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giovedì 28 dicembre 2023

Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione


Nel dibattito sull’Unione Sovietica, alla descrizione promossa negli ambienti comunisti, volta all’assoluta esaltazione e alla totale cancellazione di ogni aspetto negativo, corrispondeva un’immagine nettamente contrapposta, in cui tali problemi sociali erano messi in evidenza al massimo grado. Per un apparente paradosso, proprio l’assenza di un’ammirazione totale ed incondizionata nelle prese di posizione più favorevoli alla società americana contribuiva a rendere più difficile, per le centrali propagandistiche del campo avverso, la strutturazione di un discorso fondato su un atteggiamento di rifiuto radicale dell’American way of life.
Stando ai primi schemi di argomentazione presentati agli attivisti comunisti dalla redazione di "Propaganda" <1732, dalla campagna elettorale del 1948 in poi, gli Stati Uniti furono posti al centro dell’universo di simboli negativi della sinistra marxista <1733; la propaganda di ostilità era portata avanti dal PCI e dal PSI secondo un modello ripetutamente suggerito a tutto il comunismo internazionale dal Cominform, e di cui erano consapevoli anche gli addetti ai lavori del controspionaggio americano <1734. Nell’ottica della strutturazione della lotta di classe sul piano dei rapporti internazionali, gli Stati Uniti erano considerati il modello di una società capitalistica matura, nella quale si stavano palesando tutti i limiti di un sistema socio-economico destinato ad essere soppiantato dal socialismo <1735. Un editoriale dell’Avanti!, alcuni anni dopo, avrebbe reso esplicito un simile concetto:
"È proprio negli Stati Uniti d’America che oggi l’organizzazione sociale a tipo capitalistico mostra - con palmare evidenza - le proprie insanabili contraddizioni. […] Lo sfrenato individualismo è accoppiato alla più colossale irregimentazione di uomini ridotti sempre più, dalle esigenze di una produzione standardizzata e dalle necessità dello sfruttamento, ad una continua alienazione della propria persona umana". <1736
Il primo spunto polemico, naturalmente, riguardava il limite principale rilevato dal pensiero socialista nel modo di produzione capitalistico: la formazione ed il continuo acuirsi delle disuguaglianze sociali. Quotidiani e periodici di area comunista che si occupavano degli Stati Uniti spesso contrapponevano le figure dei «re della repubblica stellata», come Henry Ford e i magnati dell’industria e della carta stampata, alla vita degli slums, che prima della gentryfication degli anni Sessanta coprivano una buona parte del territorio di Manhattan, il quartiere più famoso del mondo <1737.
In America, però, le sperequazioni di classe erano profondamente intrecciate con le frizioni tra i gruppi etnici e i problemi della discriminazione razziale, spesso sminuiti dagli autori maggiormente affascinati dagli States. Alla fine del 1947, sull’Unità, un simile tema fu trattato attraverso una serie di interventi che insinuavano la presenta del celebre Ku Klux Klan al massimo livello; si parlava addirittura dell’appartenenza all’organizzazione del presidente Truman, e la polemica fu coronata da un assai poco credibile fotomontaggio, pubblicato in prima pagina e descritto dalla didascalia: «un dirigente del Ku-Klux-Klan esce dalla Casa Bianca: chi sarà?» <1738. Successivamente, simili temi furono ripresi in maniera meno eclatante, soprattutto nei servizi fotografici e nelle rubriche di "Vie Nuove": dapprima, individui incappucciati pronti al linciaggio apparvero in alcune vignette, ad esempio mentre si lamentavano con Truman del fatto che armi come la bomba H sterminassero gli esseri umani senza tenere conto della razza <1739; poi le fotografie disponibili di riunioni del KKK furono affiancate da crude immagini di afro-americani impiccati e malmenati, mentre nelle didascalie si ricordava che il Klan era legale negli USA, e che le sue malefatte non trovavano grande rilievo nell’opinione pubblica1740; infine le prese di posizione del Klan, come ad esempio quella che nel 1953 si opponeva alla fine della segregazione scolastica negli stati del Sud, divennero il punto di riferimento per mostrare ai lettori quanto fossero radicati negli Stati Uniti atteggiamenti razzisti, di cui gli episodi di violenza costituivano solo l’aspetto di maggiore risonanza internazionale <1741. Negli anni Cinquanta non mancavano neppure accenni alla discriminazione culturale di altri gruppi etnici, in particolare degli italo-americani, vittime di stereotipi sulla loro scarsa onestà che animavano numerosi film <1742.
Un altro elemento che caratterizzava la degenerazione del capitalismo americano era la diffusione della malavita e del crimine organizzato. Alla fine del 1947, durante la campagna contro Truman, oltre alla sua appartenenza al Ku Klux Klan si ipotizzò un suo contatto con la Mano Nera, potente associazione a delinquere. Nel 1949 sugli organi di stampa comunisti fu ripreso l’argomento, soprattutto per opera di Ezio Taddei. Quest’ultimo condusse un’inchiesta, pubblicata sul periodico giovanile del PCI "Pattuglia", sulla malavita organizzata negli Stati Uniti; in particolare, egli si concentrò sul gruppo controllato da Tom Pandergast, che era attivo in Missouri, lo stato da cui proveniva Truman, e che secondo l’autore ebbe un ruolo di primo piano nel controllo delle dinamiche elettorali <1743. La presunta amicizia tra Pandergast e Truman fu oggetto, in seguito, di alcuni articoli di Taddei sull’Unità, in cui l’operato criminale del boss del Missouri era collegato all’eliminazione di alcuni elementi dei circoli che avversavano il presidente <1744. Oltre a trattare delle implicazioni dei vertici governativi in affari di gangster, Ezio Taddei prendeva in considerazione alcuni indizi sulla preoccupante diffusione dei fenomeni criminali negli USA, in particolare su un aspetto dell’immagine degli USA che già preoccupava i propagandisti americani:
"Vedendo i films americani spesso ci si chiede come mai i registi e i soggettisti holliwoodiani siano ossessionati dai “gangsters”. In realtà il gangsterismo è un tema dominante nel cinema americano semplicemente perché lo è anche nella realtà americana. […] In ogni città c’è una gang. O meglio una “macchina”. Queste sono dei grandi apparati criminali, ognuno posto sotto la protezione di un uomo politico che la “macchina” stessa ha fatto eleggere. Aggiungete a tutto questo la connivenza della polizia, quasi sempre corrotta e prezzolata, la protezione palese dei grandi “trusts” e delle coalizioni bancarie ed industriali […]". <1745
Probabilmente, l’elemento destinato a divenire il simbolo più comune e longevo della pretesa incompatibilità del modello sociale americano con quello che i comunisti immaginavano per l’Italia, e del rifiuto di ogni forma di penetrazione culturale “a stelle e strisce”, fu la coca-cola. La bibita iniziò ad essere distribuita fuori dagli USA fin dagli anni Trenta, ma soltanto con il dopoguerra, in seguito al contatto diretto della popolazione europea con i soldati americani, essa impiantò un solido mercato nella parte occidentale del vecchio continente. Il successo fu tale che tra i produttori locali di bevande iniziò a serpeggiare una certa inquietudine. Laddove i partiti comunisti avevano forza <1746, essi supportarono le lamentele dei commercianti italiani in vino ed arance per una concorrenza ritenuta non solo catastrofica per un importante settore del mercato <1747, ma pure sleale perché supportata dalla pubblicità originariamente destinata al piano Marshall <1748; gli organi di stampa di sinistra, inoltre, aiutarono a diffondere le insinuazioni circa i problemi di salute che potevano essere collegati al consumo di coca-cola <1749.
Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione, poi ripreso anni dopo per definire il processo di omologazione culturale iniziato nei primi anni Cinquanta <1750, e in molte occasioni gli scritti furono accompagnati da illustrazioni destinate ad essere riprese sulla stampa locale, come la vignetta in cui il protagonista del manifesto pubblicitario della coca-cola prendeva vita per mandare un ragazzino a comperargli del Frascati; l’aspetto più singolare di simili polemiche fu però il fatto che neppure i più irriverenti autori satirici di orientamento anticomunista, come Guareschi, misero in ridicolo una campagna così impegnativa per un tema apparentemente privo di importanza, quasi a dimostrare che l’appoggio offerto dalle categorie sociali più preoccupate dalla concorrenza americana non poteva essere sottovalutato <1751.
Come ha osservato Philippe Roger nella sua ricerca sull’antiamericanismo francese, i sentimenti di ostilità verso gli Stati Uniti si manifestano attraverso un discorso che raggruppa posizioni ed argomentazioni assai distanti, ed apparentemente opposte dal punto di vista ideale, al punto che spesso sono comuni a culture politiche diverse <1752. Anche secondo la Nacci, l’antiamericanismo di natura prettamente anticapitalista, diffuso da PCI e PSI, era collegato a «giudizi impliciti» che andavano al di là «della coppia capitalismo/socialismo».
Sono giudizi che riguardano […] il modo tradizionale di vivere rispetto a un modo che si può definire moderno, urbano, avanzato, industriale, sviluppato, […]. Su questi giudizi impliciti, […] che sono assai chiari ad esempio nella contrapposizione fra realtà americana disumana e umanesimo socialista, poteva esserci accordo con un ventaglio di opinioni molto ampio, che andava dai reazionari ai liberali più avanzati passando per i conservatori. <1753
Sviluppando l’idea di base, radicata nella cultura e nell’universo di comportamenti della base comunista, secondo la quale la deviazione dalla moralità comunemente accettata costituiva un sintomo della degenerazione della società capitalistica, nella stampa di sinistra dei primi anni Cinquanta furono sempre più numerose le critiche alla leggerezza morale diffusa negli Stati Uniti. Non mancavano accenni critici al perbenismo di facciata che sembrava così diffuso negli States, e che portava alla condanna senza appello dell’unione extraconiugale tra Rossellini ed Ingrid Bergman da parte delle stesse persone che plaudivano al linciaggio dei neri <1754; in generale, però, i toni dimostravano una comprensione assai minore di quella degli scrittori di estrazione liberale per comportamenti non canonici.
[NOTE]
1732 Cfr. la rubrica “Vera democrazia, falsa democrazia”, Propaganda, 1-2, 5/XII/1947, p. 11.
1733 Cfr. D. Kertzer, Politics and Symbols cit., pp. 17 e ss. e 41, e F. Andreucci, Falce e martello cit., pp. 188-189.
1734 cfr. F. Bowen Evans (ed.), Worldwide Communism Propaganda Activities, New York, MacMillan Company, 1955, pp. 43 e ss.
1735 Il riferimento più autorevole è ancora una volta A. Zdanov, “Politica e ideologia” cit., pp. 29 e ss.
1736 L. Matteucci, “Il ballo sulla corda”, Avanti!, 8/VI/1950, p. 1.
1737 Cfr. Epoca Americana, supplemento a Vie Nuove, VI, 4, 29/I/1951, pp. 2 e 11.
1738 L’Unità, 15/X/1947, p. 1.
1739 Vie Nuove, V, 17, 23/IV/1950, p. 15.
1740 Epoca Americana cit.,pp. 22-23.
1741 C. Cafiero, “Scuola con le sbarre”, Vie Nuove, IX, 1, 4/I/1953, pp. 10-11.
1742 cfr. ad es. la raccolte di immagini sul film La casa degli stranieri, Vie Nuove, V, 2, 8/I/1950, p. 20.
1743 Cfr. “Mano nera e casa bianca”, Pattuglia, IV, 4, 6-20/III/1949, p. 4.
1744 Cfr. ad es. “Truman dedicò la sua foto al ‘camerata e consigliere Pandergast’”, L’Unità, 11/IV/1950, p. 3.
1745 E. Taddei, “Elezioni di Sangue”, Pattuglia, IV, 5, 8/IV/1949, p. 4. Cfr. anche Epoca americana cit., passim.
1746 Per quanto riguarda il caso francese, cfr. R.F. Kuisel, Seducing the French cit., pp. 52-54.
1747 Cfr. ad es. G. Doria, “Vino e arance battuti dal coca-cola”, Vie Nuove, V, 7, 12/II/1950, p. 5.
1748 F. Funghi, “Il generale Marshall sferra l’offensiva del coca-cola”, Vie Nuove, III, 12, 21/III/1948, p. 10.
1749 F. r. “Veleni nel cibo”, Vie Nuove, V, 13, 26/III/1950, p. 17.
1750 Il caso forse più noto di ripresa di tale gioco di parole è il già citato lavoro di R. Wagneiter, Coca-colonization and the Cold War.
1751 Sulla campagna comunista contro la coca-cola messa in atto all’inizio degli anni Cinquanta, cfr. G. Guareschi, “Nunc est bibendum”, Candido, VI, 21, 21/V/1950, p. 1.
1752 P. Roger, L’ennemi américain. Généalogie de l’antiaméricanisme français, Paris, Seuil, 2002.
1753 “Contro la civiltà dell’abbondanza…”, pp. 242-243.
1754 Un simile tema fu sviluppato in numerose vignette pubblicate su Vie Nuove nella seconda parte del 1947.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006

