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lunedì 30 ottobre 2023

Elementi che caratterizzeranno il movimento del '77


Il movimento del '77 fu un fenomeno esclusivamente italiano: seppur considerato conclusivo della stagione di movimenti del '68-69, se ne differenziò per natura e modalità.
Lo storico inglese Paul Ginsborg, concentrandosi nella distinzione e nell'articolazione della natura e dei componenti del movimento, affermò che: «in termini generali è possibile differenziare il movimento del '77 in due tendenze, anche se spesso si intrecciano. La prima era “spontanea” e “creativa”, sensibile al discorso femminista, ironica e irriverente incline a creare strutture alternative piuttosto che a sfidare quelle al potere. […] La seconda tendenza “autonoma” e militarista , intendeva valorizzare una cultura della violenza degli anni precedenti e organizzare i “nuovi soggetti sociali” per una battaglia contro lo Stato» <118.
Nonostante la maggior parte del movimento del '77 si definiva antifascista e trattasse con diffidenza i giovani di estrema destra, alcuni stessi esponenti della sinistra istituzionale a compresero da subito la differenza con il movimento del '68, l'allontanamento del movimento dalla dottrina marxista-leninista, additando come “diciannovisti”, cioè fascisti mascherati o “barbari da respingere” <119 i contestatori.
I giovani fascisti, nonostante in minoranza e nonostante la diffidenza con cui erano trattati, come era accaduto per il '68, si lasceranno anche in questa occasione coinvolgere dalla contestazione. Anzi proprio perché il '68 « non era stato fatto», in occasione della nuova ondata «ci sarebbero stati» <120.
Le differenze fra il '68 e questa nuova ondata movimentista vanno ricercate principalmente nel contesto politico, economico e sociale, ormai mutato dalla fine degli anni '60.
Dal punto di vista economico, l'Italia avrebbe vissuto in quegli anni un'intesa recessione causata dalla crisi petrolifera dei primi anni '70, dovuta all'improvvisa e inaspettata interruzione del flusso di approvvigionamento di petrolio provenienti dalle nazioni appartenenti all'Opec <121.
La crisi rese chiaro a tutti la necessità di intervenire per cercare di ridurre i consumi energetici ed evitare di rimanere senza una delle fonti energetiche primarie più importanti; il prezzo al barile del 1973, attualizzato ad oggi, raggiungeva i 100 dollari.
A questi segnali si aggiunsero le prime avvisaglie della crisi del ciclo di accumulazione del capitale, apertasi ufficialmente con il recesso degli Stati Uniti, per volontà del presidente Nixon, dagli accordi di Bretton Woods, basati su un sistema di cambi fissi e sulla convertibilità del dollaro in oro <122.
Il venir meno di questi accordi avrebbe generato un nuovo sistema, basato su cambi flessibili e sulla fluttualità delle valute, con una conseguente speculazione sui mercati finanziari <123.
Questo fattore contribuì a potenziare la crisi del 1973 e la successiva del 1979, costringendo quei paesi che dovevano pagare il petrolio in dollari ad esborsi sempre maggiori, man mano che la valuta statunitense si apprezzava <124.
In sintesi la crisi petrolifera avrebbe generato in pochi anni un altissimo tasso di inflazione, il regresso della produzione industriale e conseguentemente, una forte disoccupazione.
Nonostante la differenza generazionale fra i giovani sessantottini e quelli che si preparavano ad affrontare il '77, alcuni problemi, tra cui quelli legati al mondo delle università e del lavoro sembravano mostrare le stesse, se non peggiori, criticità del decennio precedente. Nell'anno accademico '77-78, infatti, gli studenti immatricolati negli atenei italiani erano più di un milione, il doppio di quanti fossero dieci anni prima. Il boom di iscrizioni si registrò in particolare nella piccola borghesia e nelle regioni del Sud: «La loro motivazione era chiaramente la fuga dalla disoccupazione. Da un'inchiesta condotta nel 1975 tra gli studenti risultò che il 66% di essi ( nel sud addirittura 78%) sarebbe stato pronto a lasciare immediatamente gli studi in cambio di un posto di lavoro stabile» <125.
La crescente insoddisfazione di quelle fasce giovanili che non vedevano nemmeno più nel titolo di studio una modalità di cambiamento del proprio status, la mancanza di lavoro congiungete alle nuove istanze in tema di diritti umani e civili, la lotta al proibizionismo, sembravano non trovare un canale istituzionale in cui rispecchiarsi, bensì portarono a molteplici risposte autonome, che andavano dal pacifismo e l'isolazionismo hippy alla violenza degli scontri di strada.
Anche il PCI, partito che da sempre aveva cercato di farsi portatore della voce del cambiamento, sembrò non comprendere le volontà di quei giovani emarginati, descrivendoli come “untorelli” <126, simili ai primi nuclei del fascismo nascente.
Il PCI infatti, in quegli anni era desideroso di governare insieme alla Dc e riteneva necessario prendere le distanze dal movimento settantasettino.
A livello politico infatti, gli anni presi in considerazione sono i cosiddetti anni del “compromesso storico”, formula ideata nel settembre-ottobre 1973, dall'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, all'indomani del golpe di Pinochet.
La base di questa formula politica è rintracciabile nel lungo saggio pubblicato in tre parti dal quotidiano comunista «Rinascita» nel 28 Settembre del 1973, in cui Berlinguer rifletteva sull'esito drammatico dell'esperienza cilena <127 e da questi avvenimenti, pur così lontani, traeva alcune indicazioni utili alla riflessione sullo sviluppo della democrazia in Occidente <128.
Il disegno politico del segretario del PCI aveva un doppio intento: in primis, la collaborazione con la Dc avrebbe portato all'interruzione della conventio ad excludendum che aveva costretto i comunisti per trent'anni all'opposizione; inoltre, in un periodo storico segnato dall'aggravarsi della minaccia terrorista e dalla forza crescente delle violenze extraparlamentari, la partecipazione dei comunisti avrebbe potuto evitare una deriva autoritaria reazionaria .
Se la formula del compromesso così elaborata del segretario del Pci, trovò una sponda di discussione nell'ala sinistra della Dc, che aveva come riferimento il presidente di partito Aldo Moro, non ebbe altrettanto seguito nei settori più conservatori e reazionari del partito di maggioranza. Ciò contribuisce a spiegare, insieme ad una pluralità di condizionamenti interni e internazionali, la lentezza con la quale l'ipotesi dell'incontro tra cattolici e comunisti si sarebbe realizzata. Dopo una serie di contrattazioni si formò, dunque, nel 1976 il cosiddetto governo della “non-sfiducia”, un monocolore guidato da Giulio Andreotti in cui socialisti e comunisti, senza assumere incarichi ministeriali, si impegnarono a non votare contro l'esecutivo <129.
Da questo momento in poi il PCI, appoggiando dall'esterno il governo, da protettore dei giovani ribelli passò automaticamente dalla parte del nemico.
Nacque in opposizione nel 1973, lo stesso anno del lancio della formula del compromesso, alla sinistra istituzionale, “Autonomia Operaia”, che più che un movimento designava un'area che racchiudeva tutte le istanze ribellistiche, anarchiche, creative e generalmente rivoluzionarie che esplosero in quell'anno.
Come nel 1968 le proteste del movimento giovanile partirono dall'università, ma si diffusero in breve tempo nelle scuole superiori, dando vita alle prime autogestioni in licei ed istituti tecnici.
Assolutamente esplicativo della situazione che si andava profilando è ciò che accadde nel febbraio 1977: l'Università “La Sapienza” di Roma era in quei giorni occupata in segno di protesta contro una proposta di riforma dell'ordinamento. Quando Luciano Lama, segretario della CGIL, tentò di tenere un discorso nell'ateneo, accusando il movimento di essere un covo di fascisti, ebbe in risposta insulti e slogan urlati e fu costretto a fuggire mentre già erano scoppiati violenti scontri tra gli studenti e il servizio d'ordine del sindacato.
[NOTE]
118 P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, 1988, Torino.
119 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.
120 N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling&Kupfer Editori, Milano, 2008.
121 G. Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, CEDAM, Roma, 2012.
122 Ibidem
123 Ibidem
124 In economia il termine esprime l'aumento di valore di una valuta,espresso nell'unità monetaria di un'altra valuta.
125 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.
126 Ibidem
127 L'11 settembre 1973 fu destituito, tramite colpo di stato, il governo di Salvador Allende. Augusto Pinochet, comandante dell'esercito e capo dei congiurati golpisti, instaurò una dittatura che durò fino all'11 marzo 1990.
128 Da “Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile”, pubblicato da Rinascita, 28 settembre-2 ottobre 1973.
129 P. Ginsborg, Storia dell'Italia contemporanea, società e politica, 1943-1988, Einaudi, Torino, 1990.
Arianna Pepponi, Dal '68 fascista alla strage di Bologna: l'evoluzione della destra violenta in Italia, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno Accademico 2015-2016

