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sabato 29 luglio 2023

Anche il Sis monitorava le attività del movimento clandestino fascista


Nelle settimane seguenti al crollo della Repubblica di Salò Fortunato Polvani, ex console federale della Milizia di Firenze - l'uomo che aveva condotto i combattimenti a oltranza dei cecchini fascisti a Firenze quando i partigiani nell'agosto del '44 avevano dato il via alla sollevazione - riuscì a ricondurre sotto il suo comando tutti gli agenti infiltrati da Pavolini, il segretario del Partito fascista repubblicano (Pfr), e Del Massa nell'ambito dell'operazione per la creazione della quinta colonna oltre le linee <374. Lo scopo per Polvani era quello di trovare appoggi fra le forze politiche più vicine e riunire in un movimento clandestino tutti i fascisti, in attesa del momento propizio per riemergere. Nei rapporti inviati nelle prime settimane del '46 dalla sezione milanese dell'X-2 alla direzione del servizio segreto militare americano e al Quartier Generale delle Forze Alleate, si parla proprio del movimento clandestino fascista e ne emerge nettamente la figura di Polvani come capo-coordinatore dei vari gruppi <375. Agli agenti americani era inoltre noto il traffico d'armi che si svolgeva utilizzando il passo alpino del Bernina al confine con la Svizzera. Si trattava di ingenti quantitativi di armi che giungevano a questi gruppi clandestini: "Il traffico - viene espressamente detto - consiste in mitragliatrici, fucili mitragliatori e pistole" <376.
Del Massa e Pucci, i dirigenti dell’organizzazione clandestina fascista creata da Pavolini, nelle ultime settimane prima della caduta della Rsi si erano preparati per far sopravvivere l’organizzazione, e durante i giorni dell'insurrezione erano riusciti a sottrarsi ai partigiani, passando poi entrambi qualche mese nei campi alleati. Tra la fine del '45 e l'inizio del '46 ripresero la loro attività e si misero all'opera, in contatto con Pino Romualdi, per riunire sia gli agenti da loro inviati oltre le linee, sia i gruppi che si stavano riformando, al fine di costituire una formazione ben organizzata, con un programma politico teso a continuare e realizzare il progetto da loro creato in precedenza con Pavolini <377.
Anche il Sis monitorava le attività del movimento clandestino fascista. Le sue origini, scrivono gli agenti del Sis, risalivano ai battaglioni speciali "formatisi durante la Repubblica sociale fascista", i quali "in previsione di una rottura finale del fronte" costituirono al loro interno "un movimento segreto, con la finalità di continuare l'attività fascista in caso di sconfitta" <378. L'organizzazione, a conferma del carattere organizzato e non spontaneo di questi gruppi, aveva a disposizione fondi che constavano di "parecchi milioni" <379, con cui venivano pagati gli aderenti. Le indagini del Sis si occuparono diffusamente dei gruppi di ex-ufficiali repubblichini infiltrati nell'ambito dell'operazione Pavolini-Del Massa, e ricostituitisi dopo il crollo del 25 aprile. Una relazione del capo del Sis sulle formazioni illegali di destra parla di "un vasto movimento" <380, costituito nel nord-Italia fin dal periodo dell'occupazione, confluito nel Partito Democratico Fascista (P.D.F.), un partito clandestino. Il Pdf, stando sempre a quanto riportato dal capo del servizio, era composto anche da "elementi della vecchia guardia", e da un gran numero di "individui delle Brigate nere e di giovanissimi, ritenuti fedeli per l'educazione ricevuta dalla nascita" <381.
Dunque in tutta Italia erano effettivamente state sparse delle "uova di drago", finalizzate a far risorgere il fascismo al momento opportuno, esattamente come aveva programmato Pavolini alcune settimane prima dell'insurrezione.