venerdì 22 dicembre 2023

Fu proprio quel sodalizio con Sindona che condusse alla luce Gelli e la sua rete


2.4 Propaganda 2
La Loggia massonica P2, con a capo dal 1970 il suo “Gran Maestro Venerabile” Licio Gelli, è stata coinvolta in numerosi scandali che caratterizzarono la storia italiana nel corso della parabola repubblicana, fino al terremoto provocato da Tangentopoli. Gelli e la sua loggia finirono al centro di vicende come il golpe Borghese, il caso Moro, la strage di Bologna, il fallimento del Banco Ambrosiano. Nel corso degli anni, l’influenza della Loggia si espanse in molti settori. Gli iscritti alla loggia occuparono rilevanti posizioni: capi dei servizi segreti, ufficiali ai vertici militari, magistrati, finanzieri, giornalisti e parlamentari; i campi di attività era sostanzialmente quattro: credito bancario, tangenti su appalti pubblici, esportazioni di moneta e collocamento di affiliati in posizioni di potere <57. La lista degli iscritti alla P2 fu rinvenuta durante una perquisizione, da parte della Guardia di Finanza, presso l’ufficio del “Maestro Venerabile” a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981, e venne pubblicata dal Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, il 21 maggio <58. Il vero piano della P2 consisteva nella completa revisione della Costituzione attraverso l’attuazione del “Piano di rinascita democratica”. Tale documento fu ritrovato e sequestrato nel 1982 alla figlia di Licio Gelli ed elencò le finalità istituzionali e politiche delle azioni della P2. L’obiettivo era quello di far diventare l’Italia una sorta di Repubblica presidenziale trasformando il vecchio sistema politico, ritenuto da Gelli instabile e obsoleto. In una intervista Gelli ammise che inviò al Presidente Leone una relazione nella quale aveva inserito tutte le modifiche da apportare alla Costituzione, basandosi sull’esperienza francese di De Gaulle <59. La Commissione Stragi sottolineò che il risultato finale dell’operato della P2 avrebbe mirato: ad una Magistratura più controllata e meno super partes, con diversa regolamentazione di accessi e di carriere; ad un Pubblico Ministero connesso alla responsabilità politica del Ministro della Giustizia; ad un Governo il cui Premier sarebbe stato eletto dal popolo, libero da pressioni del Parlamento i cui decreti non sono emendabili; ad un sistema di rappresentanza bipartitico, con elezioni a scadenza rigida e simultanee per Parlamento e i vari consigli regionali e comunali; ad un Parlamento non più a bicameralismo perfetto; ad una Pubblica Amministrazione più forte nei suoi apparati la quale non è assoggettata al controllo politico; ad una struttura sociale più rigida e meritocratica; ad un maggiore controllo sulla stampa; un’economia libera da eccessivi vincoli <60. Il piano in questione non avrebbe analizzato le modalità di attuazione: al suo interno non erano presenti scadenze temporali, modalità di finanziamento, strumenti normativi, politiche di gestione di un ipotetico transitorio. Tuttavia, la storia generale della P2 avrebbe dimostrato un tentativo di occupazione del potere attraverso la distribuzione di “fratelli” tesserati in ogni carica di responsabilità seguendo la logica di ogni massoneria. Questo modus operandi si unisce alla volontà di realizzazione di un progetto politico e di un assetto istituzionale volto a stravolgere l’esistente e violarne i suoi principi fondamentali. Effettivamente, la P2 contava un grande numero di iscritti a causa della catena di mutua assistenza che aveva creato il suo leader Licio Gelli. Una vasta rete di contatti, un modo per aiutarsi a vicenda tra gli iscritti, per far accrescere il potere e il patrimonio personale <61.
2.5 Il doppiogiochista
Nato da una famiglia povera e dotato di grandi ambizioni, Licio Gelli scelse la strada del fascismo per dare inizio alla sua carriera. Si arruolò come volontario nella 94esima Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e, dopo aver falsificato i documenti non essendo ancora maggiorenne, partì per affiancare l’esercito franchista nella guerra in Spagna. Fece ritorno in Italia nel ’38 a causa della morte del fratello, nel dicembre dello stesso anno venne assunto al GUF <62 di Pistoia dove iniziò a farsi notare per il lavoro svolto. Nel 1940 Gelli fu richiamato alle armi, un anno dopo tornerà a Pistoia. Nel 1942, Gelli fu inviato in Montenegro, a Cattaro, insieme ad alcuni ufficiali del SIM <63, per recuperare il tesoro della Banca Nazionale Jugoslava, missione che portò a termine dando così una svolta alla sua carriera <64. A seguito dell’armistizio, Gelli, nella primavera del 1944, prese contatti con i partigiani, iniziò da qui il suo ruolo da doppiogiochista, caratterizzato dall’intrattenere rapporti con entrambe le parti. Dopo l’8 settembre Gelli si arruolò tra i repubblichini, i fascisti della Repubblica di Salò, fedeli a Mussolini e Hitler. Dal momento in cui le forze alleate e di liberazione iniziarono a conquistare sempre più territori della penisola, a discapito dei repubblichini, egli si riscoprì provvidenzialmente antifascista. Iniziò a intrattenere intensi rapporti con il CLN, fornì ai partigiani informazioni sulle imboscate della Wehrmacht e, probabilmente, collaborò con i servizi segreti alleati. Dopo la guerra divenne collaboratore di due parlamentari democristiani, Romolo Diecidue e Brunetto Bucciarelli Ducci, entrambi vicini ad Andreotti. Al contempo ricoprì la carica di direttore di uno stabilimento produttore di materassi a Frosinone. Proprio all’inaugurazione di una nuova sede della Permaflex, nel 1960, partecipò lo stesso Andreotti, all’epoca Ministro della Difesa <65. I primi contatti con il mondo massonico li ebbe nel 1963. Gelli cercò di iscriversi alla massoneria ma la sua domanda venne tenuta in sospeso a causa del suo passato fascista, fin quando, due gran maestri della P2, eredi della loggia Propaganda, sciolta sotto il fascismo, gli affidarono compiti e responsabilità crescenti. Nel 1970 Gelli venne incaricato della riorganizzazione della loggia Propaganda 2. Reclutò nuovi adepti nella politica, nel giornalismo e soprattutto nelle forze armate e nei servizi di intelligence. L’influenza di Licio Gelli andò anche oltreoceano, in sud America aveva grandi relazioni, capi politici e militari sudamericani erano massoni, come l’Ammiraglio Emilio Massera, protagonista del golpe di stato argentino, iscritto alla P2. Grazie ai suoi legami con il Governo argentino diviene consigliere economico dell’ambasciata a Roma.
Nel corso degli anni la sfera di influenza della P2, capitanata da Gelli, divenne sempre più ampia, l’organizzazione. era infiltrata in qualsiasi settore e poteva contare sul potere di personalità situate ai vertici degli apparati statali. Il sistema piramidale, con a capo Licio Gelli, di giorno in giorno riusciva a reclutare nuovi “fratelli”.
3.1 Finanza e P2
Oltre ai ruoli ricoperti in tentati colpi di Stato e attentati terroristici, uno dei settori di maggiore attività della Loggia P2 sarebbe stato quello delle tangenti private e di partito su affari stipulati da enti e industrie pubbliche. La pratica delle tangenti relative a contratti stipulati da enti pubblici è ampiamente diffusa in quei Paesi, di solito sottosviluppati, dove il potere è sostanzialmente irremovibile e dove viene a mancare il ricircolo governativo caratterizzato dal controllo democratico. Dunque, il mancato ricambio e l’assenza del controllo democratico sono i presupposti che trasformerebbero la corruzione occasionale in un sistema semi-legale, noto e accettato <66. L’Italia, pur rientrando tra i sette Paesi più industrializzati, era ed è ancora oggi un Paese con una burocrazia arretrata, caratterizzato da una mancanza di controllo sulla Pubblica Amministrazione <67.
I prelievi, relativi alle tangenti sugli appalti, sui contratti di commesse, sulle licenze e sui mutui accordati da istituti di credito pubblico, sarebbero così avvenuti alla luce del sole, motivati dal finanziamento di partiti e correnti. Le volte in cui casi del genere vennero rivelati, e finirono, per qualche ragione, dinanzi alla Commissione Parlamentare inquirente, si sarebbero risolti con l’innocenza degli imputati, insabbiando gli eventuali reati e non considerando in quella fattispecie il procacciare fondi ai partiti. Con tale pratica si sarebbe estesa la pregiudiziale di impunità, radicando il “malaffare” nella politica e nelle istituzioni italiane. Il tutto venne praticato in presenza di leggi formalmente severe: il reato di peculato prevede pene detentive fino a 20 anni e l’interdizione dai pubblici uffici. La procedura partiva dai dirigenti della Loggia, per poi passare al “servizio parallelo” che svolgeva le sue pratiche raccogliendo informazioni relative ai soggetti interessati, come ad esempio i politici, per poi arrivare ad un compromesso con questi ultimi che ricevevano il finanziamento illecito. Le due parti, ricattato e ricattatore, si dividevano il compenso. Con il passare del tempo, questa operazione si consolidò, divenendo sempre più facile: spesso ricattato e ricattatore erano entrambi piduisti e, talvolta, non c’era neanche più bisogno del ricatto <68. Analogo era il processo del controllo del credito bancario. Alcune grandi Casse di Risparmio e Istituti di credito erano diretti da personalità legate alla Loggia che erogavano finanziamenti a partiti e politici in cambio di raccomandazioni e favori in termini di carriera e di potere. L’esempio più emblematico fu la nomina da parte dell’Iri di Maffo Barone ad amministratore delegato del Banco di Roma a seguito delle pressioni di Fanfani, cui era stato segnalato da Michele Sindona; proprio Sindona avrebbe ricevuto numerosi favori bancari da Barone <69. Il sodalizio tra Sindona e la P2 fece fare alla Loggia un notevole salto di qualità. Michele Sindona avrebbe avuto legami con tutto il mondo finanziario situato tra Dallas (Texas) e Cosa Nostra. Dal momento in cui la P2 stabilì un legame con la Mafia sicula, il potere e la pericolosità del “servizio parallelo” subì un grande incremento anche se, anni dopo, fu proprio quel sodalizio con Sindona che condusse alla luce Gelli e la sua rete, a seguito delle confessioni di Joseph Crimi <70.
L’incontro con Sindona portò Gelli a conoscere Roberto Calvi. Il “finanziere” siciliano avrebbe condotto con Calvi alcune delle più brillanti operazioni della finanza italiana: «dalla Centrale alla Pacchetti, dalla Cattolica del Veneto a una quota importante del Credito Varesino, alla Saffa» <71. Non a caso, quando Sindona volle appropriarsi del controllo della Bastogi, fu proprio il Banco Ambrosiano, diretto da Calvi dal 1971, la banca incaricata di gestire sul mercato l’OPA.
Nel 1975 Calvi divenne il Presidente del Banco Ambrosiano. Da quel momento la banca cambiò fisionomia: Calvi iniziò a creare varie società off-shore situate in paradisi fiscali, attraverso cui fece transitare operazioni finanziarie losche che videro coinvolte la Mafia, la P2 e lo IOR <72. Il crack del Banco Ambrosiano iniziò nel 1977, a seguito della rottura del rapporto tra Calvi e Sindona. Proprio quest’ultimo avrebbe fatto affliggere, in tutta Milano, dei manifesti che denunciavano le irregolarità del Banco. Un anno dopo, nel 1978, 12 ispettori della Banca D’Italia fecero irruzione all’interno del Banco Ambrosiano e riscontrarono gravi irregolarità durante un’ispezione durata quasi sette mesi. I risultati furono riportati in un verbale, che verrà poi presentato al Magistrato Emilio Alessandrini, incaricato di condurre le indagini. Alessandrini riuscì a gestire il caso per poco più di quattro mesi, poiché fu assassinato da Prima Linea, un gruppo terroristico di estrema sinistra il 20 gennaio 1979 <73. Nella primavera del 1981, a seguito della scoperta della lista degli iscritti alla P2, vennero alla luce le operazioni illecite del Banco Ambrosiano e Calvi, trovatosi senza la protezione conferita da Gelli, fu arrestato. Due mesi più tardi venne condannato a quattro anni per violazione delle norme valutarie ma, in attesa del processo ottenne la libertà condizionata e tornò alla dirigenza del Banco. Senza la P2 e senza Gelli, Calvi si rifugio nelle braccia protettive di Flavio Carboni, faccendiere vicino alla Banda della Magliana e a Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra, e Francesco Pazienza. Non fu un caso che Roberto Rosone, vice di Calvi nel Banco Ambrosiano, subì un attentato, dopo aver espresso perplessità sull’operato di Calvi, per mano di un esponente della Banda romana: Danilo Abbruciati <74. Il consiglio di amministrazione del Banco destituì Calvi dal vertice, a seguito di una lettera da parte della Banca d’Italia, il 17 giugno 1982. Il banchiere milanese, consapevole di essere perseguito penalmente, scappò verso la Jugoslavia, poi in Austria e infine raggiunse Londra, dove venne trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge il 18 giugno 1982 <75. Il 9 luglio 1982 avvenne la liquidazione coatta amministrativa del Banco Ambrosiano.
Mario Draghi scrisse un articolo sul «Corriere della Sera» in cui esaminò le cause e le conseguenze dello scandalo del Banco: «Poca concorrenza in un mercato del credito minutamente regolato dalle Autorità; mercati finanziari di scarso spessore al servizio di pochi individui; onnipresente commistione tra banche e politica; rigidi controlli sui movimenti di capitale che mortificavano la già debole proiezione internazionale delle nostre banche più grandi, mentre le piccole, orgogliose del campanile, respingevano ogni cambiamento» <76. Oltre a Calvi, anche Licio Gelli, Umberto Ortolani e Flavio Carboni vennero condannati nel processo del crack dell’Ambrosiano; lo scandalo vide anche l’assunzione di responsabilità da parte dello IOR: il responsabile, l’arcivescovo Paul Marcinkus non venne mai arrestato perché risiedente dello Stato Vaticano, il quale non concesse l’estradizione <77. La P2, grazie ai suoi adepti nel mondo della finanza, riuscì ad impossessarsi anche della stampa, definita da Gelli come un’arma molto potente.
[NOTE]
57 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.
58 Ermes Antonucci, Chi era Licio Gelli e che cos’era la P2, 16 dicembre 2015. www.lastampa.it https://www.lastampa.it/cronaca/2015/12/16/news/chi-era-licio-gelli-e-che-cos-era-la-p2-1.35200425/
59 Diego Novelli, La democrazia umiliata, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1997.
60 Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Loggia massonica P2, allegati alla relazione. https://www.stragi.it/rinascita
61 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, 1981, Milano.
62 Gruppi Universitari Fascisti.
63 Servizio Informazioni Militare, servizio segreto fascista.
64 Mario Guarino, Fedora Raugei, Licio Gelli. Vita, misteri, scandali del capo della Loggia P2, Edizioni Dedalo, Bari, 2016.
65 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.
66 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.
67 Ibidem.
68 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981.
69 Ibidem.
70 Ibidem.
71 Andrea Barberi, Scalfari, Turani, Pagani, Buongiorno, De Luca, Pansa, Rognoni, L’Italia della P2, Mondadori Editore, Milano, 1981, P. 21.
72 Johnny Zotti, Banco Ambrosiano: storia de crack con radici in Vaticano, 26 dicembre 2020. https://investire.biz/articoli/analisi-previsioni-ricerche/economia-politica-diritto/crac-banco-ambrosiano-storia-fallimento-banca-roberto-calvi-ciclone-finanza-vaticano
73 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/
74 Ibidem.
75 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/
76 Mario Draghi, La lezione del crac Ambrosiano, 6 agosto 2007. https://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/08_Agosto/06/ambrosiano_crac_draghi.shtml
77 Andrea Stradi, Lo scandalo del Banco Ambrosiano, 7 settembre 2018. https://startingfinance.com/approfondimenti/lo-scandalo-del-banco-ambrosiano/
Mattia Carnevali, Il deep-state italiano, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2022-2023

