea di massima avrebbe contribuito all’ANF senza rinunciare alla force de frappe, riteneva che lo schema di nuclear sharing proposto e personificato dal progetto di MLF non fosse altro che un mezzo per gli Stati Uniti per tenere sotto controllo le politiche nucleari occidentali e allo stesso tempo un espediente per farla figurare come un’occasione di condivisione in ambito strategico e nucleare con gli alleati. Vedi Stanley Sloan, op. cit. </span><br /><span style="font-size: x-small;">35 Il Nuclear Planning Group fu un organismo interno all’organizzazione atlantica creato nel novembre del 1965 su proposta del segretario alla difesa americano McNamara, il quale, dapprincipio ne suggerì la creazione per ovviare al problema della pianificazione nucleare tra gli alleati, e solo in seguito realizzò che la proposta poteva andare a sostituire il progetto di MLF. Il Comitato del NPWG (Nuclear Planning Working Group) o anche NPG, riuniva i ministri della Difesa di Belgio, Canada, Danimarca, Germania Federale, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Turchia e ovviamente Stati Uniti. Al suo interno si suddivideva in tre sottogruppi di lavoro, di cui uno che si occupava della pianificazione nucleare, costituito da Usa, Gran Bretagna, Italia, Germania Federale e Turchia. Vedi H. Haftendorn, NATO and Nuclear revolution, A Crisis of Credibility, 1966-67, Clarendon Press, Oxford, 1996, soprattutto sulla sostituzione della MLF con il NPG; T.C. Wiegele, Nuclear Consultation Processes in NATO, in “Orbis”, vol. 16, No.2, Summer 1972, pp. 462-487; P. Buteux, The Politics of nuclear Consultation in NATO, 1965-1980, Cambridge, Cambridge University Press, 1983. Il Nuclear Defense Affaire Committee fu creato in seguito al NPG, nel dicembre del ’66, allorché si rese necessario, su proposta italiana, la creazione di un più ampio gruppo di lavoro, un organo dal carattere generale “che sarebbe stato formato da tutti quei membri dell’Alleanza che avessero mostrato interesse a discutere le linee di fondo della politica nucleare NATO, mentre un gruppo più ristretto, il NPG appunto, avrebbe costituito la sede adeguata per le discussioni più dettagliate dei problemi nucleari. L’obiettivo generale del NDAC “era la condivisione delle informazioni di base relative alle armi nucleari e ai piani di impiego, ma non della tecnologia dei sistemi d’arma”. Con l’occasione della creazione del NDAC la costituzione del NPG subì una importante modifica: gli stessi membri, Usa, Germania federale, Gran Bretagna e Italia ne divennero membri permanenti e di volta altri tre membri del NDAC vennero nominati temporaneamente. Essi avrebbero preso parte ai lavori del NPG. Vedi, Leopoldo Nuti, La sfida Nucleare, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 281-286.</span><br /><span style="font-size: x-small;">36 La dottrina della flexible response, come vedremo più avanti nella trattazione, rappresentava un grande cambiamento dal punto di vista militare per la NATO, ma la sua incisività si dispiegava maggiormente in ambito politico. Era infatti uno strumento finalizzato a fare accettare agli Europei la politica americana di centralizzazione del controllo atlantico.</span><br /><span style="font-size: x-small;">37 Hubert Zimmermann, The Improbable Permanence of a Commitment. America’s Troop Presence in Europe during the Cold War, in Journal of Cold War Studies, Vol. 11, No.1, Winter 2009, p.14.</span><br /><span style="font-size: x-small;">38 Hal Brands, Progress Unseen: US Arms Control Policy and the Origins of Dètente, 1963-68, Diplomatic History, Vol. 30, No.2, April 2002, p. 260.</span><br /><b>Chiara Organtini</b>, <i>"1963-1968. Dall’avvento dell’amministrazione di Lyndon. B. Johnson al Trattato di non Proliferazione: gli Stati Uniti, la Francia, la NATO e l’Europa agli esordi della distensione. Storia di una “non-crisi” transatlantica e della riorganizzazione dell’Alleanza"</i>, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2011</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-20661534127584080542024-01-18T09:30:00.001+01:002024-01-18T09:30:34.802+01:00A rammentarci il dinamismo relativo della società italiana è il fenomeno dell’immigrazione<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVjX-P8mjQPAPRjekQzNEkyYiPisHoeDhZiZ7O3TxvixuWcLJczWdgfciM723LmlLFyBXzD61nyKxHQpzkqXHrD7_y_-wyG8VOXjhdIYqjUteSle4jE1Ihaon0tvYXfSyrSuHKpkkWo0WBcktgSTsraxqB_BwoUxmUM_rRS2xtCxaOQ7vRMCUkdM2RtXM/s331/cc1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="331" data-original-width="199" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVjX-P8mjQPAPRjekQzNEkyYiPisHoeDhZiZ7O3TxvixuWcLJczWdgfciM723LmlLFyBXzD61nyKxHQpzkqXHrD7_y_-wyG8VOXjhdIYqjUteSle4jE1Ihaon0tvYXfSyrSuHKpkkWo0WBcktgSTsraxqB_BwoUxmUM_rRS2xtCxaOQ7vRMCUkdM2RtXM/w240-h400/cc1.jpg" width="240" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">L’Italia, un Paese dove si diventa adulti sempre più tardi e non si invecchia mai, paradossalmente, ma non troppo, in questa società protesa all’eterna giovinezza si assiste alla progressiva eclissi dei giovani veri, anagraficamente, e, insieme, delle donne <42. Senza immaginare il futuro, però, l’arte di arrangiarsi si riduce a una tecnica di sopravvivenza circoscritta all’immediato, il che risulta particolarmente evidente (e problematico) in ambito socioeconomico.<br />Nel corso del secondo dopoguerra, infatti, gli italiani hanno migliorato costantemente la loro posizione sociale, di generazione in generazione; ogni generazione adulta ha investito nei giovani come mezzo di autopromozione sociale, certa che i figli avrebbero raggiunto traguardi ulteriori rispetto ai genitori. Ogni fase si è tradotta quindi in un obiettivo, capace di garantire sviluppo sociale e benessere individuale: negli anni Cinquanta la ricostruzione; negli anni Sessanta e Settanta l’istruzione e la cultura di massa; negli anni Ottanta e Novanta i consumi vistosi e il “capitalismo popolare”, espresso da una larga base costituita da piccoli imprenditori e da lavoratori autonomi.<br />Negli ultimi due decenni, però, questa spinta collettiva sembra essersi smorzata e quasi spenta; al di là dei dati economici e del mercato del lavoro, possiamo coglierne segnali importanti nella percezione diffusa che si traduce nel senso e nel linguaggio comune. A questo proposito, risulta particolarmente significativo il successo, nel dibattito pubblico ma anche nella vita quotidiana, di parole come declino e decrescita, usate in ambiti molto diversi - così nel contesto economico e di mercato come in quello politico, nello sviluppo territoriale come nella struttura sociale - anche prima della grande crisi finanziaria che ha investito l’economia e la società globale nel 2008.<br />1.2.2. La “smobilitazione sociale” in Italia<br />In tal senso gli anni Duemila sono sicuramente l’età del declino e della decrescita; idee che si sono ormai insinuate nelle pieghe della vita quotidiana, minando la capacità delle famiglie e delle persone di adattarsi e di reagire ai problemi e ai cambiamenti. Lo conferma, di nuovo, la percezione dei cittadini, in questo caso riguardo alla posizione e ancor più alle aspettative di mobilità sociale, percezione che si potrebbe riassumere in una formula: “smobilitazione sociale”.<br />Le auto-definizioni espresse dagli italiani, d’altronde, rivelano una distanza notevole dalle rappresentazioni diffuse, che richiamano una società “liquida” dove i confini e i riferimenti sociali si perdono, secondo l’immagine felice e fortunata di Bauman (2002), e una società “cetomedizzata”, secondo il neologismo coniato dal sociologo De Rita (2002), dove la classe operaia è un residuo ideologico del passato. Piuttosto che “liquida” e “cetomedizzata”, la società appare “vischiosa” e “stagnante”; una strada in salita su cui molti temono di scivolare ricadendo indietro. Anzitutto, la “classe operaia” non sembra scomparsa, nella percezione sociale, visto che circa il 40% degli italiani continua a utilizzare questa definizione per catalogare la propria posizione nella stratificazione sociale. Semmai, la associano e talora la sostituiscono con un’altra formula, più suggestiva che descrittiva, ma, proprio per questo, molto diffusa: “ceti popolari” (Magatti, De Benedittis, 2006) <43.<br />Oltre metà delle persone continua a riconoscersi nel “ceto medio”, dove confluiscono le professioni libere e quelle intellettuali: i professori e gli impiegati di concetto; fra i lavoratori autonomi: i commercianti più degli artigiani. Nella borghesia e nelle classi più elevate, com’era prevedibile, si collocano invece in pochi: il 6% degli italiani, per lo più dirigenti privati, funzionari pubblici, imprenditori e, in misura limitata, i liberi professionisti. I lavoratori atipici e flessibili si distribuiscono fra ceti popolari e medi, sebbene in effetti siano ancora pochi a definirsi in questo modo, poiché la flessibilità, pur essendo una condizione diffusa che caratterizza ampie fasce di<br />persone, giovani e meno giovani, non è considerata una professione o una categoria specifica.<br />Tuttavia, oltre alla professione, sembrano caratterizzare la posizione di classe e di ceto delle persone anche altri aspetti, legati alle risorse individuali e familiari disponibili; l’aspettativa di mobilità, anzitutto. Fra i ceti popolari la quota di coloro che sostengono di aver migliorato la propria posizione è molto esigua, meno del 10%, simile al peso di coloro che immaginano possibile migliorarla, nel prossimo futuro <44. Le persone che dichiarano di aver migliorato la loro posizione negli ultimi anni, infatti, si dicono certe di ereditare in futuro proprietà immobiliari e altri patrimoni.<br />Il capitale familiare (non solo immobiliare ed economico, ma anche di relazioni) nella percezione comune sembra quindi più importante di quello culturale, come risorsa di mobilità sociale (Carboni, 2007).<br />La percezione sociale del declino, peraltro, si è ulteriormente e rapidamente deteriorata a partire dal 2008, a causa dell’impatto della crisi che ha investito le borse, la finanza e, in parallelo, anche l’economia (Demos, 2008). La scala sociale costruita in base all’auto-collocazione degli italiani nell’ultimo periodo rivela, infatti, un sensibile slittamento; dal 2006 al 2008 le persone che considerano bassa la posizione della propria famiglia sono raddoppiate: dal 7 a oltre il 15%. Nello stesso tempo è aumentata anche la componente di coloro che definiscono medio-bassa la posizione sociale della propria famiglia: dal 20 al 30%. Per cui lo spazio della classe media si è ridotto dal 60 a circa il 45%.<br />Il declino sociale, al di là delle misure fondate sul reddito e sul mercato del lavoro, si riproduce soprattutto in queste rappresentazioni, che condizionano le aspettative riguardo al futuro dei figli. Infatti, circa 7 persone su 10 risultano pensare che i giovani occuperanno, in prospettiva, una posizione sociale ed economica peggiore rispetto ai loro genitori <45. Si assiste, infine, al declino della fiducia nei riferimenti che hanno caratterizzato e accompagnato lo sviluppo e il benessere nel corso del dopoguerra e, soprattutto, fra gli anni Settanta e Novanta, ossia le organizzazioni che rappresentano i lavoratori dipendenti e gli imprenditori, che hanno visto scendere il consenso sociale nei loro riguardi in modo rapido e profondo.<br />1.2.3. L’immigrazione e il “particolarismo sociale”<br />A rammentarci il dinamismo relativo della società italiana è il fenomeno dell’immigrazione, che è cresciuto in misura enorme negli ultimi 30 anni. Intorno alla metà degli anni Novanta, infatti, il tasso di stranieri sulla popolazione era inferiore all’1%, mentre alla fine del primo decennio degli anni 2000 è salito oltre il 6%; in termini quantitativi quasi 4milioni («Caritas-Migrantes», 2008). Nelle regioni del Nord e in particolare nelle province caratterizzate da uno sviluppo di piccola impresa l’incidenza degli stranieri sale oltre il 10% della popolazione. Naturalmente, il fenomeno è il prodotto di numerose cause che hanno investito i Paesi da cui provengono gli immigrati, come instabilità globale, guerre, conflitti diffusi, crisi economiche e povertà; tuttavia, i percorsi dell’immigrazione non sono mai casuali. L’Italia, per decenni luogo di emigrazione e, in seguito, area di passaggio per immigrati diretti verso altri Paesi d’Europa, a partire dalla fine degli anni Novanta è divenuta essa stessa destinazione di un’immigrazione ampia e stabile richiesta dal mercato e dalle trasformazioni demografiche e sociali.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">42 L’età media dei dirigenti pubblici dello Stato ma anche degli enti locali supera i 50 anni (indagine Università Bocconi, 2004, confermata ancora oggi).</span><br /><span style="font-size: x-small;">43 Tali si considerano, in gran parte, gli operai; ma anche le casalinghe e i pensionati, così come quote rilevanti (superiori al 40%) di impiegati e di artigiani.</span><br /><span style="font-size: x-small;">44 Peraltro, la stratificazione sociale mostra una geografia urbana e una distribuzione delle risorse ben definita: i ceti popolari abitano nelle periferie, i ceti medi nei quartieri residenziali, la borghesia nei centri storici. Gran parte degli italiani vive in una casa di proprietà, ma una persona su due, fra i borghesi, e una su quattro, fra i ceti medi, ne possiede almeno due. Nei ceti popolari questa componente si riduce invece al 14% e quella di chi è in affitto sale al 20%, ossia quasi il doppio della media generale. Ciò chiarisce quale sia la principale risorsa a cui si affidano le speranze di mobilità: la famiglia, i circuiti parentali e amicali.</span><br /><span style="font-size: x-small;">45 Soltanto due anni prima questa convinzione veniva espressa da una quota di persone ampia ma molto più limitata: il 45%. Il senso di declino, inoltre, non si distribuisce in modo omogeneo ma si addensa con particolare intensità in alcuni punti della società. Per esempio, tra le donne, tra gli operai, tra le persone con un titolo di studio basso, nel Mezzogiorno. Quindi, dal punto di vista della stratificazione, tra coloro che si collocano nei ceti bassi e medio-bassi. Espresso in altri termini, tra le componenti socialmente più deboli.</span><br /><b>Marco Schiavetta</b>, <i>Il bisogno sociale di orientamento permanente come risposta al fenomeno dei NEET. Una teoria emergente per un “modello di orientamento permanente ed inclusivo”</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2019</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-51179879391106656822024-01-10T10:44:00.002+01:002024-01-10T10:45:44.423+01:00Si iniziò a parlare del New Federalism di Nixon<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRxsMYDyMmsey8j92Rx5qHjznFtMXjvMOliTXgaXcNLm1MQxPGsJGnxOM_D1zG3jM7qMoalWbo_Qbw1M2hxOhfBl7QTE-nmJ0AuLcieVG6nUsjNNjvfL06agmklhvgekJ2i5PFsbHKS_MHed9SyR3ILCSL6y98_8N-xt7ztkulvYSk_Zu13nnkR-_Vrc/s1200/pk4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="800" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRxsMYDyMmsey8j92Rx5qHjznFtMXjvMOliTXgaXcNLm1MQxPGsJGnxOM_D1zG3jM7qMoalWbo_Qbw1M2hxOhfBl7QTE-nmJ0AuLcieVG6nUsjNNjvfL06agmklhvgekJ2i5PFsbHKS_MHed9SyR3ILCSL6y98_8N-xt7ztkulvYSk_Zu13nnkR-_Vrc/w426-h640/pk4.jpg" width="426" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Il fatto che l’era della Great Society stesse oramai giungendo al termine, si colse, in modo evidente, dal tono del discorso sullo stato dell’Unione che Lindon Johnson pronunciò nel 1967. In modo afflitto il Presidente uscente si rifece al pensiero di Thomas Jefferson, asserendo che: “È una triste regola delle società umane quella che a volte le costringe a scegliere un grande male per scongiurarne uno ancora più grande .. Vorrei potervi dire che il conflitto volge al termine. Non posso farlo. Ci attendono nuovi costi, nuove perdite e nuove sofferenze, perché non siamo ancora alla fine” <58. La Guerra in Vietnam divenne una delle ragioni politiche principali della sconfitta democratica, della mancata ricandidatura di Johnson e della vittoria repubblicana, nella cornice di quello che era diventato un Paese diviso <59.<br />Alle origini del neoconservatorismo, che si affermò nel corso degli anni Settanta, si collocano due importanti scuole di pensiero. La prima capeggiata da Milton Friedman, uno dei maggiori esponenti della Scuola monetarista di Chicago e la seconda, guidata da Irving Kristol, un sociologo legato alla rivista “The Public Interest”. L’intellighenzia conservatrice emerse dapprima in ambito economico, laddove fu agevole per i monetaristi mettere a nudo le derive negative di una politica smodata di deficit spending che li aveva indotti a ripudiare l’immagine di uno Stato interventista negli affari economici e sociali al fine di restituire al libero mercato i naturali andamenti. Friedman e Joseph Stigler criticarono il ruolo e le misure deliberate dal Regulatory State, giungendo, addirittura, a sostenere che la Grande Depressione era stata il risultato del fallimento del Governo e non del mercato. Il ritorno al fondamentalismo liberista e alla retorica della mano invisibile, in grado di auto-correggere i fallimenti del mercato, aveva addirittura condotto la Scuola monetarista ad una reiezione del corpus normativo del New Deal e, addirittura, quello precedente della Progressive Era <60.<br />La rivolta sociologica avvenne, invece, dopo il ritorno in auge del fondamentalismo liberista e rinvenne in Krystol uno dei suoi maggiori teorizzatori. Lo studioso si ribellava cinicamente alla poderosa costruzione welfaristica della Great Society, ritenuta un “assurdo esercizio di ingegneria sociale, conseguenza dell’accettazione generale delle teorie sociologiche della sinistra incorporate nel programma Guerra alla Povertà” <61. Nel solco di questa ‘nuova’ corrente di pensiero si poneva l’ascesa sulla scena politica di Richard Nixon che, appellandosi alla “maggioranza silenziosa” degli americani socialmente conservatori che rifiutavano la cultura hippie e il grave conflitto in Vietnam, riuscì a vincere con una larga maggioranza le elezioni presidenziali del 1968 e del 1972, che determinarono la rimonta della destra ultraconservatrice negli Stati Uniti d’America.<br />Nixon promise al Paese una “pace con onore” e congiuntamente al Segretario di Stato Henry Kissinger, diede una svolta alla politica americana, facendo perno sulla dottrina di Truman che credeva in un mondo bipolare <62. Nell’ambito della politica interna Nixon tentò di instaurare un equlibrio tra la retorica conservatrice e l’utilizzo di ogni prerogativa presidenziale, maturando un approccio liberale nel campo della tutela dei diritti civili e delle libertà economiche. Ma il suo mandato presidenziale si concluse con la rassegnazione delle dimissioni per evitare la condanna a seguito della procedura di impeachment avviata nei suoi confronti a causa dello scandalo Watergate <63.<br />L’epiteto di “Presidenza Imperiale” con cui Arthur Schlesinger Jr. fregiò il mandato di Richard Nixon, era motivato dall’uso che egli fece delle prerogative presidenziali, stravolgendo l’impianto della Costituzione, tanto sul piano della politica estera quanto su quello della politica interna. Richard Nixon seppe strumentalizzare le divisioni razziali, la preoccupazione cagionata dai cambiamenti sociali e le minacce provenienti dall’estero al fine di allontanare la classe lavoratrice bianca dalle conquiste del New Deal. L’astuzia del Presidente fu costituita dalla sua capacità di manipolare i media <64. Sul piano della politica interna Nixon adottò, comunque, delle misure invise alla destra ultraconservatrice, aumentando il prelievo fiscale, rafforzando la tutela ambientale e introducendo una nuova assicurazione sanitaria nazionale, considerati dei programmi sin troppo “liberal” <65. <br />In effetti, gli anni Settanta furono il periodo dell’elevato progresso scientifico e teconologico, ma furono anche gli anni degli shocks petroliferi del 1973 e del 1974 che cagionarono il diffondersi di una pericolosa spirale inflazionistica, mettendo a nudo l’inattititudine delle ricette economiche di deficit spending nel sanare la crisi. Gli Stati Uniti conobbero un nuovo grave e preoccupante fenomeno congiunturale noto come stagflazione, costituente una situazione di crisi dovuta alla compresenza di un elevata inflazione e di una economia reale stagnante e non in crescita <66. Una delle prime misure approntate dal Governo federale per affrontare la crisi fu costituita dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro nel 1971 <67.<br />La teoria monetarista di Milton Friedman non solo criticò l’efficacia delle ricette keynesiane, ma mise anche in evidenza il ruolo chiave svolto dalle politiche monetarie nella stabilizzazione macroeconomica. Secondo tale Scuola di pensiero un incremento proporzionato dell’offerta di moneta avrebbe condotto nel breve periodo ad un incremento del PIL nominale, in modo tale che nel lungo periodo si potesse assicurare una stabilizzazione dei prezzi e dei salari. A parere degli studiosi della Scuola di Chicago l’iniziativa economica privata, lasciata libera di operare in modo autonomo, non tendeva all’instabilità dal momento che le fluttuazioni del PIL nominale erano dovute ad un intervento dello Stato nell’economia. In tal modo, la moneta acquisiva un ruolo fondamentale nella determinazione della domanda aggregata e nella flessibilizzazione dei prezzi e dei salari.<br />La congiuntura economica influenzò notevolmente l’azione del Presidente Nixon e radicalizzò i tratti distintivi della sua “Imperial Presidency”, influendo in modo inevitabile sulle dinamiche intergovernative <68. Non costituisce una circostanza trascurabile il fatto che nel corso degli anni settanta i grants-in-aid ed i federal mandates siano aumentati notevolmente. Accanto al classico sistema di sovvenzioni federali, si pose una nuova categoria di sussidio finanziario, meglio noto come "Cross-over-sanctions". Questi ultimi imponevano un obbligo positivo di realizzazione in capo agli Stati, sul modello dei "Federal Mandates", il cui inadempimento comportava la immediata riduzione dei finanziamenti già concessi agli Stati. L’incisività di tale meccanismo risiedeva nel fatto che agli Stati non era concessa alcuna facoltà di scelta, costringendoli ad accettare la sovvenzione federale per evitare la sospensione, se non addirittura la revoca di aiuti finanziari già concessi e destinati, spesso, ad altri settori <69.<br />Alle "Cross-over-sanctions" si aggiunse una espansione della "Federal Preemption" che consentiva al Governo federale di conservare un ruolo di indirizzo e di controllo nei confronti delle realtà periferiche senza doverne, però, subire il conseguente onere finanziario, nella cornice legittimante della "Supremacy Clause". Nel corso degli anni settanta furono approvati una serie di atti normativi rientranti sia nella categoria della "Total Preemption" sia della "Partial Preemption" <70, a sostegno di una riduzione della spesa pubblica federale a favore degli Stati, pur mantenendo in vita dinamiche relazionali collaborative. Il modello dei "conditional grants-in-aid", visti gli alti costi per il bilancio federale, cedette gradualmente il posto al sistema della "federal preemption" che consentiva al Federal Government di avocare a sé la disciplina di rilevanti materie, spesso di rilievo e di competenza statale, senza però doversene accollare i relativi costi. Quando alla semplice invasione della competenza normativa statale si associò l’imposizione di un obbligo di positiva attuazione della misura federale, ci si trovò innanzi alla categoria dei "federal mandates", in cui la facoltà di adesione degli Stati era sostanzialmente annientata. Si trattava, comunque, di strumenti di coazione piuttosto che di programmazione messi in atto dal Federal Government che alterarono le dinamiche e gli equilibri delle relazioni intergovernative, tinteggiando il federalismo cooperativo di sfumature coercitive <71. Qualora, poi, la legge federale non contenesse una "saving clause" che legittimasse il concorrente intervento normativo statale, era compito della Corte Suprema appurare la sussistenza di un conflitto tra fonti e verificare quale fosse il "determining intent" perseguito dal legislatore federale nel momento in cui aveva deciso di legiferare in un ambito di acclarata competenza statale. Se questo intento non era enucleabile né in modo espresso né in modo tacito, la Corte non avrebbe potuto dichiarare preminente la disciplina federale <72.<br />Come ebbe modo di affermare Elazar, la "federal preemption" e i "federal mandates" consentirono la realizzazione di un “coercive or prefectorial Federalism” in cui il ruolo cooperativo e variamente partecipativo dei singoli Stati risultava, oltremodo, ‘compresso’ e ‘compromesso’ <73. A siffatto "federal coercive trend" fece da contraltare lo sviluppo di una nuova categoria di grants, erogati a favore degli Stati. Si diffusero così i cd. block grants, ossia sovvenzioni federali dall’ampia connotazione teleologica che conferivano una maggiore flessibilità, in capo ai singoli Stati, nella predisposizione ed attuazione dei singoli programmi. I block grants, a differenza dei categorical grants, non si prefissavano la realizzazione di obiettivi puntuali, ma stanziavano cospicue sovvenzioni federali per l’attuazione di ampi progetti e per il perseguimento di plurime finalità in vasti ambiti di intervento <74. Ne era derivata una maggiore semplificazione amministrativa nella gestione dei programmi di intervento socio-assistenziali, accorpabili a pregressi programmi di tipo categorical, che fungerà da prodromo per la successiva deregulation degli anni Ottanta.<br />Come rileva Bognetti fu già nel corso degli anni settanta che alcune direttive presidenziali rivolte alle agenzie amminstrative, misero in mostra la volontà di agire a livello federale solo nei casi comprovata insufficienza degli Stati, pur trattandosi ancora di intenti cristallizzati per lo più in fonti regolamentari, aventi un rango inferiore a quello delle leggi <75. Uno dei più importanti campi di applicazione della nuova categoria di sovvenzioni fu, soprattutto, quello dell’edilizia popolare attraverso il programma "Community Development Block Grants" che si dimostrò molto più duttile del pregresso progetto "Model Cities" <76. Il modello dei block grants fu riproposto anche nel corso della Presidenza di Carter al fine di promuovere gli investimenti privati nelle aree urbane, nell’ottica di quel “Piano Marshall per le città” invocato da anni dalla Conferenza dei sindaci <77.<br />Si approntarono scelte politiche mirate che palesavano l’intenzione di ripensare le relazioni intergovernative al fine di evitare derive coercitive nell’azione di programmazione federale. Per tali motivi, si iniziò a parlare del "New Federalism" di Nixon che poggiava sulla devoluzione di maggiori competenze a favore delle entità decentrate e da queste ultime a favore delle realtà locali e delle istituzioni appartenenti al "Third Party of Government". In tal modo, si tentò di ripristinare un nuovo balancing tra Stato federale e singole entità statali, fondato su di una suddivisione delle sfere di competenza secondo le logiche di una ‘recuperata’ ottica cooperativa. Nel corso della Presidenza di Richard Nixon, il termine "New Federalism" era stato più volte utilizzato con riguardo ai finanziamenti federali erogati a favore dei singoli Stati senza vincoli di destinazione, attraverso il "General Revenue Sharing", avente il fine precipuo di ridare vigore alla discrezionalità statale nella conduzione delle politiche di spesa, in virtù dell’eliminazione di una serie di conditions apposte ai categorical grants che fu implementato nel corso della Presidenza di Gerald Ford <78. Si trattò di una forma di cooperazione sul piano fiscale, che riuscì ad esaltare la libertà e la creatività simultanea di tutti i livelli di govenro coinvolti, vivacizzando le dinamiche federali. Sempre in quegli anni, Nixon provvide a ridurre il “potere della borsa” del Congresso incardinato in apposite previsioni costituzionali. Il Presidente, inaugurando la prassi dell’impoundment, si rifiutò di spendere fondi stanziati in via formale dal Congresso per il settore edilizio, per il disinquinamento dell’acqua e dell’istruzione, temendo che il Congresso potesse assumere condotte irresponsabili nel coordinare i programmi di spesa con i piani delle entrate. <79<br />Occorre poi, rammentare le importanti modifiche occorse al settore bancario che rivisitarono taluni assunti di base del corpo normativo del New Deal. Infatti, virtù di una interpretazione estensiva di una legge del 1970 si determinò una ibridazione tra modelli e comparti del settore creditizio sino ad allora molto delimitati e delineati. <80<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">58 La citazione è rinvenibile nell’opera di P. KRUGMAN, La coscienza di un liberale …cit., p. 93.</span><br /><span style="font-size: x-small;">59 La nozione di “division in the American house” è rinvenibile nel discorso che Lindon Johnson fece alla Nazione il 31 marzo del 1968, in occasione del quale rese nota la sua volontà di non ricandidarsi. Il testo dell’annuncio è integralmente consultabile sul sito internet: http://millercenter.org/, correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.</span><br /><span style="font-size: x-small;">60 In particolare, P. KRUGMAN, “Who Was Milton Friedman”, in New York Review of Books, 15 febbraio 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">61 Sul punto, I. KRYSTOL, “American Conservatsim, 1965-1995”, in The Public Interest, (Autumn 1995), pp. 80 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">62 L’Amministrazione Nixon si fece portatrice di un programma di realpolitik che induceva gli Stati Uniti ad intervenire militarmente solo quando fossero stati messi in gioco i loro interessi nazionali. Ma non bisogna tralasciare l’ingerenza, strategica e gravida di tristi conseguenze, negli affari politici dell’America Latina.</span><br /><span style="font-size: x-small;">63 Quando rassegnò le proprie dimissioni, l’8 agosto del 1974, Richard Nixon affermò: “Continuare la mia battaglia nei mesi a venire per difendermi dalle accuse, assorbirebbe quasi totalmente il tempo e l’attenzione del Presidente e del Congresso, in un momento in cui i nostri sforzi devono essere diretti a risolvere le grandi questioni della pace fuori dai nostri confini e della ripresa economica, combattendo contro l’inflazione al nostro interno. Ho deciso, perciò, di rassegnare le dimissioni da Presidente”. Il Presidente non ammise la sua responsabilità e celò le ragioni delle sue dimissioni sulla necessità che un Paese in difficoltà avesse un full-time Congress ed un full-time President. Per una consultazione della versione scritta e della versione orale del discorso del Presidente, si rimanda al sito internet: http://millercenter.org/ , correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.