Al di là delle forzature interpretative possiamo vedere che il perpetrarsi del non governo, democristiano, contribuiva ad accelerare lacerazioni crescenti, tuttavia nonostante tutte queste difficoltà Berlinguer proseguiva nella sua proposta, ovvero utilizzare la politica di austerità come mezzo per mettere in discussione un sistema in crisi: "I cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l'esaltazione dei particolarismi e dell'individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. Austerità come rigore, efficienza, serietà e giustizia: cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato in passato e che ha portato oggi a una crisi di drammatica portata. […] Viviamo, io credo, in uno dei momenti nei quali per alcuni paesi e in ogni caso per il nostro o si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società o si può andare incontro alla rovina comune delle classi in lotta; e cioè alla decadenza di una civiltà, alla rovina del paese". <111
Siamo al Teatro Eliseo, a Roma, è il 15 gennaio 1977, questo è il famoso discorso agli intellettuali cui abbiamo fatto accenno in precedenza. Nella tensione utopica e nelle connessioni culturali di questo appello possiamo trovare tutti i motivi di conflitto che percorreranno l'Italia di lì a pochi giorni. Nelle parole di Berlinguer echeggiano i tratti salienti della storia culturale del partito comunista, una storia di lungo periodo che vede nella questione morale e nella serietà gli elementi cardine di azione sulla realtà. Secondo Crainz, questa ipotesi di Berlinguer è rimasta: "nei cieli della metafisica" <112 in stridente contrasto con la politica concretamente praticata ed avallata.
Questa interpretazione non ci convince del tutto: come vedremo nello svolgersi del capitolo la politica di austerità, con anche i suoi corollari morali, verrà effettivamente applicata e sarà la piattaforma di consenso attraverso la quale avverrà un'opera sistematica di delegittimazione e repressione del movimento del '77.
4.2 Le occupazioni delle Università e la cacciata di Lama
Giunti a questo punto del lavoro abbiamo ormai ben presenti gli elementi che caratterizzeranno il movimento del '77. Bisogna solo mettere in luce l'occasione che accenderà la miccia. A offrirla è il ministro Malfatti che introduce all'Università misure restrittive per piani di studio e appelli d'esame e riaccende la mobilitazione studentesca. Il primo febbraio, all'Università La Sapienza di Roma, mentre sono in corso alcune assemblee, vi è un'irruzione di neofascisti: usano bottiglie molotov e armi, uno studente è ferito gravemente da un colpo di pistola.
Il giorno dopo, un corteo promosso dai collettivi autonomi esce dall'università per raggiungere la sede missina da cui era partita la spedizione: le forze dell'ordine intervengono sparando a raffica, un agente e due studenti rimangono gravemente feriti. Nei giorni successivi, altre facoltà vengono occupate, finché il 5 febbraio una grande assemblea, tenutasi all'aperto, in piazzale della Minerva, decide l'occupazione dell'intera città universitaria in risposta al divieto, da parte del ministero dell'Interno, di manifestare. Quel giorno, in assemblea, fu sconfitta l'ipotesi di chi si dichiarava disposto ad accettare il livello dello scontro imposto dalla polizia che circondava l'Ateneo; e l'occupazione, seguita il giorno successivo da una grande festa indetta nell'università, segnò un importante rafforzamento per il movimento romano. Nell'Università occupata si delineava una presenza sociale nuova rispetto a quella classica delle occupazioni universitarie; numerosi osservatori colsero immediatamente questa novità, di un movimento composto più che da semplici studenti, da studenti - lavoratori, precari, marginali. Scrive Rivolta su "la Repubblica": "l'occupazione dell'Università e diventata una 'festa continua'. Dopo la festa popolare di giovedì, ieri di nuovo, nei viali c'era musica, agli studenti che protestano per la riforma si sono aggiunti i freak, i disperati, tutti quelli che la città ha spinto ai margini, tutti quelli che vivono alienati nelle piazze e nelle strade di periferia. E' un cocktail esplosivo, difficile da egemonizzare politicamente, che subisce la suggestione del disperato tentativo di 'riprendersi la vita' in ogni modo con tutti i mezzi. <113
E' interessante vedere come il mondo comunista approccia le agitazioni all'università: sulle prime prevale la sottovalutazione ed una narrazione che descrive sparuti gruppi di collettivi autonomi con forme di lotta dedite alla violenza.
[NOTE]
111 E. Berlinguer, Austerità. Occasione per trasformare l'Italia, Roma 1977, pp. 13-18.
112 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, p. 548.
113 C. Rivolta, Occupazione con feste e processi, da "la Repubblica", 12 febbraio 1977.