martedì 19 dicembre 2023

A che punto è la squadra Youngstown?


Prima della partenza per la Francia furono organizzate intense sessioni di addestramento e istruzione, ed io provvidi al briefing finale a Siena. Il 28 settembre [1944] il gruppo partì in base agli ordini del Generale Lyman Lemnitzer [uno dei responsabili inviati a negoziare con i fascisti italiani durante l’Operazione Sunrise e la resa tedesca nel 1945], ed arrivò ad Annecy il pomeriggio dello stesso giorno. Craveri fu accompagnato immediatamente al confine svizzero a prendere possesso della sua nuova centrale di collegamento con il CLNAI e con l’OSS/Svizzera: la posizione doveva inoltre consentirgli una maggior vicinanza con le missioni ORI di Milano e Torino. Il gruppo Goff cercava di infiltrarsi in Piemonte per raggiungere una delle formazioni comuniste e si mise al seguito del Tenente Milton Wolf, ma quando il gruppo decise di infiltrarsi in borghese, il Tenente tirò dritto per Grenoble […] Sebbene l’OSS avesse una sua stazione ad Annecy, questa non era stata avvisata dell’arrivo del gruppo, e Bonfiglio dovette quindi proseguire fino al magazzino rifornimenti di Lione. Quando vi arrivò apprese che il deposito era stato trasferito a circa 200 miglia di distanza. Quando finalmente Bonfiglio ritornò dai suoi, il Maggiore Tozzi ed i membri del gruppo Papaya 2 erano partiti con quattro guide alla volta della Val Pellice. Facevano parte del gruppo il Guardiamarina Peck, il soldato semplice Berruti e l’operatore radio-telegrafista Sal Amodeo. Tozzi aveva fatto varie indagini in merito alle guide che Renato gli aveva inviato per scortare la missione. Casualmente, una delle staffette di Renato (Guy Giovanni) che si trovava in zona e rispondeva alla descrizione di una delle guide era in realtà venuto a consegnare un pacco e non come guida per la missione. La decisione di Tozzi di procedere senza indugio era in un certo senso strana, in quanto Logan, la sua radiotrasmittente, era entrata in onda il 2 ottobre con il seguente messaggio: “Arrivati a Aguilles. Niente Renato. Abries rasa al suolo. Tutti i valichi per l’Italia chiusi. Informate Renato della nostra presenza. Può raggiungerci via Comando francese. Abbiamo un contatto con Sisteron? A che punto è la squadra Youngstown?“
Max Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani. 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana, 2006