Sul finire dell'estate del '45 alcuni partigiani della sezione del Cln di Viareggio riuscirono a portare alla luce l'esistenza dell'organizzazione segreta fascista, in piena attività nelle settimane e nei mesi seguenti la fine del conflitto, evidenziandone la sua estensione e le sue diramazioni, ed a segnalarla alla Direzione del Pci. I partigiani erano riusciti ad arrestare un suo appartenente durante gli ultimi giorni di agosto. Il 1° settembre 1945 riferirono alla Direzione del partito i risultati dell'interrogatorio: si trattava di un ex appartenente delle Ss italiane, che aveva partecipato come franco tiratore alla battaglia guidata da Polvani a Firenze contro la sollevazione partigiana e l'avanzata alleata sulla città. I risultati appaiono molto interessanti per la ricostruzione delle vicende della struttura clandestina di Salò dopo il conflitto. Dall'interrogatorio a cui il repubblichino venne sottoposto nella sede dell'Anpi, in base all'autorità del Cln, era emerso che si trattava di "un agente, un funzionario di una organizzazione clandestina fascista - scrivono i partigiani - che ha sede a Roma e si dirama pressoché in tutta Italia" <382. Come abbiamo visto, proprio a Roma operava il gruppo Onore, che fino al 25 aprile era agli ordini di Pavolini e Del Massa, e che aveva collegamenti e ramificazioni in varie altre città. L'agente fascista interrogato in proposito "ha ammesso - si legge nel resoconto - l'esistenza di questa organizzazione, (…) ed ha anche detto che uno dei centri di irradiamento è il campo di concentramento di Terni" <383. I partigiani riuscirono a fargli confessare che "lo scopo di questo movimento è quello di ostacolare i partiti di sinistra e di non far avvenire la costituente" <384. Scoprirono poi che l'interrogato aveva avuto una fitta serie di incontri - segnalati dalla sua cartella risultata piena di nomi, indirizzi, numeri di telefono - con persone che erano state tutte internate nei centri di detenzione alleati proprio con l'accusa di essere "presunti componenti di una organizzazione clandestina fascista" <385.
In seguito a questo interrogatorio i partigiani misero il sospetto neofascista a disposizione della questura di Firenze. I risultati a cui arrivarono gli appartenenti del Cln di Viareggio permisero dunque ai dirigenti del Pci, che già erano stati informati riguardo al ruolo dell'organizzazione prima del 25 aprile dal collaboratore romano, di avere ben chiara la situazione sia dell'attività della quinta colonna di Salò svoltasi durante la guerra sia della riorganizzazione che si stava mettendo in atto tra questa e gli altri nuclei fascisti e certamente ai vertici del partito non doveva essere sfuggita la forte caratterizzazione anticomunista che si erano dati e che li teneva uniti.
L'intelligence statunitense ebbe poi la possibilità di riscontrare un elemento fondamentale: come si era già palesato prima della fine del conflitto tramite l'offerta avanzata dal dirigente del gruppo romano di agenti di Salò, ciò a cui puntavano i capi dell'organizzazione era ottenere la protezione dei servizi Usa, sfruttando il potenziale anticomunista rappresentato dalla forza paramilitare dei suoi appartenenti e l'esperienza maturata con le squadre di sabotaggio dietro le linee. L'agente del controspionaggio americano Quinn ebbe modo di riferire a questo proposito i dettagli dell'offerta avanzata agli americani da parte dell'organizzazione neofascista, per collaborare contro l'ascesa del comunismo. Lo 007 statunitense era stato contattato infatti da Nino Buttazzoni, l'ex comandante del battaglione Np (nuotatori-paracadutisti) della Decima Mas, proprio allo scopo di portare a termine l'accordo voluto dall'organizzazione finalizzato a porre sotto la protezione Usa la forza e il potenziale anticomunista del gruppo. Buttazzoni, nei mesi successivi alla fine del conflitto, aveva assunto insieme a Polvani un ruolo di primo piano nell'organizzazione neofascista ed operava clandestinamente a Roma proprio allo scopo di estendere la collaborazione con l'intelligence statunitense a tutta l'organizzazione fascista <386. I suoi obiettivi, scrive l’agente americano, erano da un lato quelli di "reperire appoggi politici ed economici per i neofascisti", cercando al contempo di "legalizzare la loro posizione", e dall'altro lato di "ottenere la protezione alleata, in particolare americana" <387. Buttazzoni offriva come contropartita all'intelligence Usa l'impegno, diretto a contrastare il comunismo in Italia, di migliaia di militanti ex repubblichini fortemente organizzati <388.