Lorenzo Orsi, Tra austerità e desiderio. Ragioni e passioni di un conflitto tra comunisti e movimenti sociali tra 1976-1977, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2014-2015

giovedì 19 ottobre 2023

Al momento del ritiro, la IV armata conta ancora centomila uomini, di cui circa 60.000 combattenti, sparsi tra la Provenza e la Liguria


Per una più attenta riflessione sulle culture e sui rapporti tra le formazioni partigiane nelle Langhe, ci è sembrato utile, anziché ripercorrere cronologicamente la guerra di liberazione, trattare alcune delle sue tematiche e caratteristiche. Questa scelta, se è dovuta in parte all'esistenza di esaurienti studi sulla storia del movimento di liberazione nelle Langhe, <85 è altresì determinata dall'esigenza di far emergere quelle peculiarità che hanno dato originalità al movimento di liberazione nelle Langhe e nel basso Piemonte.
Partendo comunque dai fatti, abbiamo deciso di selezionare alcuni di questi al fine di mettere in luce le tematiche che più ci interessano ai fini della ricerca, rimandando ai testi citati in nota per gli aspetti generali.
Lo sbandamento della IV armata nella provincia di Cuneo
"[...] una processione continua di truppe sbandate, di soldati a piedi, in bicicletta, a cavallo, la folla immensa dei senza gradi alla ricerca disperata di una via di scampo. Rotolano su Cuneo cinquantamila soldati. Non l'ombra di un colonnello, non l'ombra di un generale". <86
In Piemonte, all'indomani dell'8 settembre, vengono a realizzarsi una serie di circostanze che in breve tempo pongono la regione in una situazione alquanto particolare rispetto agli altri territori del nord Italia. La circostanza più densa di conseguenze sul piano militare, e poi su quello politico, è il ritiro della IV armata dalla Francia e il suo sbandamento in territorio cuneese. <87
L'armata, comandata dal generale Mario Vercellino, era dislocata in Provenza fin dal 1940 con circa 150.000 uomini. Pochi giorni prima dell'armistizio il comando si stava preparando per il rientro in Italia, dovendo essere sostituita nell'occupazione della regione da un'armata tedesca. <88 L'8 settembre coglie ufficiali e soldati di sorpresa, come accade del resto in ogni teatro operativo. La loro fortuna è trovarsi a pochi chilometri dall'Italia, per di più dalla regione, il Piemonte, dalla quale provenivano la maggior parte degli ufficiali e soldati e dove aveva sede il comando militare dell'armata.
La ritirata in territorio piemontese non è però priva di ostacoli. Di diversi episodi di resistenza si rendono protagonisti gli alpini lungo la zona di confine: Grenoble, Chambery, al passo del Moncenisio e quello in cui fu protagonista l'11° reggimento Alpini del col. Domingo Fornara. <89 A Nizza poi, solo la resistenza del presidio italiano in servizio alla stazione contribuisce ad agevolare il rientro dei soldati dell'armata in Italia. <90 La ritirata comporta quindi un prezzo molto alto in termini umani e materiali, in quanto durante le operazioni di rientro diversi reparti vengono disarmati da parte dei tedeschi lungo tutta la Costa Azzurra e condotti nei campi di prigionia. <91
Al momento del ritiro, la IV armata conta ancora centomila uomini, di cui circa 60.000 combattenti, sparsi tra la Provenza e la Liguria. La sera dell'8 settembre solo la II divisione celere è in territorio piemontese, presso Torino, mentre la divisione alpina “Pusteria” si trova parte in Savoia in marcia verso il Piemonte e parte a Ventimiglia. <92
Con le forze presenti in Italia, il comando della IV armata tenta di creare una linea difensiva nella parte occidentale del Piemonte, dapprima coinvolgendo l'11° reggimento alpini nella valle Dora Riparia, a ovest di Torino, poi una volta giunta notizia della disfatta del reggimento, viene tentata una seconda linea di difesa utilizzando la II divisione celere (10 settembre). Ma, la rapidità dei movimenti tedeschi lungo i passi montani e nell'avvicinamento a Torino fanno decidere il comando a spostare la II divisione nella zona di Cuneo, mentre nello stesso pomeriggio del 10 Torino viene occupata dai tedeschi. <93 Proprio l'occupazione del capoluogo e di altre città piemontesi <94 induce Vercellino a sciogliere ciò che rimane dell'armata. <95
È il 12 settembre. <96 A questo punto i soldati si trovano senza guida. Come abbiamo detto, molti dei militari dell'armata sono piemontesi, pertanto il ritorno alle proprie famiglie diventa possibile, e in alcuni casi auspicabile, dato il catastrofico momento che sta vivendo l'esercito, ma buona parte del resto dei soldati, tra cui anche alcuni ufficiali, è di origine meridionale. A questi è impedita ogni possibilità di un rapido rientro a casa, e sono pertanto costretti a rimanere in Piemonte, possibilmente nascosti. È il momento di decidere cosa fare, non solo per questi ultimi, che non hanno alternative tra consegnarsi ai tedeschi e restare in Piemonte, ma anche per gli stessi soldati di origine piemontese, per i quali un rientro a casa, seppur desiderato e possibile, comporterebbe dei rischi per sé e per le proprie famiglie. Se nella penisola la soluzione prevalente è il «tutti a casa», i “superstiti” della IV armata si trovano nella condizione di poter fare una sola scelta di fronte all'occupazione tedesca. Mentre i soldati e gli ufficiali piemontesi dell'armata si trovano già «a casa», i soldati meridionali sono costretti a seguire i propri ufficiali e accettare l'accoglienza della popolazione locale. <97 Per i primi, il legame con la propria terra è stato sicuramente un'ulteriore motivazione alla resistenza contro l'occupante tedesco, mentre i secondi si trovano in una situazione che non offre molte altre sicure alternative. Per le circostanze in cui si verifica, la scelta di questi soldati è in parte dovuta a ragioni di sopravvivenza e in parte a spirito di resistenza. <98 Molti soldati, una volta caduto il comando, di fronte a un momento di vuoto di potere seguono i propri ufficiali. Pompeo Colajanni, “Nicola “Barbato”, tenente del cavalleggeri a Cavour, dopo aver visto giungere gruppi di sbandati della IV armata la mattina del 9 e soldati in fuga dalla caserma di Pinerolo, che nel frattempo veniva circondata dai tedeschi, la sera del 10 raduna una quindicina di uomini, tutti meridionali, prende un camion e si dirige verso Barge, dove nella casa di Virginia e Ludovico Geymonat li attendono veterani e staffette del partito comunista di Torino. <99