[…] saggio dello storico casalese Sergio Favretto intitolato “Una trama sottile. Fiat: fabbrica, missioni alleate e Resistenza” […] Con quest’opera Favretto ci regala un approfondimento inedito sulle vicende resistenziali piemontesi. In vista della Liberazione, le formazioni partigiane, le SAP e i GAP urbani cooperarono con le missioni inglesi del SOE ed americane dell’OSS. Favretto muove dalla preziozissima lettura ed analisi contestualizzante di molte carte e documenti lasciati dal partigiano ed agente OSS Giancarlo Ratti; insegue con spiccata curiosità storica e significative testimonianze dirette lo svilupparsi delle vicende dall’8 settembre ’43 al maggio ’45. In questa cornice, Favretto esplora in modo nuovo e proficuo il ruolo del gruppo Fiat, nelle sue varie articolazioni. La proprietà, la dirigenza e le maestranze. Dai documenti, dalle testimonianze, dalla ricostruzione puntuale dei fatti emerge una storia recuperata, in parte nuova ed avvincente. Giancarlo Ratti era il capo della missione italo-americana Youngstown dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutata nel Monferrato a fine 1944, per un’operazione più ampia e coinvolgente tutto il Piemonte, in contemporanea con le varie missioni inglesi del SOE ( Special Operations Executive) e in raccordo con le formazioni partigiane. Braccio destro era Giansandro Menghi, alessandrino. A Torino, ancora fra Resistenza e missioni alleate ed intelligence, si collocano le figure del partigiano cattolico Ennio Pistoi e di Aminta Migliari, responsabile del SIMNI. Analizzando le carte lasciate da Ratti, emergono dati e circostanze puntuali, informazioni e documenti che si collegano anche al ruolo di Fiat a sostegno della Resistenza piemontese. Il tutto, attraverso la strategia di Vittorio Valletta e l’azione diretta dell’ingegnere Paolo Ragazzi, suo fedele manager; attraverso il ruolo assunto dall’avvocato Mario Dal Fiume e la posizione antifascista e dialettica di Antonio Banfo e Salvatore Melis; attraverso l’apporto coraggioso di Mario Tarallo e molti altri operai delle SAP, dei GAP e delle cellule del CNL aziendali. Franco e Gianni Ragazzi, figli di Paolo, con documenti inediti e ricordi precisi, hanno permesso all’autore di ricostruire uno scorcio di storia aziendale Fiat e di storia sociale a Torino, per lungo tempo opacizzata in un mix indistinto di luoghi comuni. Emerge, dunque, un interessante intreccio relazionale e documentale, riassumibile con il seguente paradigma: Giancarlo Ratti, memoriali di Vittorio Valletta, Paolo Ragazzi, Fiat, missioni alleate e intelligence, movimento in fabbrica e Resistenza piemontese. Opportunamente, viene inserita una breve incursione fra le pagine di Beppe Fenoglio. Con un’analisi storicizzante, si declina il rapporto fra le missioni inglesi e il partigiano Fenoglio, in contiguità fra vissuto e letteratura, con inediti sul ruolo del maggiore inglese Godfrey Leach del SOE. Viene ripresa, con nuovi dettagli, la drammatica vicenda dell’uccisione di Banfo e Melis, operai della Fiat Grandi Motori, avvenuta il 18 aprile 1945 alla vigilia della Liberazione per mano dei fascisti torinesi. Emergono i ruoli di Remo Garosci e Livio Bianco della Reale Mutua Assicurazioni, del banchiere Camillo Venesio di Banca Anonima di Credito, realtà finanziarie non piegate al regime fascista e pronte a scrivere pagine nuove. Un pezzo di storia rivisitato con meticolosità, utilizzando documenti riemersi e testimonianze dirette. Nel biennio 1943-1945 il Piemonte, Torino, la Fiat si rivelano contesti fattuali, storici e sociali di grande significato. La fabbrica, il mondo cattolico con il cardinal Maurilio Fossati e vari parroci impegnati, la città nel suo insieme, sono lo scenario per l’ultima battaglia contro il tedesco e la RSI […] Documenti, testimonianze, verbali, sentenze, immagini, molti inediti: è questo il paradigma di elementi che ha permesso all’autore del presente saggio di ricostruire la sottile trama esistente fra la Fiat, le missioni alleate e la Resistenza nel biennio 1943-1945. Agnelli, Valletta, Ragazzi, Ratti, Menghi, Banfo, Melis, Dal Fiume, Garosci, Peccei, Tarallo, gli agenti e i militari inglesi del SOE e quelli americani dell’OSS, le formazioni partigiane e le SAP interagirono in vista della Liberazione. Fu una cooperazione silenziosa e prudente. La fabbrica, con i dirigenti e gli operai, fu protagonista; Torino e il Piemonte ne furono il contesto. La proprietà e il movimento sindacale non vollero cedere al tedesco occupante e alla RSI: vari scioperi seguirono quelli del marzo 1943, aiuti tecnici ed economici vennero messi a disposizione; partigiani e agenti alleati operarono all’interno degli stabilimenti di Mirafiori e Grandi Motori; molti furono i dirigenti e gli operai impegnati in prima persona nella Guerra di Liberazione.
Redazione, ‘Una trama sottile’: il nuovo saggio di Sergio Favretto, Casalenews, 17 febbraio 2017

Testo della testimonianza resa da Aurelio Peccei, dirigente Fiat, al processo del 1946, contro i fascisti alla Corte di Assise Speciale di Torino.
“Alle nove di sera, fui portato nei locali dell’ultimo piano di via Asti, che erano riservati agli interrogatori notturni, appunto perché lontani da orecchie che potessero sentire i lamenti dei seviziati. Durante quest’interrogatorio Serloreti interveniva saltuariamente, lasciando però il compito di trattare la mia causa al De Amicis che era assistito dalla stessa squadra di agenti, di casa Littoria. L’interrogatorio durò fino alle 2,30, quando gli agenti furono chiamati fuori per altri importanti operazioni ed io restituito alla cella. Durante l’interrogatorio, oltre ai soliti trattamenti, fui per due volte sottoposto al supplizio denominato “gondola di Stalin”, sevizia questa particolarmente dolorosa che il maresciallo De Amicis si vantava di averla imparata in Croazia e che consisteva nell’appendermi legato ai polsi ed alle caviglie con catenelle ad un moschetto issato sopra due tavoli. Mentre ero in tal modo sospeso, gli agenti continuavano a percuotermi. Ad un certo punto le catenelle che mi legavano mani e piedi si ruppero e caddi di peso a terra. Malgrado questa involontaria interruzione il De Amicis si mise subito alla ricerca di un’altra catenella senza però trovarla. Ad ogni modo si dimostrarono intenzionati a proseguire le sevizie. Non risulta che il Serloreti abbia assistito al supplizio della “gondola di Stalin”, però terminata la stessa, venne nella stanza e mi annunciò un colpo di scena e cioè che era stato arrestato un mio complice …portarono infatti dentro un giovane che seppi più tardi chiamarsi Maurizio “ lo spagnolo” che però non riconobbi, perché non l’avevo mai visto ed a cui Serloreti indicò i miei polsi seviziati e il mio viso percosso dicendo che se non parlava avrebbe subito la stessa sorte”.
Francesca Banfo, intervista resa a giugno 2016 sull’uccisione del papà Antonio e del cognato Salvatore Melis.
“Quel giorno, a Torino, era stata programmata una generale astensione dal lavoro in tutte le fabbriche per protestare contro i fascisti della RSI, contro le violenze e le azioni di guerra; le SAP e i partigiani, le varie GAP ed i movimenti operai, le commissioni del CLN aziendali, avevano definito una prova generale in vista della imminente Liberazione. Io, da pochissimo tempo, aiutavo come commessa nella panetteria Sandrone, a pochi metri di casa, in via Scarlatti n. 4 bis, ad angolo con via Monterosa. Mentre servivo in negozio, un cliente raccontò come alla Grandi Motori, nel mattino, mio padre rispose apertamente a Cabras, comandante della Guardia Repubblicana della provincia di Torino, e chiese che si ponesse termine alle violenze ed alla catture degli antifascisti ed operai. Appresi come mio padre, all’invito esplicito di Cabras sul perchè dello sciopero, disse: “Scioperiamo perchè la mattina, quando ci rechiamo al lavoro non vogliamo più vedere i morti per le strade, vogliamo che finisca la guerra e con essa i massacri; non vogliamo più rappresaglie, vogliamo vivere in pace”.
Ancora Francesca che parla: “Papà, dopo il turno del lavoro, rientrò a casa in via Scarlatti, accompagnato dal genero Salvatore Melis. Memore di quanto sentii in panetteria, gli suggerii di lasciare l’abitazione e raggiungere la mamma a San Mauro Torinese. Non mi diede retta e mi tranquillizzò. Dopo cena, papà con il piccolo Davide di appena tre anni, con il genero Salvatore e il nipotino Giovanni andarono a passeggiare in strada. Esitarono sui gradini di casa. Ricordo di aver nuovamente insistito perchè si allontanasse e non mi diede retta. Andammo a riposare. Ma io non ero affatto tranquilla. All’improvviso suonarono il campanello all’uscio. Chiesi chi fossero e mi risposero “…siamo amici di papà, siamo del partito di papà…( era un’avvia simulazione)”. Papà e Melis intuirono e scesero in cortile e poi in cantina, io dovetti aprire e mi puntarono il mitra in volto. Erano tutti giovani, con il viso coperto…In casa restai con i fratelli e sorelle…misero tutto sottosopra…poi se ne andarono, senza catturare papà e Salvatore…Dopo poco, risuonarono e cercarono ancora papà; non trovai la chiave per aprire e poi udii il fragore di una bomba a mano esplosa nell’atrio della cantina. Intravidi papà e mio cognato salire su un camioncino ed andare via…Dopo una ventina di minuti, avvertii alcuni colpi d’arma da fuoco. Pensavamo tutti che papà e Salvatore fossero riusciti a fuggire. Melis non doveva essere arrestato; spontaneamente seguì lo suocero, per generosità…Mi recai poi all’obitorio di Medicina Legale per riconoscere i corpi; con me c’era il prof. Valletta; esaminai bene i cadaveri e non avevano subito torture, non vi erano segni di violenza…solo un colpo al cuore…non erano stati condotti in via Asti”.
Sergio Favretto, Una trama sottile. Fiat: fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017

Reclutare uomini non serve se non si hanno armi. Oltre a quelle recuperate dai fascisti (tra defezioni e assalti alle caserme o presidi) la parte più consistente arriva dagli Alleati, che in tutto il nord Italia da 152 t. di materiale lanciato nel maggio passano 361 t. nel giugno e a 446 nel luglio. <617
Il supporto indispensabile degli Alleati sul piano materiale permette di far seguire all’aumento dell’organico un notevole sviluppo militare, che è inoltre aiutato dalla presenza di missioni inglesi nel cuneese e nelle Langhe a partire dall’inizio dell’estate [1944]. <618
[…] Colti tutti di sorpresa, mentre “Otello” segue una strada autonoma, i comandanti dei tre gruppi dell’Alessandrino decidono, dopo un’attenta valutazione, di passare con “Barbato”, anche su consiglio del capitano John, capo della missione alleata “Youngstown” nell’alessandrino, <856 il quale persuade i partigiani ad unirsi alla VIII zona per ricevere più armi, tanto più che “Otello”, destinatario di diversi aviolanci - secondo quanto riportato dal commissario della 45ª brigata - non sarebbe dell’intenzione di dividere le armi con le altre formazioni non autonome. <857
[NOTE]
617 T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza, cit., p. 330. Un periodo positivo per i lanci confermato dalle relazioni delle formazioni autonome, “Relazione sull’attività svolta nel periodo dal 12 al 30/06/44”, s.f., 5.7.44 in AISRP, B AUT/mb 1 i
618 Oltre alla nota missione di “Temple” presso “Mauri”, sono presenti la missione del maggiore “Hope” presso la VI divisione autonoma “Asti” a Cisterna; la missione “Youngstown” con sede a S. Maria di Mocalvo, composta di quattro ufficiali italiani che operano nell’OSS della V armata americana. Capo di questa missione è il capitano “John”, che si scoprirà essere un alessandrino, cap. Gian Sandro Menghi; e un gruppo di commandos inglesi che combattono a fianco degli autonomi nelle Langhe comandati dal cap. Mac Donald, in P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., pp. 79-80
856 Il “cap. John” è in realtà l’alessandrino capitano Gian Sandro Menghi, che insieme ad altri quattro ufficiali italiani, tra cui il ten. Giancarlo Ratti, operava nell’OSS alle dipendenze della V armata americana. La sede della missione era a S. Maria di Moncalvo, in P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., p. 80
857 «[…] considerato che tutti gli aviorifornimenti per la zona del Monferrato vengono effettuati presso il comando zona già costituito e che pertanto la nuova zona non avrebbe legami di sorta in proposito, considerato anche che per tendere alla effettiva unicità dei comandi è necessario impedire l’eccessivo frazionamento delle zone, i suddetti rappresentanti hanno deciso di mettersi a disposizione del già costituito comando di zona ed invitano le altre formazioni del settore a fare la stessa cosa», “Promemoria per la riunione dei Comandanti di formazione del Settore”, Comando VIII Divisione Garibaldi - Asti, Il commissario politico alla Delegazione, 18.2.45 in AISRP, MAT/ac 14 b, p. 4
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

domenica 10 dicembre 2023

Edison aveva brevettato una maniera per aggiungere il sonoro alle sue brevi pellicole