Ciò che in questo periodo si consuma dunque è una svolta fondamentale: il definitivo passaggio verso un inserimento in un ambito atlantico degli obiettivi dell'organizzazione fascista. Nel corso delle settimane il comandante del battaglione Np fornì all'ufficio del controspionaggio americano la descrizione accurata dell'organizzazione, indicandone i centri, la suddivisione in comitati, squadre e gruppi d'azione, le città in cui erano stabiliti i centri operativi, il numero degli aderenti all'organizzazione e quanti di essi fossero armati <389. I servizi statunitensi dunque avevano a disposizione un'accurata mappa del movimento fascista clandestino: se avessero voluto avrebbero potuto consegnarla alle autorità competenti alleate o italiane affinché provvedessero a ristabilire la legalità, arrestando per lo meno i membri ricercati come criminali di guerra <390. Ciò che gli agenti intravidero nell'offerta avanzata dai capi dell'organizzazione fu proprio la possibilità di avere a disposizione una vera e propria rete, già costituita e capillare: una possibilità che, data l'estrema incertezza della situazione internazionale, i vertici dei servizi segreti americani non potevano permettersi di buttare al vento. L’eventualità di un'invasione sovietica dell'Europa ai loro occhi non si poteva infatti escludere, e la forza dei comunisti italiani era tale da fargli pensare che fosse possibile una presa del potere da parte loro in qualsiasi momento, o che, ipotesi ancora peggiore, l'Italia potesse scivolare nell'orbita comunista in modo perfettamente legale, attraverso le elezioni <391.
L'insieme di tale documentazione aiuta dunque a comprendere quanto alcuni elementi sempre considerati marginali abbiano invece condizionato la nascita della democrazia italiana, soprattutto in virtù delle relazioni stabilite dall'organizzazione neofascista con l'intelligence americana, cosa che permise a quest’ultima di ottenere margini di azione altrimenti non raggiungibili <392. Si era formato un piccolo esercito segreto, pronto a rivolgere le sue potenzialità all’ottenimento di un preciso scopo: quello di garantire la collocazione internazionale dell'Italia all'interno dello schieramento atlantico <393.
[NOTE]
374 Gli agenti del controspionaggio americano avevano compiuto delle indagini per raccogliere informazioni in merito ai gruppi clandestini neofascisti. Sono molti e diversificati i documenti che riportano tali informazioni: ad esempio il 4 febbraio del '46 l'agente George Smith scrive che "uno dei principali agitatori neofascisti sembra essere l'ex Console federale della milizia fascista di Firenze, Polvani, che è riuscito a condurre sotto il suo comando gli ex-fascisti infiltrati da Pavolini e dai tedeschi nell'Italia liberata". NARA, RG 226, Entry 108-A, Box 264, Folder JZX-6040, rapporto datato 4 febbraio 1946 a firma dell'agente George Smith.
375 Cfr. il documento intitolato Clandestine Fascist Movement, classificato segreto e datato 30 gennaio 1946, compilato dagli agenti della sezione SCI/Z di Milano ed inviato da Angleton al G-2, il servizio segreto militare, all'Allied Commission e all'AFHQ, il quartier generale delle Forze Alleate. NARA, RG 226, Entry 108A, Box 263, Folder JZX - 5960.
376 Ivi.
377 Scrive G. Parlato, a questo proposito, che Pino Romualdi riuscì "a costruire una fitta rete di contatti fra i neofascisti giunti a Roma", aiutato "da Aniceto Del Massa e Puccio Pucci". G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, cit., p. 156.
378 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno (MI), DGPS, Div. SIS (1944 - 47), b. 41, fasc. KP 28 "Formazioni clandestine armate". Documento datato 13 settembre 1946. Il comando generale dell'organizzazione, continua il rapporto del Sis, "si trova a Firenze, e i centri del movimento sono a Milano, Torino e Varese".
379 Ivi.
380 ACS, MI, DGPS, Div. SIS (1944 - 47), b. 41, fasc. cit. Relazione classificata riservatissima del capo della divisione Sis, su carta intestata del ministero dell'Interno, intitolata Condizioni della sicurezza pubblica nella penisola secondo le risultanze del servizio fiduciario, datata 19 novembre 1946.
381 Ivi.
382 Fondazione Istituto Gramsci (d’ora in poi F.I.G.), Archivio del Partito Comunista (d’ora in poi APC), Fondo Mosca, Serie Spie, provocatori, fascisti, b. 295, fasc. 37-III, f. 176, resoconto datato 1 settembre 1945.
383 Ivi, f. 176 III.
384 Ivi, f. 176 IV. E' importante notare la corrispondenza con le finalità del programma dell'organizzazione clandestina fascista presieduta da Polvani, che gli agenti dell'Oss infiltrano e descrivono nei documenti precedenti. Cfr. ad esempio il resoconto della riunione del 24 ottobre 1945, NARA, Record Group 226, Entry 108A, Box 263, Folder JZX - 5960, doc. cit., in cui era emerso lo scopo che l'organizzazione si era data di "ottenere il controllo sui partiti della sinistra". Quella monitorata dagli agenti statunitensi e quella scoperta dai partigiani del Cln di Viareggio era la stessa organizzazione, che si diramava in tutta Italia.