</span><br /><span style="font-size: x-small;">64 Come evidenzia Krugman, Roger Ailes, Presidente di Fox News era consigliere di Richard Nixon per i mezzi di comunicazione e di informazione ed è un personaggio centrale nel libro di Joy McGinniss del 1969, Come si vende un Presidente. I media costituirono un ottimo strumento di propaganda politica e di repressione del dissenso. Sul punto, P. KRUGMAN, La coscienza di un …cit., p. 116. Nixon manifestò, del resto, una certa riluttanza nei confronti delle agenzie amministrative indipendenti, firmando una serie di ordini esecutivi aventi il fine di accentrare nelle mani del Presidente il potere di direzione dell’attività regolatoria. Sul punto, si veda il contributo di C.R. SUNSTEIN, “Constitutionalism After the New Deal”, in Harvard Law Review, Vol. 101, (1987), p. 454.</span><br /><span style="font-size: x-small;">65 Si trattava del Federal Health Insurance Plan varato nel 1970, il quale estendeva una copertura sanitaria uniforme su tutto il territorio nazionale a favore delle famiglie povere con bambini. Fu anche approvato il Family Assistance Plan. Le politiche di Nixon erano dirette, comunque, a garantire una razionalizzazione della spesa pubblica ed una riduzione dei costi. Sul punto, per una accurata analisi ricostruttiva, si rinvia al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 80 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">62 L’Amministrazione Nixon si fece portatrice di un programma di realpolitik che induceva gli Stati Uniti ad intervenire militarmente solo quando fossero stati messi in gioco i loro interessi nazionali. Ma non bisogna tralasciare l’ingerenza, strategica e gravida di tristi conseguenze, negli affari politici dell’America Latina.</span><br /><span style="font-size: x-small;">63 Quando rassegnò le proprie dimissioni, l’8 agosto del 1974, Richard Nixon affermò: “Continuare la mia battaglia nei mesi a venire per difendermi dalle accuse, assorbirebbe quasi totalmente il tempo e l’attenzione del Presidente e del Congresso, in un momento in cui i nostri sforzi devono essere diretti a risolvere le grandi questioni della pace fuori dai nostri confini e della ripresa economica, combattendo contro l’inflazione al nostro interno. Ho deciso, perciò, di rassegnare le dimissioni da Presidente”. Il Presidente non ammise la sua responsabilità e celò le ragioni delle sue dimissioni sulla necessità che un Paese in difficoltà avesse un full-time Congress ed un full-time President. Per una consultazione della versione scritta e della versione orale del discorso del Presidente, si rimanda al sito internet: http://millercenter.org/ , correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.</span><br /><span style="font-size: x-small;">64 Come evidenzia Krugman, Roger Ailes, Presidente di Fox News era consigliere di Richard Nixon per i mezzi di comunicazione e di informazione ed è un personaggio centrale nel libro di Joy McGinniss del 1969, Come si vende un Presidente. I media costituirono un ottimo strumento di propaganda politica e di repressione del dissenso. Sul punto, P. KRUGMAN, La coscienza di un …cit., p. 116. Nixon manifestò, del resto, una certa riluttanza nei confronti delle agenzie amministrative indipendenti, firmando una serie di ordini esecutivi aventi il fine di accentrare nelle mani del Presidente il potere di direzione dell’attività regolatoria. Sul punto, si veda il contributo di C.R. SUNSTEIN, “Constitutionalism After the New Deal”, in Harvard Law Review, Vol. 101, (1987), p. 454.</span><br /><span style="font-size: x-small;">65 Si trattava del Federal Health Insurance Plan varato nel 1970, il quale estendeva una copertura sanitaria uniforme su tutto il territorio nazionale a favore delle famiglie povere con bambini. Fu anche approvato il Family Assistance Plan. Le politiche di Nixon erano dirette, comunque, a garantire una razionalizzazione della spesa pubblica ed una riduzione dei costi. Sul punto, per una accurata analisi ricostruttiva, si rinvia al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 80 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">66 La stagflazione era stata pronosticata da Milton Friedman nei libri, Capitalism and Freedom e nella Storia Monetaria degli Stati Uniti Sul punto, si rimanda al contributo di A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 158 e s.</span><br /><span style="font-size: x-small;">67 Fu così posta fine al regime del Gold Exchange Standard, messo a punto nel 1944 e si istituì un nuovo regime monetario di tipo ibrido. Il nuovo sistema consentì ad ogni Stato di governare la propria liquidità interna. Nell’ambito del commercio internazionale, la ragione di scambio di una moneta nei confronti di altre era determinata dal libero mercato ed era fluttuante. Solo che i numerosi impegni contratti all’estero dagli Stati Uniti per la conduzione della politica di difesa contro il comunismo e il conflitto in Vietnam, contribuirono ad aumentare la massa monetaria in circolazione e ad indebolire il dollaro sul piano internazionale. Il sistema monetario internazionale si era connotato per le sue intrinseche trasformazioni strutturali. Alle origini, venne utilizzato il sistema di Gold Standard o sistema aureo o dei cambi fissi in cui i Governi specificavano la loro moneta nei termini fissati di una quantità fissa di oro. La scelta dell’oro era motivata in ragione della preziosità e scarsità del metallo e per la sua limitata utilizzazione industriale. Negli anni ’30 e ’40, il sistema aureo mostrò i suoi lati deboli, dovuti al disordine economico e alla svalutazione a fini anticoncorrenziali. Fu così che sotto la guida intellettuale di John Maynard Keynes, i rappresentanti di molte Nazioni si riunirono a Bretton Woods, nel New Hampshire, nel 1944 e siglarono l’accordo costitutivo del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e firmarono il General Agreement on Tariff and Trade, meglio noto con la sigla GATT. Si dette così vita al Gold Exchange Standard, che si fondava su di un regime di tassi fissi, ma aggiustabili in caso di eccessivo squilibrio. Il sistema di Bretton Woods istituiva una parità, per ciascuna moneta, rispetto al dollaro statunitense e all’oro. L’abbandono del sistema di Bretton Woods, negli anni settanta, fu seguito dall’introduzione del sistema ibrido odierno che conta sulla presenza di Paesi che consentono una libera fluttuazione monetaria, di altri che possiedono tassi di cambio amministrati, altri ancora agganciano la loro valuta ad una moneta forte o ad un paniere di monete forti secondo il sistema di parità strisciante e, infine, vi sono Paesi che si uniscono in blocco per stabilizzare i rispettivi tassi di cambio, come accadeva nell’ambito del sistema monetario europeo. Ogni Paese si riserva, comunque, di intervenire sui tassi di cambio, qualora i mercati diventino turbolenti. Sul punto, si leggano i contributi di G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalismo americano …cit., p. 178 e ss., nonché di R. SALOMON, The International Monetary System, 1945-1976: An Insider’s View, New York, 1977, pp. 2 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">68 Come rileva Arthur Schlesinger, l’esaltazione dei poteri presidenziali, imposta dall’emergenza bellica e dalla Guerra Fredda degli anni Quaranta e Cinquanta, si sarebbe accentuata progressivamente nei due decenni successivi, in particolare con Richard Nixon, il quale, per uno “strano accidente storico”, fece confluire, in modo singolare, la carica e l’uomo. In particolare, A.M. SCHELISNGER, La presidenza imperiale, ed. it., Milano, 1980, p. 255 nonché K.E. WHITTINGTON, “The Buger Court, 1969-1986. Once More in Transition”, in The United States Supreme Court. The Pursuit of Justice (a cura di C. TOMLINS), New York, 2005, pp. 301 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">69 Un tipico esempio di Cross-over-sanctions fu costituito da una legge federale del 1974 che introduceva l’embargo contro i Paesi esportatori di petrolio ed imponeva agli Stati federati di ridurre la velocità massima consentita alle automobili al fine di diminuire il consumo eccessivo di carburante, minacciando la riduzione dei fondi federali per la costruzione della rete autostradale. Si trattava, non solo di un mandato imperativo imposto ai singoli Stati, da adempiere in modo puntuale, pena la riduzione dei fondi federali, ma costituiva anche una intromissione nella sfera d’azione del police power statale, da sempre legittimato alla regolazione della materia della circolazione stradale. Analogamente, si comportò il Congresso federale nel 1991, quando approvò una legge che imponeva agli Stati di disporre la sospensione della patente, per sei mesi, ai soggetti condannati per reati correlati all’uso di sostanze stupefacenti. Sul punto, si rimanda al contributo di M. COMBA, Esperienze federaliste tra garantismo e democrazia. Il «judicial federalism» negli Stati Uniti, Napoli, 1996, p. 191.</span><br /><span style="font-size: x-small;">70 Basti rammentare lo U.S. Grain Standard Act del 1968 e il Federal Rail Road Safety Act del 1970, costituenti casi tipici di Total Preemption con radicale esclusione di una concurring legislation statale in materie, di norma, sottoposte al police power degli Stati. Mentre il Safe Drinking Water Act del 1974, in materia di protezione ambientale, fu sottoposto ad una forma di Partial Preemption, in cui lo Stato federale imponeva solo degli standards generali di disciplina della materia. In particolare, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 108 e s.</span><br /><span style="font-size: x-small;">71 Come affermò Elazar, dal 1965 al 1985, il trend federale fu centralizing, anche se in modo altalenante. In particolare, D.J. ELAZAR “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 12. L’autore rileva anche che gli eventi congiunturali negativi che connotarono l’Amministrazione di Nixon, paralizzarono, pur tuttavia, il Federal Government, spingendo i singoli Stati a provvedere in modo autonomo. Come sottolinea Elazar, gli Stati riscoprirono di avere un potere che derivava dalla loro condizione di “States as States and did not need to wait for federal iniziative or permission, in other words, that the States are indedd polities”, ibid. p. 14. Sul fenomeno della centralization of power, considerata strumento indispensabile per risolvere i problemi nazionali, si rimanda anche al contributo di M.F. LASLOVICH, “The American Tradition: Federalism in the United States”, in Comparative Federalism and Federation, Competing Tradittions and Future Directions (edited by M. Burgess and A.G. Gagnon), New York, 1993, pp. 188 e ss., il quale richiama più volte il pensiero di Elazar espresso in materia.</span><br /><span style="font-size: x-small;">72 Caso E.G. Malone v. White Motor Corporation, 435 U.S. 497 (1978).</span><br /><span style="font-size: x-small;">73 In particolare, D.J. ELAZAR, “Is Federalism Compatible with Prefectorial and Administation?”, in Publius, Vol. 11, (Spring 1981), pp. 4 e ss. nonché dello stesso autore, il citato “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 12.</span><br /><span style="font-size: x-small;">74 Come rileva Pierini, si trattava di finanziamenti in blocco che lasciavano ai singoli Stati percipienti ampia discrezionalità nella individuazione dei problemi, nell’articolazione dei programmi, nelle modalità di intervento e nella allocazione delle risorse. I requisiti di natura amministrativa e fiscale, fissati dal Federal Government, avevano un carattere eminentemente principiologico. Di norma la legge federale provvedeva a fissare un apposito tetto di spesa. Tra i primi rilevanti esempi di atti normativi istitutivi dei block grants, si colloca l’Ominibus Crime Control and Safe Streets Act del 1968, destinato a ridurre il numero di regulations e di conditions federali. In particolare, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 100 e s.</span><br /><span style="font-size: x-small;">75 Sul punto, G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalismo americano …cit., p. 208.</span><br /><span style="font-size: x-small;">76 Il programma aveva il duplice scopo di eliminare il degrado urbano e la frammentazione burocratica, ma si attrasse le critiche di chi temeva che il nuovo assetto decentrato potesse disperdere gli obiettivi nazionali. Il programma federale venne stilato nel 1974 e proponeva sussidi generalizzati agli affittuari e block grants per finanziare piani di sviluppo comunitari, iniziati e decisi in sede locale. L’intento era quello di incrementare la domanda per la riabilitazione e per l’uso degli immobili urbani che era il cuore del problema delle case in città. Nixon intendeva estirpare gli abusi perpetrati nel programma di assistenza alla proprietà, che favorivano le speculazioni dei costruttori e provocavano disparità di trattamento. Il programma non sortì, però, gli effetti sperati. In uno studio effettuato dal Brookings nel 1978 per conto del Governo, si dimostrò che i rapporti tra i differenti livelli di governo non era affatto mutato. L’intervento federale era nuovamente aumentato e il conflitto con gli enti locali in merito alle scelte di assetto territoriale era diventato ampio. Sul punto, si rimanda al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 90 e ss. Per un’analisi delle critiche mosse al programma normativo federale, si legga la relazione al disegno di legge redatta dal Banking Housing and Urban Affairs Committe del Senato.</span><br /><span style="font-size: x-small;">77 In particolare, G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., p. 94. Anche Elazar evidenzia i limiti dell’Amministrazione Carter, ma sottolinea come il Presidente ebbe il merito di sviluppare relazioni simpatetiche con i singoli Stati, sviluppando una trama relazionale che gli valse l’epiteto di ideatore della “federalism partnership”. Fu proprio in quel periodo che le Corti Supreme statali svilupparono un nuovo e vibrante diritto costituizionale statale, “building state constitutional foundations for public policy in everytthing from individual rights to relations between religion, state and society, and to fairer distribution of public services”. Si trattò di un atteggiamento che si riflettè sugli indirizzi pretori della Corte Suprema e si manifestò in quel leading case, isolato nell’oceano degli indirizzi pretori contrastanti, in materia anche nel futuro, che sarà come vedremo costituito dal National League Cities case del 1976. Sul punto, D.J. ELAZAR “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 15.</span><br /><span style="font-size: x-small;">78 Sul punto, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., p. 186 nonché S. KOFF, “Il sistema federale americano e la Presidenza”, in Federalismo, regionalismo, autonomismo (a cura di E.A. Albertoni e M. Ganci), Tomo II, Enna, 1987, p. 347.</span><br /><span style="font-size: x-small;">79 Si trattò di uno dei tanti esempi di quella Presidenza Imperiale che avocava a sé poteri di protezione e direzione dell’economia e della società che ebbe rilevanti ripercussioni nell’ambito dell’equilibrio tra poteri sull’asse orizzontale. Fu solo l’indebolimento del Presidente, a seguito dello scandalo Watergate, che spinse il Congresso ad approvare il Budget Reform Act, nel 1974, che conferì ad entrambe le Camere il potere di veto sugli impoundments, denominati poi recisions, e istituì speciali commissioni per il bilancio in ambedue le camere, congiuntamente al Congressional Budget Office. Le due Commissioni provvedevano a curare il coordinamento tra introiti e spese. In particolare, M.A. KRASNER, S.G. CHABERSKI, Il sistema di governo degli Stati Uniti d’America. Profili istituzionali, Torino, 1994, p. 164, gli autori rilevano come gli stanziamenti del Congresso, anche se stabiliti per legge, divennero meri suggerimenti forniti al Presidente, ibid., p. 165.</span><br /><span style="font-size: x-small;">80 Le casse di risparmio furono anche autorizzate ad emettere particolari depositi a risparmio detti now accounts che offrivano ai depositanti tassi di interesse simili a quelli concessi su altri depositi e conferivano la possibilità di emettere assegni. Le riforme esautorarono le banche commerciali del potere di controllo del sistema dei pagamenti. Di rilievo, sono anche due provvedimenti normativi approvati nel 1978, l’International Banking Act che pose le banche straniere sullo stesso piano di quelle domestiche ed implementò la capacità delle banche statunitensi di competere nel circuiti internazionale ed il Financial Institutions Regulatory and Interest Rate Control Act con cui vennero perseguiti taluni abusi finanziari e vennero rafforzati i poteri delle autorità di controllo nel prevenire pericolose operazioni di concentrazione bancaria.</span><br /><b>Giuseppina Passarelli</b>, <i>Il "Federalizing process" tra dinamismo ed evoluzionismo negli Stati Uniti e nell'Unione Europea. La "Commerce Clause" in prospettiva comparata</i>, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Calabria, Anno Accademico 2008-2009</div> <p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-47814691505896977652024-01-07T10:56:00.004+01:002024-01-07T10:56:49.200+01:00I giornali erano tenuti a scrivere la parola “duce” in maiuscolo<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhbNGEV3ZCP89HOqb8ksBq2gXPV5WRj7cFHHET4x10LfNyQxtMeWTrW2VjRzwcpkbZWU-HJaaEk4Rch96p_MCWYG-pOcNgf8vlemotccTivmGH7_XfZdGTk0XMZ_gsliqcxKJh6zEvG_Q1Qit9f4R3y-xPiT85ElS4ftW8L-cPwTpJQH5ID6UrqpvpBnQ/s640/eg2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="427" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhbNGEV3ZCP89HOqb8ksBq2gXPV5WRj7cFHHET4x10LfNyQxtMeWTrW2VjRzwcpkbZWU-HJaaEk4Rch96p_MCWYG-pOcNgf8vlemotccTivmGH7_XfZdGTk0XMZ_gsliqcxKJh6zEvG_Q1Qit9f4R3y-xPiT85ElS4ftW8L-cPwTpJQH5ID6UrqpvpBnQ/w428-h640/eg2.jpg" width="428" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Sotto la direzione di Polverelli l’Ufficio stampa si occupò anche di curare la produzione di manifesti, di scritte murarie e di tutte le campagne propagandistiche del regime. L’evento emblematico che mise in scena l’immagine miticizzata del dittatore e che testimoniò la fortuna del “mussolinismo” fu la “Mostra della Rivoluzione fascista” in occasione del decennale della marcia su Roma: inaugurata nel 1932, rimase aperta ai visitatori fino al 1934 diventando in breve tempo meta per milioni di simpatizzanti del regime. Nella mostra, dove l’immagine di Benito Mussolini capeggiò su qualsiasi altra, venne allestita anche una sala dedicata al duce stesso, la “Sala Mussolini”, dove venne messa in mostra una grandissima mole di sue reliquie e venne anche ricostruito, a grandezza naturale, il suo studio di Milano di prima della Marcia su Roma <243.<br />L’importanza acquisita dall’Ufficio Stampa ne portò al riordino e al potenziamento, elevandolo nel giugno del 1935 a Ministero della Stampa e della Propaganda e, nel 1937, cambiò nome in Ministero della Cultura Popolare <244.<br />Il fondatore del culto del duce fu Augusto Turati <245, Segretario del PNF dal 1926 al 1930, ma a moltiplicare le formule, i riti e il cerimoniale da tenersi intorno alla figura di Mussolini fu Achille Starace, suo successore. Sotto il suo segretariato venne istituzionalizzata la formula del “saluto al duce” nel momento delle apparizioni pubbliche di Mussolini, che la propaganda iniziò a dipingere come la somma di ogni qualità umana: Mussolini come miglior filosofo, Mussolini come miglior sportivo, come miglior statista, come miglior uomo e, talvolta, Mussolini come Dio <246. Mussolini doveva essere un esempio per ogni italiano, di qualsiasi età, e per questo la sua venerazione fu introdotta anche nelle scuole: dal 1940 gli stessi maestri elementari ebbero la possibilità di prendere parte, come diremmo oggi, a dei corsi di aggiornamento riguardanti la “mistica fascista”, utili, a detta degli organizzatori, per trarre “dal Mito Mussoliniano le direttive d’azione pedagogica” <247. Mussolini il fondatore di una nuova civiltà, Mussolini eroe decantato da Giovanni Gentile, ammirato e temuto dai suoi gerarchi e adorato dalle masse, in particolar modo da quelle meno secolarizzate e lontane dal mondo operaio, che vedevano in lui un potente benevolo incontrato durante quelle adunate organizzate con una scenografia talmente curata da generare coinvolgimento emotivo, cioè pathos, ma che, a differenza dei politici dell’Italia liberale, aveva umili origini e per questo riusciva ad avere successo anche in quelle località dove la propaganda faticava ad arrivare <248.<br />A concorrere alla diffusione del culto del duce furono anche quelle opere non istituzionali scritte da coloro che vollero esprimere la loro ammirazione per il dittatore, o per il fascismo di cui era capo. Prima della segreteria di Starace la liturgia del fascismo si concentrò principalmente sul culto dei fascisti morti durante il periodo dello squadrismo, elevati a martiri dal partito stesso.<br />Un’opera che al momento della sua pubblicazione ottenne molta risonanza e riscosse anche il plauso di Mussolini fu la “Storia della Rivoluzione Fascista” di Giorgio Alberto Chiurco, pubblicata nell’aprile del 1929. L’opera, dedicata “al Duce Benito Mussolini”, tratta, scrive Michelangelo Borri, del periodo dello squadrismo in maniera funzionale alla: “creazione di una comunità di memoria e una pedagogia nazionalizzante che recuperi, in senso fascista, immagini e concetti della mistica risorgimentale. [...] Le immagini di carri funebri riccamente adornati che sfilano tra la folla; la descrizione delle reliquie appartenute ai caduti, fazzoletti, bandiere, indumenti ancora macchiati del loro sangue; l’evocazione dei defunti attraverso il dialogo diretto, stabilendo un ponte immaginario tra il mondo dei vivi e quello dei morti” <249.<br />Grazie al supporto di Mussolini la “Storia” ebbe ampia diffusione ed essa divenne un punto di riferimento nell’immaginario fascista, tanto che i curatori della mostra del 1932 per il decennale sulla Marcia su Roma la utilizzarono come fonte per le esposizioni <250.<br />Abbiamo visto come poi, dall’inizio sella segreteria di Starace nei primi anni Trenta, il catechismo del PNF si spostò dal culto degli squadristi morti a quella della devozione verso il capo <251.<br />In questo contesto fece incredibile fortuna la biografia di Mussolini “Dux”, scritta da Margherita Sarfatti, consigliera e amante del protagonista dell’opera, che riscontrò un successo editoriale tale da essere ristampata dieci volte dal 1926 al 1934. Proprio in quest’ultimo anno fu pubblicata l’edizione destinata a un pubblico più popolare, corredata da duecentottantacinque fotografie e introdotta da una presentazione scritta da Mussolini stesso, entro la quale, scrive con efficacia Mimmo Franzinelli, “si crogiolava nella sua dimensione congenita di uomo pubblico” <252.<br />A concorrere nell’enorme fortuna dell’immagine di Mussolini non contribuirono solo operazioni di “soft power”: i giornali erano tenuti a scrivere la parola “duce” in maiuscolo, gli spettatori nei cinema dovevano, come in chiesa, alzarsi in piedi quando Mussolini appariva sul grande schermo e le giovani reclute delle organizzazioni di massa del regime erano tenute a giurargli fedeltà indiscriminata <253.<br />Lo stesso Mussolini teneva molto alla sua immagine pubblica, al punto che spesso lui stesso decise quali fotografie dovessero venir pubblicate e quali invece no. Con il susseguirsi delle sconfitte militari e la crisi interna sempre più difficile da affrontare le belle uniformi e le fotografie a cavallo non bastarono più a rincuorare gli italiani e convincerli che la guida del duce fosse infallibile. Come apprezzabile anche dalle lettere analizzate, dopo quella riposta nei gerarchi, anche la fiducia in Mussolini iniziò a svanire tra la maggior parte degli italiani. Egli stesso perse fiducia di sé, come testimonia la trascrizione della telefonata notturna con l’amante Claretta Petacci dove, umiliato, si confida con l’amante riguardo al discorso pronunciato il 24 giugno 1943: “Mussolini: Mi sento la testa vuota... mi sfuggono le idee, le parole... non ti sei accorta che, anche nel mio ultimo discorso, ho commesso delle gaffe... ho anche detto delle frasi fuori luogo. [...] Sono diventato la favola, lo zimbello di tutti con quella maledetta parola! Passerò alla storia non come il Duce del Fascismo e il fondatore dell’Impero, ma più semplicemente come il bagnasciuga»!” <254.<br />Durante il periodo della RSI, soprattutto quando ormai ogni illusione e ogni speranza di vittoria erano svanite, Mussolini divenne l’ombra di quello che fu un tempo. Il medico che lo ebbe in cura affermò che perse completamente l’energia e l’intelligenza, non dormiva ed ebbe anche un collasso. “In queste circostanze”, scrive il dottore nelle sue memorie, “anche l’arte medica non poteva fare più niente per lui” <255.<br />Il progetto imperiale fascista non fu frutto della guerra (che lo accelerò), in più occasioni Mussolini ne parlò al grande pubblico e ai suoi gerarchi definendo i tempi e i luoghi delle conquiste italiane: a breve termine la Corsica e l’Albania, a medio Malta e Cipro, a lungo Gibilterra e Suez, considerando virtualmente nemici Stati come la Jugoslavia, la Grecia e la Turchia, in quanto possibili alleati degli inglesi, già presentati dalla propaganda come nemici dell’Italia a seguito delle sanzioni decise dalla Società delle Nazioni dopo l’invasione dell’Etiopia <256. Nella sua opera, Rodogno pone l’attenzione sul fatto che la stampa specialistica dell’epoca scrisse molto riguardo ai possibili assetti post-bellici: il nuovo ordine mediterraneo si sarebbe articolato nello spazio vitale entro il quale un popolo, quello di Roma, avrebbe comandato sugli altri, che avrebbero perso la propria sovranità nazionale anche nell’arena internazionale, nella quale solo l’Italia avrebbe avuto il diritto di partecipare rappresentando anche gli Stati sottomessi. Lo spazio vitale sarebbe stato organizzato entro tre cerchi concentrici definiti in ordine di importanza su basi razziste: il primo, il “piccolo spazio”, sarebbe stato il territorio direttamente controllato dall’Italia, sede della razza superiore, e avrebbe dovuto comprendere, oltre all’Italia metropolitana, la Savoia, Nizza, la Slovenia, la Corsica, la costa dalmata e le isole Ionie, tutte annesse al Regno. Il secondo cerchio avrebbe compreso Stati come Grecia, Albania, i territori della Jugoslavia e la Turchia, tutti assoggettati e posti sotto il controllo economico di Roma dove la lira avrebbe svolto un ruolo simile a quello della sterlina inglese nell’economia internazionale dell’epoca. L’ultima sfera d’influenza sarebbe stata quella delle colonie africane, inferiori, secondo il regime, rispetto sia ai “romani”, sia agli europei del secondo cerchio <257.<br />I più degli italiani richiamati alle armi ebbero quindi a disposizione un ampio ventaglio di modelli interpretativi per convincersi della giustizia della guerra, forniti sia dalla propaganda di regime, sia dalla Chiesa: guerra per difendere la patria e la famiglia dagli stranieri, guerra per portare la civiltà di Roma sulle razze inferiori e barbare (compresi gli ebrei), guerra come crociata richiesta da Cristo per liberare i popoli dai comunisti atei <258.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE] </span><br /><span style="font-size: x-small;">243 M. Franzinelli, E.V. Marino, “Il Duce Proibito”, pp. VIII, IX. Mimmo Franzinelli riporta che in totale i visitatori della mostra furono tre milioni.</span><br /><span style="font-size: x-small;">244 G. Talbot, “Censorship in Fascist Italy”, pp. 140,142. A dimostrazione dell’importanza di quest’organo ne ressero la direzione sempre personalità di spicco del regime, come il genero di Mussolini Galeazzo Ciano, oppure Alessandro Pavolini, futuro Segretario del Partito Fascista Repubblicano.</span><br /><span style="font-size: x-small;">245 Nato a Parma nel 1888, fu un esponente dello squadrismo bresciano. Tenne la carica di Segretario generale del PNF dal 1926 al 1930. Successivamente diresse il quotidiano “La Stampa”. Morì a Roma nel 1955.</span><br /><span style="font-size: x-small;">246 E. Gentile, “Il Culto del Littorio”, p. 271.</span><br /><span style="font-size: x-small;">247 Ivi, p. 273. Nella pagina precedente l’autore pone l’attenzione sul fatto che gli avanguardisti, ovvero i ragazzi facenti parti all’Opera nazionale Balilla, l’istituzione che controllava la vita dei giovani italiani e ne organizzava il tempo libero, avevano un breviario che recitava le seguenti parole “Tu non sei, Avanguardista, se non perché prima di te, con te e dopo di te, Egli e soltanto Egli è”, presentando “Egli”, cioè Mussolini, come un essere superiore con la propria natura al di fuori del tempo (analogo, si potrebbe notare, al Dio/Sostanza di Spinoza).</span><br /><span style="font-size: x-small;">248 Ivi, pp. da 274 a 285.</span><br /><span style="font-size: x-small;">249 M. Borri, “Giorgio Alberto Chiurco”, p. 106.</span><br /><span style="font-size: x-small;">250 Ivi, pp. da 103 a 117. Questo paragrafo dell’opera di Borri tratta interamente della Storia di Chiurco, approfondendo anche le vicende politiche dietro alla sua pubblicazione e alla sua diffusione.</span><br /><span style="font-size: x-small;">251 Ivi, p. 116.</span><br /><span style="font-size: x-small;">252 M. Franzinelli, E.V. Marino, “Il Duce Proibito”, p. XIII.</span><br /><span style="font-size: x-small;">253 Ivi, pp. XV, XX.</span><br /><span style="font-size: x-small;">254 Ivi, p. XXXV.</span><br /><span style="font-size: x-small;">255 Georg Zachariae, “Mussolini si Confessa”, Milano, Garzanti, 1948, p. 19, in M. Franzinelli, E.V. Marino, “Il Duce Proibito”, p. XL.</span><br /><span style="font-size: x-small;">256 D. Rodogno, “Il Nuovo Ordine Mediterraneo”, p. 73. I discorsi di Mussolini sulle tempistiche dei propri obiettivi militari sono quelli tenuti ai membri del Gran Consiglio del Fascismo il 30 novembre 1938 e il 5 febbraio 1939.</span><br /><span style="font-size: x-small;">257 Ivi, pp.78,79,80.</span><br /><span style="font-size: x-small;">258 Per il contesto russo rimando a T. Schlemmer, “Invasori, non Vittime”, pp.72,73.