La particolarità della provincia di Cuneo sta nell'avere a disposizione un gran numero di uomini, in parte armati ed equipaggiati, addestrati alla guerra e guidati da quegli ufficiali che hanno deciso di restare accanto ai propri uomini. <100 Ciò che rimane della IV armata «rappresentò fin dall'inizio una cospicua riserva di uomini e di mezzi, che in un momento di grave crisi riversò tra le montagne un gran numero di ufficiali e sottufficiali, quasi sempre seguiti dai loro soldati». <101 La presenza di militari, pur dotati di un certo spontaneismo sia militare che politico, non è però circostanza sufficiente allo sviluppo del movimento partigiano in provincia di Cuneo. È necessario individuare altri
elementi che hanno permesso lo sviluppo di un'organizzazione partigiana continuativa in territorio occupato. Si possono considerare tre fattori principali: le circostanze dello sbandamento della IV armata, il territorio in cui esso si verifica e l'assenza di armate tedesche di grandi dimensioni dislocate nel Piemonte occidentale agli inizi di settembre. <102 I soldati della IV armata, rispetto ad altri contingenti italiani, hanno in primo luogo il vantaggio di essere già in fase di rientro verso l'Italia nei giorni immediatamente successivi all'armistizio. Per i tedeschi risulta più difficile attuare il disarmo e l'arresto di truppe che sono in viaggio, sparse su un territorio lungo centinaia di chilometri. Per i soldati acquartierati in caserma, come quelli di Pinerolo, il destino è segnato. <103 Lungo il viaggio dalla Provenza alla provincia di Cuneo la IV armata, pur subendo molte perdite a causa dell'azione tedesca, riesce a mantenere compatti alcuni reparti fino all'arrivo in territorio italiano. Qui, per molti soldati è come essere tornati a casa: conoscono il territorio, il dialetto, la popolazione. Inoltre, subito dopo lo scioglimento dell'armata, sanno dove nascondersi e possono ricevere aiuto dalle popolazioni che abitano quelle zone.
L'aiuto si manifesta in forme diverse. Oltre a vestire di abiti civili i militari, la popolazione della provincia di Cuneo dà informazioni stradali, offre ospitalità temporanea che, in alcuni casi, si traduce in integrazione nel nucleo famigliare, presso cui diversi ex militari svolgono lavori nei campi o altro tipo di attività. <104 Mario Giovana scrive infatti che l'inevitabile connivenza con il movimento partigiano si realizza nell'ottica di un aiuto che viene offerto non tanto al partigiano militante quanto «[al] proprio congiunto buttatosi alla macchia e con quelli che hanno bisogno di aiuto come lui e rifiutano […] di essere “carne da macello” delle dissennate carneficine nazifasciste [tutto in corsivo nel testo]». <105
La famigliarità del luogo è sicuramente un elemento coadiuvante per la formazione di un'organizzazione clandestina in territorio occupato. Dà il vantaggio sul nemico, il quale è costretto a organizzarsi in brevissimo tempo e non può nell'immediato realizzare un controllo capillare del territorio a esclusione dei centri più grandi. Ne è un esempio il fatto che mentre città come Torino, Cuneo e Alba vengono occupate immediatamente dopo l'8 settembre, i tedeschi giungono a Boves solo il 19, e vi combatteranno per ben quattro giorni prima di espugnarla.
Se diamo uno sguardo alla logistica delle forze tedesche in Italia alla vigilia dell'8 settembre, notiamo che le divisioni tedesche sono presenti in tutte le regioni italiane, o in aree direttamente confinanti, come ad esempio la parte orientale della penisola e del centro-nord, mentre nel nord-ovest, eccetto per la Liguria, dove stazionano tre divisioni, non sono presenti stabili truppe tedesche. <106 In Piemonte sono tuttavia presenti gruppi non indivisionati e, in arrivo dalla Provenza, le divisioni tedesche dell'Armata comandata da von Runstedt, che andavano a sostituire i soldati della IV armata. <107 Questa circostanza consente un certo margine di manovra per i soldati italiani scampati agli arresti, ma le scarse o contraddittorie comunicazioni tra i comandi centrali e quelli divisionali periferici non consente una rapida riorganizzazione delle truppe italiane ancora in movimento. <108
[NOTE]
85 Si vedano gli studi di D. Masera, Langa partigiana '43-'45, Guanda, Parma, 1971; di D. Carminati Marengo, Il movimento di resistenza nelle Langhe, Tesi di Laurea in Scienze politiche presso Università di Studi di Torino, anno 1964/65, rel. Guido Quazza, conservata presso la biblioteca dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea Giorgio Agosti di Torino; di M. Giovana, Guerriglia e mondo contadino, cit., e, per una storia della resistenza in Piemonte, dello stesso autore, La Resistenza in Piemonte. Storia del CLN regionale, Feltrinelli, Milano, 1962
86 N. Revelli, Il mondo dei vinti, cit., p. 44
87 All'annuncio dell'armistizio, parte della IV armata era ancora ferma nelle basi in Francia, mentre un'altra parte stava ritornando in Italia. Precisamente, stavano rientrando in Italia alle ore 20.00 dell'8 settembre le divisioni di fanteria “Taro”, l'alpina “Pusteria” e la 2ª celere del XII corpo, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, Ministero della Difesa - Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio storico, Roma, 1975, pp. 55-6; si veda inoltre, A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia. 1943-45, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, Roma, 1998, p. 190