385 F.I.G., APC, Fondo Mosca, Serie Spie, provocatori, fascisti, b. 295, fasc. 37-III, resoconto cit., f. 176 V.
386 Il capitano Buttazzoni era stato inserito dagli stessi servizi Usa nella lista dei ricercati come criminale di guerra. Il suo nome compare nel documento intitolato War criminals datato 23 aprile 1945: NARA, RG 226, Entry 108 A, Box 253, Folder JZX-1100.
387 NARA, RG 226, Entry 108-A, Box 272, rapporto Oss classificato segreto, datato 10 aprile 1946, a firma del generale Quinn, comandante dell’SSU a Washington. Nel documento viene riferito poi come il comandante del battaglione Np avesse fornito "vari rapporti" sul movimento neofascista, affinché "destino l'attenzione delle autorità americane e queste entrino in contatto con il suo gruppo". Quinn sottolinea poi come Buttazzoni, insieme a Polvani, fosse "in contatto con Valerio Borghese, detenuto nell'isola di Procida". Sulla direzione operata da Quinn dell’SSU cfr. R. J. Aldrich, The Hidden Hand. Britain, America, and Cold War Secret Intelligence, New York, The Overlook Press, 2002, p. 83.
388 "Nei loro rapporti - scrive il generale Quinn - Buttazzoni e il suo movimento sostengono che i comunisti, e quindi la Russia, stanno assumendo il controllo dell'Italia. I neofascisti sono un forte baluardo contro il comunismo, di conseguenza dovrebbe essere loro consentito di rientrare nella vita politica italiana e di fornire un contributo alla sconfitta del comunismo. Poiché gli Stati Uniti non desiderano che il bolscevismo prenda piede nella penisola, dovrebbero proprio per questo aprire un negoziato con i neofascisti per sostenerli. In cambio, gli Stati Uniti sarebbero in grado di controllare la situazione politica italiana appoggiandosi ai neofascisti, che sono fortemente organizzati in diverse migliaia di militanti". Ivi.
389 Ivi. L'analisi relativa alla situazione italiana ed internazionale elaborata dai capi dell'organizzazione, Polvani e Borghese - in contatto come si è visto tramite lo stesso Buttazzoni - verteva sul dato dell'emersione di due potenze mondiali "in lotta per l'egemonia", Stati Uniti ed Unione Sovietica, e sul pericolo comunista nella penisola, rispetto al quale veniva proposta la soluzione di "rovesciare l'attuale governo per imporre una autorità apolitica".
390 I numeri relativi alla forza dell'organizzazione probabilmente erano stati in parte gonfiati, da Buttazzoni stesso, allo scopo di impressionare favorevolmente gli agenti statunitensi. Dai documenti analizzati emerge comunque la sostanziale veridicità del panorama presentato dal comandante repubblichino: riguardo al complessivo numero degli aderenti alla struttura sotterranea si può ipotizzare la cifra di 20.000 unità circa, di cui la maggior parte armati. L'interesse per gli scenari descritti da Buttazzoni, il timore per i possibili stravolgimenti dell’assetto politico italiano ad opera dei comunisti e quindi la preoccupazione per la permanenza della penisola nella sfera occidentale, insieme alla sua offerta di creare un nucleo di difesa dello schieramento internazionale dell'Italia, avevano evidentemente fatto sì che i servizi statunitensi avessero manifestato l’interesse a conservare a loro disposizione tale rete.
391 In realtà oggi allo stato delle ricerche e con l'apertura, seppur temporanea, degli archivi sovietici sappiamo che la possibilità di un'invasione dall'est di truppe yugoslave o sovietiche non era prevista. Come è ormai noto, nei piani di Stalin era utile e necessario che gli Alleati mantenessero le zone di influenza nei territori su cui erano presenti i loro eserciti, affinché si consolidasse la prassi di instaurare la propria area di influenza lì dove i rispettivi eserciti erano arrivati. Cfr. in proposito M. Leffler, A Preponderance of Power, cit.; M. Leffler, National Security and US Foreign Policy, in M. Leffler and D. S. Painter, Origins of the Cold War. An International History, New York, Routledge, 1994; S. Pons, L'impossibile egemonia. L'Urss, il Pci e le origini della guerra fredda, cit.