</span><br /><b>Emanuele Venchi</b>,<i> Ingranaggio del controllo: la censura postale in Italia e a Lucca nella Seconda guerra mondiale (1940-1945)</i>, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2022-2023</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-84016269908638405052023-12-28T19:00:00.003+01:002023-12-28T19:00:46.733+01:00Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhCvUy_t3EAF6aM1vHoR3MVko66PXr3p3cm56jOR8bVqen63mmS17_BmpUEUqMmJ1Lm81L0viHRQDDDd3sFvVjhfEPGwGUmNpBnxl63PPutMi2qEaHjUgIvv5wJAQp-oJqDbM1_nKbNvWfyE2B8Ej73t9pnEFX19Bb44eGsoMtuSpTKmC6VZAfDplDWQM/s818/avanti-080650.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="818" data-original-width="616" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhCvUy_t3EAF6aM1vHoR3MVko66PXr3p3cm56jOR8bVqen63mmS17_BmpUEUqMmJ1Lm81L0viHRQDDDd3sFvVjhfEPGwGUmNpBnxl63PPutMi2qEaHjUgIvv5wJAQp-oJqDbM1_nKbNvWfyE2B8Ej73t9pnEFX19Bb44eGsoMtuSpTKmC6VZAfDplDWQM/w482-h640/avanti-080650.GIF" width="482" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel dibattito sull’Unione Sovietica, alla descrizione promossa negli ambienti comunisti, volta all’assoluta esaltazione e alla totale cancellazione di ogni aspetto negativo, corrispondeva un’immagine nettamente contrapposta, in cui tali problemi sociali erano messi in evidenza al massimo grado. Per un apparente paradosso, proprio l’assenza di un’ammirazione totale ed incondizionata nelle prese di posizione più favorevoli alla società americana contribuiva a rendere più difficile, per le centrali propagandistiche del campo avverso, la strutturazione di un discorso fondato su un atteggiamento di rifiuto radicale dell’<i>American way of life</i>.<br />Stando ai primi schemi di argomentazione presentati agli attivisti comunisti dalla redazione di "Propaganda" <1732, dalla campagna elettorale del 1948 in poi, gli Stati Uniti furono posti al centro dell’universo di simboli negativi della sinistra marxista <1733; la propaganda di ostilità era portata avanti dal PCI e dal PSI secondo un modello ripetutamente suggerito a tutto il comunismo internazionale dal Cominform, e di cui erano consapevoli anche gli addetti ai lavori del controspionaggio americano <1734. Nell’ottica della strutturazione della lotta di classe sul piano dei rapporti internazionali, gli Stati Uniti erano considerati il modello di una società capitalistica matura, nella quale si stavano palesando tutti i limiti di un sistema socio-economico destinato ad essere soppiantato dal socialismo <1735. Un editoriale dell’<i>Avanti!</i>, alcuni anni dopo, avrebbe reso esplicito un simile concetto:<br />"È proprio negli Stati Uniti d’America che oggi l’organizzazione sociale a tipo capitalistico mostra - con palmare evidenza - le proprie insanabili contraddizioni. […] Lo sfrenato individualismo è accoppiato alla più colossale irregimentazione di uomini ridotti sempre più, dalle esigenze di una produzione standardizzata e dalle necessità dello sfruttamento, ad una continua alienazione della propria persona umana". <1736<br />Il primo spunto polemico, naturalmente, riguardava il limite principale rilevato dal pensiero socialista nel modo di produzione capitalistico: la formazione ed il continuo acuirsi delle disuguaglianze sociali. Quotidiani e periodici di area comunista che si occupavano degli Stati Uniti spesso contrapponevano le figure dei «re della repubblica stellata», come Henry Ford e i magnati dell’industria e della carta stampata, alla vita degli slums, che prima della gentryfication degli anni Sessanta coprivano una buona parte del territorio di Manhattan, il quartiere più famoso del mondo <1737.<br />In America, però, le sperequazioni di classe erano profondamente intrecciate con le frizioni tra i gruppi etnici e i problemi della discriminazione razziale, spesso sminuiti dagli autori maggiormente affascinati dagli States. Alla fine del 1947, sull’<i>Unità</i>, un simile tema fu trattato attraverso una serie di interventi che insinuavano la presenta del celebre Ku Klux Klan al massimo livello; si parlava addirittura dell’appartenenza all’organizzazione del presidente Truman, e la polemica fu coronata da un assai poco credibile fotomontaggio, pubblicato in prima pagina e descritto dalla didascalia: «un dirigente del Ku-Klux-Klan esce dalla Casa Bianca: chi sarà?» <1738. Successivamente, simili temi furono ripresi in maniera meno eclatante, soprattutto nei servizi fotografici e nelle rubriche di "Vie Nuove": dapprima, individui incappucciati pronti al linciaggio apparvero in alcune vignette, ad esempio mentre si lamentavano con Truman del fatto che armi come la bomba H sterminassero gli esseri umani senza tenere conto della razza <1739; poi le fotografie disponibili di riunioni del KKK furono affiancate da crude immagini di afro-americani impiccati e malmenati, mentre nelle didascalie si ricordava che il Klan era legale negli USA, e che le sue malefatte non trovavano grande rilievo nell’opinione pubblica1740; infine le prese di posizione del Klan, come ad esempio quella che nel 1953 si opponeva alla fine della segregazione scolastica negli stati del Sud, divennero il punto di riferimento per mostrare ai lettori quanto fossero radicati negli Stati Uniti atteggiamenti razzisti, di cui gli episodi di violenza costituivano solo l’aspetto di maggiore risonanza internazionale <1741. Negli anni Cinquanta non mancavano neppure accenni alla discriminazione culturale di altri gruppi etnici, in particolare degli italo-americani, vittime di stereotipi sulla loro scarsa onestà che animavano numerosi film <1742.<br />Un altro elemento che caratterizzava la degenerazione del capitalismo americano era la diffusione della malavita e del crimine organizzato. Alla fine del 1947, durante la campagna contro Truman, oltre alla sua appartenenza al Ku Klux Klan si ipotizzò un suo contatto con la Mano Nera, potente associazione a delinquere. Nel 1949 sugli organi di stampa comunisti fu ripreso l’argomento, soprattutto per opera di Ezio Taddei. Quest’ultimo condusse un’inchiesta, pubblicata sul periodico giovanile del PCI "Pattuglia", sulla malavita organizzata negli Stati Uniti; in particolare, egli si concentrò sul gruppo controllato da Tom Pandergast, che era attivo in Missouri, lo stato da cui proveniva Truman, e che secondo l’autore ebbe un ruolo di primo piano nel controllo delle dinamiche elettorali <1743. La presunta amicizia tra Pandergast e Truman fu oggetto, in seguito, di alcuni articoli di Taddei sull’<i>Unità</i>, in cui l’operato criminale del boss del Missouri era collegato all’eliminazione di alcuni elementi dei circoli che avversavano il presidente <1744. Oltre a trattare delle implicazioni dei vertici governativi in affari di gangster, Ezio Taddei prendeva in considerazione alcuni indizi sulla preoccupante diffusione dei fenomeni criminali negli USA, in particolare su un aspetto dell’immagine degli USA che già preoccupava i propagandisti americani:<br />"Vedendo i films americani spesso ci si chiede come mai i registi e i soggettisti holliwoodiani siano ossessionati dai “gangsters”. In realtà il gangsterismo è un tema dominante nel cinema americano semplicemente perché lo è anche nella realtà americana. […] In ogni città c’è una gang. O meglio una “macchina”. Queste sono dei grandi apparati criminali, ognuno posto sotto la protezione di un uomo politico che la “macchina” stessa ha fatto eleggere. Aggiungete a tutto questo la connivenza della polizia, quasi sempre corrotta e prezzolata, la protezione palese dei grandi “trusts” e delle coalizioni bancarie ed industriali […]". <1745<br />Probabilmente, l’elemento destinato a divenire il simbolo più comune e longevo della pretesa incompatibilità del modello sociale americano con quello che i comunisti immaginavano per l’Italia, e del rifiuto di ogni forma di penetrazione culturale “a stelle e strisce”, fu la coca-cola. La bibita iniziò ad essere distribuita fuori dagli USA fin dagli anni Trenta, ma soltanto con il dopoguerra, in seguito al contatto diretto della popolazione europea con i soldati americani, essa impiantò un solido mercato nella parte occidentale del vecchio continente. Il successo fu tale che tra i produttori locali di bevande iniziò a serpeggiare una certa inquietudine. Laddove i partiti comunisti avevano forza <1746, essi supportarono le lamentele dei commercianti italiani in vino ed arance per una concorrenza ritenuta non solo catastrofica per un importante settore del mercato <1747, ma pure sleale perché supportata dalla pubblicità originariamente destinata al piano Marshall <1748; gli organi di stampa di sinistra, inoltre, aiutarono a diffondere le insinuazioni circa i problemi di salute che potevano essere collegati al consumo di coca-cola <1749.<br />Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione, poi ripreso anni dopo per definire il processo di omologazione culturale iniziato nei primi anni Cinquanta <1750, e in molte occasioni gli scritti furono accompagnati da illustrazioni destinate ad essere riprese sulla stampa locale, come la vignetta in cui il protagonista del manifesto pubblicitario della coca-cola prendeva vita per mandare un ragazzino a comperargli del Frascati; l’aspetto più singolare di simili polemiche fu però il fatto che neppure i più irriverenti autori satirici di orientamento anticomunista, come Guareschi, misero in ridicolo una campagna così impegnativa per un tema apparentemente privo di importanza, quasi a dimostrare che l’appoggio offerto dalle categorie sociali più preoccupate dalla concorrenza americana non poteva essere sottovalutato <1751.<br />Come ha osservato Philippe Roger nella sua ricerca sull’antiamericanismo francese, i sentimenti di ostilità verso gli Stati Uniti si manifestano attraverso un discorso che raggruppa posizioni ed argomentazioni assai distanti, ed apparentemente opposte dal punto di vista ideale, al punto che spesso sono comuni a culture politiche diverse <1752. Anche secondo la Nacci, l’antiamericanismo di natura prettamente anticapitalista, diffuso da PCI e PSI, era collegato a «giudizi impliciti» che andavano al di là «della coppia capitalismo/socialismo».<br />Sono giudizi che riguardano […] il modo tradizionale di vivere rispetto a un modo che si può definire moderno, urbano, avanzato, industriale, sviluppato, […]. Su questi giudizi impliciti, […] che sono assai chiari ad esempio nella contrapposizione fra realtà americana disumana e umanesimo socialista, poteva esserci accordo con un ventaglio di opinioni molto ampio, che andava dai reazionari ai liberali più avanzati passando per i conservatori. <1753<br />Sviluppando l’idea di base, radicata nella cultura e nell’universo di comportamenti della base comunista, secondo la quale la deviazione dalla moralità comunemente accettata costituiva un sintomo della degenerazione della società capitalistica, nella stampa di sinistra dei primi anni Cinquanta furono sempre più numerose le critiche alla leggerezza morale diffusa negli Stati Uniti. Non mancavano accenni critici al perbenismo di facciata che sembrava così diffuso negli States, e che portava alla condanna senza appello dell’unione extraconiugale tra Rossellini ed Ingrid Bergman da parte delle stesse persone che plaudivano al linciaggio dei neri <1754; in generale, però, i toni dimostravano una comprensione assai minore di quella degli scrittori di estrazione liberale per comportamenti non canonici.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">1732 Cfr. la rubrica “Vera democrazia, falsa democrazia”, Propaganda, 1-2, 5/XII/1947, p. 11.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1733 Cfr. D. Kertzer, Politics and Symbols cit., pp. 17 e ss. e 41, e F. Andreucci, Falce e martello cit., pp. 188-189.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1734 cfr. F. Bowen Evans (ed.), Worldwide Communism Propaganda Activities, New York, MacMillan Company, 1955, pp. 43 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1735 Il riferimento più autorevole è ancora una volta A. Zdanov, “Politica e ideologia” cit., pp. 29 e ss.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1736 L. Matteucci, “Il ballo sulla corda”, Avanti!, 8/VI/1950, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1737 Cfr. Epoca Americana, supplemento a Vie Nuove, VI, 4, 29/I/1951, pp. 2 e 11.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1738 L’Unità, 15/X/1947, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1739 Vie Nuove, V, 17, 23/IV/1950, p. 15.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1740 Epoca Americana cit.,pp. 22-23.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1741 C. Cafiero, “Scuola con le sbarre”, Vie Nuove, IX, 1, 4/I/1953, pp. 10-11.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1742 cfr. ad es. la raccolte di immagini sul film La casa degli stranieri, Vie Nuove, V, 2, 8/I/1950, p. 20.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1743 Cfr. “Mano nera e casa bianca”, Pattuglia, IV, 4, 6-20/III/1949, p. 4.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1744 Cfr. ad es. “Truman dedicò la sua foto al ‘camerata e consigliere Pandergast’”, L’Unità, 11/IV/1950, p. 3.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1745 E. Taddei, “Elezioni di Sangue”, Pattuglia, IV, 5, 8/IV/1949, p. 4. Cfr. anche Epoca americana cit., passim.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1746 Per quanto riguarda il caso francese, cfr. R.F. Kuisel, Seducing the French cit., pp. 52-54.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1747 Cfr. ad es. G. Doria, “Vino e arance battuti dal coca-cola”, Vie Nuove, V, 7, 12/II/1950, p. 5.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1748 F. Funghi, “Il generale Marshall sferra l’offensiva del coca-cola”, Vie Nuove, III, 12, 21/III/1948, p. 10.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1749 F. r. “Veleni nel cibo”, Vie Nuove, V, 13, 26/III/1950, p. 17.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1750 Il caso forse più noto di ripresa di tale gioco di parole è il già citato lavoro di R. Wagneiter, Coca-colonization and the Cold War.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1751 Sulla campagna comunista contro la coca-cola messa in atto all’inizio degli anni Cinquanta, cfr. G. Guareschi, “Nunc est bibendum”, Candido, VI, 21, 21/V/1950, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1752 P. Roger, L’ennemi américain. Généalogie de l’antiaméricanisme français, Paris, Seuil, 2002.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1753 “Contro la civiltà dell’abbondanza…”, pp. 242-243.</span><br /><span style="font-size: x-small;">1754 Un simile tema fu sviluppato in numerose vignette pubblicate su Vie Nuove nella seconda parte del 1947.</span><br /><b>Andrea Mariuzzo</b>, <i>Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico</i>, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-86851189333438257372023-12-22T16:13:00.003+01:002023-12-22T16:13:55.082+01:00Fu proprio quel sodalizio con Sindona che condusse alla luce Gelli e la sua rete<div><p style="text-align: justify;"><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi53fUJ5b47i79arQF1hgcPmncc1cqyVoUJcy-6bJW0Ko_6d9chepJQZS0Lrc0EcafLX-hzPbrMZxPCiZQ_voOxjrI-rjLp53fKSAjgbA3e9cUJJtJdT6u64SzC6eIj3kcsU0ju2UfWMKzPEpXEftDgP98lf1002eGi0X8Dy1_sGu1Va2X-3kBJkDmYuBU/s568/ipst4.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="420" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi53fUJ5b47i79arQF1hgcPmncc1cqyVoUJcy-6bJW0Ko_6d9chepJQZS0Lrc0EcafLX-hzPbrMZxPCiZQ_voOxjrI-rjLp53fKSAjgbA3e9cUJJtJdT6u64SzC6eIj3kcsU0ju2UfWMKzPEpXEftDgP98lf1002eGi0X8Dy1_sGu1Va2X-3kBJkDmYuBU/w474-h640/ipst4.GIF" width="474" /></a></b></div><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><b>2.4 Propaganda 2</b><br />La Loggia massonica P2, con a capo dal 1970 il suo “Gran Maestro Venerabile” Licio Gelli, è stata coinvolta in numerosi scandali che caratterizzarono la storia italiana nel corso della parabola repubblicana, fino al terremoto provocato da Tangentopoli. Gelli e la sua loggia finirono al centro di vicende come il golpe Borghese, il caso Moro, la strage di Bologna, il fallimento del Banco Ambrosiano. Nel corso degli anni, l’influenza della Loggia si espanse in molti settori. Gli iscritti alla loggia occuparono rilevanti posizioni: capi dei servizi segreti, ufficiali ai vertici militari, magistrati, finanzieri, giornalisti e parlamentari; i campi di attività era sostanzialmente quattro: credito bancario, tangenti su appalti pubblici, esportazioni di moneta e collocamento di affiliati in posizioni di potere <57. La lista degli iscritti alla P2 fu rinvenuta durante una perquisizione, da parte della Guardia di Finanza, presso l’ufficio del “Maestro Venerabile” a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981, e venne pubblicata dal Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, il 21 maggio <58. Il vero piano della P2 consisteva nella completa revisione della Costituzione attraverso l’attuazione del “Piano di rinascita democratica”. Tale documento fu ritrovato e sequestrato nel 1982 alla figlia di Licio Gelli ed elencò le finalità istituzionali e politiche delle azioni della P2. L’obiettivo era quello di far diventare l’Italia una sorta di Repubblica presidenziale trasformando il vecchio sistema politico, ritenuto da Gelli instabile e obsoleto. In una intervista Gelli ammise che inviò al Presidente Leone una relazione nella quale aveva inserito tutte le modifiche da apportare alla Costituzione, basandosi sull’esperienza francese di De Gaulle <59. La Commissione Stragi sottolineò che il risultato finale dell’operato della P2 avrebbe mirato: ad una Magistratura più controllata e meno super partes, con diversa regolamentazione di accessi e di carriere; ad un Pubblico Ministero connesso alla responsabilità politica del Ministro della Giustizia; ad un Governo il cui Premier sarebbe stato eletto dal popolo, libero da pressioni del Parlamento i cui decreti non sono emendabili; ad un sistema di rappresentanza bipartitico, con elezioni a scadenza rigida e simultanee per Parlamento e i vari consigli regionali e comunali; ad un Parlamento non più a bicameralismo perfetto; ad una Pubblica Amministrazione più forte nei suoi apparati la quale non è assoggettata al controllo politico; ad una struttura sociale più rigida e meritocratica; ad un maggiore controllo sulla stampa; un’economia libera da eccessivi vincoli <60. Il piano in questione non avrebbe analizzato le modalità di attuazione: al suo interno non erano presenti scadenze temporali, modalità di finanziamento, strumenti normativi, politiche di gestione di un ipotetico transitorio. Tuttavia, la storia generale della P2 avrebbe dimostrato un tentativo di occupazione del potere attraverso la distribuzione di “fratelli” tesserati in ogni carica di responsabilità seguendo la logica di ogni massoneria. Questo modus operandi si unisce alla volontà di realizzazione di un progetto politico e di un assetto istituzionale volto a stravolgere l’esistente e violarne i suoi principi fondamentali. Effettivamente, la P2 contava un grande numero di iscritti a causa della catena di mutua assistenza che aveva creato il suo leader Licio Gelli. Una vasta rete di contatti, un modo per aiutarsi a vicenda tra gli iscritti, per far accrescere il potere e il patrimonio personale <61. <br /><b>2.5 Il doppiogiochista </b><br />Nato da una famiglia povera e dotato di grandi ambizioni, Licio Gelli scelse la strada del fascismo per dare inizio alla sua carriera. Si arruolò come volontario nella 94esima Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e, dopo aver falsificato i documenti non essendo ancora maggiorenne, partì per affiancare l’esercito franchista nella guerra in Spagna. Fece ritorno in Italia nel ’38 a causa della morte del fratello, nel dicembre dello stesso anno venne assunto al GUF <62 di Pistoia dove iniziò a farsi notare per il lavoro svolto. Nel 1940 Gelli fu richiamato alle armi, un anno dopo tornerà a Pistoia. Nel 1942, Gelli fu inviato in Montenegro, a Cattaro, insieme ad alcuni ufficiali del SIM <63, per recuperare il tesoro della Banca Nazionale Jugoslava, missione che portò a termine dando così una svolta alla sua carriera <64. A seguito dell’armistizio, Gelli, nella primavera del 1944, prese contatti con i partigiani, iniziò da qui il suo ruolo da doppiogiochista, caratterizzato dall’intrattenere rapporti con entrambe le parti. Dopo l’8 settembre Gelli si arruolò tra i repubblichini, i fascisti della Repubblica di Salò, fedeli a Mussolini e Hitler. Dal momento in cui le forze alleate e di liberazione iniziarono a conquistare sempre più territori della penisola, a discapito dei repubblichini, egli si riscoprì provvidenzialmente antifascista. Iniziò a intrattenere intensi rapporti con il CLN, fornì ai partigiani informazioni sulle imboscate della Wehrmacht e, probabilmente, collaborò con i servizi segreti alleati. Dopo la guerra divenne collaboratore di due parlamentari democristiani, Romolo Diecidue e Brunetto Bucciarelli Ducci, entrambi vicini ad Andreotti. Al contempo ricoprì la carica di direttore di uno stabilimento produttore di materassi a Frosinone. Proprio all’inaugurazione di una nuova sede della Permaflex, nel 1960, partecipò lo stesso Andreotti, all’epoca Ministro della Difesa <65. I primi contatti con il mondo massonico li ebbe nel 1963. Gelli cercò di iscriversi alla massoneria ma la sua domanda venne tenuta in sospeso a causa del suo passato fascista, fin quando, due gran maestri della P2, eredi della loggia Propaganda, sciolta sotto il fascismo, gli affidarono compiti e responsabilità crescenti. Nel 1970 Gelli venne incaricato della riorganizzazione della loggia Propaganda 2. Reclutò nuovi adepti nella politica, nel giornalismo e soprattutto nelle forze armate e nei servizi di intelligence. L’influenza di Licio Gelli andò anche oltreoceano, in sud America aveva grandi relazioni, capi politici e militari sudamericani erano massoni, come l’Ammiraglio Emilio Massera, protagonista del golpe di stato argentino, iscritto alla P2. Grazie ai suoi legami con il Governo argentino diviene consigliere economico dell’ambasciata a Roma.<br />Nel corso degli anni la sfera di influenza della P2, capitanata da Gelli, divenne sempre più ampia, l’organizzazione. era infiltrata in qualsiasi settore e poteva contare sul potere di personalità situate ai vertici degli apparati statali. Il sistema piramidale, con a capo Licio Gelli, di giorno in giorno riusciva a reclutare nuovi “fratelli”.<br /><b>3.1 Finanza e P2 </b><br />Oltre ai ruoli ricoperti in tentati colpi di Stato e attentati terroristici, uno dei settori di maggiore attività della Loggia P2 sarebbe stato quello delle tangenti private e di partito su affari stipulati da enti e industrie pubbliche. La pratica delle tangenti relative a contratti stipulati da enti pubblici è ampiamente diffusa in quei Paesi, di solito sottosviluppati, dove il potere è sostanzialmente irremovibile e dove viene a mancare il ricircolo governativo caratterizzato dal controllo democratico. Dunque, il mancato ricambio e l’assenza del controllo democratico sono i presupposti che trasformerebbero la corruzione occasionale in un sistema semi-legale, noto e accettato <66. L’Italia, pur rientrando tra i sette Paesi più industrializzati, era ed è ancora oggi un Paese con una burocrazia arretrata, caratterizzato da una mancanza di controllo sulla Pubblica Amministrazione <67.<br />I prelievi, relativi alle tangenti sugli appalti, sui contratti di commesse, sulle licenze e sui mutui accordati da istituti di credito pubblico, sarebbero così avvenuti alla luce del sole, motivati dal finanziamento di partiti e correnti. Le volte in cui casi del genere vennero rivelati, e finirono, per qualche ragione, dinanzi alla Commissione Parlamentare inquirente, si sarebbero risolti con l’innocenza degli imputati, insabbiando gli eventuali reati e non considerando in quella fattispecie il procacciare fondi ai partiti. Con tale pratica si sarebbe estesa la pregiudiziale di impunità, radicando il “malaffare” nella politica e nelle istituzioni italiane. Il tutto venne praticato in presenza di leggi formalmente severe: il reato di peculato prevede pene detentive fino a 20 anni e l’interdizione dai pubblici uffici. La procedura partiva dai dirigenti della Loggia, per poi passare al “servizio parallelo” che svolgeva le sue pratiche raccogliendo informazioni relative ai soggetti interessati, come ad esempio i politici, per poi arrivare ad un compromesso con questi ultimi che ricevevano il finanziamento illecito. Le due parti, ricattato e ricattatore, si dividevano il compenso. Con il passare del tempo, questa operazione si consolidò, divenendo sempre più facile: spesso ricattato e ricattatore erano entrambi piduisti e, talvolta, non c’era neanche più bisogno del ricatto <68. Analogo era il processo del controllo del credito bancario. Alcune grandi Casse di Risparmio e Istituti di credito erano diretti da personalità legate alla Loggia che erogavano finanziamenti a partiti e politici in cambio di raccomandazioni e favori in termini di carriera e di potere. L’esempio più emblematico fu la nomina da parte dell’Iri di Maffo Barone ad amministratore delegato del Banco di Roma a seguito delle pressioni di Fanfani, cui era stato segnalato da Michele Sindona; proprio Sindona avrebbe ricevuto numerosi favori bancari da Barone <69. Il sodalizio tra Sindona e la P2 fece fare alla Loggia un notevole salto di qualità. Michele Sindona avrebbe avuto legami con tutto il mondo finanziario situato tra Dallas (Texas) e Cosa Nostra. Dal momento in cui la P2 stabilì un legame con la Mafia sicula, il potere e la pericolosità del “servizio parallelo” subì un grande incremento anche se, anni dopo, fu proprio quel sodalizio con Sindona che condusse alla luce Gelli e la sua rete, a seguito delle confessioni di Joseph Crimi <70.<br />L’incontro con Sindona portò Gelli a conoscere Roberto Calvi. Il “finanziere” siciliano avrebbe condotto con Calvi alcune delle più brillanti operazioni della finanza italiana: «dalla Centrale alla Pacchetti, dalla Cattolica del Veneto a una quota importante del Credito Varesino, alla Saffa» <71. Non a caso, quando Sindona volle appropriarsi del controllo della Bastogi, fu proprio il Banco Ambrosiano, diretto da Calvi dal 1971, la banca incaricata di gestire sul mercato l’OPA.<br />Nel 1975 Calvi divenne il Presidente del Banco Ambrosiano. Da quel momento la banca cambiò fisionomia: Calvi iniziò a creare varie società off-shore situate in paradisi fiscali, attraverso cui fece transitare operazioni finanziarie losche che videro coinvolte la Mafia, la P2 e lo IOR <72. Il crack del Banco Ambrosiano iniziò nel 1977, a seguito della rottura del rapporto tra Calvi e Sindona. Proprio quest’ultimo avrebbe fatto affliggere, in tutta Milano, dei manifesti che denunciavano le irregolarità del Banco. Un anno dopo, nel 1978, 12 ispettori della Banca D’Italia fecero irruzione all’interno del Banco Ambrosiano e riscontrarono gravi irregolarità durante un’ispezione durata quasi sette mesi. I risultati furono riportati in un verbale, che verrà poi presentato al Magistrato Emilio Alessandrini, incaricato di condurre le indagini. Alessandrini riuscì a gestire il caso per poco più di quattro mesi, poiché fu assassinato da Prima Linea, un gruppo terroristico di estrema sinistra il 20 gennaio 1979 <73. Nella primavera del 1981, a seguito della scoperta della lista degli iscritti alla P2, vennero alla luce le operazioni illecite del Banco Ambrosiano e Calvi, trovatosi senza la protezione conferita da Gelli, fu arrestato. Due mesi più tardi venne condannato a quattro anni per violazione delle norme valutarie ma, in attesa del processo ottenne la libertà condizionata e tornò alla dirigenza del Banco. Senza la P2 e senza Gelli, Calvi si rifugio nelle braccia protettive di Flavio Carboni, faccendiere vicino alla Banda della Magliana e a Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra, e Francesco Pazienza. Non fu un caso che Roberto Rosone, vice di Calvi nel Banco Ambrosiano, subì un attentato, dopo aver espresso perplessità sull’operato di Calvi, per mano di un esponente della Banda romana: Danilo Abbruciati <74. Il consiglio di amministrazione del Banco destituì Calvi dal vertice, a seguito di una lettera da parte della Banca d’Italia, il 17 giugno 1982. Il banchiere milanese, consapevole di essere perseguito penalmente, scappò verso la Jugoslavia, poi in Austria e infine raggiunse Londra, dove venne trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge il 18 giugno 1982 <75. Il 9 luglio 1982 avvenne la liquidazione coatta amministrativa del Banco Ambrosiano.<br />Mario Draghi scrisse un articolo sul «Corriere della Sera» in cui esaminò le cause e le conseguenze dello scandalo del Banco: «Poca concorrenza in un mercato del credito minutamente regolato dalle Autorità; mercati finanziari di scarso spessore al servizio di pochi individui; onnipresente commistione tra banche e politica; rigidi controlli sui movimenti di capitale che mortificavano la già debole proiezione internazionale delle nostre banche più grandi, mentre le piccole, orgogliose del campanile, respingevano ogni cambiamento» <76. Oltre a Calvi, anche Licio Gelli, Umberto Ortolani e Flavio Carboni vennero condannati nel processo del crack dell’Ambrosiano; lo scandalo vide anche l’assunzione di responsabilità da parte dello IOR: il responsabile, l’arcivescovo Paul Marcinkus non venne mai arrestato perché risiedente dello Stato Vaticano, il quale non concesse l’estradizione <77. La P2, grazie ai suoi adepti nel mondo della finanza, riuscì ad impossessarsi anche della stampa, definita da Gelli come un’arma molto potente.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">57 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">58 Ermes Antonucci, Chi era Licio Gelli e che cos’era la P2, 16 dicembre 2015. www.lastampa.it https://www.lastampa.it/cronaca/2015/12/16/news/chi-era-licio-gelli-e-che-cos-era-la-p2-1.35200425/</span><br /><span style="font-size: x-small;">59 Diego Novelli, La democrazia umiliata, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1997.</span><br /><span style="font-size: x-small;">60 Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Loggia massonica P2, allegati alla relazione. https://www.stragi.it/rinascita</span><br /><span style="font-size: x-small;">61 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, 1981, Milano.</span><br /><span style="font-size: x-small;">62 Gruppi Universitari Fascisti.</span><br /><span style="font-size: x-small;">63 Servizio Informazioni Militare, servizio segreto fascista.</span><br /><span style="font-size: x-small;">64 Mario Guarino, Fedora Raugei, Licio Gelli. Vita, misteri, scandali del capo della Loggia P2, Edizioni Dedalo, Bari, 2016.