88 In base agli accordi presi a Casalecchio, nei pressi di Bologna, tra comandi supremi italiano e tedesco il 15 agosto 1943, la sostituzione del contingente italiano in Provenza con quello tedesco avrebbe dovuto ultimarsi entro il 9 settembre '43. Mentre le operazioni si stavano ultimando, giunse al comando dell'armata una comunicazione, “Memoria 44”, in cui in previsione di una possibile aggressione tedesca veniva disposto che le divisioni “Pusteria” e “Taro” della IV armata fossero raccolte nelle valli Roja e Vermenagna «per interrompere le vie di comunicazione della Cornice [area montuosa che separa l'Italia e la Francia nella zona meridionale, NdA]», in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 146; si veda inoltre Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., in particolare di Burdese P., Calandri M, Oreggia A., “8 settembre 1943 e scioglimento della 4ª armata nella provincia di Cuneo”, di Belmondo R., Fissore P., Re S., Revelli A., Ristorto G., Serra R., “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” e di Revelli P., “L'8 settembre nelle Langhe”
89 A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., 1998, p. 191
90 Si veda A. Petacco, G. Mazzuca, La Resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette, Oscar Mondadori, Milano, 2011
91 G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich. 1943-1945, Stato Maggiore dell'Esercito-Ufficio Storico, 1992, pp. 173-4, dove si legge, sulla base dei documenti prodotti dalla 19ª armata tedesca, che a fine settembre il numero di soldati italiani disarmati e condotti in prigionia è di 58.722 unità.
92 M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 152
93 «A Torino, ad esempio, aveva sempre avuto sede il comando della 4ª Armata, che all'8 settembre si trovava in grosse difficoltà anche per l'affrettato rientro dalla Francia delle sue truppe dislocate oltre il confine», in A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., p. 189; M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 156
94 La sera dell'11 vengono occupate Asti, Alba, Bra e Alessandria
95 La sera dell'11 la IV armata disponeva di poche unità del Comando XV corpo, delle divisioni costiere, dell'artiglieria e del genio di armata, di alcuni reparti territoriali dell'intendenza, di un reggimento alpino della “Pusteria”, di reparti della Guardia alla Frontiera e della II divisione celere, in cui si verificano vaste defezioni, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 158-9
96 “Ai miei soldati”, Proclama del Comandante della 4ª Armata, 12.9.43, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 146
97 «[...] i primi nuclei armati trovarono consistente appoggio da parte dei civili in quanto erano espressione del disciolto esercito che, oltre a buona parte di reparti alpini, annoverava molti meridionali impossibilitati a raggiungere i propri paesi di origine», M. Bogliolo, “Langhe” in ISRP (a cura di), L'insurrezione in Piemonte, Franco Angeli - Consiglio regionale del Piemonte, Milano, 1987, p. 383
98 Guido Quazza scriveva, a proposito del primo fronte resistenziale, come dopo l'8 settembre, «vera data di nascita dell'antifascismo come “forza” decisiva», fosse nato, nel contesto di crisi dell'autorità monarchica, quell'antifascismo spontaneo di cui sono protagonisti non solo il vecchio militante antifascista o il garibaldino di Spagna, ma anche «l'ufficiale che si ribella a Roma o in Piemonte o nel Veneto», si veda G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 124-128
99 Maurizio Rizza (a cura di), Pompeo Colajanni. “Le cospirazioni parallele”, Edizioni La Zisa 2009, pp. 22, 73-75
100 Purtroppo, dal punto di vista dell'equipaggiamento, la IV armata era molto debole. Già a inizio settembre, al momento del rientro in Italia, mancavano i mezzi di trasporto necessari per lo spostamento delle truppe; giunti in Italia, i militari dell'armata e quelli presenti in territorio nazionale abbandonano le caserme, obiettivo primario dei tedeschi, dove vengono lasciati alla mercé della popolazione viveri e materiale di ogni genere, in R. Belmondo et alii, “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., pp. 194-7
101 A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., p. 189
102 M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 59-61
103 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino, 1996
104 R. Belmondo et alii, “L'8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., p. 200
105 Ivi, p. 50
106 In Liguria sono presenti, alle ore 20.00 dell'8 settembre, le divisioni di fanteria 76ª, la 94ª e la 305ª del LXXXVII corpo d'armata tedesco, mentre in movimento verso la Provenza quattro divisioni comandate dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, in M. Torsiello (a cura di), Le operazioni delle unità italiane, cit., pp. 57-8
107 M. Torsiello, Settembre 1943, Istituto editoriale cisalpino, Milano-Varese, 1963, p. 130-37
108 Pompeo Colajanni, a Cavour, dove ha sede il comando del suo squadrone, riceve da Pinerolo l'ordine «assurdo» di restare consegnati in caserma, circostanza che in altre zone aveva permesso ai tedeschi di eseguire arresti e disarmi con più rapidità e agevolezza, in P. Colajanni, Le cospirazioni parallele, cit., p. 75; ordine ricevuto anche dalla caserma “Tornaforte” di Cuneo, testimonianza del caporalmaggiore Luigi Peano in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., p. 187
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