Un fotogramma del Dickson Experimental Sound Film (1895). Fonte: Wikipedia

Ogni nuova tecnologia, che soppianta abitudini e usi precedenti alla sua nascita, è motivo di divisione, di crisi ma anche evoluzione e cambiamento sociale. Per Marshall McLuhan i media non si limitano a essere strumenti che ci portano verso il mondo ma costituiscono essi stessi il mondo reale.
Quando, nel 1921, viene fondata in Gran Bretagna la BBC (la più antica radio del mondo tuttora esistente) è la prima radicale innovazione nelle comunicazioni di massa dopo l'invenzione della stampa e conosce subito un grandissimo successo, soprattutto in America e in Europa.
Come sempre accade ad ogni medium, quando la tecnologia utilizzata viene messa a punto, si generano nuovi contenuti, linguaggi, immaginari, ed anche produttori e prodotti, consumi e consumatori.
La musica portatile e le notizie diffuse via radio, quindi la riproduzione di contenuti audio in diretta, ci hanno avvicinati da un capo all’altro del mondo.
Cerchiamo ora di capire cosa ha apportato in questo senso invece l’evoluzione del video, dal cinema alla tv.
[...] Ai fratelli Lumière si deve appunto l'idea di proiettare la pellicola, così da consentire la visione dello spettacolo ad una moltitudine di spettatori, quindi riproduzione di contenuti visivi in differita. Mentre la musica veniva
suonata in diretta, con un orchestra presente nel luogo di proiezione.
Nonostante ciò, intorno al 1900, essi, non intuendo il potenziale del loro brevetto come mezzo per fare spettacolo, ma considerandolo esclusivamente a fini documentaristici, cedettero i diritti di sfruttamento della loro invenzione a Charles Pathé.
Il cinematografo si diffuse così immediatamente in Europa e poi nel resto del mondo.
Si delinearono le prime tecniche proprie del linguaggio cinematografico (la soggettiva, il montaggio lineare, il raccordo sull'asse e i movimenti di camera) e i primi effetti speciali come i trucchi di montaggio (Méliès faceva apparire e sparire personaggi, oggetti e sfondi), le sovrimpressioni (dai registi della scuola di Brighton, riprese dalla fotografia), ecc.
La storia del cinema inizia a mutare radicalmente nel 1927, quando da un’arte prettamente visiva, passa ad includere in sé il linguaggio sonoro.
La possibilità di sincronizzare dei suoni alle immagini è vecchia come il cinema stesso: lo stesso Thomas Edison aveva brevettato una maniera per aggiungere il sonoro alle sue brevi pellicole <2.
Ma quando i vari esperimenti raggiunsero un livello qualitativo accettabile, ormai gli studios e la distribuzione nelle sale erano organizzati al meglio per la produzione muta per cui l'avvento del sonoro venne giudicato non necessario e a lungo rimandato per questioni economiche produttive: non era conveniente.
Cinema muto, per quanto riguarda il parlato, ma non privo di accompagnamento musicale, garantito dalla presenza in sala di un pianista o di un'intera orchestra.
Lo stato delle cose cambiò di colpo quando la Warner (oggi fra le più importanti case di produzione cinematografiche e televisive statunitensi), sull'orlo della bancarotta, giudicò di non avere ormai niente da perdere e, rischiando, lanciò il primo film sonoro: "Il cantante di jazz".
Fu un successo oltre le aspettative: nel giro di un paio di anni la nuova tecnologia si impose prima a tutte le altre case di produzione americane, e poi a quelle del resto del mondo.
La tecnica venne perfezionata ulteriormente nel 1930, creando due nuove attività, il doppiaggio e la sonorizzazione.
Questa novità provocò un terremoto nel mondo del cinema.
Con il sonoro e la musica, la recitazione teatrale a cui si affidavano gli attori del cinema muto risultava esagerata e ridicola: così, dopo alcuni fiaschi le stelle del cinema muto scomparvero in massa dalle scene, e salì alla ribalta un'intera nuova generazione di interpreti, dotati di voci più gradevoli e di una tecnica di recitazione più adatta al nuovo cinema.
Da qui in poi sarà l’evolversi dello stile narrativo e dei temi sociali uniti alle capacità tecniche dei più noti registi di tutti i tempi e alle modalità di fruizione, a scrivere la storia del cinema classico.
Ma noi proseguiamo il nostro viaggio in direzione della televisione, per far emergere come i media visti finora l'abbiano in parte “costruita”.
[NOTE]
2. Si tratta del Dickson Experimental Sound Film del 1895, il primo film il cui suono fu registrato assieme alle immagini, e fu girato appositamente per il Kinetoscopio
Jessica Maullu - Valentina Beraldo, I contenuti televisivi nello scenario transmediale: format culturali attraverso la tv e il web, Tesi di laurea Magistrale, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2010-2011