</span><br /><span style="font-size: x-small;">65 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">66 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">67 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">68 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.</span><br /><span style="font-size: x-small;">69 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">70 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">71 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981, P. 21.</span><br /><span style="font-size: x-small;">72 Johnny Zotti, Banco Ambrosiano: storia de crack con radici in Vaticano, 26 dicembre 2020. https://investire.biz/articoli/analisi-previsioni-ricerche/economia-politica-diritto/crac-banco-ambrosiano-storia-fallimento-banca-roberto-calvi-ciclone-finanza-vaticano</span><br /><span style="font-size: x-small;">73 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/</span><br /><span style="font-size: x-small;">74 Ibidem.</span><br /><span style="font-size: x-small;">75 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/</span><br /><span style="font-size: x-small;">76 Mario Draghi, La lezione del crac Ambrosiano, 6 agosto 2007. https://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/08_Agosto/06/ambrosiano_crac_draghi.shtml</span><br /><span style="font-size: x-small;">77 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/</span><br /><b>Mattia Carnevali</b>, <i>Il deep-state italiano</i>, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2022-2023</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-75180040555738921492023-12-19T09:08:00.004+01:002023-12-19T09:13:18.054+01:00A che punto è la squadra Youngstown?<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilYxWAvhlIUeJdMtUIzu9G5HQdoqAOOCtowlfW89xBJMHIFLCDEkDE4tyVg_yrN9mSs7oThXVVe2HYzGzqmDEgik4mN_QdoWRuOZ5TuriJIQIuNX47MXvzK4CUEpF2zL7rTEgHoM75i0khqqfBp1_hYMz1456iQBrjbCGgM93zj_3tMQu6ejxfJVauqSc/s804/my7.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="804" data-original-width="509" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilYxWAvhlIUeJdMtUIzu9G5HQdoqAOOCtowlfW89xBJMHIFLCDEkDE4tyVg_yrN9mSs7oThXVVe2HYzGzqmDEgik4mN_QdoWRuOZ5TuriJIQIuNX47MXvzK4CUEpF2zL7rTEgHoM75i0khqqfBp1_hYMz1456iQBrjbCGgM93zj_3tMQu6ejxfJVauqSc/w406-h640/my7.jpg" width="406" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Prima della partenza per la Francia furono organizzate intense sessioni di addestramento e istruzione, ed io provvidi al briefing finale a Siena. Il 28 settembre [1944] il gruppo partì in base agli ordini del Generale Lyman Lemnitzer [uno dei responsabili inviati a negoziare con i fascisti italiani durante l’Operazione Sunrise e la resa tedesca nel 1945], ed arrivò ad Annecy il pomeriggio dello stesso giorno. Craveri fu accompagnato immediatamente al confine svizzero a prendere possesso della sua nuova centrale di collegamento con il CLNAI e con l’OSS/Svizzera: la posizione doveva inoltre consentirgli una maggior vicinanza con le missioni ORI di Milano e Torino. Il gruppo Goff cercava di infiltrarsi in Piemonte per raggiungere una delle formazioni comuniste e si mise al seguito del Tenente Milton Wolf, ma quando il gruppo decise di infiltrarsi in borghese, il Tenente tirò dritto per Grenoble […] Sebbene <a href="http://storiaminuta.altervista.org/alla-base-delle-missioni-soe-in-italia/" target="_blank">l’OSS</a> avesse una sua stazione ad Annecy, questa non era stata avvisata dell’arrivo del gruppo, e Bonfiglio dovette quindi proseguire fino al magazzino rifornimenti di Lione. Quando vi arrivò apprese che il deposito era stato trasferito a circa 200 miglia di distanza. Quando finalmente Bonfiglio ritornò dai suoi, il Maggiore Tozzi ed i membri del gruppo Papaya 2 erano partiti con quattro guide alla volta della Val Pellice. Facevano parte del gruppo il Guardiamarina Peck, il soldato semplice Berruti e l’operatore radio-telegrafista Sal Amodeo. Tozzi aveva fatto varie indagini in merito alle guide che Renato gli aveva inviato per scortare la missione. Casualmente, una delle staffette di Renato (Guy Giovanni) che si trovava in zona e rispondeva alla descrizione di una delle guide era in realtà venuto a consegnare un pacco e non come guida per la missione. La decisione di Tozzi di procedere senza indugio era in un certo senso strana, in quanto Logan, la sua radiotrasmittente, era entrata in onda il 2 ottobre con il seguente messaggio: “Arrivati a Aguilles. Niente Renato. Abries rasa al suolo. Tutti i valichi per l’Italia chiusi. Informate Renato della nostra presenza. Può raggiungerci via Comando francese. Abbiamo un contatto con Sisteron? A che punto è la squadra Youngstown?“<br /><b>Max Corvo</b>, <i>La campagna d’Italia dei servizi segreti americani. 1942-1945</i>, Libreria Editrice Goriziana, 2006<br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;">[…] saggio dello storico casalese <a href="https://www.facebook.com/sergio.favretto.37" target="_blank">Sergio Favretto</a> intitolato “Una trama sottile. Fiat: fabbrica, missioni alleate e Resistenza” […] Con quest’opera Favretto ci regala un approfondimento inedito sulle vicende resistenziali piemontesi. In vista della Liberazione, le formazioni partigiane, le SAP e i GAP urbani cooperarono con le missioni inglesi del SOE ed americane dell’OSS. Favretto muove dalla preziozissima lettura ed analisi contestualizzante di molte carte e documenti lasciati dal partigiano ed agente OSS Giancarlo Ratti; insegue con spiccata curiosità storica e significative testimonianze dirette lo svilupparsi delle vicende dall’8 settembre ’43 al maggio ’45. In questa cornice, Favretto esplora in modo nuovo e proficuo il ruolo del gruppo Fiat, nelle sue varie articolazioni. La proprietà, la dirigenza e le maestranze. Dai documenti, dalle testimonianze, dalla ricostruzione puntuale dei fatti emerge una storia recuperata, in parte nuova ed avvincente. Giancarlo Ratti era il capo della missione italo-americana Youngstown dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutata nel Monferrato a fine 1944, per un’operazione più ampia e coinvolgente tutto il Piemonte, in contemporanea con le varie missioni inglesi del SOE ( Special Operations Executive) e in raccordo con le formazioni partigiane. Braccio destro era Giansandro Menghi, alessandrino. A Torino, ancora fra Resistenza e missioni alleate ed intelligence, si collocano le figure del partigiano cattolico Ennio Pistoi e di Aminta Migliari, responsabile del SIMNI. Analizzando le carte lasciate da Ratti, emergono dati e circostanze puntuali, informazioni e documenti che si collegano anche al ruolo di Fiat a sostegno della Resistenza piemontese. Il tutto, attraverso la strategia di Vittorio Valletta e l’azione diretta dell’ingegnere Paolo Ragazzi, suo fedele manager; attraverso il ruolo assunto dall’avvocato Mario Dal Fiume e la posizione antifascista e dialettica di Antonio Banfo e Salvatore Melis; attraverso l’apporto coraggioso di Mario Tarallo e molti altri operai delle SAP, dei GAP e delle cellule del CNL aziendali. Franco e Gianni Ragazzi, figli di Paolo, con documenti inediti e ricordi precisi, hanno permesso all’autore di ricostruire uno scorcio di storia aziendale Fiat e di storia sociale a Torino, per lungo tempo opacizzata in un mix indistinto di luoghi comuni. Emerge, dunque, un interessante intreccio relazionale e documentale, riassumibile con il seguente paradigma: Giancarlo Ratti, memoriali di Vittorio Valletta, Paolo Ragazzi, Fiat, missioni alleate e intelligence, movimento in fabbrica e Resistenza piemontese. Opportunamente, viene inserita una breve incursione fra le pagine di Beppe Fenoglio. Con un’analisi storicizzante, si declina il rapporto fra le missioni inglesi e il partigiano Fenoglio, in contiguità fra vissuto e letteratura, con inediti sul ruolo del maggiore inglese Godfrey Leach del SOE. Viene ripresa, con nuovi dettagli, la drammatica vicenda dell’uccisione di Banfo e Melis, operai della Fiat Grandi Motori, avvenuta il 18 aprile 1945 alla vigilia della Liberazione per mano dei fascisti torinesi. Emergono i ruoli di Remo Garosci e Livio Bianco della Reale Mutua Assicurazioni, del banchiere Camillo Venesio di Banca Anonima di Credito, realtà finanziarie non piegate al regime fascista e pronte a scrivere pagine nuove. Un pezzo di storia rivisitato con meticolosità, utilizzando documenti riemersi e testimonianze dirette. Nel biennio 1943-1945 il Piemonte, Torino, la Fiat si rivelano contesti fattuali, storici e sociali di grande significato. La fabbrica, il mondo cattolico con il cardinal Maurilio Fossati e vari parroci impegnati, la città nel suo insieme, sono lo scenario per l’ultima battaglia contro il tedesco e la RSI […] Documenti, testimonianze, verbali, sentenze, immagini, molti inediti: è questo il paradigma di elementi che ha permesso all’autore del presente saggio di ricostruire la sottile trama esistente fra la Fiat, le missioni alleate e la Resistenza nel biennio 1943-1945. Agnelli, Valletta, Ragazzi, Ratti, Menghi, Banfo, Melis, Dal Fiume, Garosci, Peccei, Tarallo, gli agenti e i militari inglesi del SOE e quelli americani dell’OSS, le formazioni partigiane e le SAP interagirono in vista della Liberazione. Fu una cooperazione silenziosa e prudente. La fabbrica, con i dirigenti e gli operai, fu protagonista; Torino e il Piemonte ne furono il contesto. La proprietà e il movimento sindacale non vollero cedere al tedesco occupante e alla RSI: vari scioperi seguirono quelli del marzo 1943, aiuti tecnici ed economici vennero messi a disposizione; partigiani e agenti alleati operarono all’interno degli stabilimenti di Mirafiori e Grandi Motori; molti furono i dirigenti e gli operai impegnati in prima persona nella Guerra di Liberazione. <br /><b>Redazione</b>, <i>‘Una trama sottile’: il nuovo saggio di Sergio Favretto</i>, <a href="https://www.casalenews.it/" target="_blank">Casalenews</a>, 17 febbraio 2017<br /></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;">Testo della testimonianza resa da Aurelio Peccei, dirigente Fiat, al processo del 1946, contro i fascisti alla Corte di Assise Speciale di Torino.<br />“Alle nove di sera, fui portato nei locali dell’ultimo piano di via Asti, che erano riservati agli interrogatori notturni, appunto perché lontani da orecchie che potessero sentire i lamenti dei seviziati. Durante quest’interrogatorio Serloreti interveniva saltuariamente, lasciando però il compito di trattare la mia causa al De Amicis che era assistito dalla stessa squadra di agenti, di casa Littoria. L’interrogatorio durò fino alle 2,30, quando gli agenti furono chiamati fuori per altri importanti operazioni ed io restituito alla cella. Durante l’interrogatorio, oltre ai soliti trattamenti, fui per due volte sottoposto al supplizio denominato “gondola di Stalin”, sevizia questa particolarmente dolorosa che il maresciallo De Amicis si vantava di averla imparata in Croazia e che consisteva nell’appendermi legato ai polsi ed alle caviglie con catenelle ad un moschetto issato sopra due tavoli. Mentre ero in tal modo sospeso, gli agenti continuavano a percuotermi. Ad un certo punto le catenelle che mi legavano mani e piedi si ruppero e caddi di peso a terra. Malgrado questa involontaria interruzione il De Amicis si mise subito alla ricerca di un’altra catenella senza però trovarla. Ad ogni modo si dimostrarono intenzionati a proseguire le sevizie. Non risulta che il Serloreti abbia assistito al supplizio della “gondola di Stalin”, però terminata la stessa, venne nella stanza e mi annunciò un colpo di scena e cioè che era stato arrestato un mio complice …portarono infatti dentro un giovane che seppi più tardi chiamarsi Maurizio “ lo spagnolo” che però non riconobbi, perché non l’avevo mai visto ed a cui Serloreti indicò i miei polsi seviziati e il mio viso percosso dicendo che se non parlava avrebbe subito la stessa sorte”.<br />Francesca Banfo, intervista resa a giugno 2016 sull’uccisione del papà Antonio e del cognato Salvatore Melis.<br />“Quel giorno, a Torino, era stata programmata una generale astensione dal lavoro in tutte le fabbriche per protestare contro i fascisti della RSI, contro le violenze e le azioni di guerra; le SAP e i partigiani, le varie GAP ed i movimenti operai, le commissioni del CLN aziendali, avevano definito una prova generale in vista della imminente Liberazione. Io, da pochissimo tempo, aiutavo come commessa nella panetteria Sandrone, a pochi metri di casa, in via Scarlatti n. 4 bis, ad angolo con via Monterosa. Mentre servivo in negozio, un cliente raccontò come alla Grandi Motori, nel mattino, mio padre rispose apertamente a Cabras, comandante della Guardia Repubblicana della provincia di Torino, e chiese che si ponesse termine alle violenze ed alla catture degli antifascisti ed operai. Appresi come mio padre, all’invito esplicito di Cabras sul perchè dello sciopero, disse: “Scioperiamo perchè la mattina, quando ci rechiamo al lavoro non vogliamo più vedere i morti per le strade, vogliamo che finisca la guerra e con essa i massacri; non vogliamo più rappresaglie, vogliamo vivere in pace”.<br />Ancora Francesca che parla: “Papà, dopo il turno del lavoro, rientrò a casa in via Scarlatti, accompagnato dal genero Salvatore Melis. Memore di quanto sentii in panetteria, gli suggerii di lasciare l’abitazione e raggiungere la mamma a San Mauro Torinese. Non mi diede retta e mi tranquillizzò. Dopo cena, papà con il piccolo Davide di appena tre anni, con il genero Salvatore e il nipotino Giovanni andarono a passeggiare in strada. Esitarono sui gradini di casa. Ricordo di aver nuovamente insistito perchè si allontanasse e non mi diede retta. Andammo a riposare. Ma io non ero affatto tranquilla. All’improvviso suonarono il campanello all’uscio. Chiesi chi fossero e mi risposero “…siamo amici di papà, siamo del partito di papà…( era un’avvia simulazione)”. Papà e Melis intuirono e scesero in cortile e poi in cantina, io dovetti aprire e mi puntarono il mitra in volto. Erano tutti giovani, con il viso coperto…In casa restai con i fratelli e sorelle…misero tutto sottosopra…poi se ne andarono, senza catturare papà e Salvatore…Dopo poco, risuonarono e cercarono ancora papà; non trovai la chiave per aprire e poi udii il fragore di una bomba a mano esplosa nell’atrio della cantina. Intravidi papà e mio cognato salire su un camioncino ed andare via…Dopo una ventina di minuti, avvertii alcuni colpi d’arma da fuoco. Pensavamo tutti che papà e Salvatore fossero riusciti a fuggire. Melis non doveva essere arrestato; spontaneamente seguì lo suocero, per generosità…Mi recai poi all’obitorio di Medicina Legale per riconoscere i corpi; con me c’era il prof. Valletta; esaminai bene i cadaveri e non avevano subito torture, non vi erano segni di violenza…solo un colpo al cuore…non erano stati condotti in via Asti”.<br /><b>Sergio Favretto</b>, <i>Una trama sottile. Fiat: fabbrica, missioni alleate e Resistenza</i>, Seb27, 2017<br /></div><div><br /></div><div><div style="text-align: justify;">Reclutare uomini non serve se non si hanno armi. Oltre a quelle recuperate dai fascisti (tra defezioni e assalti alle caserme o presidi) la parte più consistente arriva dagli Alleati, che in tutto il nord Italia da 152 t. di materiale lanciato nel maggio passano 361 t. nel giugno e a 446 nel luglio. <617<br />Il supporto indispensabile degli Alleati sul piano materiale permette di far seguire all’aumento dell’organico un notevole sviluppo militare, che è inoltre aiutato dalla presenza di missioni inglesi nel cuneese e nelle Langhe a partire dall’inizio dell’estate [1944]. <618<br />[…] Colti tutti di sorpresa, mentre “Otello” segue una strada autonoma, i comandanti dei tre gruppi dell’Alessandrino decidono, dopo un’attenta valutazione, di passare con “Barbato”, anche su consiglio del capitano John, capo della missione alleata “Youngstown” nell’alessandrino, <856 il quale persuade i partigiani ad unirsi alla VIII zona per ricevere più armi, tanto più che “Otello”, destinatario di diversi aviolanci - secondo quanto riportato dal commissario della 45ª brigata - non sarebbe dell’intenzione di dividere le armi con le altre formazioni non autonome. <857<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">617 T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza, cit., p. 330. Un periodo positivo per i lanci confermato dalle relazioni delle formazioni autonome, “Relazione sull’attività svolta nel periodo dal 12 al 30/06/44”, s.f., 5.7.44 in AISRP, B AUT/mb 1 i</span><br /><span style="font-size: x-small;">618 Oltre alla nota missione di “Temple” presso “Mauri”, sono presenti la missione del maggiore “Hope” presso la VI divisione autonoma “Asti” a Cisterna; la missione “Youngstown” con sede a S. Maria di Mocalvo, composta di quattro ufficiali italiani che operano nell’OSS della V armata americana. Capo di questa missione è il capitano “John”, che si scoprirà essere un alessandrino, cap. Gian Sandro Menghi; e un gruppo di commandos inglesi che combattono a fianco degli autonomi nelle Langhe comandati dal cap. Mac Donald, in P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., pp. 79-80</span><br /><span style="font-size: x-small;">856 Il “cap. John” è in realtà l’alessandrino capitano Gian Sandro Menghi, che insieme ad altri quattro ufficiali italiani, tra cui il ten. Giancarlo Ratti, operava nell’OSS alle dipendenze della V armata americana. La sede della missione era a S. Maria di Moncalvo, in P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., p. 80</span><br /><span style="font-size: x-small;">857 «[…] considerato che tutti gli aviorifornimenti per la zona del Monferrato vengono effettuati presso il comando zona già costituito e che pertanto la nuova zona non avrebbe legami di sorta in proposito, considerato anche che per tendere alla effettiva unicità dei comandi è necessario impedire l’eccessivo frazionamento delle zone, i suddetti rappresentanti hanno deciso di mettersi a disposizione del già costituito comando di zona ed invitano le altre formazioni del settore a fare la stessa cosa», “Promemoria per la riunione dei Comandanti di formazione del Settore”, Comando VIII Divisione Garibaldi - Asti, Il commissario politico alla Delegazione, 18.2.45 in AISRP, MAT/ac 14 b, p. 4</span><br /><b>Giampaolo De Luca</b>, <i>Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese</i>, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013</div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-87237190400045330552023-12-10T11:13:00.003+01:002023-12-10T11:13:50.292+01:00Edison aveva brevettato una maniera per aggiungere il sonoro alle sue brevi pellicole<div><p style="text-align: justify;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2F8j8fR3B5ETcKwkNkY4vApWC6r5H6sMw4kknT6Gv7iPttgwBUtxwZ_LiiOPxJUqdkIswWjRSxA4RjiXDkdMfsU-Ccx3-NZMlb2HG2-Z4F4DPb0aooneJUJlTHOhuO9kVLzTayLEddQSgel7QtR544svx9pVgH5uyp6nafuf3jnH1fIROABfoPsxCgHs/s486/DicksonF_wk.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="362" data-original-width="486" height="297" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2F8j8fR3B5ETcKwkNkY4vApWC6r5H6sMw4kknT6Gv7iPttgwBUtxwZ_LiiOPxJUqdkIswWjRSxA4RjiXDkdMfsU-Ccx3-NZMlb2HG2-Z4F4DPb0aooneJUJlTHOhuO9kVLzTayLEddQSgel7QtR544svx9pVgH5uyp6nafuf3jnH1fIROABfoPsxCgHs/w400-h297/DicksonF_wk.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Un fotogramma del Dickson Experimental Sound Film (1895). Fonte: Wikipedia</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Ogni nuova tecnologia, che soppianta abitudini e usi precedenti alla sua nascita, è motivo di divisione, di crisi ma anche evoluzione e cambiamento sociale. Per Marshall McLuhan i media non si limitano a essere strumenti che ci portano verso il mondo ma costituiscono essi stessi il mondo reale.<br />Quando, nel 1921, viene fondata in Gran Bretagna la BBC (la più antica radio del mondo tuttora esistente) è la prima radicale innovazione nelle comunicazioni di massa dopo l'invenzione della stampa e conosce subito un grandissimo successo, soprattutto in America e in Europa.<br />Come sempre accade ad ogni medium, quando la tecnologia utilizzata viene messa a punto, si generano nuovi contenuti, linguaggi, immaginari, ed anche produttori e prodotti, consumi e consumatori.<br />La musica portatile e le notizie diffuse via radio, quindi la riproduzione di contenuti audio in diretta, ci hanno avvicinati da un capo all’altro del mondo. <br />Cerchiamo ora di capire cosa ha apportato in questo senso invece l’evoluzione del video, dal cinema alla tv.<br />[...] Ai fratelli Lumière si deve appunto l'idea di proiettare la pellicola, così da consentire la visione dello spettacolo ad una moltitudine di spettatori, quindi riproduzione di contenuti visivi in differita. Mentre la musica veniva<br />suonata in diretta, con un orchestra presente nel luogo di proiezione.<br />Nonostante ciò, intorno al 1900, essi, non intuendo il potenziale del loro brevetto come mezzo per fare spettacolo, ma considerandolo esclusivamente a fini documentaristici, cedettero i diritti di sfruttamento della loro invenzione a Charles Pathé.<br />Il cinematografo si diffuse così immediatamente in Europa e poi nel resto del mondo.<br />Si delinearono le prime tecniche proprie del linguaggio cinematografico (la soggettiva, il montaggio lineare, il raccordo sull'asse e i movimenti di camera) e i primi effetti speciali come i trucchi di montaggio (Méliès faceva apparire e sparire personaggi, oggetti e sfondi), le sovrimpressioni (dai registi della scuola di Brighton, riprese dalla fotografia), ecc.<br />La storia del cinema inizia a mutare radicalmente nel 1927, quando da un’arte prettamente visiva, passa ad includere in sé il linguaggio sonoro.<br />La possibilità di sincronizzare dei suoni alle immagini è vecchia come il cinema stesso: lo stesso Thomas Edison aveva brevettato una maniera per aggiungere il sonoro alle sue brevi pellicole <2.<br />Ma quando i vari esperimenti raggiunsero un livello qualitativo accettabile, ormai gli studios e la distribuzione nelle sale erano organizzati al meglio per la produzione muta per cui l'avvento del sonoro venne giudicato non necessario e a lungo rimandato per questioni economiche produttive: non era conveniente. <br />Cinema muto, per quanto riguarda il parlato, ma non privo di accompagnamento musicale, garantito dalla presenza in sala di un pianista o di un'intera orchestra.<br />Lo stato delle cose cambiò di colpo quando la Warner (oggi fra le più importanti case di produzione cinematografiche e televisive statunitensi), sull'orlo della bancarotta, giudicò di non avere ormai niente da perdere e, rischiando, lanciò il primo film sonoro: "Il cantante di jazz".<br />Fu un successo oltre le aspettative: nel giro di un paio di anni la nuova tecnologia si impose prima a tutte le altre case di produzione americane, e poi a quelle del resto del mondo.<br />La tecnica venne perfezionata ulteriormente nel 1930, creando due nuove attività, il doppiaggio e la sonorizzazione.<br />Questa novità provocò un terremoto nel mondo del cinema.<br />Con il sonoro e la musica, la recitazione teatrale a cui si affidavano gli attori del cinema muto risultava esagerata e ridicola: così, dopo alcuni fiaschi le stelle del cinema muto scomparvero in massa dalle scene, e salì alla ribalta un'intera nuova generazione di interpreti, dotati di voci più gradevoli e di una tecnica di recitazione più adatta al nuovo cinema.<br />Da qui in poi sarà l’evolversi dello stile narrativo e dei temi sociali uniti alle capacità tecniche dei più noti registi di tutti i tempi e alle modalità di fruizione, a scrivere la storia del cinema classico.<br />Ma noi proseguiamo il nostro viaggio in direzione della televisione, per far emergere come i media visti finora l'abbiano in parte “costruita”. <br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">2. Si tratta del Dickson Experimental Sound Film del 1895, il primo film il cui suono fu registrato assieme alle immagini, e fu girato appositamente per il Kinetoscopio</span><br /><b>Jessica Maullu</b> - <b>Valentina Beraldo</b>, <i>I contenuti televisivi nello scenario transmediale: format culturali attraverso la tv e il web</i>, Tesi di laurea Magistrale, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2010-2011</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-48789730564663991812023-12-01T16:45:00.002+01:002023-12-01T16:45:31.237+01:00Circa i primi tentativi di epurazione del fascismo<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivKa8QUftjlZqesrumGg2CHEniZztHsl2SQYRCwMPObI6G2i7QT_4Z79nnwyNgqIA7m3_1UNVez0zmbytS692yEha9PM8ReZSO_YtkaPsr6dBiz-7fT2ZN4fhD6a7JxQhqyhyndSVyoq-dc5RpZGmtbe7BRtRg3MOPERZw4Z2Xd65gzr-okcOrLgW_2ro/s412/hw4.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="412" data-original-width="299" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivKa8QUftjlZqesrumGg2CHEniZztHsl2SQYRCwMPObI6G2i7QT_4Z79nnwyNgqIA7m3_1UNVez0zmbytS692yEha9PM8ReZSO_YtkaPsr6dBiz-7fT2ZN4fhD6a7JxQhqyhyndSVyoq-dc5RpZGmtbe7BRtRg3MOPERZw4Z2Xd65gzr-okcOrLgW_2ro/w290-h400/hw4.jpg" width="290" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Il tentativo di defascistizzazione del Paese si dispiegò attraverso anni di produzione legislativa e mediante la creazione di istituzioni deputate alla messa in atto pratica di questo processo. Tale fenomeno partì ben prima del termine delle ostilità, anzi cominciò quando gran parte del territorio nazionale era ancora sottoposto all'occupazione nazifascista e, almeno nei decreti iniziali, sembrava chiaramente voler far rientrare nell'opera di giustizia ed epurazione non solo il recente fascismo repubblicano ma il fascismo tutto, mettendo dunque sotto giudizio l'intero sistema di potere che aveva controllato il paese nel ventennio precedente.<br />Il 28 dicembre 1943 il Regio decreto legge 29/B <506, prevedeva di sottoporre a giudizio chi avesse ricoperto cariche e ruoli partitici durante il Ventennio, ovvero chi avesse partecipato alla marcia su Roma, chi fosse stato squadrista, chi avesse ricoperto cariche nel partito ad alto ma anche al medio e al basso livello <507. <br />Il periodo badogliano dell'epurazione, ovvero quello del primo governo del maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, rimasto in carica fino alla svolta di Salerno dell'aprile 1944 <508, certo sembra essersi contraddistinto per una tendenza generale caratterizzata dalla volontà di eliminare le peggiori escrescenze fasciste e i personaggi maggiormente compromessi per mantenere, in realtà, la maggiore continuità possibile con il vecchio sistema di potere <509. <br />In particolare durante i «quarantacinque giorni», ovvero il periodo intercorso tra la caduta del fascismo il 25 luglio e l'armistizio dell'8 settembre 1943, gli Alleati al centro sud mostrarono maggiore decisione nell'opera di defascistizzazione di quanto non facessero le autorità italiane <510.<br />Dall'armistizio alla primavera-estate del 1944, la linea generale non sembrò cambiare più di tanto. Il 13 aprile del 1944 intervenne il Regio decreto n. 110 che istituiva un Alto commissariato per la epurazione nazionale del fascismo, prima istituzione centrale ufficialmente deputata all'applicazione del principio epurativo e punitivo <511. Esso veniva affidato a Tito Zaniboni <512, l'antifascista socialista che aveva tentato il primo fallito attentato contro Mussolini nel 1925. Poco più di un mese dopo, tuttavia, sotto il secondo governo Badoglio formatosi il 22 aprile, l'ordinamento veniva già modificato con la creazione di un Alto commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo (R.d.l. del 26 maggio 1944 n. 134, «Punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo»): agli inizi di giugno il conte Carlo Sforza <513 era nominato Alto commissario e Mario Berlinguer <514, del Partito d'azione, Alto commissario aggiunto. Se è vero che il decreto innestava accanto e assieme al problema dell'epurazione quello della punizione dei delitti, prevedendo anche la pena di morte per i reati più gravi e decretando l'annullamento delle amnistie emesse durante il fascismo, altrettanto vero è che si manifestava una caratteristica e un limite che avrebbero contraddistinto tutta la legislazione in materia: l'avvicendamento continuo degli organi preposti all'epurazione, primo e decisivo «elemento di disfunzione tecnica e organizzativa» <515, certo imputabile anche alla concomitanza e alle implicazioni del contesto bellico. Dopo la liberazione di Roma, il passaggio dal secondo governo Badoglio a quello di Ivanoe Bonomi <516, il 18 giugno 1944, con la creazione di un esecutivo guidato dai partiti del Comitato di liberazione nazionale, portò l'istanza e il disegno della defascistizzazione ad avere un peso e una decisività che prima non avevano avuto. Uno dei maggiori momenti di svolta per la storia della legislazione e dell'applicazione di epurazione e punizione è infatti il Decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo». È stato scritto che tale provvedimento, definito da Hans Woller «la Magna Charta dell'epurazione politica» <517, fu «il cardine principale di tutta la costruzione che, attraverso le sanzioni contro il fascismo, tentava di precostruire le coordinate su cui edificare il nuovo stato democratico» <518. Il decreto agiva in due direzioni principali. Da un lato con il Titolo II regolava, per la prima volta compiutamente, l'epurazione dell'amministrazione: l'articolo 12 stabiliva la dispensa dal servizio «per coloro che, specialmente in alti gradi, col partecipare attivamente alla vita politica del fascismo o con manifestazioni ripetute di apologia fascista, si [erano] mostrati indegni di servire lo stato», ma anche per «coloro che, anche nei gradi minori, [avevano] conseguito nomine ed avanzamenti per il favore del partito o dei gerarchi fascisti». Con gli articoli successivi, l'allontanamento dal servizio era previsto anche per coloro che avessero aderito attivamente alla Repubblica Sociale tra il 1943 e il 1945. Il giudizio di epurazione era affidato, con l'articolo 18, a Commissioni di primo grado costituite presso ogni ministero o amministrazione, ente autonomo, comune, provincia. Queste commissioni avrebbero dovute essere costituite da un magistrato, un funzionario dell'amministrazione o della prefettura, e un terzo membro designato dall'Alto commissario per le sanzioni. Il testo in oggetto sarà la base per la istituzione delle Commissioni provinciali di epurazione (in seguito, Delegazioni provinciali dell'Acsf). Il Titolo V regolava compiutamente le nuove funzioni dell'Alto commissario, cui veniva affidata l'opera di controllo e direzione dell'applicazione di tutta la materia trattata dal decreto in oggetto <519. Pochi giorni dopo l'emanazione del decreto, il conte Sforza veniva confermato Alto commissario, affiancato da quattro alti commissari aggiunti, uno per ogni ramo riconosciuto come parte del processo di defascistizzazione (punizione penale dei delitti, epurazione, liquidazione dei beni fascisti e avocazione dei profitti di regime); tra questi, si sceglieva il comunista Mauro Scoccimarro <520 per l'epurazione dell'amministrazione e veniva confermato l'azionista Mario Berlinguer per la punizione dei delitti.