venerdì 13 ottobre 2023

Trent'anni di FiloArX di Giustino Caposciutti in Mostra in questi giorni a Torino




Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

Foto: Angelo Granito

A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito

A destra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito

A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito

A destra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito

A sinistra l'artista Giustino Caposciutti. Foto: Angelo Granito

FiloArX è un grande intreccio di fili costruito dall’artista Giustino Caposciutti attraverso un laboratorio dove ogni persona presente colora e firma un filo che poi viene tessuto insieme a tutti gli altri dando luogo ad opere che sono la fotografia di un momento storico di una comunità, di una città, di un gruppo di persone: grandi e piccini.
Nel 1993, a Torino, l’incontro tra l’artista Giustino Caposciutti e un gallerista come Gianfranco Billotti, dell’allora Galleria Arx, con la Città di Torino gettò il seme per la nascita di un nucleo di iniziative e sperimentazioni, che velocemente diedero forma a una presenza peculiare dell’arte partecipativa in Italia.
Dal 1993 circa 29.000 persone hanno partecipato a FiloArX, in Italia e all’estero.
Per celebrare i 30 anni di FiloArX dal 10 al 24 ottobre una postazione attrezzata di FiloArX rimarrà in mostra come laboratorio fruibile anche in autogestione dal pubblico nell’ambito della Rassegna Singolare e Plurale in collaborazione con Arteco, Attenne, Fermata d’autobus Onlus, Galleria Gliacrobati, Volonwrite.
La mostra si svolge presso Ingenio Arte Contemporanea in C.so San Maurizio 14/E nelle giornate di Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì dalle 16.00 alle 18.00 […]
Redazione, FiloArX celebra i suoi trent’anni a Torino, Quotidiano Piemontese, 7 ottobre 2023 
 