venerdì 1 dicembre 2023

Circa i primi tentativi di epurazione del fascismo


Il tentativo di defascistizzazione del Paese si dispiegò attraverso anni di produzione legislativa e mediante la creazione di istituzioni deputate alla messa in atto pratica di questo processo. Tale fenomeno partì ben prima del termine delle ostilità, anzi cominciò quando gran parte del territorio nazionale era ancora sottoposto all'occupazione nazifascista e, almeno nei decreti iniziali, sembrava chiaramente voler far rientrare nell'opera di giustizia ed epurazione non solo il recente fascismo repubblicano ma il fascismo tutto, mettendo dunque sotto giudizio l'intero sistema di potere che aveva controllato il paese nel ventennio precedente.
Il 28 dicembre 1943 il Regio decreto legge 29/B <506, prevedeva di sottoporre a giudizio chi avesse ricoperto cariche e ruoli partitici durante il Ventennio, ovvero chi avesse partecipato alla marcia su Roma, chi fosse stato squadrista, chi avesse ricoperto cariche nel partito ad alto ma anche al medio e al basso livello <507.
Il periodo badogliano dell'epurazione, ovvero quello del primo governo del maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, rimasto in carica fino alla svolta di Salerno dell'aprile 1944 <508, certo sembra essersi contraddistinto per una tendenza generale caratterizzata dalla volontà di eliminare le peggiori escrescenze fasciste e i personaggi maggiormente compromessi per mantenere, in realtà, la maggiore continuità possibile con il vecchio sistema di potere <509.
In particolare durante i «quarantacinque giorni», ovvero il periodo intercorso tra la caduta del fascismo il 25 luglio e l'armistizio dell'8 settembre 1943, gli Alleati al centro sud mostrarono maggiore decisione nell'opera di defascistizzazione di quanto non facessero le autorità italiane <510.
Dall'armistizio alla primavera-estate del 1944, la linea generale non sembrò cambiare più di tanto. Il 13 aprile del 1944 intervenne il Regio decreto n. 110 che istituiva un Alto commissariato per la epurazione nazionale del fascismo, prima istituzione centrale ufficialmente deputata all'applicazione del principio epurativo e punitivo <511. Esso veniva affidato a Tito Zaniboni <512, l'antifascista socialista che aveva tentato il primo fallito attentato contro Mussolini nel 1925. Poco più di un mese dopo, tuttavia, sotto il secondo governo Badoglio formatosi il 22 aprile, l'ordinamento veniva già modificato con la creazione di un Alto commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo (R.d.l. del 26 maggio 1944 n. 134, «Punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo»): agli inizi di giugno il conte Carlo Sforza <513 era nominato Alto commissario e Mario Berlinguer <514, del Partito d'azione, Alto commissario aggiunto. Se è vero che il decreto innestava accanto e assieme al problema dell'epurazione quello della punizione dei delitti, prevedendo anche la pena di morte per i reati più gravi e decretando l'annullamento delle amnistie emesse durante il fascismo, altrettanto vero è che si manifestava una caratteristica e un limite che avrebbero contraddistinto tutta la legislazione in materia: l'avvicendamento continuo degli organi preposti all'epurazione, primo e decisivo «elemento di disfunzione tecnica e organizzativa» <515, certo imputabile anche alla concomitanza e alle implicazioni del contesto bellico. Dopo la liberazione di Roma, il passaggio dal secondo governo Badoglio a quello di Ivanoe Bonomi <516, il 18 giugno 1944, con la creazione di un esecutivo guidato dai partiti del Comitato di liberazione nazionale, portò l'istanza e il disegno della defascistizzazione ad avere un peso e una decisività che prima non avevano avuto. Uno dei maggiori momenti di svolta per la storia della legislazione e dell'applicazione di epurazione e punizione è infatti il Decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo». È stato scritto che tale provvedimento, definito da Hans Woller «la Magna Charta dell'epurazione politica» <517, fu «il cardine principale di tutta la costruzione che, attraverso le sanzioni contro il fascismo, tentava di precostruire le coordinate su cui edificare il nuovo stato democratico» <518. Il decreto agiva in due direzioni principali. Da un lato con il Titolo II regolava, per la prima volta compiutamente, l'epurazione dell'amministrazione: l'articolo 12 stabiliva la dispensa dal servizio «per coloro che, specialmente in alti gradi, col partecipare attivamente alla vita politica del fascismo o con manifestazioni ripetute di apologia fascista, si [erano] mostrati indegni di servire lo stato», ma anche per «coloro che, anche nei gradi minori, [avevano] conseguito nomine ed avanzamenti per il favore del partito o dei gerarchi fascisti». Con gli articoli successivi, l'allontanamento dal servizio era previsto anche per coloro che avessero aderito attivamente alla Repubblica Sociale tra il 1943 e il 1945. Il giudizio di epurazione era affidato, con l'articolo 18, a Commissioni di primo grado costituite presso ogni ministero o amministrazione, ente autonomo, comune, provincia. Queste commissioni avrebbero dovute essere costituite da un magistrato, un funzionario dell'amministrazione o della prefettura, e un terzo membro designato dall'Alto commissario per le sanzioni. Il testo in oggetto sarà la base per la istituzione delle Commissioni provinciali di epurazione (in seguito, Delegazioni provinciali dell'Acsf). Il Titolo V regolava compiutamente le nuove funzioni dell'Alto commissario, cui veniva affidata l'opera di controllo e direzione dell'applicazione di tutta la materia trattata dal decreto in oggetto <519. Pochi giorni dopo l'emanazione del decreto, il conte Sforza veniva confermato Alto commissario, affiancato da quattro alti commissari aggiunti, uno per ogni ramo riconosciuto come parte del processo di defascistizzazione (punizione penale dei delitti, epurazione, liquidazione dei beni fascisti e avocazione dei profitti di regime); tra questi, si sceglieva il comunista Mauro Scoccimarro <520 per l'epurazione dell'amministrazione e veniva confermato l'azionista Mario Berlinguer per la punizione dei delitti.
L'altra direzione in cui agiva, in modo decisivo, il decreto, era infatti quello della punizione dei delitti in sede penale. L'articolo 2 del decreto istituiva un'Alta Corte di giustizia, composta «da un presidente e da otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e altre personalità di rettitudine intemerata»; ad essa veniva affidato il compito di perseguire i gerarchi del regime precedente <521. All'Alta Corte veniva assegnato anche il compito di decidere dell'eventuale decadenza dalla carica per i membri di Assemblee legislative (principalmente, i Senatori del regno) «che con i loro voti [avessero contribuito] al mantenimento del regime fascista e a rendere possibile la guerra» <522. L'articolo 3 del Dll permetteva di portare a processo coloro che avessero organizzato squadre fasciste, coloro che avevano promosso o diretto la salita al potere del fascismo nel 1922, coloro che avessero promosso o diretto, tra 1925 e 1926, la trasformazione del fascismo in regime e coloro che avessero contribuito, con «atti rilevanti» - una dicitura che, come sarà possibile vedere in seguito, generò non poche questioni di interpretazione - a mantenere in vita, dopo il 1925, lo stesso regime. Ancora: lo stesso articolo, al suo ultimo comma, rendeva punibili - potenzialmente, almeno - anche tutti quei delitti commessi durante il fascismo «per motivi fascisti o valendosi della situazione creata dal fascismo»; fatti e reati che magari non erano stati precedentemente perseguiti perché, appunto, commessi all'ombra e grazie al clima favorevole del regime <523. È importante quindi evidenziare come, inizialmente, i decreti della transizione prevedessero la possibilità di portare a processo, in sede penale, anche i delitti del fascismo monarchico, del Ventennio di regime, e non solo quelli commessi, nell'ambito del collaborazionismo con i tedeschi occupanti, nel corso del ‘43-‘45. L'articolo 4 stabiliva che i delitti previsti in questi articoli venissero giudicati «dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori». Le Corti d'assise avrebbero dovuto essere composte da due magistrati e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini «di condotta morale e politica illibata» <524. Inoltre, con l'articolo 6 del decreto, veniva prevista la possibilità di riaprire casi processuali legati a fatti di violenza che, tra anni Venti e Trenta, avessero visto assoluzioni in favore di squadristi, casi per i quali venisse riconosciuto che tali assoluzioni erano state causate dall'influenza, diretta ma anche indiretta, esercitata dal clima illiberale determinato dal fascismo al potere <525. L'art. 5 del decreto costituiva poi la base giuridica delle imputazioni per il reato di collaborazionismo con il tedesco invasore, per i fatti verificatisi nel contesto della guerra in Italia durante il ‘43-‘45: "Chiunque, posteriormente all'8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra. Le pene stabilite per i militari sono applicate anche ai non militari. I militari saranno giudicati dai Tribunali militari, i non militari dai giudici ordinari <526.
[NOTE]
506 Cfr. Regio decreto legge 28 dicembre 1943 n. 29/B, «Defascistizzazione delle Amministrazioni dello Stato, degli Enti locali e parastatali, degli Enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti servizi pubblici o di interesse nazionale».
507 Cfr. Marcello Flores, L'epurazione, in L'Italia dalla liberazione alla repubblica, (Atti del Convegno di Firenze-1976), Regione Toscana, Feltrinelli, Milano 1977, p. 413.
508 Il primo governo del Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio rimase in carica dalla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1945, fino alla fine di aprile del 1944 (passando per l'8 settembre e per lo spostamento provvisorio della capitale al Sud). L'iniziativa di Togliatti e la svolta di Salerno dell'aprile 1944 portarono, in cambio del rinvio della questione istituzionale monarchia-repubblica, all'ingresso dei partiti del Cln all'interno dell'esecutivo e alla formazione del II governo Badoglio. Quest'ultimo, rimasto in carica fino alla liberazione di Roma nel giugno 1944, la quale sancì la definitiva leadership del Cln a capo dell'esecutivo, con il governo di Ivanoe Bonomi.
509 M. Flores, L'epurazione, p. 413.
510 Hans Woller, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia 1943-1948, il Mulino, Bologna 1997, p. 55.
511 Cfr. Regio decreto legge (Rdl) 13 aprile 1944, n. 110, «Istituzione di un Alto commissario per la epurazione nazionale dal fascismo».
512 Tito Zaniboni (Mantova 1883-Roma 1960). Veterano e decorato della Grande guerra, deputato socialista alla Camera tra 1921 e 1924, è noto per essere stato uno degli artefici del «patto di pacificazione» tra socialisti e fascisti nell'estate del 1921 (sua controparte principale, Giacomo Acerbo) e, soprattutto, per aver organizzato il primo attentato (fallito) contro Benito Mussolini il 4 novembre 1925 a Roma. Arrestato, processato per alto tradimento a trent'anni di reclusione, venne scarcerato soltanto l'8 settembre 1943. Venne nominato dal Presidente del Consiglio Badoglio primo Alto commissario per le sanzioni al fascismo nel febbraio del 1944; tuttavia, le sinistre, e i socialisti in particolare, valutarono la mossa di Badoglio come una manovra per mantenere stabile, in cambio, la marginalizzazione delle sinistre all'interno del governo; già a maggio, venne valutato di sostituire Zaniboni: al suo posto, venne nominato Carlo Sforza. Zaniboni fu poi Alto commissario per i profughi e i reduci.