<br />L'altra direzione in cui agiva, in modo decisivo, il decreto, era infatti quello della punizione dei delitti in sede penale. L'articolo 2 del decreto istituiva un'Alta Corte di giustizia, composta «da un presidente e da otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e altre personalità di rettitudine intemerata»; ad essa veniva affidato il compito di perseguire i gerarchi del regime precedente <521. All'Alta Corte veniva assegnato anche il compito di decidere dell'eventuale decadenza dalla carica per i membri di Assemblee legislative (principalmente, i Senatori del regno) «che con i loro voti [avessero contribuito] al mantenimento del regime fascista e a rendere possibile la guerra» <522. L'articolo 3 del Dll permetteva di portare a processo coloro che avessero organizzato squadre fasciste, coloro che avevano promosso o diretto la salita al potere del fascismo nel 1922, coloro che avessero promosso o diretto, tra 1925 e 1926, la trasformazione del fascismo in regime e coloro che avessero contribuito, con «atti rilevanti» - una dicitura che, come sarà possibile vedere in seguito, generò non poche questioni di interpretazione - a mantenere in vita, dopo il 1925, lo stesso regime. Ancora: lo stesso articolo, al suo ultimo comma, rendeva punibili - potenzialmente, almeno - anche tutti quei delitti commessi durante il fascismo «per motivi fascisti o valendosi della situazione creata dal fascismo»; fatti e reati che magari non erano stati precedentemente perseguiti perché, appunto, commessi all'ombra e grazie al clima favorevole del regime <523. È importante quindi evidenziare come, inizialmente, i decreti della transizione prevedessero la possibilità di portare a processo, in sede penale, anche i delitti del fascismo monarchico, del Ventennio di regime, e non solo quelli commessi, nell'ambito del collaborazionismo con i tedeschi occupanti, nel corso del ‘43-‘45. L'articolo 4 stabiliva che i delitti previsti in questi articoli venissero giudicati «dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori». Le Corti d'assise avrebbero dovuto essere composte da due magistrati e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini «di condotta morale e politica illibata» <524. Inoltre, con l'articolo 6 del decreto, veniva prevista la possibilità di riaprire casi processuali legati a fatti di violenza che, tra anni Venti e Trenta, avessero visto assoluzioni in favore di squadristi, casi per i quali venisse riconosciuto che tali assoluzioni erano state causate dall'influenza, diretta ma anche indiretta, esercitata dal clima illiberale determinato dal fascismo al potere <525. L'art. 5 del decreto costituiva poi la base giuridica delle imputazioni per il reato di collaborazionismo con il tedesco invasore, per i fatti verificatisi nel contesto della guerra in Italia durante il ‘43-‘45: "Chiunque, posteriormente all'8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra. Le pene stabilite per i militari sono applicate anche ai non militari. I militari saranno giudicati dai Tribunali militari, i non militari dai giudici ordinari <526.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">506 Cfr. Regio decreto legge 28 dicembre 1943 n. 29/B, «Defascistizzazione delle Amministrazioni dello Stato, degli Enti locali e parastatali, degli Enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti servizi pubblici o di interesse nazionale».</span><br /><span style="font-size: x-small;">507 Cfr. Marcello Flores, L'epurazione, in L'Italia dalla liberazione alla repubblica, (Atti del Convegno di Firenze-1976), Regione Toscana, Feltrinelli, Milano 1977, p. 413.</span><br /><span style="font-size: x-small;">508 Il primo governo del Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio rimase in carica dalla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1945, fino alla fine di aprile del 1944 (passando per l'8 settembre e per lo spostamento provvisorio della capitale al Sud). L'iniziativa di Togliatti e la svolta di Salerno dell'aprile 1944 portarono, in cambio del rinvio della questione istituzionale monarchia-repubblica, all'ingresso dei partiti del Cln all'interno dell'esecutivo e alla formazione del II governo Badoglio. Quest'ultimo, rimasto in carica fino alla liberazione di Roma nel giugno 1944, la quale sancì la definitiva leadership del Cln a capo dell'esecutivo, con il governo di Ivanoe Bonomi.</span><br /><span style="font-size: x-small;">509 M. Flores, L'epurazione, p. 413.</span><br /><span style="font-size: x-small;">510 Hans Woller, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia 1943-1948, il Mulino, Bologna 1997, p. 55.</span><br /><span style="font-size: x-small;">511 Cfr. Regio decreto legge (Rdl) 13 aprile 1944, n. 110, «Istituzione di un Alto commissario per la epurazione nazionale dal fascismo».</span><br /><span style="font-size: x-small;">512 Tito Zaniboni (Mantova 1883-Roma 1960). Veterano e decorato della Grande guerra, deputato socialista alla Camera tra 1921 e 1924, è noto per essere stato uno degli artefici del «patto di pacificazione» tra socialisti e fascisti nell'estate del 1921 (sua controparte principale, Giacomo Acerbo) e, soprattutto, per aver organizzato il primo attentato (fallito) contro Benito Mussolini il 4 novembre 1925 a Roma. Arrestato, processato per alto tradimento a trent'anni di reclusione, venne scarcerato soltanto l'8 settembre 1943. Venne nominato dal Presidente del Consiglio Badoglio primo Alto commissario per le sanzioni al fascismo nel febbraio del 1944; tuttavia, le sinistre, e i socialisti in particolare, valutarono la mossa di Badoglio come una manovra per mantenere stabile, in cambio, la marginalizzazione delle sinistre all'interno del governo; già a maggio, venne valutato di sostituire Zaniboni: al suo posto, venne nominato Carlo Sforza. Zaniboni fu poi Alto commissario per i profughi e i reduci.</span><br /><span style="font-size: x-small;">513 Carlo Sforza (Montignoso, Massa 1872-Roma 1952). Una delle figure più illustri di raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana e una delle poche a poter vantare, al contempo, una totale estraneità al fascismo. Nobile, di un ramo laterale della celebre casata milanese, si formò a Pisa e fece anzitutto carriera come diplomatico: alle soglie della Prima guerra mondiale, era una delle figure diplomatiche e istituzionali più rispettate anche all'estero. Interventista democratico e convinto sostenitore dei diritti territoriali italiani alla fine del conflitto, ebbe il suo primo incarico politico-istituzionale sotto il governo Nitti, con la nomina a sottosegretario agli Esteri (1919); un anno dopo, Giolitti lo nominò invece Ministro degli Esteri, veste nella quale Sforza guidò l'Italia alla firma del Trattato di Rapallo, che sanciva definitivamente i confini del Paese dopo la Grande guerra. Pur essendo una figura di primissimo piano istituzionale e diplomatico, dimostrò fin da subito la propria diffidenza e poi la propria avversione al fascismo, dimettendosi dalla carica di ambasciatore a Parigi il 30 ottobre 1922, due giorni dopo la marcia su Roma. Fu attivo nell'opposizione parlamentare, e fu uno dei pochissimi senatori che denunciarono esplicitamente, nell'aula del Senato, le responsabilità di Mussolini per la morte di Matteotti. L'anno prima, nel 1924, era stato tra coloro (assieme a Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi, Luigi Einaudi, Carlo Rosselli) che avevano seguito Giovanni Amendola nella fondazione della coraggiosa ma effimera dell'esperienza Unione nazionale democratica liberale. Con il consolidarsi del regime, dopo aver subito una serie di minacce e intimidazioni personali, nel 1927 Sforza decise per l'autoesilio all'estero. Rientrò in Italia alla fine del 1943 per prendere parte al governo Badoglio e del re al Sud, ma si dichiarò fin da subito intenzionato a perseguire la strada dell'allontanamento di Vittorio Emanuele III e della soluzione repubblicana. Fu nominato alla Consulta e poi eletto alla Costituente nelle file del Partito Repubblicano. Fu nuovamente Ministro degli Esteri nel terzo governo De Gasperi (febbraio 1947-maggio 1947), e lo rimase, nonostante il cambiamento dei governi, fino al luglio 1951. In questa veste, similmente a quanto successo alla fine della Grande guerra, firmò i trattati di pace per l'Italia ed ebbe un ruolo decisivo nell'ingresso dell'Italia nelle nuove organizzazioni e alleanze internazionali e di integrazione europea.</span><br /><span style="font-size: x-small;">514 Mario Berlinguer (Sassari 1891 - Roma 1969). Figlio di un avvocato ed esponente repubblicano sassarese - e padre del Berlinguer decisamente più noto, ovvero il leader del Partito Comunista Enrico Berlinguer (Sassari 1922 - Padova 1984) - Mario Berlinguer entrò giovanissimo nella politica sassarese, aderendo al repubblicanesimo, collaborando con «La Nuova Sardegna», fondata dal padre, e partecipando all'attività di una lega contadina. Si laureò in giurisprudenza nel 1913 discutendo una tesi di filosofia giuridica e l'anno successivo divenne procuratore legale. Dopo la Grande guerra, alla quale partecipò come interventista e volontario, aderì alle posizioni demoliberali di Giovanni Amendola: nel 1924, venne eletto alla Camera dei deputati; nel corso della campagna elettorale, subì violenze squadriste e intimidazioni. Nel frattempo, prese le redini del quotidiano «La Nuova Sardegna», dalle pagine del quale condusse una vigorosa campagna antifascista. Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, prese parte alla protesta dell'Aventino, fu tra coloro (Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi e altri) che seguirono Giovanni Amendola nella fondazione dell'effimera Unione Democratica Nazionale, nell'autunno 1924, e fu tra i deputati dichiarati decaduti dalla dittatura nel 1926; anche in questo periodo subì aggressioni e intimidazioni da parte dei fascisti. Nel corso degli anni Trenta, si dedicò alla professione forense, costretto ad estraniarsi dalla lotta politica, pur continuando a mantenere contatti clandestini con vari esponenti e anime antifasciste. Riprese la militanza politica, clandestinamente, già dal 1942: non credendo più nell'idea amendoliana di restaurazione liberale, aderì al programma del neonato Partito Sardo d'Azione e poi del Partito d'Azione nazionale. Già prima del 25 luglio 1943, sulle pagine di un nuovo giornale clandestino, «Avanti Sardegna!», invitò la popolazione alla lotta armata contro il fascismo. Fu rappresentante del Comitato di liberazione nazionale della Sardegna al congresso del Cln a Bari nel gennaio 1944. Con la formazione del governo Bonomi (giugno 1944), fu tra coloro chiamati a dirigere l'Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, con la delega alla Punizione dei delitti in sede penale, ruolo che rivestì per circa un anno fino al luglio 1945. In quei mesi, svolse anche il ruolo di pubblico ministero in alcuni importanti processi celebrati dall'Alta Corte di giustizia, tra cui quello contro il questore di Roma Pietro Caruso o quello contro il generale Mario Roatta. Fu poi membro della Consulta nazionale tra 1945 e 1946 per il Partito d'Azione; non partecipò all'esperienza della Assemblea Costituente, e dopo lo scioglimento del Partito d'Azione aderì al Partito Socialista Italiano, con il quale avrebbe proseguito tutta la carriera politica: nel 1948 fu eletto senatore nella I legislatura e poi alla Camera per altre tre legislature fino al 1968. Tra 1968 e 1969 dovette ritirarsi in seguito al peggioramento del suo stato di salute, afflitto da una lunga malattia. Morì nel luglio 1969, pochi mesi dopo che suo figlio Enrico, destinato a diventare il più importante leader della sinistra italiana tra anni Settanta e Ottanta, era stato eletto vicesegretario generale del Partito Comunista. La bibliografia su Mario Berlinguer non è ampia; cfr. Francesco M. Biscione, «Mario Berlinguer», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 34, Treccani 1988, ad nomen e, più recentemente, Massimiliano Paniga, Mario Berlinguer. Avvocato, magistrato e politico nell'Italia del Novecento, FrancoAngeli, Milano 2017.</span><br /><span style="font-size: x-small;">515 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 415.</span><br /><span style="font-size: x-small;">516 Ivanoe Bonomi (Mantova 1873-Roma 1951). Bonomi costituisce una delle figure di maggior raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana con, nel mezzo, una non così tempestiva avversione al fascismo. Iniziò ventenne la sua carriera politica tra le fila del Partito socialista, e nel frattempo si laureò in scienze naturali e in giurisprudenza. Fu deputato per quattro legislature della Camera tra 1909 e 1925, prima con il Partito socialista e poi con il Partito socialista riformista, dopo l'espulsione dell'area riformista dal Psi nel 1912. Dopo una serie di incarichi ministeriali tra anni Dieci e primi anni Venti, dal luglio 1921 al febbraio 1922 fu Presidente del Consiglio. In questa veste, fu piuttosto acquiescente nei confronti delle formazioni paramilitari fasciste e, diversamente, piuttosto duro nel reprimere quelle antifasciste, tra cui gli Arditi del Popolo. Del resto, già come Ministro della guerra, tra 1920 e 1921, aveva invitato le autorità dell'esercito, attraverso il capo di stato maggiore Pietro Badoglio, a tenere «prudenti contatti informativi» con i fascisti, cfr. Luigi Cortesi, «Ivanoe Bonomi», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 12, Treccani 1971, ad nomen. Nel novembre del 1922, votò la fiducia al primo governo Mussolini. Nel novembre 1924, tuttavia, aderì all'Unione democratica nazionale di Giovanni Amendola, e dopo il 1925 si ritirò a vita privata. Nel settembre 1942 fondò il giornale clandestino «Ricostruzione». Nel corso del 1943, il suo impegno e i suoi contatti con Badoglio e con il re ebbero un certo peso nelle vicende che portarono alla caduta di Mussolini il 25 luglio. Dopo la caduta del fascismo, venne nominato presidente del Comitato di liberazione nazionale. Successivamente fondò la Democrazia del lavoro, partito di ispirazione riformista e liberal-socialista, al quale aderirono personaggi come Meuccio Ruini, Mario Cevolotto, Enrico Molè. Dopo essere stato scelto come Presidente del Consiglio dell'esecutivo a trazione Cln, successivo alla «svolta di Salerno» e alla Liberazione di Roma, mantenne l'incarico dal giugno 1944 al giugno 1945, con due diverse compagini di sei mesi ciascuna (la seconda, priva del Psi e del Partito d'azione). Dal 1947 partecipò alla delegazione italiana agli accordi di pace. Nel frattempo, era passato al Partito socialista democratico italiano, divenendone presidente. Morì rivestendo la carica di Presidente del Senato nel corso della I legislatura.</span><br /><span style="font-size: x-small;">517 H. Woller, I conti con il fascismo, cit. p. 193.</span><br /><span style="font-size: x-small;">518 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 419.</span><br /><span style="font-size: x-small;">519 Così l'art. 40 Dll 27 luglio 1944 n.159, «Sanzioni contro il fascismo»: «Ad assicurare l'applicazione del presente decreto è istituito un Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. L'Alto commissario è nominato su deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è per la durata della carica equiparato ai magistrati dell'ordine giudiziario di primo grado. Egli è assistito da alti commissari aggiunti per ciascuno dei rami di sua competenza».</span><br /><span style="font-size: x-small;">520 Mauro Scoccimarro (Udine 1895-Roma 1972). Eroe di guerra nel 1915-18, nel 1917 aderì al Partito socialista per poi partecipare alla scissione del 1921 e alla fondazione del Partito comunista, partito nel quale militò per il resto della vita. Arrestato a Milano nel 1926 per attività antifascista, venne condannato dal Tribunale speciale a vent'anni di carcere, che scontò a Ponza e a Ventotene. Fu liberato soltanto nell'estate del 1943. Successivamente, partecipò ai quadri direttivi comunisti durante la Resistenza. Concluse l'esperienza presso l'Alto commissariato per diventare, nel dicembre 1944, Ministro dell'Italia occupata, fino al giungo 1945. Fu poi Ministro delle Finanze nel governo Parri, conservando il ruolo dal giugno 1945 al 1947. Deputato all'Assemblea Costituente, fu poi senatore nelle prime cinque legislature repubblicane.</span><br /><span style="font-size: x-small;">521 Art. 2 del Dll 27 luglio 1944: «I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe, sono puniti con l'ergastolo e, nei casi di più grave responsabilità, con la morte. Essi saranno giudicati da un'Alta Corte di giustizia composta di un presidente e di otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e fra altre personalità di rettitudine intemerata». Sull'Alta Corte di giustizia mancano testi e lavori ad essa integralmente dedicati. Recentemente (2015), hanno trattato il tema alcune pagine del già citato saggio di Francesca Tacchi, dedicando tuttavia attenzione soprattutto all'attività dei collegi difensivi impegnati nei processi dell'Alta Corte, cfr. F. Tacchi, Difendere i fascisti? Avvocati e avvocate nella giustizia di transizione, in G. Focardi e C. Nubola (a cura di), Nei Tribunali, cit., pp. 56-62. Tacchi riporta che l'Alta Corte celebrò 27 procedimenti contro 99 imputati (di cui ben 68 prosciolti in Camera di consiglio); dal 21 settembre 1944 all'11 ottobre 1945 l'Alta Corte emise 16 sentenze nei confronti di 31 persone; di queste, quattro a morte, sei all'ergastolo, e tre a 30 anni di reclusione, Ivi, p. 60.</span><br /><span style="font-size: x-small;">522 La questione era trattata dall'ultimo comma dell'articolo 8 del decreto: «[…] Quanto ai membri di Assemblee legislative o di enti ed istituti che con i loro voti o atti contribuirono al mantenimento del regime fascista ed a rendere possibile la guerra, la decadenza della loro carica sarà decisa dall'Alta Corte di cui all'art. 2, ciò senza pregiudizio delle sanzioni di cui al presente decreto in quanto siano applicabili».</span><br /><span style="font-size: x-small;">523 Articolo 3 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Coloro che hanno organizzato squadre fasciste, le quali hanno compiuto atti di violenza o di devastazione, e coloro che hanno promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922 sono puniti secondo l'art. 120 del Codice penale del 1889. Coloro che hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno in seguito contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista sono puniti secondo l'art. 118 del Codice stesso. Chiunque ha commesso altri delitti per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo è punito secondo le leggi del tempo».</span><br /><span style="font-size: x-small;">524 Art. 4 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «I delitti preveduti dall'articolo precedente sono giudicati, a seconda della rispettiva competenza, dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori. Le Corti d'assise sono costituite dai due magistrati, previsti dal Testo unico delle disposizioni legislative sull'ordinamento delle Corti di assise, e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini di condotta morale e politica illibata».</span><br /><span style="font-size: x-small;">525 Art. 6 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Non può essere invocata la prescrizione del reato e della pena a favore di coloro che, pur essendo colpevoli dei delitti di cui al presente decreto, sono rimasti finora impuniti per l'esistenza stessa del regime fascista. Per lo stesso motivo le amnistie e gli indulti concessi dopo il 28 ottobre 1922 sono inapplicabili ai delitti di cui al presente decreto e, se sono già stati applicati, le relative declaratorie sono revocate. […] Le sentenze pronunziate per gli stessi delitti possono essere dichiarate giuridicamente inesistenti quando sulla decisione abbia influito lo stato di morale coercizione determinato dal fascismo. La pronuncia al riguardo è affidata ad una Sezione della suprema Corte di Cassazione, designata dal Ministro Guardasigilli».</span><br /><span style="font-size: x-small;">526 Cit. art. 5 del Dll 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo».</span><br /><b>Matteo Bennati</b>, <i>Una giustizia in transizione. Trame complesse di giustizia e politica nel passaggio dal fascismo alla Repubblica</i>, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, Anno accademico 2020-2021</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-18954559194268838252023-11-23T11:34:00.004+01:002023-11-23T11:35:13.900+01:00Il giornalismo partecipativo in Italia come valutato alcuni anni fa<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWE8TBihq-yvx4bevYmlJ0xTapnyPY7xDNd8zbpakYcLiWHBDOWkZrGe0YTX9Bt_FnD2uSyRKVUCGms8RCUwBR3lqdK_TlBA_Q0mSU7TsIoXTMQqXgHLchd7F3eKRfpgbx44t6AWLlJ94AR0N16NxMRWRebrCkPyWFj5DYvbPPmGOeZO3EW7emje6pgxQ/s598/gm2.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="333" data-original-width="598" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWE8TBihq-yvx4bevYmlJ0xTapnyPY7xDNd8zbpakYcLiWHBDOWkZrGe0YTX9Bt_FnD2uSyRKVUCGms8RCUwBR3lqdK_TlBA_Q0mSU7TsIoXTMQqXgHLchd7F3eKRfpgbx44t6AWLlJ94AR0N16NxMRWRebrCkPyWFj5DYvbPPmGOeZO3EW7emje6pgxQ/w400-h223/gm2.GIF" width="400" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">In Italia il fenomeno del citizen journalism è relativamente recente. Le sue origini possono essere fatte risalire al maggio 2006, quando diversi forum di utenti denunciarono la pubblicazione on line di un video dove alcuni studenti maltrattavano un compagno disabile, suscitando la reazione sdegnata della blogosfera e dando il via all’inchiesta giornalistica iniziata dai canali mainstream di informazione. Tuttavia, l’attenzione che i principali canali di diffusione diedero a questa prima denuncia ad opera degli utenti fu relativamente bassa. Le cronache si incentrarono principalmente sul contenuto del video pubblicato piuttosto che sulle modalità di denuncia da parte della rete, focalizzando l’attenzione sulla necessità di porre limiti etici ai contenuti pubblicati on line. Questo fatto di cronaca locale, ad ogni modo, rese la galassia web consapevole della propria importanza nel reperire elementi da poter denunciare ai mass media e alle autorità competenti, e da quell’anno si moltiplicarono le inchieste collettive, il cui obiettivo principale è stato focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su tematiche altrimenti poste in secondo piano dal mondo dell’informazione mainstream.<br />L’unità cellulare dell’open source journalism è anche in Italia rappresentata dai blog di informazione, blog che da ormai un decennio sono diventati, anche grazie a contest basati sulla qualità e sul successo nella blogosfera come il Macchianera Blog Awards, una pedina fondamentale per valutare le sensazioni dell’opinione pubblica. Il successo del giornalismo user generated sta proprio nel fatto che giornalismo oggi non significa più soltanto pubblicare un articolo: ogni contributo può infatti far sì che i media svolgano meglio la loro funzione di controllo e che possano trovare temi innovativi, utilizzando la blogosfera come termometro sociale. Nei blog e nelle communities, nonché tramite reporter-cittadini, i giornalisti che fanno ricerche in modo professionale possono trovare argomenti e informazioni inedite e scovare in tempi molto più rapidi cambiamenti e pericoli.<br />Il giornalismo partecipativo è anche in Italia la risultante di una doppia evoluzione, tecnologica e sociale. La democratizzazione di Internet, la comparsa dei blog, lo sviluppo del digitale in tutte le sue forme, tutto ciò ha aumentato la possibilità di esprimersi, di comunicare e di scambiare informazione. Questa nuova realtà tecnologica ha consentito a un fenomeno sociale più profondo di concretizzarsi: il desiderio del cittadino di non subire l'informazione ma di parteciparvi.<br />I redattori di Current TV188 hanno definito in pochi punti i motivi per cui in Italia ebbe così successo l’esperimento della televisione on line fondata da Al Gore. Secondo questo piccolo manifesto della nuova efficienza dell’informazione le cause risiedevano in 5 fattori fondamentali:<br />- Qualità (video e pod erano infatti caricati dagli utenti e documentavano aspetti del mondo reali ed inesplorati)<br />- Flusso Continuo (non vi era un vero e proprio palinsesto, ma tutto si basava su pod e quindi su moduli di durata variabile, da 1 a 8 minuti; questo ha consentito un flusso ininterrotto dello stesso video durante un lasso temporale potenzialmente infinitamente esteso)<br />- Attualità (i redattori hanno trattato tematiche di informazione e approfondimento, e al contempo argomenti alternativi come lo sport e lo spettacolo)<br />- Democratizzazione (Current è riuscita infatti nell'intento di creare una community attorno al web dove non era prevista censura e dove era previsto che i video più graditi dagli utenti sarebbero stati trasmessi in tv e retribuiti)<br />- Rete Indipendente (a totale garanzia della democrazia dei contenuti).<br />Tra i primi a sperimentare il giornalismo partecipativo a tutti gli effetti in Italia vi furono i redattori di Radio Radicale con la creazione del sito FaiNotizia.it <189. Era il 2006, e il sito fu un “esperimento sociale e giornalistico finalizzato ad utilizzare il carattere libero e collaborativo dei nuovi media per dar vita a un nuovo modello di informazione”. Il sito divenne presto un luogo dove gli utenti si attivavano nella ricerca e nella redazione di notizie, potendo inserire i propri contributi testuali, video, foto, segnalare notizie interessanti trovate su altri siti o blog, commentare e votare le segnalazioni degli altri membri della community, e dare origine ad inchieste collaborative di vario genere. In un paio di anni FaiNotizia.it coinvolse più di 8.000 persone, che inserirono nel sito oltre 14.000 interventi, 18.000 segnalazioni, 27.000 commenti, 250 video e novanta inchieste.<br />Secondo gli ideatori del progetto, “la missione di un simile progetto è quella di tornare a mettere al centro dell'informazione il cittadino e il suo diritto a conoscere per deliberare, nella convinzione che nei nuovi media risieda un potenziale (ancora tutto da esplorare) tale da scardinare gli assetti attuali del sistema dell'informazione e da creare un luogo nuovo, una moderna agorà nella quale il cittadino è chiamato a dare un contributo attivo. Ogni persona rappresenta infatti una fonte unica e insostituibile di conoscenza e FaiNotizia.it costituisce lo spazio telematico per la condivisione e l'arricchimento di questo patrimonio di notizie, opinioni ed esperienze, che anche in questo caso è libero, grazie all'adozione delle licenze Creative Commons” <190.<br />Nello stesso anno è stato fondato Comincialitalia.net, il “primo quotidiano cartaceo italiano dei cittadini” <191, interamente scritto dai cittadini stessi, che ne rappresentano la Redazione. Si tratta di un giornale fai da te in cui l’utente-autore scrive on line, impagina e titola il suo articolo, e lo invia senza necessità di revisioni ulteriori. Ad oggi la testata vanta oltre sette mila visitatori unici al giorno, duecentomila al mese, e più di trecentocinquantamila pagine lette.<br />Navigando oggi nella rete è quindi possibile trovare numerosi esempi di piattaforme di user generated content. La versione italiana di Globalvoices <192, social media ideato dalla Harward Law School e basato sulla promozione del citizen journalism, è uno dei più attivi nella tutela dei consumatori e dei diritti umani. Il suo slogan è “il mondo ha bisogno di te: invia un contributo”.<br />Progetto di citizen journalism nato in Francia e dal 3 ottobre 2008 attivo anche in Italia, Agoravox.it193 è un sito d’informazione fatto dai cittadini che ha come obiettivo la creazione di un nuovo spazio d’incontro per la libera circolazione delle notizie. Il sito offre agli utenti la possibilità di pubblicare e commentare articoli e reportage di qualsiasi tipo, dalla cronaca allo sport passando per la cultura, l’economia e l’ambiente. Sfruttando le potenzialità di Internet, Agoravox si propone come nuova fonte d’informazione aperta da affiancare ai media tradizionali, proponendo periodicamente inchieste provenienti dal basso, e ottimizzando così il contributo dei propri blogger.<br />Il sito italiano di Indymedia (Indipendent Media Center Italia) è una rete di utenti attivi nel mondo della comunicazione: videomaker, radio, giornalisti e fotografi. Nato nel giugno del 2000, in occasione del vertice CSE di Bologna, oggi è tra i portali più attivi e visitati, grazie all’offerta di un eclettico strumento d’informazione e di dibattito interno al movimento No Global e non solo. Durante il G8 di Genova del 2001 è stato “il punto di riferimento non solo per le migliaia di mediattivisti che hanno partecipato alla copertura dell’evento, ma anche per milioni di persone che l’hanno considerato veritiero più di ogni altro mass media, attendibile nella cronaca degli eventi” <194. Visto<br />positivamente sia dal mediascape italiano che internazionale, il quale non ha potuto evitare di utilizzarlo come fonte privilegiata assegnandole agli occhi di un vasto pubblico un passe-partout di credibilità e attendibilità, Indymedia è un sito a pubblicazione aperta: chiunque può caricare direttamente e senza censura, registrazioni audio e video, immagini, articoli, comunicati.<br />Sensibilizzati dal fervore creativo generato dalla rete, anche numerosi giornalisti hanno aperto delle vetrine on line, con le quali avere un dialogo aperto e costante con i proprio lettori. Un fenomeno in costante crescita che ha trovato il proprio punto di riferimento nel blog di Beppe Grillo, personaggio di grande impatto sul pubblico che ha aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. Il vantaggio verificato dai giornalisti sta nell’essere slegati da organizzazioni editoriali, e dunque nel dovere rispondere solo al proprio pubblico, potendo così affidarsi ad una presentazione della realtà molto più diretta. Nello specifico, il blog di Beppe Grillo <195, votato nel marzo 2008 dall’Observer come nono blog più influente al mondo, si caratterizza per i toni spesso esasperati e folcloristici, connessi alla costante ricerca dello scoop, ma questo non ha impedito la pubblicazione e la citazione di molti dei suoi contenuti nei canali di informazione nazionali mainstream.