Arte contro la violenza maschile sulle donne e sui bambini, arte che riesce a coinvolgere intere comunità: “FiloArx 2023. Tessere solidarietà: dipingi un filo, realizza un’opera d’arte partecipata” nel sottotitolo esprime tutti gli obiettivi: si tratta di un progetto di Arte Partecipata che ha l’intento di informare e sensibilizzare la cittadinanza sul tema della violenza nei territori di Firenze e Arezzo.
Il progetto conta su una collaborazione ad ampio raggio, sviluppata grazie al Centro Antiviolenza Artemisia di Firenze con l’associazione Pronto Donna di Arezzo, il Gruppo Terziario Donna- Confcommercio Firenze e Arezzo e con l’artista Giustino Caposciutti. “FiloArx 2023 - spiegano i promotori - mette al centro i rapporti e le interconnessioni fra le persone, per rispondere ai cambiamenti, alle trasformazioni sociali, economiche e culturali degli ultimi anni. Risponde all’evidenza di come le nostre azioni siano interconnesse con quelle degli altri e di come l’arte possa giocare un ruolo centrale nell’aiutare a fornire stimoli e spunti di riflessione sul presente e sul futuro”.
FiloArx 2023 è un filo che ciascuno potrà colorare, corredato da un cartoncino dove scrivere una frase, parte dell’opera d’arte stessa. FiloArx sarà quindi l’opera, una tela composta da 250 fili colorati intrecciati: simbolicamente, il tessuto sociale della comunità che fornirà l’occasione per parlare della violenza sulle donne. L’attività di colorazione dei fili si terrà nell’ambito di eventi speciali e ad ogni partecipante verrà rilasciato un attestato di partecipazione firmato da Caposciutti. Toccherà all’artista, poi, procedere alla tessitura di tre opere, due per Firenze e una per Arezzo. Il ricavato della loro vendita all’asta sosterrà progetti di inclusione e reinserimento sociale. Come valore aggiunto, Confcommercio proporrà percorsi formativi e si impegnerà per il reinserimento delle donne vittime di violenza nel mondo del lavoro grazie alla sua vasta base associativa.
Il progetto “FiloArx 2023. Tessere solidarietà” è uno dei nove progetti vincitori del bando AssiCuriamo - Insieme
Redazione, FiloArx 2023: il progetto di arte partecipata vincitore del bando AssiCuriamo, Specchio d’Italia, 4 settembre 2023

mercoledì 11 ottobre 2023

Ci siamo appostati presso Canevara ed abbiamo fatto fuoco sopra i tedeschi mentre incendiavano i ponti