513 Carlo Sforza (Montignoso, Massa 1872-Roma 1952). Una delle figure più illustri di raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana e una delle poche a poter vantare, al contempo, una totale estraneità al fascismo. Nobile, di un ramo laterale della celebre casata milanese, si formò a Pisa e fece anzitutto carriera come diplomatico: alle soglie della Prima guerra mondiale, era una delle figure diplomatiche e istituzionali più rispettate anche all'estero. Interventista democratico e convinto sostenitore dei diritti territoriali italiani alla fine del conflitto, ebbe il suo primo incarico politico-istituzionale sotto il governo Nitti, con la nomina a sottosegretario agli Esteri (1919); un anno dopo, Giolitti lo nominò invece Ministro degli Esteri, veste nella quale Sforza guidò l'Italia alla firma del Trattato di Rapallo, che sanciva definitivamente i confini del Paese dopo la Grande guerra. Pur essendo una figura di primissimo piano istituzionale e diplomatico, dimostrò fin da subito la propria diffidenza e poi la propria avversione al fascismo, dimettendosi dalla carica di ambasciatore a Parigi il 30 ottobre 1922, due giorni dopo la marcia su Roma. Fu attivo nell'opposizione parlamentare, e fu uno dei pochissimi senatori che denunciarono esplicitamente, nell'aula del Senato, le responsabilità di Mussolini per la morte di Matteotti. L'anno prima, nel 1924, era stato tra coloro (assieme a Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi, Luigi Einaudi, Carlo Rosselli) che avevano seguito Giovanni Amendola nella fondazione della coraggiosa ma effimera dell'esperienza Unione nazionale democratica liberale. Con il consolidarsi del regime, dopo aver subito una serie di minacce e intimidazioni personali, nel 1927 Sforza decise per l'autoesilio all'estero. Rientrò in Italia alla fine del 1943 per prendere parte al governo Badoglio e del re al Sud, ma si dichiarò fin da subito intenzionato a perseguire la strada dell'allontanamento di Vittorio Emanuele III e della soluzione repubblicana. Fu nominato alla Consulta e poi eletto alla Costituente nelle file del Partito Repubblicano. Fu nuovamente Ministro degli Esteri nel terzo governo De Gasperi (febbraio 1947-maggio 1947), e lo rimase, nonostante il cambiamento dei governi, fino al luglio 1951. In questa veste, similmente a quanto successo alla fine della Grande guerra, firmò i trattati di pace per l'Italia ed ebbe un ruolo decisivo nell'ingresso dell'Italia nelle nuove organizzazioni e alleanze internazionali e di integrazione europea.
514 Mario Berlinguer (Sassari 1891 - Roma 1969). Figlio di un avvocato ed esponente repubblicano sassarese - e padre del Berlinguer decisamente più noto, ovvero il leader del Partito Comunista Enrico Berlinguer (Sassari 1922 - Padova 1984) - Mario Berlinguer entrò giovanissimo nella politica sassarese, aderendo al repubblicanesimo, collaborando con «La Nuova Sardegna», fondata dal padre, e partecipando all'attività di una lega contadina. Si laureò in giurisprudenza nel 1913 discutendo una tesi di filosofia giuridica e l'anno successivo divenne procuratore legale. Dopo la Grande guerra, alla quale partecipò come interventista e volontario, aderì alle posizioni demoliberali di Giovanni Amendola: nel 1924, venne eletto alla Camera dei deputati; nel corso della campagna elettorale, subì violenze squadriste e intimidazioni. Nel frattempo, prese le redini del quotidiano «La Nuova Sardegna», dalle pagine del quale condusse una vigorosa campagna antifascista. Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, prese parte alla protesta dell'Aventino, fu tra coloro (Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi e altri) che seguirono Giovanni Amendola nella fondazione dell'effimera Unione Democratica Nazionale, nell'autunno 1924, e fu tra i deputati dichiarati decaduti dalla dittatura nel 1926; anche in questo periodo subì aggressioni e intimidazioni da parte dei fascisti. Nel corso degli anni Trenta, si dedicò alla professione forense, costretto ad estraniarsi dalla lotta politica, pur continuando a mantenere contatti clandestini con vari esponenti e anime antifasciste. Riprese la militanza politica, clandestinamente, già dal 1942: non credendo più nell'idea amendoliana di restaurazione liberale, aderì al programma del neonato Partito Sardo d'Azione e poi del Partito d'Azione nazionale. Già prima del 25 luglio 1943, sulle pagine di un nuovo giornale clandestino, «Avanti Sardegna!», invitò la popolazione alla lotta armata contro il fascismo. Fu rappresentante del Comitato di liberazione nazionale della Sardegna al congresso del Cln a Bari nel gennaio 1944. Con la formazione del governo Bonomi (giugno 1944), fu tra coloro chiamati a dirigere l'Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, con la delega alla Punizione dei delitti in sede penale, ruolo che rivestì per circa un anno fino al luglio 1945. In quei mesi, svolse anche il ruolo di pubblico ministero in alcuni importanti processi celebrati dall'Alta Corte di giustizia, tra cui quello contro il questore di Roma Pietro Caruso o quello contro il generale Mario Roatta. Fu poi membro della Consulta nazionale tra 1945 e 1946 per il Partito d'Azione; non partecipò all'esperienza della Assemblea Costituente, e dopo lo scioglimento del Partito d'Azione aderì al Partito Socialista Italiano, con il quale avrebbe proseguito tutta la carriera politica: nel 1948 fu eletto senatore nella I legislatura e poi alla Camera per altre tre legislature fino al 1968. Tra 1968 e 1969 dovette ritirarsi in seguito al peggioramento del suo stato di salute, afflitto da una lunga malattia. Morì nel luglio 1969, pochi mesi dopo che suo figlio Enrico, destinato a diventare il più importante leader della sinistra italiana tra anni Settanta e Ottanta, era stato eletto vicesegretario generale del Partito Comunista. La bibliografia su Mario Berlinguer non è ampia; cfr. Francesco M. Biscione, «Mario Berlinguer», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 34, Treccani 1988, ad nomen e, più recentemente, Massimiliano Paniga, Mario Berlinguer. Avvocato, magistrato e politico nell'Italia del Novecento, FrancoAngeli, Milano 2017.
515 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 415.
516 Ivanoe Bonomi (Mantova 1873-Roma 1951). Bonomi costituisce una delle figure di maggior raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana con, nel mezzo, una non così tempestiva avversione al fascismo. Iniziò ventenne la sua carriera politica tra le fila del Partito socialista, e nel frattempo si laureò in scienze naturali e in giurisprudenza. Fu deputato per quattro legislature della Camera tra 1909 e 1925, prima con il Partito socialista e poi con il Partito socialista riformista, dopo l'espulsione dell'area riformista dal Psi nel 1912. Dopo una serie di incarichi ministeriali tra anni Dieci e primi anni Venti, dal luglio 1921 al febbraio 1922 fu Presidente del Consiglio. In questa veste, fu piuttosto acquiescente nei confronti delle formazioni paramilitari fasciste e, diversamente, piuttosto duro nel reprimere quelle antifasciste, tra cui gli Arditi del Popolo. Del resto, già come Ministro della guerra, tra 1920 e 1921, aveva invitato le autorità dell'esercito, attraverso il capo di stato maggiore Pietro Badoglio, a tenere «prudenti contatti informativi» con i fascisti, cfr. Luigi Cortesi, «Ivanoe Bonomi», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 12, Treccani 1971, ad nomen. Nel novembre del 1922, votò la fiducia al primo governo Mussolini. Nel novembre 1924, tuttavia, aderì all'Unione democratica nazionale di Giovanni Amendola, e dopo il 1925 si ritirò a vita privata. Nel settembre 1942 fondò il giornale clandestino «Ricostruzione». Nel corso del 1943, il suo impegno e i suoi contatti con Badoglio e con il re ebbero un certo peso nelle vicende che portarono alla caduta di Mussolini il 25 luglio. Dopo la caduta del fascismo, venne nominato presidente del Comitato di liberazione nazionale. Successivamente fondò la Democrazia del lavoro, partito di ispirazione riformista e liberal-socialista, al quale aderirono personaggi come Meuccio Ruini, Mario Cevolotto, Enrico Molè. Dopo essere stato scelto come Presidente del Consiglio dell'esecutivo a trazione Cln, successivo alla «svolta di Salerno» e alla Liberazione di Roma, mantenne l'incarico dal giugno 1944 al giugno 1945, con due diverse compagini di sei mesi ciascuna (la seconda, priva del Psi e del Partito d'azione). Dal 1947 partecipò alla delegazione italiana agli accordi di pace. Nel frattempo, era passato al Partito socialista democratico italiano, divenendone presidente. Morì rivestendo la carica di Presidente del Senato nel corso della I legislatura.
517 H. Woller, I conti con il fascismo, cit. p. 193.
518 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 419.
519 Così l'art. 40 Dll 27 luglio 1944 n.159, «Sanzioni contro il fascismo»: «Ad assicurare l'applicazione del presente decreto è istituito un Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. L'Alto commissario è nominato su deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è per la durata della carica equiparato ai magistrati dell'ordine giudiziario di primo grado. Egli è assistito da alti commissari aggiunti per ciascuno dei rami di sua competenza».
520 Mauro Scoccimarro (Udine 1895-Roma 1972). Eroe di guerra nel 1915-18, nel 1917 aderì al Partito socialista per poi partecipare alla scissione del 1921 e alla fondazione del Partito comunista, partito nel quale militò per il resto della vita. Arrestato a Milano nel 1926 per attività antifascista, venne condannato dal Tribunale speciale a vent'anni di carcere, che scontò a Ponza e a Ventotene. Fu liberato soltanto nell'estate del 1943. Successivamente, partecipò ai quadri direttivi comunisti durante la Resistenza. Concluse l'esperienza presso l'Alto commissariato per diventare, nel dicembre 1944, Ministro dell'Italia occupata, fino al giungo 1945. Fu poi Ministro delle Finanze nel governo Parri, conservando il ruolo dal giugno 1945 al 1947. Deputato all'Assemblea Costituente, fu poi senatore nelle prime cinque legislature repubblicane.
521 Art. 2 del Dll 27 luglio 1944: «I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe, sono puniti con l'ergastolo e, nei casi di più grave responsabilità, con la morte. Essi saranno giudicati da un'Alta Corte di giustizia composta di un presidente e di otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e fra altre personalità di rettitudine intemerata». Sull'Alta Corte di giustizia mancano testi e lavori ad essa integralmente dedicati. Recentemente (2015), hanno trattato il tema alcune pagine del già citato saggio di Francesca Tacchi, dedicando tuttavia attenzione soprattutto all'attività dei collegi difensivi impegnati nei processi dell'Alta Corte, cfr. F. Tacchi, Difendere i fascisti? Avvocati e avvocate nella giustizia di transizione, in G. Focardi e C. Nubola (a cura di), Nei Tribunali, cit., pp. 56-62. Tacchi riporta che l'Alta Corte celebrò 27 procedimenti contro 99 imputati (di cui ben 68 prosciolti in Camera di consiglio); dal 21 settembre 1944 all'11 ottobre 1945 l'Alta Corte emise 16 sentenze nei confronti di 31 persone; di queste, quattro a morte, sei all'ergastolo, e tre a 30 anni di reclusione, Ivi, p. 60.
522 La questione era trattata dall'ultimo comma dell'articolo 8 del decreto: «[…] Quanto ai membri di Assemblee legislative o di enti ed istituti che con i loro voti o atti contribuirono al mantenimento del regime fascista ed a rendere possibile la guerra, la decadenza della loro carica sarà decisa dall'Alta Corte di cui all'art. 2, ciò senza pregiudizio delle sanzioni di cui al presente decreto in quanto siano applicabili».
523 Articolo 3 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Coloro che hanno organizzato squadre fasciste, le quali hanno compiuto atti di violenza o di devastazione, e coloro che hanno promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922 sono puniti secondo l'art. 120 del Codice penale del 1889. Coloro che hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno in seguito contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista sono puniti secondo l'art. 118 del Codice stesso. Chiunque ha commesso altri delitti per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo è punito secondo le leggi del tempo».
524 Art. 4 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «I delitti preveduti dall'articolo precedente sono giudicati, a seconda della rispettiva competenza, dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori. Le Corti d'assise sono costituite dai due magistrati, previsti dal Testo unico delle disposizioni legislative sull'ordinamento delle Corti di assise, e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini di condotta morale e politica illibata».
525 Art. 6 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Non può essere invocata la prescrizione del reato e della pena a favore di coloro che, pur essendo colpevoli dei delitti di cui al presente decreto, sono rimasti finora impuniti per l'esistenza stessa del regime fascista. Per lo stesso motivo le amnistie e gli indulti concessi dopo il 28 ottobre 1922 sono inapplicabili ai delitti di cui al presente decreto e, se sono già stati applicati, le relative declaratorie sono revocate. […] Le sentenze pronunziate per gli stessi delitti possono essere dichiarate giuridicamente inesistenti quando sulla decisione abbia influito lo stato di morale coercizione determinato dal fascismo. La pronuncia al riguardo è affidata ad una Sezione della suprema Corte di Cassazione, designata dal Ministro Guardasigilli».
526 Cit. art. 5 del Dll 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo».
Matteo Bennati, Una giustizia in transizione. Trame complesse di giustizia e politica nel passaggio dal fascismo alla Repubblica, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, Anno accademico 2020-2021