<br />Altri esempi di grande impatto degli ultimi anni sono stati l’esperienza di Zero in Condotta a Bologna <196, il progetto interno a Wikipedia definito Wiki News <197, il progetto di editoria sociale collettiva Diggita <198, e il network sociale di giornalismo indipendente Open Journalist <199. Anche diverse testate giornalistiche italiane si sono aperte alla collaborazione dei propri lettori, e non sono rari in cui intere sezioni sono dedicate ai contributi bottom-up degli utenti. La Repubblica e Panorama sono state tra le prime testate ad aprire un dialogo reale con gli utenti, sia tramite i commenti alle notizie sia tramite gli spazi dedicati ai blog partecipativi dove i lettori possono interagire attraverso commenti critiche e suggerimenti, mentre Il Sole 24 Ore ha aperto il sito Nova100 che espleta la funzione di feed RSS (raccoglitore di notizie) impostato sulla raccolta di post di oltre 100 blogger privati <200.<br />Dal 2008, inoltre, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata è attivo il primo Master in Giornalismo Partecipativo, mentre nel 2010 la Rai ha realizzato la prima trasmissione del servizio pubblico di giornalismo partecipativo, “Citizen Report”, ideata da Giovanni Minoli e condotta da Federica Cellini; lo scopo fu quello di creare una “redazione diffusa” di vlogger e video maker impegnata in diversi temi di attualità: dal lavoro alla famiglia, dalla religione all'ecologia, dall'immigrazione alle dipendenze, fino al mondo degli studenti universitari, delle scuole di ballo, delle tifoserie e dei blog. Per Gianni Minoli Citizen Report ha rappresentato “l'ennesima declinazione del concetto di servizio pubblico, e in questo caso è stato il servizio pubblico ad aprirsi alle nuove forme di comunicazione multimediali e multipiattaforma, indipendenti e democratiche” <201. Nel 2011 Federica Cellini è stata inoltre autrice e conduttrice su Rai 2 de “I nuovi Mille”, trasmissione che si avvaleva degli strumenti del giornalismo partecipativo video blogger, dedicata a scoprire le storie di giovani Italiani nell’anno del 150 anniversario dell'Unità d'Italia.<br />Nel 2011 è stato infine lanciato anche in Italia il servizio di SpotUs, portale statunitense di crowfunding che cerca i fondi necessari per le inchieste proposte dagli utenti dai lettori stessi della blogosfera. Si tratta sostanzialmente dell’informazione generata e al contempo finanziata dal basso, e si sviluppa in tre differenti fasi:<br />- i cittadini, anche a nome di comitati o associazioni, propongono dei temi di inchiesta (sul territorio, sul mondo del lavoro o su tematiche sociali)<br />- i reporter, tanto giornalisti iscritti all’Ordine quanto semplici utenti, adottano la proposta e ne fissano il costo di realizzazione<br />- tutti gli utenti iscritti al sito possono votare le proposte più interessanti ed effettuare donazioni per finanziare l’inchiesta.<br />Se la proposta ottiene i fondi necessari, il reporter potrà realizzarla, e sarà seguito nel suo lavoro da un redattore di SpotUs, ai fini di supervisione ed editing, a cui spetterà una percentuale del 10%. Al termine del lavoro, dopo aver ottenuto il vaglio della redazione, l’inchiesta viene pubblicata sulla piattaforma sotto licenza Creative Commons Attribuzione 2.5. Secondo David Cohn, giornalista che nel 2008 fondò Spot.us, “il giornalismo non è un prodotto, è un processo ed è un processo partecipativo”. Negli Stati Uniti questo connubio tra crowfunding e giornalismo è da diversi anni una solida realtà, e molte importanti inchieste sono state finanziate dal pubblico, sia privati cittadini, sia comitati e organizzazioni. Secondo Federico Bo, uno dei fondatori della versione italiana di SpotUs “si deve capire che se si è davvero interessati a un problema o a una tematica, non basta più un semplice click, o un ‘mi piace’, ma devi essere disposto a impegnarti sul serio, a versare anche pochi euro, in modo da permettere ai reporter di affrontare quel tema senza rimetterci di tasca propria” <202.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">188 www.current.com</span><br /><span style="font-size: x-small;">189 www.fainotizia.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">190 www.fainotizia.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">191 www.comincialitalia.net</span><br /><span style="font-size: x-small;">192 it.globalvoicesonline.org</span><br /><span style="font-size: x-small;">193 www.agoravox.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">194 italy.indymedia.org</span><br /><span style="font-size: x-small;">195 www.beppegrillo.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">196 www.zic.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">197 it.wikinews.org/</span><br /><span style="font-size: x-small;">198 www.diggita.it</span><br /><span style="font-size: x-small;">199 www.openjournalist.com</span><br /><span style="font-size: x-small;">200 www.nova100.ilsole24ore.com/</span><br /><span style="font-size: x-small;">201 G. Minoli, da Citizen Report, la tv dà voce ai vlogger, in Corriere della Sera, 12 aprile 2010</span><br /><span style="font-size: x-small;">202 www.spotus.it</span><br /><b>Danilo di Capua</b>, <i>Tra società informazionale e prosumerismo: il citizen journalism e la partecipazione on line</i>, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2012<br /></div><div><br /></div><div><div style="text-align: justify;">Focus sull’italia: Rai Educational e Youreporter<br />Anche in Italia non tutti sono rimasti indifferenti o spaventati dal fenomeno del citizen journalism.<br />Numerosi giornalisti di professione hanno incominciato a partecipare attivamente alla vita del Web e a coinvolgere i citizen journalist nei loro lavori.<br />La stessa Rai accortasi della nuova tendenza nel mondo del giornalismo decise di creare una piattaforma a disposizione dei cittadini giornalisti curata e gestita da Gianni Minoli, pubblicista e conduttore televisivo <77.<br />Nacque infatti nel gennaio del 2008 una grande community online all’indirizzo www.citizenreport.rai.it firmata da Rai Educational e con la collaborazione di TheBlogTV.<br />Si trattava di una piattaforma dove chiunque poteva caricare foto, articoli e filmati che successivamente sarebbero diventati un programma televisivo innovativo in dieci puntate che avrebbe trattato i temi del periodo considerati più caldi dall’audience, con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e di raccontare storie che i media tradizionali avrebbero ignorato <78.<br />Un’idea sicuramente inedita ma che purtroppo non ha avuto i risultati sperati. Il progetto infatti, anche a causa di scarsi finanziamenti, ha cessato di esistere dopo solo un anno di attività, il sito eliminato e i contenuti andati perduti.<br />Il primo esperimento italiano è fallito, sia per gli scarsi risultati di audience ma soprattutto per la poco importanza che è stata attribuita a questo progetto dagli addetti ai lavori che hanno deciso di produrla in una canale come Rai Educational che raggiunge solo una piccola nicchia del pubblico italiano.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">77 http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Minoli</span><br /><span style="font-size: x-small;">78 D. MAZZOTTI, Il citizen journalism seduce Gianni Minoli, 20/09/2009, agoravox.it</span><br /><b>Riccardo Matarazzi</b>, <i>Il futuro dell’informazione tra giornalismo tradizionale e citizen journalism</i>, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2013-2014</div><p></p></div>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-45297682415999281222023-11-18T07:46:00.003+01:002023-11-18T07:47:23.993+01:00Un numero monografico di Propaganda imbastì la risposta del partito alla scomunica comminata a luglio ai suoi militanti<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilqrGFzdYk5QgYrze7go_ZO3CmKX0iIG1VgWikt6syZZCgNENzRbIOv6z7s1G-VDdQfPbEWzonk1IZBo7JZVoWChHjnEtgK8Km7VLX3uHW1JJ385PDrz2OSqrr0_1ITxwOM7myVj2v86vzfkdtcL2bulQL0bcL2FJskg-sEh3zGPeonGvMpW7oxvDJu8o/s1485/u.030448.GIF" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="759" data-original-width="1485" height="328" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilqrGFzdYk5QgYrze7go_ZO3CmKX0iIG1VgWikt6syZZCgNENzRbIOv6z7s1G-VDdQfPbEWzonk1IZBo7JZVoWChHjnEtgK8Km7VLX3uHW1JJ385PDrz2OSqrr0_1ITxwOM7myVj2v86vzfkdtcL2bulQL0bcL2FJskg-sEh3zGPeonGvMpW7oxvDJu8o/w640-h328/u.030448.GIF" width="640" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo la grande diffusione degli spunti per l’attacco alle gerarchie ecclesiastiche basati sulla partecipazione del Vaticano agli aspetti peggiori dell’economia capitalistica, ancora più a ridosso del 18 aprile [n.d.r.: 18 aprile 1948, data di svolgimento delle prime elezioni politiche del secondo dopoguerra] la propaganda di sinistra si concentrò su un altro tema che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto contribuire all’immagine di un alto clero cattolico ormai assai distante dallo spirito di libertà e giustizia proprio del cristianesimo, ma che avrebbe finito per portare «grave discredito» per il Fronte popolare e per allontanare da qualunque «analisi seria sulla linea politica della Santa Sede» <419. La pubblicazione avvenne a quindici giorni dal voto, il 3 aprile, e continuò il 4, giorno in cui con l’uscita della "Lettera aperta" il Fronte rivendicava la propria partecipazione alla migliore tradizione cristiana: in quei due numeri, la terza pagina dell’<i>Unità</i> fu interamente dedicata alla presentazione di alcuni "Documenti segreti della diplomazia vaticana", nell’ambito di un’inchiesta che sarebbe continuata nei giorni seguenti. Il quadro presentato rivelava una serie di dirette pressioni della Curia dapprima sugli ambienti della corte, e dal 2 giugno sulla DC: in cambio di finanziamenti per la campagna elettorale, le gerarchie ottennero l’uscita delle sinistre dal governo e l’attuazione di una politica estera rigidamente antisovietica. L’intrusione ecclesiastica, oltre ad essere una indebita ingerenza negli affari interni di un paese sovrano e costituzionalmente laico, appariva tanto più criticabile, dal momento che la diplomazia vaticana non sembrava escludere la possibilità di un intervento per favorire il ritorno di un regime autoritario <420.<br />Nello stesso giorno della pubblicazione da parte dell’<i>Unità</i>, sull’<i>Avanti! </i>si diede risalto alla nuova documentazione, mettendo in evidenza soprattutto il possibile ruolo dei gesuiti nell’intesa tra Chiesa e gruppi di destra per un possibile rovesciamento del regime democratico in caso di prevalenza del Fronte alle urne <421. Anche Il Paese, il 4 aprile, dedicò la propria terza pagina alla presentazione di tali documenti ritenuti dal commentatore assolutamente eccezionali, per la loro chiarezza nel dare una spiegazione su un atteggiamento che la Chiesa cattolica teneva nascosto ai suoi stessi fedeli <422.<br />La replica cattolica partì il 6 aprile, con una serie di articoli dell’Osservatore Romano tesa a dimostrare la scarsa credibilità delle informazioni raccolte dal Fronte. Ciò che era stato pubblicato nei giorni precedenti era tratto essenzialmente dal volume "Documenti Segreti della diplomazia vaticana", che si dichiarava pubblicato poco prima a Lugano. Secondo il quotidiano vaticano, però, i caratteri con cui era stato impostato tradivano la sua origine italiana, poiché rinviavano alla tipografia UESISA di Roma, il laboratorio da cui generalmente si serviva il PCI. Il lavoro, si veniva ancora a sapere, era stato curato da Virginio Scattolini, falsario noto già ai tempi del fascismo <423, ed era piuttosto affrettato: i documenti erano privi di riferimento archivistico, non si spiegava come si avesse avuto accesso a conversazioni e contatti riservati di cui si riportava il resoconto, gli spostamenti di alcuni personaggi potevano essere facilmente smentiti. L’impressione generale era riassunta in un brano dell’ultimo editoriale dell’<i>Osservatore Romano</i> relativo all’argomento:<br />«Mai era accaduto nella storia che, con un colpo di scena sensazionale, fossero rivelati i misteri di una delle più ermetiche e impenetrabili diplomazie». Queste parole stampate nel retro del leggendario volume dei “Documenti secreti” vaticani, rilette oggi hanno il sapore di una atroce ironia. Mai era infatti accaduto nella più modesta storia delle competizioni politiche ed elettorali, che, con un simile colpo di scena sensazionale, gli asseriti documenti avessero servito a documentare il falso di chi li raccolse e divulgò […] <424.<br />La scoperta dell’inaffidabilità dei documenti ebbe immediata eco sulla stampa cattolica ed in generale non comunista: diversi numeri del <i>Quotidiano</i> ospitarono interventi in proposito <425, e su <i>Oggi</i> si diede risalto, nel giorno stesso delle elezioni, alla «grande risata del Vaticano» causata dalla scoperta di simili falsificazioni <426.<br /><i>Dopo il 18 aprile: una polemica sottotraccia</i><br />Forse, proprio la magra figura rimediata con i "Documenti segreti" contribuì ad una modifica nella strategia di comunicazione comunista sugli argomenti relativi alla religione e alla Chiesa negli anni successivi al 1948. L’unica ripresa sistematica di spunti ostili verso le istituzioni religiose cattoliche, da parte della propaganda istituzionale del PCI, si ebbe alla fine del 1949, quando dopo alcuni mesi di attesa <427 un numero monografico di <i>Propaganda</i> imbastì la risposta del partito alla scomunica comminata a luglio ai suoi militanti. Le “Direttive di lavoro” che introducevano l’esposizione di materiale invitavano da subito i militanti ad «evitare la lotta antireligiosa che poteva dividere gli italiani», continuando ad impegnarsi soprattutto a «denunciare la funzione reazionaria del clero, che ricordava quella che esso ebbe nei momenti più critici della vita sociale di ogni epoca» <428. Gli articoli e le illustrazioni proposte in seguito riprendevano le inchieste precedenti sul potere economico e finanziario degli ambienti vaticani, con slogan come «Le chiavi del Vaticano aprono tutte le casseforti», e interventi in base ai quali l’amicizia della Chiesa cattolica con gli Stati Uniti era conseguenza della politica di «capitalismo aggressivo» d’Oltretevere <429.<br />La linea di continuità con i messaggi che avevano caratterizzato le precedenti campagne di comunicazione non era comprovata soltanto dalla persistenza dell’ormai radicato utilizzo del termine Vaticano, sia come aggettivo che come sostantivo, per indicare i vertici cattolici nei loro atteggiamenti più biasimevoli, quasi a negare appellativi connotati da maggiore sacralità. Al ritratto delle gerarchie ecclesiastiche era contrapposta, come già in precedenza, «la speranza cristiana di milioni di diseredati» realizzata «nella società socialista». Accompagnati da disegni esplicativi, in alcune pagine erano riportati passi delle Sacre scritture, affiancati per una comparazione con alcuni articoli della Costituzione sovietica del 1936: ad esempio, il passo di Giovanni «Dio ha scelto coloro che noi chiamiamo poveri» era avvicinato all’articolo 1, «La Costituzione Sovietica affida il potere dello Stato a chi produce e lavora»; la frase di San Paolo «Chi non lavora non mangia» era presentata come realizzata dall’articolo 12, «il lavoro è nell’URSS dovere e pegno d’onore per ogni cittadino atto al lavoro, secondo il principio: “Chi non lavora non mangia”»; alcune frasi degli Atti degli apostoli sul comunismo dei primi cristiani erano vicine all’articolo 6, che poneva la terra e i mezzi di produzione in proprietà collettiva; il motto evangelico «ogni albero che non dà buon frutto sarà sradicato e gettato nel fuoco» era commentato con le seguenti parole: «nell’URSS è stato abbattuto l’albero marcio dello sfruttamento e del privilegio» <430.<br />Tutte queste proposte trovarono ampi riscontri nei prodotti propagandistici elaborati su scala locale, come in un opuscolo diffuso dalla Camera del Lavoro di Roma, alla cui conclusione tutti gli argomenti polemici erano sintetizzati in un unico quadro:<br />"La scomunica di fatto è l’estremo tentativo che fa non solo il Vaticano, considerato come grande potenza finanziaria, ma tutto il capitalismo mondiale, per sanare le contraddizioni interne sul terreno della guerra santa contro i paesi del socialismo e i paesi a democrazia popolare […]. La scomunica è in sostanza un atto contro tutti coloro che soffrono, che lavorano, che guadagnano il pane con il sudore della fronte e con la loro intelligenza […]. La scomunica è un atto contro il socialismo, contro l’umanità […]. La scomunica infine è un atto conto la legge fondamentale del Vangelo, che ha spinto milioni di schiavi a soffrire e a morire per realizzare la grande aspirazione dell’amore e della fratellanza fra gli uomini". <431<br />Ma in molti degli articoli che avevano maggiore risalto nel fascicolo di <i>Propaganda</i>, la critica anticlericale era presentata come strettamente intrecciata, quasi fusa, con altri spunti polemici: le gerarchia cattolica era presentata come una forza antipopolare essenzialmente per il suo ruolo antinazionale, svolto fin dal Medioevo e soprattutto nel corso del Risorgimento, e per la sua opposizione a qualunque tentativo di sviluppo sociale e di diffusione del benessere. Il Vaticano, insomma, avrebbe svolto un ruolo negativo in relazione a tutti i grandi valori di cui il Partito comunista si proponeva come difensore e realizzatore <432. Negli anni successivi, la ripresa di spunti critici verso la Chiesa sull’Unità o negli opuscoli del PCI si svolse soprattutto in questi termini indiretti, come un fiume carsico che veniva richiamato all’attenzione del pubblico nel corso di polemiche più ampie e spesso apparentemente lontane da temi religiosi.<br />Sui fogli più direttamente ispirati all’anticlericalismo tradizionale, i richiami alle polemiche con la Chiesa rimasero abbastanza frequenti, soprattutto per quanto riguardava gli interventi culturali di terza pagina. Sul <i>Paese</i>, numerosi autori dedicarono i loro interventi alle proteste per le difficoltà che le minoranze religiose protestanti incontravano nell’esercizio dei loro culti, nonostante le garanzie della Costituzione e della legislazione ordinaria, a causa delle pressioni dei prelati locali sulle forze dell’ordine. Nel febbraio del 1953, su questo tema, uscì sul quotidiano romano una lunga e documentata inchiesta dell’avvocato Giacomo Rosapepe, che attraverso la trattazione di casi concreti raccolse gli spunti lanciati nel corso degli anni da collaboratori più assidui come Arturo Labriola e Mario Berlinguer <433.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">419 I giudizi riportati sono quelli di G. Miccoli, “Cattolici e comunisti…” cit., p. 78.</span><br /><span style="font-size: x-small;">420 “I documenti segreti della diplomazia vaticana”, L’Unità, 3/IV/1948, p. 3, e 4/IV/1948, p. 3.</span><br /><span style="font-size: x-small;">421 “L’ombra del ‘papa nero’ oscura il ‘papa bianco’”, Avanti!, 4/IV/1948, pp. 1-2.</span><br /><span style="font-size: x-small;">422 “Una spietata accusa contro la DC docile pedina della Segreteria di Stato”, Il Paese, 4/IV/1948, p. 3.</span><br /><span style="font-size: x-small;">423 Documenti segreti della diplomazia Vaticana, Lugano, SCOE, 1948, pp. 313.</span><br /><span style="font-size: x-small;">424 “Una pessima carta”, L’Osservatore Romano, 10/IV/1948, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">425 Cfr. ad es. “Perché il preteso diario è un falso costruito male”, Il Quotidiano, 8/IV/1948, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">426 V. Favori, “La grande risata del Vaticano”, Oggi, IV, 16, 18/IV/1948, pp. 6-7.</span><br /><span style="font-size: x-small;">427 Parziale eccezione fu il foglio speciale del Propagandista (I, 2, 18/VII/1949), che proponeva già in una presentazione scarna e sintetica alcuni spunti sviluppati in seguito.</span><br /><span style="font-size: x-small;">428 Propaganda, 26, 30/XI/1949, p. 1.</span><br /><span style="font-size: x-small;">429 Cfr. “Il Vaticano potenza capitalistica” e “La politica del Vaticano è oggi quella del capitalismo aggressivo”, Ibid., pp. 15-16 e 20.</span><br /><span style="font-size: x-small;">430 “La speranza cristiana di milioni di diseredati si realizza nella società socialista”, Ibid., pp. 45-47.</span><br /><span style="font-size: x-small;">431 La scomunica arme di classe, a cura dell’Ufficio Stampa e Propaganda della Camera del Lavoro di Roma e Provincia, Roma, 1949, pp. 12-13.</span><br /><span style="font-size: x-small;">432 Cfr. “Il Vaticano contro il Risorgimento”, “L’Unità d’Italia bestia nera del Vaticano”, “Il Vaticano contro i grandi italiani”, “Con le armi straniere contro la libertà del popolo italiano”, “Contro il progresso e la civiltà”, Propaganda, 26, 30/XI/1949, pp. 31-33.</span><br /><span style="font-size: x-small;">433 Per alcune informazioni sulle pressioni cattoliche contro le manifestazioni pubbliche del culto protestante negli anni successivi al 1948, cfr. l’ampia documentazione raccolta in P. Soddu, L’Italia del dopoguerra cit., passim e spec. Pp. 99 e ss.</span><br /><b>Andrea Mariuzzo</b>, <i>Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico</i>, Tesi di perfezionamento in discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2007 </div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-28715000763603244552023-11-07T08:25:00.003+01:002023-11-07T08:26:10.036+01:00Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele all’etica professionale<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKd5hjW2GxWyPWnwwVm2ms6TT5YdijBGp1x9OzYHghhyphenhyphenHvW7Ep1axisGV1uXu64FKnms1hclydkkIMPBU1tHjc97XMePOv9uRu7i1NTGzuEvOAlR4WU0e7-6Eg1bij1Y-gEmIb81cCxoEBTFduir6WojghyphenhypheneV3WoCmYw78dBXaVFm7Y6fM-_ePJcTsNl8/s1234/gdr2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1234" data-original-width="742" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKd5hjW2GxWyPWnwwVm2ms6TT5YdijBGp1x9OzYHghhyphenhyphenHvW7Ep1axisGV1uXu64FKnms1hclydkkIMPBU1tHjc97XMePOv9uRu7i1NTGzuEvOAlR4WU0e7-6Eg1bij1Y-gEmIb81cCxoEBTFduir6WojghyphenhypheneV3WoCmYw78dBXaVFm7Y6fM-_ePJcTsNl8/w384-h640/gdr2.jpg" width="384" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Intanto giova interrogarsi sui motivi che spinsero <a href="https://wordpress.com/post/condamina.wordpress.com/1452" target="_blank">Paronetto</a> ad aiutare in questo modo e nella sua veste di vicedirettore dell’Iri la <a href="http://storiaminuta.altervista.org/tedeschi-e-fascisti-a-roma-avrete-la-vita-difficile/" target="_blank">Resistenza</a> romana ed il Fronte militare <a href="http://storiaminuta.altervista.org/verso-la-fine-dellinverno-del-1944-si-assistette-a-una-ripresa-degli-attacchi-gappisti-in-roma/" target="_blank">clandestino</a>. Come detto, i documenti sulla vicenda sono pochi e sostanzialmente privi di una spiegazione circostanziata sulle ragioni di questa attività clandestina. I dati emersi nella lettera a Menichella consentono però di formulare alcune ipotesi. Paronetto sottolineò di aver operato a favore della Resistenza con una «libera e spontanea decisione», svolgendo così il suo «dovere di cittadino e di italiano». Ritenne il Fronte militare clandestino l’«unica autorità» legittima nella Capitale e si assunse la «piena responsabilità delle conseguenze» della sua azione <180. La storiografia ha cercato di ricostruire la mappa degli influssi formativi che hanno agito nelle scelte resistenziali, con un’attenzione specifica a quelle dei credenti, e ha individuato all’interno di questi percorsi i possibili elementi che hanno sostenuto le loro coscienze nel momento di prendere posizione dinanzi allo sfascio della patria <181. <br />Gli studi hanno inoltre ampliato la prospettiva sul fenomeno della Resistenza non soltanto come un fatto ideologico circoscritto, ma come un processo ricco di sfaccettature, nelle molteplici forme, non sempre armate, che assunse l’opposizione al nazifascismo. Questo allargamento di prospettiva, se rischia di far sbiadire la nozione forte di Resistenza e la consapevolezza politica che essa comportava, aiuta però a qualificare le esperienze illegali e clandestine, caritatevoli ed umanitarie, logistiche e di supporto che confluirono, come tanti rivoli, dentro il torrente della lotta ai nazisti e ai fascisti fedeli alla Repubblica sociale. Tra queste si collocò senz’altro l’opera di Paronetto <182. Ma cosa motivò la «libera e spontanea decisione» di aiutare <a href="http://storiaminuta.altervista.org/fabrizio-vassalli-opero-a-roma-per-oltre-cinque-mesi-con-un-gruppo-clandestino-riuscendo-a-fornire-preziose-informazioni-al-comando-alleato/" target="_blank">Montezemolo</a> facendo dell’Iri, come ricorda Ossicini, la cassa dei partigiani? <183 Senz’altro fu attivo in lui quella che Guido Formigoni ha individuata come una delle ragioni delle scelte resistenziali dei credenti, cioè un «senso di rigore morale, la percezione del dovere come un compito e un’esigenza fortemente introiettata. Nell’educazione cattolica di quei decenni, infatti - prosegue Formigoni - questo era un topos ricorrente: magari non era presente una tendenza a costruire un discernimento storico-politico, ma certamente esisteva la forte sottolineatura dell’integrità morale come esigenza prioritaria della persona, che comportava il rifiuto tendenziale di compromessi e adattamenti, nella vita privata come in quella pubblica» <184. In una dimensione personale e solitaria della scelta, che è un altro elemento comune del poliedrico movimento resistenziale <185, in Paronetto era altrettanto forte la consapevolezza di dover bilanciare la concretezza del reale e il radicalismo utopico, che fu la grande forza dell’approccio duttile del cattolicesimo alla Resistenza <186. Le ipotesi sulle motivazioni e sullo spirito con cui svolse il suo ruolo devono però fare i conti con almeno altri tre elementi: la «laicità» di questa scelta, l’etica professionale che la contraddistinse e la visione progettuale del futuro dell’Iri che la ispirò. Sul primo ed il secondo aspetto basta riportare alla mente le riflessioni espresse sia in Morale “professionale” del cittadino che in Rivoluzione e professione, delle quali, si può dire, l’opzione resistenziale fu una logica, “naturale” conseguenza. Nell’assumersi la responsabilità verso il Fronte militare clandestino egli compì il proprio «dovere di cittadino», senza alcun bisogno di direttive, interrogando solo la propria coscienza. Non è un aspetto da trascurare e le riflessioni di Maurilio Guasco in proposito sono interessanti: la Resistenza contribuì cioè a portare alla luce responsabilità e ruoli dei «laici» a lungo dimenticati, secondo una prassi diffusa che superò principi e teorie ed incise in modo sotterraneo ma notevole nel cammino di progressiva emancipazione del laicato a suo tempo richiamato <187. <br />Ancor più importante è che Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele alla «professione di cittadino» e all’etica professionale sulla quale aveva a lungo insistito su «Studium». La collaborazione con <a href="http://storiaminuta.altervista.org/fabrizio-vassalli-opero-a-roma-per-oltre-cinque-mesi-con-un-gruppo-clandestino-riuscendo-a-fornire-preziose-informazioni-al-comando-alleato/" target="_blank">Montezemolo</a>, attuata da cittadino e da professionista, senza maschere burocratiche o troppo impegnativi riferimenti ideologici, diede semplicemente una forma compiuta alle sue intuizioni sul valore morale della professione, sulla responsabilità che essa comporta, sulla sua «significazione interiore accanto a una esteriore efficacia» <188. Tutto questo però non sarebbe spiegato sino in fondo senza considerare il “progetto” studiato dai dirigenti dell’Istituto a partire dal trasferimento al Nord, che sembrò fornire l’ispirazione politica necessaria per facilitare nei modi possibili per l’ente e a prezzo di un grosso rischio la liberazione dal nazifascismo. Se è vero che durante la Resistenza ci fu «una significativa evoluzione, a volte nelle stesse persone, sia nelle motivazioni che nelle prospettive, espressione di una più matura acquisizione dei termini storici del problema politico e non solo etico-religioso» e che la «relazione che si tese a stabilire non fu più con il passato ma con il futuro» <189, allora la proiezione dell’Iri nel futuro dell’Italia liberata e la disobbedienza all’ordine preesistente furono ragioni di rilievo per l’azione nei mesi in cui Paronetto occupò l’Ufficio di Roma. È particolarmente indicativo il quadro di legittimità dentro il quale egli giustificò la sua attività: in attesa della regolare ripresa delle attività dell’Istituto il solo «legittimo governo italiano» era quello del Sud. L’unica autorità «legittima» a Roma era il Fronte militare clandestino. Ma - ed è questo un dato sul quale si torna - il «legittimo» superiore al quale egli rimise l’incarico tenuto durante questa parentesi eccezionale fu Menichella. Questo gesto conferma che tutto ciò fu compiuto non in ossequio ad una legittimità formale, ma per una consonanza ideale e sostanziale sui compiti svolti dall’Iri in quei mesi, tra i quali l’aiuto alla Resistenza non fu un mero accidente ma un aspetto importante, inscritto dentro un piano più ampio e ad esso servente. Le parole con le quali Menichella, l’11 giugno, replicò alle dimissioni di Paronetto non lasciano spazio a molti dubbi:<br />"La Sua lettera dell’8 scorso ha sbagliato indirizzo qualificandomi con l’usato titolo di Direttore Generale dell’IRI, giacché è mia opinione che il Governo italiano, rientrando a Roma, debba essere libero di scegliere i suoi collaboratori, senza remore di precostituite situazioni; ma è essa è bene diretta e me che per tanti anni L’ho avuta vicino, più che compagni di lavoro, amico veramente fra i più cari fra quanti hanno accompagnato e sorretto la mia fatica. E l’amico Le risponde, commosso, che, se non gli erano noti i particolari dell’azione da Lei svolta durante il tragico periodo decorso dall’8 settembre alla liberazione di Roma, gli era ben noto che Lei si prodigava in ogni modo e con un’audacia che spesso lo ha fatto tremare nell’opera antitedesca e di assistenza a quanti con l’azione e non con la parola soltanto hanno lavorato per il riscatto della Patria. Ebbi dunque ragione a non volere che Lei perdesse i contatti con gli uomini e con le aziende dell’Istituto quando, vincendo la Sua strenua opposizione, Le imposi di rimanere funzionario dell’IRI e per giustificare tale qualifica Le feci accettare la nomina a vice direttore, sia pure, come Lei volle … a tariffa ridotta. Il grado lo rimetterà a chi prenderà il comando dell’Istituto; ma permetta che Le dica (e la Sua modestia non se ne dolga) che Paronetto ha un solo grado di fronte agli uomini di ingegno e di alto sentire morale che hanno la fortuna di conoscerlo, e quel grado è altissimo, fra i più splendenti di quelli che al nostro disgraziato paese pur rimangono. Quanto ai prelevamenti del denaro usato nell’opera di assistenza patriottica, ho da dirle una sola cosa, della quale spero non si offenderà: poiché conosco quanto sia modesta la Sua situazione finanziaria, L’autorizzo a dichiarare a chicchessia che io garantisco personalmente i prelevamenti fatti e son pronto a reintegrarli qualora l’ortodossia amministrativa dovesse farne ritenere legittimo il ricupero" <190.