Canevara, Frazione di Massa. Fonte: mapio.net

Dal punto di vista prettamente militare il mese di settembre [1944] vide un progressivo aumento delle azioni di sabotaggio, messe in atto dal Gruppo [Gruppo Patrioti Apuani] e dirette a colpire le retrovie del fronte. A tale scopo, come già visto, venne creata la 5^ compagnia “Falco”, composta dai migliori uomini dell'intera formazione e affidata al Tenente “Sergio”, Gino Briglia. La decisione di creare tale reparto fu concordata con inviati delle truppe alleate, come riportato nel documento datato 23 agosto: “Stamani nel rapporto ufficiali, alla presenza dell'incaricato della missione, sono stati trattati i seguenti argomenti: azione in caso dell'avanzata alleata, concludendo con l'invio del seguente radiogramma al comando alleato: Stamani rapporto ufficiali gruppo patrioti apuani forza 500 uomini da mesi operante monti apuani dipendenze CLN provinciale disposto: piano impegnativo per salvaguardare vie comunicazione. Sarà impedito crollo rocce località Porta sulla via Aurelia presso Apuania Montignoso; sabotaggio ponti Cinquale et Brugiano sulla va litoranea nonché ponti Francesconi, Castagnola et Distretto nella città di Massa. Prestabilito piano per servizio indicazione campi minati et altre informazioni nelle zone Montignoso, Massa […] Stabilita azione di disturbo annientamento forze nazi-fasciste durante loro ritirata secondo efficienza armi che sarà aumentata mediante vostri lanci non ancora pervenuti at detta formazione.” <308
Diverse furono le azioni compiute dagli uomini di “Sergio” a partire da metà settembre del '44; tra queste il tentativo fallito di assaltare una postazione tedesca: “[...] Il colpo prospettato per catturare la mitragliatrice tedesca non poté essere effettuato perché in quella notte gli uomini della Brigata Garibaldi, per un folle tentativo non riuscito, causò l'allarme in tutte le postazioni tedesche, furono così rinforzati i posti di guardia ciò impossibilitò gli uomini della stessa pattuglia d'agire. La popolazione pregava piangente che i patrioti si astenessero sul modo più assoluto d'attaccare i nazisti per evitare altre stragi di donne e bambini.” <309
L'episodio che causò l'allerta nelle postazioni tedesche fu l'attacco fallito compiuto da uomini del distaccamento garibaldino “A. Cartolari” contro una caserma nazista nella zona di Castagnola. Rimasero uccisi due partigiani, Fedoro Moisè, “Fulmine”, che morì sul posto, e Enzo Petacchi, “Vipera” che, trasportato in salvo dai propri compagni, non sopravvisse alle ferite riportate. Un terzo partigiano, Aldo Salvetti di 21 anni, venne catturato vivo dai tedeschi; interrogato e torturato venne infine ucciso. Salvetti venne decorato a guerra finita con la medaglia d'oro al Valor Militare.
Altri episodi, che videro protagonisti i partigiani della compagnia “Falco”, vengono puntualmente descritti nelle relazioni che “Sergio” inviava a Pietro Del Giudice dopo ogni colpo. Il 17 settembre avvenne uno scontro a fuoco nella zona di Ricortola, quando una pattuglia di dieci uomini si imbatté in un autocarro tedesco cercando di distruggerlo con il lancio di bombe a mano. Il 19 venne danneggiato un ponte nella zona di Antona per impedire che i tedeschi potessero raggiungere facilmente il paese, in quel momento sede del comando gruppo. Sempre lo stesso giorno venne tagliato il filo telefonico che collegava l'osservatorio tedesco sul monte Carchio con le batterie posizionate nel paese di Altagnana e venne ucciso un soldato tedesco inviato a ripristinare la linea. In questo caso è interessante osservare come “Sergio” si preoccupasse di informare il comando di aver sepolto il cadavere, con lo scopo evidente di evitare possibili rappresaglie tedesche. Il 21 venne fatto saltare un ponte nelle vicinanze della frazione di San Carlo Po, ponte che univa la città alla montagna, bloccando così i rifornimenti tedeschi per le truppe sulla Linea Gotica. Il 26 settembre uno scontro a fuoco con un reparto tedesco venne condotto da “Vico” e da uomini della formazione “S. Ceragioli”: “Relazione a codesto comando dell'imboscata fatta l'altro ieri a circa 31 tedeschi che erano venuti a far saltare strada e ponti. Circa le 16,30 del giorno 26/9 una squadra di Vico, una delle Casette e la mia, ci siamo appostati presso Canevara ed abbiamo fatto fuoco sopra i tedeschi mentre incendiavano i ponti. Da voce sicure si sa che dei 31 soldati sono rientrati a Massa 5 soli e gli altri sono rimasti, parte morti, ed il resto prigionieri.” <310
Ancora, nella notte fra il 25 e 26 settembre, un patriota del reparto sabotatori asportò circa duecento meri di cavo telefonico nella zona adiacente la strada statale Aurelia, in località Turano di Massa, sulla linea che univa il sistema minato di “Porta” con la stazione di comando tedesca. Come già accennato le azioni di guerriglia e sabotaggio contro le truppe tedesche nella zona di Massa non venivano condotte esclusivamente dagli uomini del GPA ma anche da appartenenti del distaccamento garibaldino “A. Cartolari” che nei primi giorni del mese di settembre aveva rioccupato parte del monte Brugiana. Gli uomini comandati da “Andrea” furono molto attivi conducendo attacchi per tutto il mese in diverse località della città. Il 5 venne intercettata nelle vicinanze della base del distaccamento una pattuglia tedesca, composta da quattro soldati che stavano scortando al lavoro una ventina di operai italiani. Saputo dagli operai della presenza di un altro tedesco lasciato nel paese di Bergiola, i partigiani si recarono a catturarlo. La popolazione del paese, temendo una rappresaglia, si scagliò contro i partigiani che, quindi, si limitarono a disarmare i prigionieri e li rilasciarono. Chiese di rimanere in formazione uno di essi di origine francese. I tedeschi, la sera stessa, cannoneggiarono la Brugiana come riportato in una comunicazione a firma “Vico” datata 6 settembre: “Ieri sera giorno 5 corr. Verso le ore 18,30 da una batteria tedesca sita il località Tramoggia (che si segnala per l'eventuale trasmissione delle coordinate per farla bombardare) è stato aperto il fuoco con obiettivo la nostra sede della Brugiana e precisamente sulla zona occupata dalla 3°compagnia comandata dal Ten. Naldo. In un primo tempo si credeva fosse un'azione diretta a farci abbandonare la posizione a scopo di rappresaglia perché nel pomeriggio la Brigata Garibaldi comandata da Andrea aveva presi quattro militari tedeschi rilasciandone tre previo disarmo e trattenendo il quarto che aveva dichiarato di volersi unire ai patrioti sposandone la loro causa, essendo di nazionalità francese. [...] Ci si persuase che doveva trattarsi di un'esercitazione per prova dei cannoni.” <311
[NOTE]
308 AAM busta 14, fascicolo 27.
309 AAM busta 13, fascicolo 22. Datato 18 settembre 1944 con firma di Gino Briglia “Sergio”.
310 AAM busta 1, fascicolo 16.
311 AAM busta 35, fascicolo 13.
Marco Rossi, Il Gruppo Patrioti Apuani attraverso le carte dell'archivio A.N.P.I. di Massa. Giugno - Dicembre 1944, Tesi di laurea, Università di Pisa, 2016