giovedì 23 novembre 2023

Il giornalismo partecipativo in Italia come valutato alcuni anni fa


In Italia il fenomeno del citizen journalism è relativamente recente. Le sue origini possono essere fatte risalire al maggio 2006, quando diversi forum di utenti denunciarono la pubblicazione on line di un video dove alcuni studenti maltrattavano un compagno disabile, suscitando la reazione sdegnata della blogosfera e dando il via all’inchiesta giornalistica iniziata dai canali mainstream di informazione. Tuttavia, l’attenzione che i principali canali di diffusione diedero a questa prima denuncia ad opera degli utenti fu relativamente bassa. Le cronache si incentrarono principalmente sul contenuto del video pubblicato piuttosto che sulle modalità di denuncia da parte della rete, focalizzando l’attenzione sulla necessità di porre limiti etici ai contenuti pubblicati on line. Questo fatto di cronaca locale, ad ogni modo, rese la galassia web consapevole della propria importanza nel reperire elementi da poter denunciare ai mass media e alle autorità competenti, e da quell’anno si moltiplicarono le inchieste collettive, il cui obiettivo principale è stato focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su tematiche altrimenti poste in secondo piano dal mondo dell’informazione mainstream.
L’unità cellulare dell’open source journalism è anche in Italia rappresentata dai blog di informazione, blog che da ormai un decennio sono diventati, anche grazie a contest basati sulla qualità e sul successo nella blogosfera come il Macchianera Blog Awards, una pedina fondamentale per valutare le sensazioni dell’opinione pubblica. Il successo del giornalismo user generated sta proprio nel fatto che giornalismo oggi non significa più soltanto pubblicare un articolo: ogni contributo può infatti far sì che i media svolgano meglio la loro funzione di controllo e che possano trovare temi innovativi, utilizzando la blogosfera come termometro sociale. Nei blog e nelle communities, nonché tramite reporter-cittadini, i giornalisti che fanno ricerche in modo professionale possono trovare argomenti e informazioni inedite e scovare in tempi molto più rapidi cambiamenti e pericoli.
Il giornalismo partecipativo è anche in Italia la risultante di una doppia evoluzione, tecnologica e sociale. La democratizzazione di Internet, la comparsa dei blog, lo sviluppo del digitale in tutte le sue forme, tutto ciò ha aumentato la possibilità di esprimersi, di comunicare e di scambiare informazione. Questa nuova realtà tecnologica ha consentito a un fenomeno sociale più profondo di concretizzarsi: il desiderio del cittadino di non subire l'informazione ma di parteciparvi.
I redattori di Current TV188 hanno definito in pochi punti i motivi per cui in Italia ebbe così successo l’esperimento della televisione on line fondata da Al Gore. Secondo questo piccolo manifesto della nuova efficienza  dell’informazione le cause risiedevano in 5 fattori fondamentali:
- Qualità (video e pod erano infatti caricati dagli utenti e documentavano aspetti del mondo reali ed inesplorati)
- Flusso Continuo (non vi era un vero e proprio palinsesto, ma tutto si basava su pod e quindi su moduli di durata variabile, da 1 a 8 minuti; questo ha consentito un flusso ininterrotto dello stesso video durante un lasso temporale potenzialmente infinitamente esteso)
- Attualità (i redattori hanno trattato tematiche di informazione e approfondimento, e al contempo argomenti alternativi come lo sport e lo spettacolo)
- Democratizzazione (Current è riuscita infatti nell'intento di creare una community attorno al web dove non era prevista censura e dove era previsto che i video più graditi dagli utenti sarebbero stati trasmessi in tv e retribuiti)
- Rete Indipendente (a totale garanzia della democrazia dei contenuti).
Tra i primi a sperimentare il giornalismo partecipativo a tutti gli effetti in Italia vi furono i redattori di Radio Radicale con la creazione del sito FaiNotizia.it <189. Era il 2006, e il sito fu un “esperimento sociale e giornalistico finalizzato ad utilizzare il carattere libero e collaborativo dei nuovi media per dar vita a un nuovo modello di informazione”. Il sito divenne presto un luogo dove gli utenti si attivavano nella ricerca e nella redazione di notizie, potendo inserire i propri contributi testuali, video, foto, segnalare notizie interessanti trovate su altri siti o blog, commentare e votare le segnalazioni degli altri membri della community, e dare origine ad inchieste collaborative di vario genere. In un paio di anni FaiNotizia.it coinvolse più di 8.000 persone, che inserirono nel sito oltre 14.000 interventi, 18.000 segnalazioni, 27.000 commenti, 250 video e novanta inchieste.
Secondo gli ideatori del progetto, “la missione di un simile progetto è quella di tornare a mettere al centro dell'informazione il cittadino e il suo diritto a conoscere per deliberare, nella convinzione che nei nuovi media risieda un potenziale (ancora tutto da esplorare) tale da scardinare gli assetti attuali del sistema dell'informazione e da creare un luogo nuovo, una moderna agorà nella quale il cittadino è chiamato a dare un contributo attivo. Ogni persona rappresenta infatti una fonte unica e insostituibile di conoscenza e FaiNotizia.it costituisce lo spazio telematico per la condivisione e l'arricchimento di questo patrimonio di notizie, opinioni ed esperienze, che anche in questo caso è libero, grazie all'adozione delle licenze Creative Commons” <190.
Nello stesso anno è stato fondato Comincialitalia.net, il “primo quotidiano cartaceo italiano dei cittadini” <191, interamente scritto dai cittadini stessi, che ne rappresentano la Redazione. Si tratta di un giornale fai da te in cui l’utente-autore scrive on line, impagina e titola il suo articolo, e lo invia senza necessità di revisioni ulteriori. Ad oggi la testata vanta oltre sette mila visitatori unici al giorno, duecentomila al mese, e più di trecentocinquantamila pagine lette.
Navigando oggi nella rete è quindi possibile trovare numerosi esempi di piattaforme di user generated content. La versione italiana di Globalvoices <192, social media ideato dalla Harward Law School e basato sulla promozione del citizen journalism, è uno dei più attivi nella tutela dei consumatori e dei diritti umani. Il suo slogan è “il mondo ha bisogno di te: invia un contributo”.
Progetto di citizen journalism nato in Francia e dal 3 ottobre 2008 attivo anche in Italia, Agoravox.it193 è un sito d’informazione fatto dai cittadini che ha come obiettivo la creazione di un nuovo spazio d’incontro per la libera circolazione delle notizie. Il sito offre agli utenti la possibilità di pubblicare e commentare articoli e reportage di qualsiasi tipo, dalla cronaca allo sport passando per la cultura, l’economia e l’ambiente. Sfruttando le potenzialità di Internet, Agoravox si propone come nuova fonte d’informazione aperta da affiancare ai media tradizionali, proponendo periodicamente inchieste provenienti dal basso, e ottimizzando così il contributo dei propri blogger.
Il sito italiano di Indymedia (Indipendent Media Center Italia) è una rete di utenti attivi nel mondo della comunicazione: videomaker, radio, giornalisti e fotografi. Nato nel giugno del 2000, in occasione del vertice CSE di Bologna, oggi è tra i portali più attivi e visitati, grazie all’offerta di un eclettico strumento d’informazione e di dibattito interno al movimento No Global e non solo. Durante il G8 di Genova del 2001 è stato “il punto di riferimento non solo per le migliaia di mediattivisti che hanno partecipato alla copertura dell’evento, ma anche per milioni di persone che l’hanno considerato veritiero più di ogni altro mass media, attendibile nella cronaca degli eventi” <194. Visto
positivamente sia dal mediascape italiano che internazionale, il quale non ha potuto evitare di utilizzarlo come fonte privilegiata assegnandole agli occhi di un vasto pubblico un passe-partout di credibilità e attendibilità, Indymedia è un sito a pubblicazione aperta: chiunque può caricare direttamente e senza censura, registrazioni audio e video, immagini, articoli, comunicati.
Sensibilizzati dal fervore creativo generato dalla rete, anche numerosi giornalisti hanno aperto delle vetrine on line, con le quali avere un dialogo aperto e costante con i proprio lettori. Un fenomeno in costante crescita che ha trovato il proprio punto di riferimento nel blog di Beppe Grillo, personaggio di grande impatto sul pubblico che ha aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. Il vantaggio verificato dai giornalisti sta nell’essere slegati da organizzazioni editoriali, e dunque nel dovere rispondere solo al proprio pubblico, potendo così affidarsi ad una presentazione della realtà molto più diretta. Nello specifico, il blog di Beppe Grillo <195, votato nel marzo 2008 dall’Observer come nono blog più influente al mondo, si caratterizza per i toni spesso esasperati e folcloristici, connessi alla costante ricerca dello scoop, ma questo non ha impedito la pubblicazione e la citazione di molti dei suoi contenuti nei canali di informazione nazionali mainstream.
Altri esempi di grande impatto degli ultimi anni sono stati l’esperienza di Zero in Condotta a Bologna <196, il progetto interno a Wikipedia definito Wiki News <197, il progetto di editoria sociale collettiva Diggita <198, e il network sociale di giornalismo indipendente Open Journalist <199. Anche diverse testate giornalistiche italiane si sono aperte alla collaborazione dei propri lettori, e non sono rari in cui intere sezioni sono dedicate ai contributi bottom-up degli utenti. La Repubblica e Panorama sono state tra le prime testate ad aprire un dialogo reale con gli utenti, sia tramite i commenti alle notizie sia tramite gli spazi dedicati ai blog partecipativi dove i lettori possono interagire attraverso commenti critiche e suggerimenti, mentre Il Sole 24 Ore ha aperto il sito Nova100 che espleta la funzione di feed RSS (raccoglitore di notizie) impostato sulla raccolta di post di oltre 100 blogger privati <200.
Dal 2008, inoltre, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata è attivo il primo Master in Giornalismo Partecipativo, mentre nel 2010 la Rai ha realizzato la prima trasmissione del servizio pubblico di giornalismo partecipativo, “Citizen Report”, ideata da Giovanni Minoli e condotta da Federica Cellini; lo scopo fu quello di creare una “redazione diffusa” di vlogger e video maker impegnata in diversi temi di attualità: dal lavoro alla famiglia, dalla religione all'ecologia, dall'immigrazione alle dipendenze, fino al mondo degli studenti universitari, delle scuole di ballo, delle tifoserie e dei blog. Per Gianni Minoli Citizen Report ha rappresentato “l'ennesima declinazione del concetto di servizio pubblico, e in questo caso è stato il servizio pubblico ad aprirsi alle nuove forme di comunicazione multimediali e multipiattaforma, indipendenti e democratiche” <201. Nel 2011 Federica Cellini è stata inoltre autrice e conduttrice su Rai 2 de “I nuovi Mille”, trasmissione che si avvaleva degli strumenti del giornalismo partecipativo video blogger, dedicata a scoprire le storie di giovani Italiani nell’anno del 150 anniversario dell'Unità d'Italia.
Nel 2011 è stato infine lanciato anche in Italia il servizio di SpotUs, portale statunitense di crowfunding che cerca i fondi necessari per le inchieste proposte dagli utenti dai lettori stessi della blogosfera. Si tratta sostanzialmente dell’informazione generata e al contempo finanziata dal basso, e si sviluppa in tre differenti fasi:
- i cittadini, anche a nome di comitati o associazioni, propongono dei temi di inchiesta (sul territorio, sul mondo del lavoro o su tematiche sociali)
- i reporter, tanto giornalisti iscritti all’Ordine quanto semplici utenti, adottano la proposta e ne fissano il costo di realizzazione
- tutti gli utenti iscritti al sito possono votare le proposte più interessanti ed effettuare donazioni per finanziare l’inchiesta.
Se la proposta ottiene i fondi necessari, il reporter potrà realizzarla, e sarà seguito nel suo lavoro da un redattore di SpotUs, ai fini di supervisione ed editing, a cui spetterà una percentuale del 10%. Al termine del lavoro, dopo aver ottenuto il vaglio della redazione, l’inchiesta viene pubblicata sulla piattaforma sotto licenza Creative Commons Attribuzione 2.5. Secondo David Cohn, giornalista che nel 2008 fondò Spot.us, “il giornalismo non è un prodotto, è un processo ed è un processo partecipativo”. Negli Stati Uniti questo connubio tra crowfunding e giornalismo è da diversi anni una solida realtà, e molte importanti inchieste sono state finanziate dal pubblico, sia privati cittadini, sia comitati e organizzazioni. Secondo Federico Bo, uno dei fondatori della versione italiana di SpotUs “si deve capire che se si è davvero interessati a un problema o a una tematica, non basta più un semplice click, o un ‘mi piace’, ma devi essere disposto a impegnarti sul serio, a versare anche pochi euro, in modo da permettere ai reporter di affrontare quel tema senza rimetterci di tasca propria” <202.
[NOTE]
188 www.current.com
189 www.fainotizia.it
190 www.fainotizia.it
191 www.comincialitalia.net
192 it.globalvoicesonline.org
193 www.agoravox.it
194 italy.indymedia.org
195 www.beppegrillo.it
196 www.zic.it
197 it.wikinews.org/
198 www.diggita.it
199 www.openjournalist.com
200 www.nova100.ilsole24ore.com/
201 G. Minoli, da Citizen Report, la tv dà voce ai vlogger, in Corriere della Sera, 12 aprile 2010
202 www.spotus.it
Danilo di Capua, Tra società informazionale e prosumerismo: il citizen journalism e la partecipazione on line, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2012

Focus sull’italia: Rai Educational e Youreporter
Anche in Italia non tutti sono rimasti indifferenti o spaventati dal fenomeno del citizen journalism.
Numerosi giornalisti di professione hanno incominciato a partecipare attivamente alla vita del Web e a coinvolgere i citizen journalist nei loro lavori.
La stessa Rai accortasi della nuova tendenza nel mondo del giornalismo decise di creare una piattaforma a disposizione dei cittadini giornalisti curata e gestita da Gianni Minoli, pubblicista e conduttore televisivo <77.
Nacque infatti nel gennaio del 2008 una grande community online all’indirizzo www.citizenreport.rai.it firmata da Rai Educational e con la collaborazione di TheBlogTV.
Si trattava di una piattaforma dove chiunque poteva caricare foto, articoli e filmati che successivamente sarebbero diventati un programma televisivo innovativo in dieci puntate che avrebbe trattato i temi del periodo considerati più caldi dall’audience, con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e di raccontare storie che i media tradizionali avrebbero ignorato <78.
Un’idea sicuramente inedita ma che purtroppo non ha avuto i risultati sperati. Il progetto infatti, anche a causa di scarsi finanziamenti, ha cessato di esistere dopo solo un anno di attività, il sito eliminato e i contenuti andati perduti.
Il primo esperimento italiano è fallito, sia per gli scarsi risultati di audience ma soprattutto per la poco importanza che è stata attribuita a questo progetto dagli addetti ai lavori che hanno deciso di produrla in una canale come Rai Educational che raggiunge solo una piccola nicchia del pubblico italiano.
[NOTE]
77 http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Minoli
78 D. MAZZOTTI, Il citizen journalism seduce Gianni Minoli, 20/09/2009, agoravox.it
Riccardo Matarazzi, Il futuro dell’informazione tra giornalismo tradizionale e citizen journalism, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2013-2014