<br />Questa lettera è una delle più efficaci - ed anche una delle ultime - testimonianze scritte del rapporto di amicizia che legò Menichella al suo collaboratore prediletto. Nonostante ogni auspicio egli dovrà però aspettare altri venti mesi prima di ritornare sullo scranno di direttore generale dell’Iri, appena pochi giorni prima di passare alla Banca d’Italia ed il suo primo pensiero - lo si è visto nell’incipit del quarto capitolo - sarà proprio il ricordo del «migliore» tra i suoi collaboratori, nel frattempo scomparso <191.<br />Come ai tempi dell’Ufficio studi, fu al loro sodalizio che si ricorse di nuovo per avere un’idea della situazione italiana all’indomani della liberazione di Roma. A farlo, stavolta, fu la Sottocommissione finanziaria del Controllo Alleato Americano, nella persona del capitano statunitense Andrew Kamarck, al quale, ai primi di luglio, giunse una lunga relazione sull’Iri e sullo scenario delle banche italiane a firma di Menichella. Al documento, come da antica consuetudine, aveva ampiamente lavorato Paronetto <192.<br />Nella relazione si richiamava a grandi linee la prassi di politica economica seguita negli ultimi decenni nel sistema bancario, gravata dall’idea che i crolli degli istituti di credito non fossero eventi fisiologici della salute economica del paese ma dei «drammi» che monopolizzavano gli sforzi e le preoccupazioni di tutti gli agenti economici. Si spiegava che «la lotta politica in Italia [aveva] trovato sempre nei dissesti bancari ampia materia per accusare e demolire uomini e correnti politiche per avventura compromessi o supposti compromessi con uomini e operazioni di banche in dissesto» <193. La spiegazione era rivolta a personale proveniente da Oltreoceano non avvezzo al quadro economico del paese e perciò era essenziale ma efficace: l’Iri non andava inteso «come l’ente di finanziamento e di controllo di una particolare categoria di industrie, che, per ragioni costituzionali, non fossero capaci di vivere nell’ambito dell’iniziativa privata ed avessero quindi bisogno di un particolare sussidio da parte dello Stato» <194. La funzione che l’Iri aveva svolto nel salvare l’economia italiana diventava ancora più importante nel momento in cui nessuno, se non lo Stato, poteva farsi carico della ricostruzione dell’apparato produttivo <195.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">180 AI, FSP, sc. 2, fald. 21, cart. 11, copia lettera ds. di Sergio Paronetto a Donato Menichella, 8 giugno 1944.</span><br /><span style="font-size: x-small;">181 Per avere un’idea della mole di studi in proposito si può consultare il lavoro di P. TRIONFINI, I cattolici italiani, la seconda guerra mondiale, la resistenza: una bibliografia, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XXXI, 1996, n. 1, pp. 34-184. Cfr. anche G. VECCHIO, Il laicato cattolico italiano di fronte alla guerra e alla Resistenza: scelte personali e appartenenza ecclesiale, in G. DE ROSA (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., pp. 251-294, specialmente le pp. 279-283 e, per il valore della testimonianza, V. E. GIUNTELLA, Restare cristiani per rimanere uomini, in AA.VV., Cristiani per la libertà. Dalla Resistenza alla Costituzione, Vita e Pensiero, Milano 1987, che, a p. 72, offre un dato di interesse ricordando che molti resistenti provenivano dalla Fuci montiniana. Cfr. anche ID., I cattolici nella Resistenza, in DSMC, cit., vol. I, t. 2, pp. 112-128; S. TRAMONTIN, I cattolici e la Resistenza, in Storia del movimento cattolico in Italia, cit., vol. IV, pp. 379-507; A. BRAVO, Resistenza civile, in E. COLLOTTI, R. SANDRI, F. SESSI, Dizionario della Resistenza, vol. I, cit., pp. 268-282 e Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la resistenza, numero monografico di «Ricerche per la storia religiosa di Roma», n. 12, 2009. Quazza, sintetizzando le piste di ricerca, ha ricondotto le scelte collettive ed individuali della Resistenza «a un tratto essenziale: lo “spontaneo” concorrere della situazione, nelle sue urgenze e violenze, con il rapidissimo, quasi fulmineo maturare, nella coscienza dei singoli e dei gruppi, dell’obbligatorietà, dell’inevitabilità dello schierarsi, dover scegliere da soli, condizionati dalla situazione, ma nel profondo liberi perché la situazione consentiva tre soluzioni, per la guerriglia partigiana, per la Repubblica sociale, per l’attesa»: G. QUAZZA, La guerra partigiana: proposte di ricerca, in F. FERRATINI TOSI, G. GRASSI, M. LEGNANI (a cura di), L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Franco Angeli, Milano 1988, p. 457.</span><br /><span style="font-size: x-small;">182 È interessante paragonare le scelte ed il suo modus operandi a quello di un altro commis d’ètat, Paolo Albertario, Direttore generale del ministero dell’Argricoltura della Rsi cbe utilizzò il suo ruolo per tutelare i bisogni alimentari dei civili contro gli interessi dei militari rappresentati dal governo di occupazione tedesco. Entrambi i loro casi rivelano molte analogie nelle scelte compiute in qualità di “tecnici” a favore della Resistenza: S. MISIANI, La via dei “tecnici”. Dalla Rsi alla ricostruzione: il caso di Paolo Albertario, cit., pp. 78-128.</span><br /><span style="font-size: x-small;">183 A. OSSICINI, Sergio Paronetto o delle idee chiare, cit., p. 288.</span><br /><span style="font-size: x-small;">184 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, in L. PAZZAGLIA (a cura di), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, cit., pp. 471-497.</span><br /><span style="font-size: x-small;">185 Su questo dato cfr. A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, in M. LEGNANI, F. VENDRAMINI, Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 433-457, specialmente pp. 442-442. Su di esso concorda F. TRANIELLO, Il mondo cattolico italiano nella seconda guerra mondiale, pp. 327-369.</span><br /><span style="font-size: x-small;">186 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, cit., p. 489. In questo senso, aggiunge Formigoni, «una partecipazione attenta alla lotta di Liberazione, portando dentro ad essa l’eredità di una fede così tratteggiata, dava alla lotta il senso di una “testimonianza cristiana”»: pp. 492-493.</span><br /><span style="font-size: x-small;">187 M. GUASCO, I cattolici e la Resistenza: ipotesi interpretative e percorsi di ricerca, in B. GARIGLIO (a cura di), Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 305-317. Pavone ha scritto che «la distinzione che trovò particolare difficoltà ad essere mediata fu dunque quella fra religione come fatto istituzionale, amministrato, ma non in modo esclusivo, dai vertici della gerarchia, e religione come fatto di coscienza. All’interno di entrambi i livelli si verificava in effetti lo sdoppiamento fra lo stare super partes e lo schierarsi. Al primo livello lo sdoppiamento generava una prudenza diplomatica rotta talvolta dalla compromissione con, o dalla opposizione contro, le autorità nazifasciste; al secondo livello poneva in luce il contrasto fra la pietà religiosa che accomuna amici e nemici, vincitori e vinti, e l’impegno attivo a fianco degli amici contro i nemici, in virtù di un’ispirazione religiosa alla ribellione contro la prepotenza e l’ingiustizia»: C. PAVONE, Una guerra civile, cit., p. 282.</span><br /><span style="font-size: x-small;">188 S. PARONETTO, Morale “professionale” del cittadino, cit.,</span><br /><span style="font-size: x-small;">189 A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, cit., p. 451.</span><br /><span style="font-size: x-small;">190 AI, FSP, sc. 5, fald. 13, cart. 40, fasc. 3, lettera ms. di Donato Menichella a Sergio Paronetto, 11 giugno 1944. A proposito della diminuzione dello stipendio, Menichella, ricordò l’«insegnamento di modestia e di bontà» ricevuto in «dieci anni di affettuosa, sincera e impareggiabile collaborazione», e confidò a Veronese: «Mi trattenni dal fare di più, come Egli meritava, solo per timore di turbare la Sua modestia, sicché grande fu la mia meraviglia allorquando mi si presentò per indurmi a limitare l’aumento che Gli avevo concesso, minimizzando il Suo lavoro e citando esempi di funzionari estranei al nostro ambiente, che, a Suo dire, valevano più di Lui ed avevano stipendi minori»: ASBI, Banca d’Italia, Direttorio Menichella, pratt., b. 25, fasc. 2, lettera ds. di Donato Menichella a Vittorino Veronese, 24 marzo 1955, riprodotta in Donato Menichella. Stabilità e sviluppo dell’economia italiana 1946-1960, vol. 1, Scritti e discorsi, cit., pp. 574-577.</span><br /><span style="font-size: x-small;">191 Giova ricordare che Menichella, durante tutto il periodo della guerra era rimasto, nell’Iri, al centro di un reticolo di relazioni e collaborazioni, «l’educatore, il moderatore di tutti, la cui autorevolezza è fattore di armonia e di ispirazione tra individualità così forti e attrezzate. Egli è veramente il punto di affidabilità cui guardano tutti, il fulcro che dà sicurezza e “suscita energie”. Il tesoro di cui Menichella è garante è la continuità di funzionamento dell’élite, che prima aveva fatto centro sull’Iri e sulle sue banche e poi farà centro sulla Banca d’Italia»: in S. BAIETTI, G. FARESE, Sergio Paronetto e il conferimento di forma la sistema economico italiano tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, in IDD., Sergio Paronetto e il formarsi della costituzione economica italiana, cit., p. 27.</span><br /><span style="font-size: x-small;">192 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, rappresentante della Finance Sub-Commission dell’A.C.C. presso l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.). Le origini dell’I.R.I. e la sua azione nei confronti della situazione bancaria», 2 luglio 1944. Il testo è commentato anche da G. LA BELLA, L’Iri nel dopoguerra, cit., p. 32 e da G. FUMI, Dalla fine del fascismo allo statuto del 1948, in V. CASTRONOVO (a cura di), Storia dell’Iri, cit., pp. 520-599, pp. 528-529. Giova riportare la testimonianza dello stesso Kamarck in proposito: «Poiché avevo bisogno di comprendere cosa fosse l’Iri, quale fosse e dovesse essere il suo ruolo nell’economia italiana, mi rivolsi a Menichella per avere informazioni. Trovai ciò che aveva da dirmi molto esauriente e, mi sembrò, degno di fede. Gli chiesi quindi di preparare un rapporto sulle origini e le funzioni dell’Iri, che potessimo usare come base per la determinazione della politica alleata nei confronti dell’Istituto. Egli lo preparò, e me lo consegno agli inizi del luglio 1944. A determinare la decisione allora presa dalla Acc sull’Iri concorsero molti fattori. Le mie conversazioni con il dottor Menichella mi avevano insegnato ad apprezzarlo, a rispettarlo e a riporre in lui la mia fiducia. L’aspetto esteriore dell’iri deponeva a favore dell’Istituto: gli uffici erano situati in una strada modesta, privi della pretenziosità e grandiosità fascista, si presentavano come gli uffici di un organismo pratico ed efficiente. Infine, il memorandum di Menichella era logico e convincente»: A. M. KAMARCK, Donato Menichella: la commissione di controllo alleata e l’Iri, l’Eca e la Banca d’Italia, in Donato Menichella. Testimonianze e studi raccolti dalla Banca d’Italia, cit., p. 39.</span><br /><span style="font-size: x-small;">193 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, cit.</span><br /><span style="font-size: x-small;">194 Ibid.</span><br /><span style="font-size: x-small;">195 Su questo cfr. anche A. M. KAMARCK, Politica finanziaria degli alleati in Italia (luglio 1943, febbraio 1947), Carecas, Roma 1977, pp. 62-63 e L. ROSSI, Gli Stati Uniti e la “provincia” italiana. 1943-1945. Politica ed economia secondo gli analisti del servizio segreto americano, Napoli 1990.</span><br /><span style="font-size: x-small;">196 Spataro ricordò il contributo di Paronetto alla Commissione economica della Dc, e che «il suo modo di fare modesto non impediva che si valutasse subito l’acutezza del suo ingegno e la solida preparazione culturale ed economica»: G. SPATARO, I democratici cristiani dalla dittatura alla Repubblica, Mondadori, Milano 1968 p. 349-352.</span><br /><b>Tiziano Torresi</b>, <i>Ascesi, pensiero ed azione. La vicenda biografica e la riflessione politica ed economica di Sergio Paronetto (1911-1945)</i>, Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2015</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-81509099463721614062023-10-30T17:49:00.001+01:002023-10-30T17:49:47.934+01:00Elementi che caratterizzeranno il movimento del '77<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://m.media-amazon.com/images/I/71cBsgzZUwL._SL1156_.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1156" data-original-width="708" height="640" src="https://m.media-amazon.com/images/I/71cBsgzZUwL._SL1156_.jpg" width="392" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Il movimento del '77 fu un fenomeno esclusivamente italiano: seppur considerato conclusivo della stagione di movimenti del '68-69, se ne differenziò per natura e modalità.<br />Lo storico inglese Paul Ginsborg, concentrandosi nella distinzione e nell'articolazione della natura e dei componenti del movimento, affermò che: «in termini generali è possibile differenziare il movimento del '77 in due tendenze, anche se spesso si intrecciano. La prima era “spontanea” e “creativa”, sensibile al discorso femminista, ironica e irriverente incline a creare strutture alternative piuttosto che a sfidare quelle al potere. […] La seconda tendenza “autonoma” e militarista , intendeva valorizzare una cultura della violenza degli anni precedenti e organizzare i “nuovi soggetti sociali” per una battaglia contro lo Stato» <118.<br />Nonostante la maggior parte del movimento del '77 si definiva antifascista e trattasse con diffidenza i giovani di estrema destra, alcuni stessi esponenti della sinistra istituzionale a compresero da subito la differenza con il movimento del '68, l'allontanamento del movimento dalla dottrina marxista-leninista, additando come “diciannovisti”, cioè fascisti mascherati o “barbari da respingere” <119 i contestatori.<br />I giovani fascisti, nonostante in minoranza e nonostante la diffidenza con cui erano trattati, come era accaduto per il '68, si lasceranno anche in questa occasione coinvolgere dalla contestazione. Anzi proprio perché il '68 « non era stato fatto», in occasione della nuova ondata «ci sarebbero stati» <120.<br />Le differenze fra il '68 e questa nuova ondata movimentista vanno ricercate principalmente nel contesto politico, economico e sociale, ormai mutato dalla fine degli anni '60.<br />Dal punto di vista economico, l'Italia avrebbe vissuto in quegli anni un'intesa recessione causata dalla crisi petrolifera dei primi anni '70, dovuta all'improvvisa e inaspettata interruzione del flusso di approvvigionamento di petrolio provenienti dalle nazioni appartenenti all'Opec <121.<br />La crisi rese chiaro a tutti la necessità di intervenire per cercare di ridurre i consumi energetici ed evitare di rimanere senza una delle fonti energetiche primarie più importanti; il prezzo al barile del 1973, attualizzato ad oggi, raggiungeva i 100 dollari.<br />A questi segnali si aggiunsero le prime avvisaglie della crisi del ciclo di accumulazione del capitale, apertasi ufficialmente con il recesso degli Stati Uniti, per volontà del presidente Nixon, dagli accordi di Bretton Woods, basati su un sistema di cambi fissi e sulla convertibilità del dollaro in oro <122.<br />Il venir meno di questi accordi avrebbe generato un nuovo sistema, basato su cambi flessibili e sulla fluttualità delle valute, con una conseguente speculazione sui mercati finanziari <123.<br />Questo fattore contribuì a potenziare la crisi del 1973 e la successiva del 1979, costringendo quei paesi che dovevano pagare il petrolio in dollari ad esborsi sempre maggiori, man mano che la valuta statunitense si apprezzava <124.<br />In sintesi la crisi petrolifera avrebbe generato in pochi anni un altissimo tasso di inflazione, il regresso della produzione industriale e conseguentemente, una forte disoccupazione.<br />Nonostante la differenza generazionale fra i giovani sessantottini e quelli che si preparavano ad affrontare il '77, alcuni problemi, tra cui quelli legati al mondo delle università e del lavoro sembravano mostrare le stesse, se non peggiori, criticità del decennio precedente. Nell'anno accademico '77-78, infatti, gli studenti immatricolati negli atenei italiani erano più di un milione, il doppio di quanti fossero dieci anni prima. Il boom di iscrizioni si registrò in particolare nella piccola borghesia e nelle regioni del Sud: «La loro motivazione era chiaramente la fuga dalla disoccupazione. Da un'inchiesta condotta nel 1975 tra gli studenti risultò che il 66% di essi ( nel sud addirittura 78%) sarebbe stato pronto a lasciare immediatamente gli studi in cambio di un posto di lavoro stabile» <125.<br />La crescente insoddisfazione di quelle fasce giovanili che non vedevano nemmeno più nel titolo di studio una modalità di cambiamento del proprio status, la mancanza di lavoro congiungete alle nuove istanze in tema di diritti umani e civili, la lotta al proibizionismo, sembravano non trovare un canale istituzionale in cui rispecchiarsi, bensì portarono a molteplici risposte autonome, che andavano dal pacifismo e l'isolazionismo hippy alla violenza degli scontri di strada.<br />Anche il PCI, partito che da sempre aveva cercato di farsi portatore della voce del cambiamento, sembrò non comprendere le volontà di quei giovani emarginati, descrivendoli come “untorelli” <126, simili ai primi nuclei del fascismo nascente.<br />Il PCI infatti, in quegli anni era desideroso di governare insieme alla Dc e riteneva necessario prendere le distanze dal movimento settantasettino.<br />A livello politico infatti, gli anni presi in considerazione sono i cosiddetti anni del “compromesso storico”, formula ideata nel settembre-ottobre 1973, dall'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, all'indomani del golpe di Pinochet.<br />La base di questa formula politica è rintracciabile nel lungo saggio pubblicato in tre parti dal quotidiano comunista «Rinascita» nel 28 Settembre del 1973, in cui Berlinguer rifletteva sull'esito drammatico dell'esperienza cilena <127 e da questi avvenimenti, pur così lontani, traeva alcune indicazioni utili alla riflessione sullo sviluppo della democrazia in Occidente <128.<br />Il disegno politico del segretario del PCI aveva un doppio intento: in primis, la collaborazione con la Dc avrebbe portato all'interruzione della conventio ad excludendum che aveva costretto i comunisti per trent'anni all'opposizione; inoltre, in un periodo storico segnato dall'aggravarsi della minaccia terrorista e dalla forza crescente delle violenze extraparlamentari, la partecipazione dei comunisti avrebbe potuto evitare una deriva autoritaria reazionaria .<br />Se la formula del compromesso così elaborata del segretario del Pci, trovò una sponda di discussione nell'ala sinistra della Dc, che aveva come riferimento il presidente di partito Aldo Moro, non ebbe altrettanto seguito nei settori più conservatori e reazionari del partito di maggioranza. Ciò contribuisce a spiegare, insieme ad una pluralità di condizionamenti interni e internazionali, la lentezza con la quale l'ipotesi dell'incontro tra cattolici e comunisti si sarebbe realizzata. Dopo una serie di contrattazioni si formò, dunque, nel 1976 il cosiddetto governo della “non-sfiducia”, un monocolore guidato da Giulio Andreotti in cui socialisti e comunisti, senza assumere incarichi ministeriali, si impegnarono a non votare contro l'esecutivo <129.<br />Da questo momento in poi il PCI, appoggiando dall'esterno il governo, da protettore dei giovani ribelli passò automaticamente dalla parte del nemico.<br />Nacque in opposizione nel 1973, lo stesso anno del lancio della formula del compromesso, alla sinistra istituzionale, “Autonomia Operaia”, che più che un movimento designava un'area che racchiudeva tutte le istanze ribellistiche, anarchiche, creative e generalmente rivoluzionarie che esplosero in quell'anno.<br />Come nel 1968 le proteste del movimento giovanile partirono dall'università, ma si diffusero in breve tempo nelle scuole superiori, dando vita alle prime autogestioni in licei ed istituti tecnici.<br />Assolutamente esplicativo della situazione che si andava profilando è ciò che accadde nel febbraio 1977: l'Università “La Sapienza” di Roma era in quei giorni occupata in segno di protesta contro una proposta di riforma dell'ordinamento. Quando Luciano Lama, segretario della CGIL, tentò di tenere un discorso nell'ateneo, accusando il movimento di essere un covo di fascisti, ebbe in risposta insulti e slogan urlati e fu costretto a fuggire mentre già erano scoppiati violenti scontri tra gli studenti e il servizio d'ordine del sindacato.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">118 P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, 1988, Torino.</span><br /><span style="font-size: x-small;">119 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">120 N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling&Kupfer Editori, Milano, 2008.</span><br /><span style="font-size: x-small;">121 G. Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, CEDAM, Roma, 2012.</span><br /><span style="font-size: x-small;">122 Ibidem</span><br /><span style="font-size: x-small;">123 Ibidem</span><br /><span style="font-size: x-small;">124 In economia il termine esprime l'aumento di valore di una valuta,espresso nell'unità monetaria di un'altra valuta.</span><br /><span style="font-size: x-small;">125 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.</span><br /><span style="font-size: x-small;">126 Ibidem</span><br /><span style="font-size: x-small;">127 L'11 settembre 1973 fu destituito, tramite colpo di stato, il governo di Salvador Allende. Augusto Pinochet, comandante dell'esercito e capo dei congiurati golpisti, instaurò una dittatura che durò fino all'11 marzo 1990.</span><br /><span style="font-size: x-small;">128 Da “Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile”, pubblicato da Rinascita, 28 settembre-2 ottobre 1973.</span><br /><span style="font-size: x-small;">129 P. Ginsborg, Storia dell'Italia contemporanea, società e politica, 1943-1988, Einaudi, Torino, 1990.</span><br /><b>Arianna Pepponi</b>, <i>Dal '68 fascista alla strage di Bologna: l'evoluzione della destra violenta in Italia</i>, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno Accademico 2015-2016</div><p></p><p style="text-align: justify;">Al di là delle forzature interpretative possiamo vedere che il perpetrarsi del non governo, democristiano, contribuiva ad accelerare lacerazioni crescenti, tuttavia nonostante tutte queste difficoltà Berlinguer proseguiva nella sua proposta, ovvero utilizzare la politica di austerità come mezzo per mettere in discussione un sistema in crisi: "I cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l'esaltazione dei particolarismi e dell'individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. Austerità come rigore, efficienza, serietà e giustizia: cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato in passato e che ha portato oggi a una crisi di drammatica portata. […] Viviamo, io credo, in uno dei momenti nei quali per alcuni paesi e in ogni caso per il nostro o si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società o si può andare incontro alla rovina comune delle classi in lotta; e cioè alla decadenza di una civiltà, alla rovina del paese". <111<br />Siamo al Teatro Eliseo, a Roma, è il 15 gennaio 1977, questo è il famoso discorso agli intellettuali cui abbiamo fatto accenno in precedenza. Nella tensione utopica e nelle connessioni culturali di questo appello possiamo trovare tutti i motivi di conflitto che percorreranno l'Italia di lì a pochi giorni. Nelle parole di Berlinguer echeggiano i tratti salienti della storia culturale del partito comunista, una storia di lungo periodo che vede nella questione morale e nella serietà gli elementi cardine di azione sulla realtà. Secondo Crainz, questa ipotesi di Berlinguer è rimasta: "nei cieli della metafisica" <112 in stridente contrasto con la politica concretamente praticata ed avallata. <br />Questa interpretazione non ci convince del tutto: come vedremo nello svolgersi del capitolo la politica di austerità, con anche i suoi corollari morali, verrà effettivamente applicata e sarà la piattaforma di consenso attraverso la quale avverrà un'opera sistematica di delegittimazione e repressione del movimento del '77.<br /><i>4.2 Le occupazioni delle Università e la cacciata di Lama</i><br />Giunti a questo punto del lavoro abbiamo ormai ben presenti gli elementi che caratterizzeranno il movimento del '77. Bisogna solo mettere in luce l'occasione che accenderà la miccia. A offrirla è il ministro Malfatti che introduce all'Università misure restrittive per piani di studio e appelli d'esame e riaccende la mobilitazione studentesca. Il primo febbraio, all'Università La Sapienza di Roma, mentre sono in corso alcune assemblee, vi è un'irruzione di neofascisti: usano bottiglie molotov e armi, uno studente è ferito gravemente da un colpo di pistola.<br />Il giorno dopo, un corteo promosso dai collettivi autonomi esce dall'università per raggiungere la sede missina da cui era partita la spedizione: le forze dell'ordine intervengono sparando a raffica, un agente e due studenti rimangono gravemente feriti. Nei giorni successivi, altre facoltà vengono occupate, finché il 5 febbraio una grande assemblea, tenutasi all'aperto, in piazzale della Minerva, decide l'occupazione dell'intera città universitaria in risposta al divieto, da parte del ministero dell'Interno, di manifestare. Quel giorno, in assemblea, fu sconfitta l'ipotesi di chi si dichiarava disposto ad accettare il livello dello scontro imposto dalla polizia che circondava l'Ateneo; e l'occupazione, seguita il giorno successivo da una grande festa indetta nell'università, segnò un importante rafforzamento per il movimento romano. Nell'Università occupata si delineava una presenza sociale nuova rispetto a quella classica delle occupazioni universitarie; numerosi osservatori colsero immediatamente questa novità, di un movimento composto più che da semplici studenti, da studenti - lavoratori, precari, marginali. Scrive Rivolta su "la Repubblica": "l'occupazione dell'Università e diventata una 'festa continua'. Dopo la festa popolare di giovedì, ieri di nuovo, nei viali c'era musica, agli studenti che protestano per la riforma si sono aggiunti i freak, i disperati, tutti quelli che la città ha spinto ai margini, tutti quelli che vivono alienati nelle piazze e nelle strade di periferia. E' un cocktail esplosivo, difficile da egemonizzare politicamente, che subisce la suggestione del disperato tentativo di 'riprendersi la vita' in ogni modo con tutti i mezzi. <113<br />E' interessante vedere come il mondo comunista approccia le agitazioni all'università: sulle prime prevale la sottovalutazione ed una narrazione che descrive sparuti gruppi di collettivi autonomi con forme di lotta dedite alla violenza.<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]<br />111 E. Berlinguer, Austerità. Occasione per trasformare l'Italia, Roma 1977, pp. 13-18.<br />112 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, p. 548.<br />113 C. Rivolta, Occupazione con feste e processi, da "la Repubblica", 12 febbraio 1977.</span><br /><b>Lorenzo Orsi</b>, <i>Tra austerità e desiderio. Ragioni e passioni di un conflitto tra comunisti e movimenti sociali tra 1976-1977</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2014-2015 </p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-26512011515476366072023-10-19T10:51:00.003+02:002023-11-03T08:14:16.166+01:00Al momento del ritiro, la IV armata conta ancora centomila uomini, di cui circa 60.000 combattenti, sparsi tra la Provenza e la Liguria<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://64.media.tumblr.com/e7c9e924ef90e3aadf4ac377d67520c5/58f0a3bf04425d37-18/s500x750/754ba66a578ce06eeda549e13eb3e00892e1c667.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="465" height="700" src="https://64.media.tumblr.com/e7c9e924ef90e3aadf4ac377d67520c5/58f0a3bf04425d37-18/s500x750/754ba66a578ce06eeda549e13eb3e00892e1c667.jpg" width="465" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">Per una più attenta riflessione sulle culture e sui rapporti tra le formazioni partigiane nelle Langhe, ci è sembrato utile, anziché ripercorrere cronologicamente la guerra di liberazione, trattare alcune delle sue tematiche e caratteristiche. Questa scelta, se è dovuta in parte all'esistenza di esaurienti studi sulla storia del movimento di liberazione nelle Langhe, <85 è altresì determinata dall'esigenza di far emergere quelle peculiarità che hanno dato originalità al movimento di liberazione nelle Langhe e nel basso Piemonte.<br />Partendo comunque dai fatti, abbiamo deciso di selezionare alcuni di questi al fine di mettere in luce le tematiche che più ci interessano ai fini della ricerca, rimandando ai testi citati in nota per gli aspetti generali.<br /><i>Lo sbandamento della IV armata nella provincia di Cuneo</i><br />"[...] una processione continua di truppe sbandate, di soldati a piedi, in bicicletta, a cavallo, la folla immensa dei senza gradi alla ricerca disperata di una via di scampo. Rotolano su Cuneo cinquantamila soldati. Non l'ombra di un colonnello, non l'ombra di un generale". <86<br />In Piemonte, all'indomani dell'8 settembre, vengono a realizzarsi una serie di circostanze che in breve tempo pongono la regione in una situazione alquanto particolare rispetto agli altri territori del nord Italia. La circostanza più densa di conseguenze sul piano militare, e poi su quello politico, è il ritiro della IV armata dalla Francia e il suo sbandamento in territorio cuneese. <87<br />L'armata, comandata dal generale Mario Vercellino, era dislocata in Provenza fin dal 1940 con circa 150.000 uomini. Pochi giorni prima dell'armistizio il comando si stava preparando per il rientro in Italia, dovendo essere sostituita nell'occupazione della regione da un'armata tedesca. <88 L'8 settembre coglie ufficiali e soldati di sorpresa, come accade del resto in ogni teatro operativo. La loro fortuna è trovarsi a pochi chilometri dall'Italia, per di più dalla regione, il Piemonte, dalla quale provenivano la maggior parte degli ufficiali e soldati e dove aveva sede il comando militare dell'armata.<br />La ritirata in territorio piemontese non è però priva di ostacoli. Di diversi episodi di resistenza si rendono protagonisti gli alpini lungo la zona di confine: Grenoble, Chambery, al passo del Moncenisio e quello in cui fu protagonista l'11° reggimento Alpini del col. Domingo Fornara. <89 A Nizza poi, solo la resistenza del presidio italiano in servizio alla stazione contribuisce ad agevolare il rientro dei soldati dell'armata in Italia. <90 La ritirata comporta quindi un prezzo molto alto in termini umani e materiali, in quanto durante le operazioni di rientro diversi reparti vengono disarmati da parte dei tedeschi lungo tutta la Costa Azzurra e condotti nei campi di prigionia. <91<br />Al momento del ritiro, la IV armata conta ancora centomila uomini, di cui circa 60.000 combattenti, sparsi tra la Provenza e la Liguria. La sera dell'8 settembre solo la II divisione celere è in territorio piemontese, presso Torino, mentre la divisione alpina “Pusteria” si trova parte in Savoia in marcia verso il Piemonte e parte a Ventimiglia. <92<br />Con le forze presenti in Italia, il comando della IV armata tenta di creare una linea difensiva nella parte occidentale del Piemonte, dapprima coinvolgendo l'11° reggimento alpini nella valle Dora Riparia, a ovest di Torino, poi una volta giunta notizia della disfatta del reggimento, viene tentata una seconda linea di difesa utilizzando la II divisione celere (10 settembre). Ma, la rapidità dei movimenti tedeschi lungo i passi montani e nell'avvicinamento a Torino fanno decidere il comando a spostare la II divisione nella zona di Cuneo, mentre nello stesso pomeriggio del 10 Torino viene occupata dai tedeschi. <93 Proprio l'occupazione del capoluogo e di altre città piemontesi <94 induce Vercellino a sciogliere ciò che rimane dell'armata. <95 <br />È il 12 settembre. <96 A questo punto i soldati si trovano senza guida. Come abbiamo detto, molti dei militari dell'armata sono piemontesi, pertanto il ritorno alle proprie famiglie diventa possibile, e in alcuni casi auspicabile, dato il catastrofico momento che sta vivendo l'esercito, ma buona parte del resto dei soldati, tra cui anche alcuni ufficiali, è di origine meridionale. A questi è impedita ogni possibilità di un rapido rientro a casa, e sono pertanto costretti a rimanere in Piemonte, possibilmente nascosti. È il momento di decidere cosa fare, non solo per questi ultimi, che non hanno alternative tra consegnarsi ai tedeschi e restare in Piemonte, ma anche per gli stessi soldati di origine piemontese, per i quali un rientro a casa, seppur desiderato e possibile, comporterebbe dei rischi per sé e per le proprie famiglie. Se nella penisola la soluzione prevalente è il «tutti a casa», i “superstiti” della IV armata si trovano nella condizione di poter fare una sola scelta di fronte all'occupazione tedesca. Mentre i soldati e gli ufficiali piemontesi dell'armata si trovano già «a casa», i soldati meridionali sono costretti a seguire i propri ufficiali e accettare l'accoglienza della popolazione locale. <97 Per i primi, il legame con la propria terra è stato sicuramente un'ulteriore motivazione alla resistenza contro l'occupante tedesco, mentre i secondi si trovano in una situazione che non offre molte altre sicure alternative. Per le circostanze in cui si verifica, la scelta di questi soldati è in parte dovuta a ragioni di sopravvivenza e in parte a spirito di resistenza. <98 Molti soldati, una volta caduto il comando, di fronte a un momento di vuoto di potere seguono i propri ufficiali. <a href="http://storiaminuta.altervista.org/e-lavvocato-pompeo-colajanni-un-signore-amico-del-popolo/" target="_blank">Pompeo Colajanni</a>, “Nicola “Barbato”, tenente del cavalleggeri a Cavour, dopo aver visto giungere gruppi di sbandati della IV armata la mattina del 9 e soldati in fuga dalla caserma di Pinerolo, che nel frattempo veniva circondata dai tedeschi, la sera del 10 raduna una quindicina di uomini, tutti meridionali, prende un camion e si dirige verso Barge, dove nella casa di Virginia e Ludovico Geymonat li attendono veterani e staffette del partito comunista di Torino. <99<br />La particolarità della provincia di Cuneo sta nell'avere a disposizione un gran numero di uomini, in parte armati ed equipaggiati, addestrati alla guerra e guidati da quegli ufficiali che hanno deciso di restare accanto ai propri uomini. <100 Ciò che rimane della IV armata «rappresentò fin dall'inizio una cospicua riserva di uomini e di mezzi, che in un momento di grave crisi riversò tra le montagne un gran numero di ufficiali e sottufficiali, quasi sempre seguiti dai loro soldati». <101 La presenza di militari, pur dotati di un certo spontaneismo sia militare che politico, non è però circostanza sufficiente allo sviluppo del movimento partigiano in provincia di Cuneo. È necessario individuare altri<br />elementi che hanno permesso lo sviluppo di un'organizzazione partigiana continuativa in territorio occupato. Si possono considerare tre fattori principali: le circostanze dello sbandamento della IV armata, il territorio in cui esso si verifica e l'assenza di armate tedesche di grandi dimensioni dislocate nel Piemonte occidentale agli inizi di settembre. <102 I soldati della IV armata, rispetto ad altri contingenti italiani, hanno in primo luogo il vantaggio di essere già in fase di rientro verso l'Italia nei giorni immediatamente successivi all'armistizio. Per i tedeschi risulta più difficile attuare il disarmo e l'arresto di truppe che sono in viaggio, sparse su un territorio lungo centinaia di chilometri. Per i soldati acquartierati in caserma, come quelli di Pinerolo, il destino è segnato. <103 Lungo il viaggio dalla Provenza alla provincia di Cuneo la IV armata, pur subendo molte perdite a causa dell'azione tedesca, riesce a mantenere compatti alcuni reparti fino all'arrivo in territorio italiano. Qui, per molti soldati è come essere tornati a casa: conoscono il territorio, il dialetto, la popolazione. Inoltre, subito dopo lo scioglimento dell'armata, sanno dove nascondersi e possono ricevere aiuto dalle popolazioni che abitano quelle zone.<br />L'aiuto si manifesta in forme diverse. Oltre a vestire di abiti civili i militari, la popolazione della provincia di Cuneo dà informazioni stradali, offre ospitalità temporanea che, in alcuni casi, si traduce in integrazione nel nucleo famigliare, presso cui diversi ex militari svolgono lavori nei campi o altro tipo di attività. <104 Mario Giovana scrive infatti che l'inevitabile connivenza con il movimento partigiano si realizza nell'ottica di un aiuto che viene offerto non tanto al partigiano militante quanto «[al] proprio congiunto buttatosi alla macchia e con quelli che hanno bisogno di aiuto come lui e rifiutano […] di essere “carne da macello” delle dissennate carneficine nazifasciste [tutto in corsivo nel testo]». <105<br />La famigliarità del luogo è sicuramente un elemento coadiuvante per la formazione di un'organizzazione clandestina in territorio occupato. Dà il vantaggio sul nemico, il quale è costretto a organizzarsi in brevissimo tempo e non può nell'immediato realizzare un controllo capillare del territorio a esclusione dei centri più grandi. Ne è un esempio il fatto che mentre città come Torino, Cuneo e Alba vengono occupate immediatamente dopo l'8 settembre, i tedeschi giungono a Boves solo il 19, e vi combatteranno per ben quattro giorni prima di espugnarla.<br />Se diamo uno sguardo alla logistica delle forze tedesche in Italia alla vigilia dell'8 settembre, notiamo che le divisioni tedesche sono presenti in tutte le regioni italiane, o in aree direttamente confinanti, come ad esempio la parte orientale della penisola e del centro-nord, mentre nel nord-ovest, eccetto per la Liguria, dove stazionano tre divisioni, non sono presenti stabili truppe tedesche. <106 In Piemonte sono tuttavia presenti gruppi non indivisionati e, in arrivo dalla Provenza, le divisioni tedesche dell'Armata comandata da von Runstedt, che andavano a sostituire i soldati della IV armata. <107 Questa circostanza consente un certo margine di manovra per i soldati italiani scampati agli arresti, ma le scarse o contraddittorie comunicazioni tra i comandi centrali e quelli divisionali periferici non consente una rapida riorganizzazione delle truppe italiane ancora in movimento. <108<br /><span style="font-size: x-small;">[NOTE]</span><br /><span style="font-size: x-small;">85 Si vedano gli studi di D. Masera, Langa partigiana '43-'45, Guanda, Parma, 1971; di D. Carminati Marengo, Il movimento di resistenza nelle Langhe, Tesi di Laurea in Scienze politiche presso Università di Studi di Torino, anno 1964/65, rel. Guido Quazza, conservata presso la biblioteca dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea Giorgio Agosti di Torino; di M. Giovana, Guerriglia e mondo contadino, cit., e, per una storia della resistenza in Piemonte, dello stesso autore, La Resistenza in Piemonte. Storia del CLN regionale, Feltrinelli, Milano, 1962</span><br /><span style="font-size: x-small;">86 N. Revelli, Il mondo dei vinti, cit., p. 44</span><br /><span style="font-size: x-small;">87 All'annuncio dell'armistizio, parte della IV armata era ancora ferma nelle basi in Francia, mentre un'altra parte stava ritornando in Italia. Precisamente, stavano rientrando in Italia alle ore 20.00 dell'8 settembre le divisioni di fanteria “Taro”, l'alpina “Pusteria” e la 2ª celere del XII corpo, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, Ministero della Difesa - Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio storico, Roma, 1975, pp. 55-6; si veda inoltre, A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia. 1943-45, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, Roma, 1998, p. 190</span><br /><span style="font-size: x-small;">88 In base agli accordi presi a Casalecchio, nei pressi di Bologna, tra comandi supremi italiano e tedesco il 15 agosto 1943, la sostituzione del contingente italiano in Provenza con quello tedesco avrebbe dovuto ultimarsi entro il 9 settembre '43. Mentre le operazioni si stavano ultimando, giunse al comando dell'armata una comunicazione, “Memoria 44”, in cui in previsione di una possibile aggressione tedesca veniva disposto che le divisioni “Pusteria” e “Taro” della IV armata fossero raccolte nelle valli Roja e Vermenagna «per interrompere le vie di comunicazione della Cornice [area montuosa che separa l'Italia e la Francia nella zona meridionale, NdA]», in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 146; si veda inoltre Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., in particolare di Burdese P., Calandri M, Oreggia A., “8 settembre 1943 e scioglimento della 4ª armata nella provincia di Cuneo”, di Belmondo R., Fissore P., Re S., Revelli A., Ristorto G., Serra R., “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” e di Revelli P., “L'8 settembre nelle Langhe”</span><br /><span style="font-size: x-small;">89 A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., 1998, p. 191</span><br /><span style="font-size: x-small;">90 Si veda A. Petacco, G. Mazzuca, La Resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette, Oscar Mondadori, Milano, 2011</span><br /><span style="font-size: x-small;">91 G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich. 1943-1945, Stato Maggiore dell'Esercito-Ufficio Storico, 1992, pp. 173-4, dove si legge, sulla base dei documenti prodotti dalla 19ª armata tedesca, che a fine settembre il numero di soldati italiani disarmati e condotti in prigionia è di 58.722 unità.</span><br /><span style="font-size: x-small;">92 M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 152</span><br /><span style="font-size: x-small;">93 «A Torino, ad esempio, aveva sempre avuto sede il comando della 4ª Armata, che all'8 settembre si trovava in grosse difficoltà anche per l'affrettato rientro dalla Francia delle sue truppe dislocate oltre il confine», in A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., p. 189; M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 156</span><br /><span style="font-size: x-small;">94 La sera dell'11 vengono occupate Asti, Alba, Bra e Alessandria</span><br /><span style="font-size: x-small;">95 La sera dell'11 la IV armata disponeva di poche unità del Comando XV corpo, delle divisioni costiere, dell'artiglieria e del genio di armata, di alcuni reparti territoriali dell'intendenza, di un reggimento alpino della “Pusteria”, di reparti della Guardia alla Frontiera e della II divisione celere, in cui si verificano vaste defezioni, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 158-9 </span><br /><span style="font-size: x-small;">96 “Ai miei soldati”, Proclama del Comandante della 4ª Armata, 12.9.43, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 146</span><br /><span style="font-size: x-small;">97 «[...] i primi nuclei armati trovarono consistente appoggio da parte dei civili in quanto erano espressione del disciolto esercito che, oltre a buona parte di reparti alpini, annoverava molti meridionali impossibilitati a raggiungere i propri paesi di origine», M. Bogliolo, “Langhe” in ISRP (a cura di), L'insurrezione in Piemonte, Franco Angeli - Consiglio regionale del Piemonte, Milano, 1987, p. 383</span><br /><span style="font-size: x-small;">98 Guido Quazza scriveva, a proposito del primo fronte resistenziale, come dopo l'8 settembre, «vera data di nascita dell'antifascismo come “forza” decisiva», fosse nato, nel contesto di crisi dell'autorità monarchica, quell'antifascismo spontaneo di cui sono protagonisti non solo il vecchio militante antifascista o il garibaldino di Spagna, ma anche «l'ufficiale che si ribella a Roma o in Piemonte o nel Veneto», si veda G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 124-128</span><br /><span style="font-size: x-small;">99 Maurizio Rizza (a cura di), Pompeo Colajanni. “Le cospirazioni parallele”, Edizioni La Zisa 2009, pp. 22, 73-75</span><br /><span style="font-size: x-small;">100 Purtroppo, dal punto di vista dell'equipaggiamento, la IV armata era molto debole. Già a inizio settembre, al momento del rientro in Italia, mancavano i mezzi di trasporto necessari per lo spostamento delle truppe; giunti in Italia, i militari dell'armata e quelli presenti in territorio nazionale abbandonano le caserme, obiettivo primario dei tedeschi, dove vengono lasciati alla mercé della popolazione viveri e materiale di ogni genere, in R. Belmondo et alii, “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., pp. 194-7</span><br /><span style="font-size: x-small;">101 A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., p. 189</span><br /><span style="font-size: x-small;">102 M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 59-61</span><br /><span style="font-size: x-small;">103 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino, 1996</span><br /><span style="font-size: x-small;">104 R. Belmondo et alii, “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., p. 200</span><br /><span style="font-size: x-small;">105 Ivi, p. 50</span><br /><span style="font-size: x-small;">106 In Liguria sono presenti, alle ore 20.00 dell'8 settembre, le divisioni di fanteria 76ª, la 94ª e la 305ª del LXXXVII corpo d'armata tedesco, mentre in movimento verso la Provenza quattro divisioni comandate dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 57-8</span><br /><span style="font-size: x-small;">107 M. Torsiello, Settembre 1943, Istituto editoriale cisalpino, Milano-Varese, 1963, p. 130-37</span><br /><span style="font-size: x-small;">108 Pompeo Colajanni, a Cavour, dove ha sede il comando del suo squadrone, riceve da Pinerolo l'ordine «assurdo» di restare consegnati in caserma, circostanza che in altre zone aveva permesso ai tedeschi di eseguire arresti e disarmi con più rapidità e agevolezza, in P. Colajanni, Le cospirazioni parallele, cit., p. 75; ordine ricevuto anche dalla caserma “Tornaforte” di Cuneo, testimonianza del caporalmaggiore Luigi Peano in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., p. 187</span><br /><b>Giampaolo De Luca</b>, <i>Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese</i>, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013</div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7677845139692859675.post-15391757216742100332023-10-13T11:23:00.006+02:002023-10-21T09:21:29.394+02:00Trent'anni di FiloArX di Giustino Caposciutti in Mostra in questi giorni a Torino<div><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEit_b0_mcnY0xI4hPnuH7-lM5FLj9RkS5tGhyXim237vIAImOYBAu_YmwgBoBzsH_0Fwk_FAbnZ-hJncq22ae-eLb2lhgozPLTR3M7p9CFusr_n8oxxo7ayGREqap0_Y2LZOhxur4WAx0Bw2c4IBVoMsmsjNeVNISfb8J3R3taNrgOsrqRd-f9AJdF_cpk/s800/gc101023.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="566" data-original-width="800" height="452" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEit_b0_mcnY0xI4hPnuH7-lM5FLj9RkS5tGhyXim237vIAImOYBAu_YmwgBoBzsH_0Fwk_FAbnZ-hJncq22ae-eLb2lhgozPLTR3M7p9CFusr_n8oxxo7ayGREqap0_Y2LZOhxur4WAx0Bw2c4IBVoMsmsjNeVNISfb8J3R3taNrgOsrqRd-f9AJdF_cpk/w640-h452/gc101023.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVPT7g1jAx_eEYcjWODabKtnL1w1ueC7XBrHtV72MLPxyqYvkqttSNtkFPiSJG5XvluvMfduupw2GnmlnLYNE8S6hDkV3ItQ8bigS9K_JrldQy5GdavPPZWjHvHZ4xLlmh9g-RcLvZ0-baGFYQ6y9VHb25xkDNh16sOgC2_I9JK3yR_5wje5tLIT0xOvg/s1000/gc101023-3.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="707" data-original-width="1000" height="452" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVPT7g1jAx_eEYcjWODabKtnL1w1ueC7XBrHtV72MLPxyqYvkqttSNtkFPiSJG5XvluvMfduupw2GnmlnLYNE8S6hDkV3ItQ8bigS9K_JrldQy5GdavPPZWjHvHZ4xLlmh9g-RcLvZ0-baGFYQ6y9VHb25xkDNh16sOgC2_I9JK3yR_5wje5tLIT0xOvg/w640-h452/gc101023-3.jpg" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEYzGR6uP1zIaRshTPBvV7JF-IkrFCPXackvBFqN2IXi7vkpAZVb0_LPRUfIAy_YhbkQzWUgQmAVGV1sg3Z6aECTnIeq69q-Ld_0vsNrczpoQn6ldOb8y4u2xFehvTFdAjP0ePbWnBSNJeNedJRlmN4A6roQY1nz_px4Tzt4CwXIt_MrnhW58TJZhVqBo/s2048/gc101023-1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1489" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEYzGR6uP1zIaRshTPBvV7JF-IkrFCPXackvBFqN2IXi7vkpAZVb0_LPRUfIAy_YhbkQzWUgQmAVGV1sg3Z6aECTnIeq69q-Ld_0vsNrczpoQn6ldOb8y4u2xFehvTFdAjP0ePbWnBSNJeNedJRlmN4A6roQY1nz_px4Tzt4CwXIt_MrnhW58TJZhVqBo/w466-h640/gc101023-1.jpg" width="466" /></a></div><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3i3hTS0Rder90gFJUKnTCDISVXnTTc-7nOBZQDixOjQkR4zv7WSitoJFMIKwshAw6PHVQ2Kx4wS_v8SzGLBbtnCNufTnDxw64tPfzgpod0wEmKXLPEWcIrMq0sTlp7VCMJX6AxSccpJ99Pc8uIdZOKo1WdTleHPmt55a217zZja1ry1xxLLUNApx3o0/s1024/gc101023-4.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="925" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3i3hTS0Rder90gFJUKnTCDISVXnTTc-7nOBZQDixOjQkR4zv7WSitoJFMIKwshAw6PHVQ2Kx4wS_v8SzGLBbtnCNufTnDxw64tPfzgpod0wEmKXLPEWcIrMq0sTlp7VCMJX6AxSccpJ99Pc8uIdZOKo1WdTleHPmt55a217zZja1ry1xxLLUNApx3o0/w578-h640/gc101023-4.jpg" width="578" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito<br /></td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiKQigX9MMacQzPQPksehCb-aKl9iIaLAivB0X9sDv0ycj44XG0XuI2bW8JtFl6LO2AXLKjh2lU81WTvCtZxBQJ0Nm6MRCQbSo61JcqvUqtslog7XKoQ8QbxTCibM3Av4GXU0nJ0mh_JucHgpYvlUzC-pFCocQhPJvzYtJ0Vw68RIRAVzIJs0_FAU-pac/s1024/gc101023-5.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="837" data-original-width="1024" height="524" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiKQigX9MMacQzPQPksehCb-aKl9iIaLAivB0X9sDv0ycj44XG0XuI2bW8JtFl6LO2AXLKjh2lU81WTvCtZxBQJ0Nm6MRCQbSo61JcqvUqtslog7XKoQ8QbxTCibM3Av4GXU0nJ0mh_JucHgpYvlUzC-pFCocQhPJvzYtJ0Vw68RIRAVzIJs0_FAU-pac/w640-h524/gc101023-5.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwKPL4kgA6HwwY6cYH2DMaiUanzZIUUHvMdD-mX422AvYx0K8tGad4A0ItUJ8xIDVw_1FqmEu4GWgPP2P4ClgpYCPCOUHSXq_d5gsVNMPx1fR4VQK8s2xEbfE-2UUEeT39zPXoxc5EGcVo-HpV3TWANAHwkPgduDYavgSvz9LM2eAiwuIW-IXY4HddI4s/s1024/gc101023-6.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="671" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwKPL4kgA6HwwY6cYH2DMaiUanzZIUUHvMdD-mX422AvYx0K8tGad4A0ItUJ8xIDVw_1FqmEu4GWgPP2P4ClgpYCPCOUHSXq_d5gsVNMPx1fR4VQK8s2xEbfE-2UUEeT39zPXoxc5EGcVo-HpV3TWANAHwkPgduDYavgSvz9LM2eAiwuIW-IXY4HddI4s/w420-h640/gc101023-6.jpg" width="420" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXWRCK_6NAqVnH7-6fOJlfKKMoaFWkNNmBvSvMHboTeCOVP5FRckz2x3oew1FiubSmFeE-rjiwk8E5oYYIeZJk0eQkvU__rZBUDs8hP0X-RmeesUVJoQp7BuV5TV-7mnkTbyP0P1dy4_vILVOoxGZKzuDY1pRdz6iiKPrGuJYTlugYXihc5Dv0A_bHwck/s2048/gc101023-7.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXWRCK_6NAqVnH7-6fOJlfKKMoaFWkNNmBvSvMHboTeCOVP5FRckz2x3oew1FiubSmFeE-rjiwk8E5oYYIeZJk0eQkvU__rZBUDs8hP0X-RmeesUVJoQp7BuV5TV-7mnkTbyP0P1dy4_vILVOoxGZKzuDY1pRdz6iiKPrGuJYTlugYXihc5Dv0A_bHwck/w480-h640/gc101023-7.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7TXwJ6o-NrXtn-BkOtEd4QKmvFRklFZILx2qkuptxPgkMsxdPqDPXTsisOkcmt8F1S0jcWeyD8b6P4cgaRndYsAseSy50J6Bw9V_ciI7ncN4wH8XgfR0W0Fs811b2hCGrOri5RYyg-yl8Iz2p5k03twoGZ8cgCK_kBTxyYKELyxnHL8KGB6fKUpXex80/s2048/gc101023-8.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1537" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7TXwJ6o-NrXtn-BkOtEd4QKmvFRklFZILx2qkuptxPgkMsxdPqDPXTsisOkcmt8F1S0jcWeyD8b6P4cgaRndYsAseSy50J6Bw9V_ciI7ncN4wH8XgfR0W0Fs811b2hCGrOri5RYyg-yl8Iz2p5k03twoGZ8cgCK_kBTxyYKELyxnHL8KGB6fKUpXex80/w480-h640/gc101023-8.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghfgrJnjuley0Zm-dUuucZnH7vPlUcTOp86yckIpPSHOra2OYt4hVC3Jl7hcvol_1jNlazpNJ1pkoyDMWP_pMMduBOSR4VGBNEpR8gE5hShpbwG55Gc0DyRRnT211btZyIs37NA_HbyOH7__gd6casSWlWg_-fFus-xTmaEPqLiho5-iaQdHxN9NifG2A/s2048/gc101023-9.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghfgrJnjuley0Zm-dUuucZnH7vPlUcTOp86yckIpPSHOra2OYt4hVC3Jl7hcvol_1jNlazpNJ1pkoyDMWP_pMMduBOSR4VGBNEpR8gE5hShpbwG55Gc0DyRRnT211btZyIs37NA_HbyOH7__gd6casSWlWg_-fFus-xTmaEPqLiho5-iaQdHxN9NifG2A/w480-h640/gc101023-9.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTr4wWXKx6SjxkMmwRSIRQYDtwOQAfhxe5zRXNcIvjiQsnNlawzKbi3nmQjwOre9TL_a4zdXqMVkGA3rtVk1C-MXTaArmQC9I-Kmcddi6W8DVBa3mGdTnabPTRXVc7G7dCnik6kM7biKL16KpEVPByE079KzoWwwVz7oNyJOHNHOyLFHn2w6rQASSBiMo/s2048/gc101023-10.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTr4wWXKx6SjxkMmwRSIRQYDtwOQAfhxe5zRXNcIvjiQsnNlawzKbi3nmQjwOre9TL_a4zdXqMVkGA3rtVk1C-MXTaArmQC9I-Kmcddi6W8DVBa3mGdTnabPTRXVc7G7dCnik6kM7biKL16KpEVPByE079KzoWwwVz7oNyJOHNHOyLFHn2w6rQASSBiMo/w480-h640/gc101023-10.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0L3eZaf2j7Hhs-j6_0-EibDv89-YHC-fM1xAJoN_oeAVIHkbEf7eYauKqg2c62uQzbOrvQiNGHsvHNULiniW34CPk63-mXd5U0cO9aZkBdqFh35Yfz4vT4lEqWK2I1MKKa28ExZdiowMI-h9xIsGDQhfwsF6iGl2fd3YkDEN4NCNkKW45nlafPs4oCyU/s2048/gc101023-11.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1537" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0L3eZaf2j7Hhs-j6_0-EibDv89-YHC-fM1xAJoN_oeAVIHkbEf7eYauKqg2c62uQzbOrvQiNGHsvHNULiniW34CPk63-mXd5U0cO9aZkBdqFh35Yfz4vT4lEqWK2I1MKKa28ExZdiowMI-h9xIsGDQhfwsF6iGl2fd3YkDEN4NCNkKW45nlafPs4oCyU/w480-h640/gc101023-11.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi72zl4K-e0WYM6ClYfBkNhkV8cpcVsBbIpsySSV0WuMRxrQcQr9fI9ukbAhY6a2p-xgMViBPIdrLWQfwyLo5938WX8R1Z9TMVPaL1ladVhV09npdiYQVCbktCePjcFM9g4zKPabbKCpZxiMxhgn7Xd4YkP8UV2lHFdeMSWQTBn76IInz-K9e6Vevs3T-A/s2048/gc101023-12.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1537" data-original-width="2048" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi72zl4K-e0WYM6ClYfBkNhkV8cpcVsBbIpsySSV0WuMRxrQcQr9fI9ukbAhY6a2p-xgMViBPIdrLWQfwyLo5938WX8R1Z9TMVPaL1ladVhV09npdiYQVCbktCePjcFM9g4zKPabbKCpZxiMxhgn7Xd4YkP8UV2lHFdeMSWQTBn76IInz-K9e6Vevs3T-A/w640-h480/gc101023-12.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A destra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZ_nUpPbVi1q9eJUOO50VKsbBwBJAzgDncor3fsyx7eNfEQHPZavGQKOk1uhew2jRdoYy63wUPJQJErAMm9hszsTc48198-dQ8LcvjawfbEp7X__COtwfXHHgTJxkcM8i32tzFop-rg_fRtng6WRTDa8NGC5qQwgrhJn-91_iLrGvz1U8W22OyQUBwjn0/s2048/gc101023-13.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1537" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZ_nUpPbVi1q9eJUOO50VKsbBwBJAzgDncor3fsyx7eNfEQHPZavGQKOk1uhew2jRdoYy63wUPJQJErAMm9hszsTc48198-dQ8LcvjawfbEp7X__COtwfXHHgTJxkcM8i32tzFop-rg_fRtng6WRTDa8NGC5qQwgrhJn-91_iLrGvz1U8W22OyQUBwjn0/w480-h640/gc101023-13.jpg" width="480" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHhOqC_ZfvGIv3jfkLczbNA4HnbCB2Wja-PJahgQH9kEv9QrL8Tmv98fGvO8zg-lW6H6_nFNQH0xFL3jDKRovNPn6FCME5GU2mB3jMWtXz-L_6IjY-nNgyfcn_TP2G5zp8ocDdc65RPNm6wuigYJlGop9oB7YFeDxOtpn7XT-nAyVIF1ZRL9jH66bX_jE/s2048/gc101023-14.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1537" data-original-width="2048" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHhOqC_ZfvGIv3jfkLczbNA4HnbCB2Wja-PJahgQH9kEv9QrL8Tmv98fGvO8zg-lW6H6_nFNQH0xFL3jDKRovNPn6FCME5GU2mB3jMWtXz-L_6IjY-nNgyfcn_TP2G5zp8ocDdc65RPNm6wuigYJlGop9oB7YFeDxOtpn7XT-nAyVIF1ZRL9jH66bX_jE/w640-h480/gc101023-14.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A destra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDLng7emR4WQl-fi1HxhGrUTuzbf_S45TciOIcDABcz1Xwv8BpfCOM6lkYRG1S04t2j1OyZoHHw4PvUgwAYMZDEKEc2SuBDCQMEpq5xNxyYufzYFdJdzCM1FCh4hHc4j1_kjeYmx97ItLM_cti58_pNTyw5B6YHhI1IWGIJ8fHFnXeB0y2qJag0GzKGyw/s2048/gc101023-15.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1537" data-original-width="2048" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDLng7emR4WQl-fi1HxhGrUTuzbf_S45TciOIcDABcz1Xwv8BpfCOM6lkYRG1S04t2j1OyZoHHw4PvUgwAYMZDEKEc2SuBDCQMEpq5xNxyYufzYFdJdzCM1FCh4hHc4j1_kjeYmx97ItLM_cti58_pNTyw5B6YHhI1IWGIJ8fHFnXeB0y2qJag0GzKGyw/w640-h480/gc101023-15.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://condamina.wordpress.com/2023/09/25/filoarx-ha-svolto-un-ruolo-pionieristico-e-visionario-unico-nel-panorama-artistico/" rel="noreferrer noopener" target="_blank">FiloArX </a>è un grande intreccio di fili costruito dall’artista <a href="http://adrianomaini.altervista.org/gentilezza-e-delicatezza-si-presentano-come-tratto-peculiare-dellatteggiamento-umano-e-artistico-di-giustino-caposciutti/" rel="noreferrer noopener" target="_blank">Giustino Caposciutti</a>
attraverso un laboratorio dove ogni persona presente colora e firma un
filo che poi viene tessuto insieme a tutti gli altri dando luogo ad
opere che sono la fotografia di un momento storico di una comunità, di
una città, di un gruppo di persone: grandi e piccini.<br />Nel 1993, a
Torino, l’incontro tra l’artista <a href="http://www.giustinocaposciutti.it/" target="_blank">Giustino Caposciutti</a> e un gallerista
come Gianfranco Billotti, dell’allora Galleria Arx, con la Città di
Torino gettò il seme per la nascita di un nucleo di iniziative e
sperimentazioni, che velocemente diedero forma a una presenza peculiare
dell’arte partecipativa in Italia.<br />Dal 1993 circa 29.000 persone hanno partecipato a FiloArX, in Italia e all’estero.<br />Per
celebrare i 30 anni di FiloArX dal 10 al 24 ottobre una postazione
attrezzata di FiloArX rimarrà in mostra come laboratorio fruibile anche
in autogestione dal pubblico nell’ambito della Rassegna Singolare e
Plurale in collaborazione con Arteco, Attenne, Fermata d’autobus Onlus,
Galleria Gliacrobati, Volonwrite.<br />La mostra si svolge presso Ingenio
Arte Contemporanea in C.so San Maurizio 14/E nelle giornate di Martedì,
Mercoledì, Giovedì, Venerdì dalle 16.00 alle 18.00 […]<br /><strong>Redazione</strong>, <em>FiloArX celebra i suoi trent’anni a Torino</em>, <a href="https://www.quotidianopiemontese.it" rel="noreferrer noopener" target="_blank">Quotidiano</a> Piemontese, 7 ottobre 2023 <br /></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Arte contro la violenza maschile sulle donne e sui bambini, arte che
riesce a coinvolgere intere comunità: “FiloArx 2023. Tessere
solidarietà: dipingi un filo, realizza un’opera d’arte partecipata” nel
sottotitolo esprime tutti gli obiettivi: si tratta di un progetto di
Arte Partecipata che ha l’intento di informare e sensibilizzare la
cittadinanza sul tema della violenza nei territori di Firenze e Arezzo.<br />Il
progetto conta su una collaborazione ad ampio raggio, sviluppata grazie
al Centro Antiviolenza Artemisia di Firenze con l’associazione Pronto
Donna di Arezzo, il Gruppo Terziario Donna- Confcommercio Firenze e
Arezzo e con l’artista Giustino Caposciutti. “FiloArx 2023 - spiegano i
promotori - mette al centro i rapporti e le interconnessioni fra le
persone, per rispondere ai cambiamenti, alle trasformazioni sociali,
economiche e culturali degli ultimi anni. Risponde all’evidenza di come
le nostre azioni siano interconnesse con quelle degli altri e di come
l’arte possa giocare un ruolo centrale nell’aiutare a fornire stimoli e
spunti di riflessione sul presente e sul futuro”.<br />FiloArx 2023 è un
filo che ciascuno potrà colorare, corredato da un cartoncino dove
scrivere una frase, parte dell’opera d’arte stessa. FiloArx sarà quindi
l’opera, una tela composta da 250 fili colorati intrecciati:
simbolicamente, il tessuto sociale della comunità che fornirà
l’occasione per parlare della violenza sulle donne. L’attività di
colorazione dei fili si terrà nell’ambito di eventi speciali e ad ogni
partecipante verrà rilasciato un attestato di partecipazione firmato da
<a href="http://www.giustinocaposciutti.it/" target="_blank">Caposciutti</a>. Toccherà all’artista, poi, procedere alla tessitura di tre
opere, due per Firenze e una per Arezzo. Il ricavato della loro vendita
all’asta sosterrà progetti di inclusione e reinserimento sociale. Come
valore aggiunto, Confcommercio proporrà percorsi formativi e si
impegnerà per il reinserimento delle donne vittime di violenza nel mondo
del lavoro grazie alla sua vasta base associativa.<br />Il progetto “FiloArx 2023. Tessere solidarietà” è uno dei nove progetti vincitori del bando AssiCuriamo - Insieme<br /><strong>Redazione</strong>, <em>FiloArx 2023: il progetto di arte partecipata vincitore del bando AssiCuriamo</em>, <a href="https://specchioditalia.org/" rel="noreferrer noopener" target="_blank">Specchio</a> d’Italia, 4 settembre 2023 </div><p></p>Adriano Mainihttp://www.blogger.com/profile/09465917157661723606noreply@blogger.com