392 La portata del fenomeno di riunificazione avvenuto sotto il comando di Polvani, Buttazzoni e Borghese è sempre stata storicamente sottovalutata, anche perché non se ne conoscevano né le dimensioni né l'importanza in relazione agli scopi che i neofascisti si erano prefissati. La rilevanza e la forza di questa organizzazione e, come abbiamo visto, la serietà degli obiettivi anticomunisti, aveva fatto sì che anche il Pci e Togliatti ne fossero venuti a conoscenza e avessero dovuto confrontarcisi.
393 Il Sostituto Procuratore di Padova Sergio Dini, nell'ambito di un'indagine relativa proprio ai rapporti tra i nuclei della Decima Mas e l'organizzazione Gladio, ha ottenuto nel febbraio 2005 la testimonianza di Nino Buttazzoni, nella quale l'ex comandante repubblichino ha illustrato il suo "lavoro di organizzatore di nuclei di resistenza e di guerriglia che, secondo la tecnica classica dello Stay Behind, avrebbero dovuto continuare ad operare nelle zone già liberate dagli anglo-americani e rimanere attivi anche dopo la fine della guerra, anche se in sonno", facendo ampio riferimento poi ai contatti con James Angleton, il quale gli aveva proposto "di collaborare con i Servizi segreti statunitensi in funzione anticomunista e antislava". Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n.18-bis, relazione cit., pp. 220-221. La Commissione d'Inchiesta ha stabilito che i nuclei organizzati dalla Decima Mas, destinati a rimanere dietro le linee nemiche in caso di invasione jugoslava sul confine orientale, divennero il modello di utilizzo per l'intera rete, avendo gli americani il progetto di costituire la "stay-behind" che poi, una volta realizzata, verrà denominata Gladio.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma "Tor Vegata", Anno accademico 2009-2010

giovedì 20 luglio 2023

così vivono gli amanti inconfessati / che devono nascondere l'amore

Sanremo (IM): l'edificio che un tempo ospitava il Liceo (G.D. Cassini) frequentato da Italo Calvino

Grazie all'incontro con la De Giorgi Calvino poté avvicinarsi al teatro: "Io siedo alla mia scrivaniuccia del ginnasio, del liceo, dove ho cominciato a quindici-sedici anni a imbrattare carta di versi e scene di commedia - il teatro cui tu vuoi ricondurmi - e prima ancora fin da bambino di disegni, montagne di fogli di carta disegnata con figure grottesche di cui ancora qualche cosa conservo". <98
Alcune riflessione sul teatro che Calvino sviluppò in quegli anni andarono a confluire nella concezione di struttura del romanzo maturata nel tempo. Il teatro lo divertiva ("sì questo teatro è una cosa divertente. Il pubblico è un fatto che solo il teatro dà ed è insostituibile." [HPT pag. 91]) e sviluppava delle capacità che non riusciva a trovare in se stesso e in quello che faceva; quella capacità ‘contemplativa' che invece riscontrava nella De Giorgi e che le veniva esclusivamente dal suo essere attrice: "Tu guardi un quadro con passione e curiosità, senza essere uno storico dell'arte. Così fai quando leggi. Non pensi che puoi scrivere tu stessa. Sei sempre fuori dall'impegno diretto. Così acuisci la facoltà contemplativa. Io penso ormai editorialmente a cosa possono pensare i critici che conosco, quelli che stimo e quelli che non stimo". [HPT pag. 84]
La De Giorgi padroneggiava quell'arte di esprimersi in modo teatrale, riusciva a prendere atto delle cose senza altre vie: interpretava il personaggio per quello che diceva, che agiva. "L'ispirazione nasce dal coinvolgimento col personaggio" diceva l'attrice, e c'era una tecnica per questo: essere altro da sé e questo si può immaginarlo anche con la letteratura. Per la De Giorgi scrivere equivaleva ad agire, per Calvino scrivere equivaleva dunque ad immaginare, era un "un modo di evitare l'azione, restarci sotto o sopra, far vivere, seguire quella degli altri", un po' quello che aveva scelto di far fare a Cosimo nel "Barone".
Nella primavera-estate del 1956 Calvino scrisse una lettera alla De Giorgi, la lettera 2,8 il cui incipit è: "Ti mando una scena del mio libretto d'opera". Grazie al saggio "Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena)" a cura di Nicoletta Trotta in "Autografo 36" (1998), "Suggestive voci di Pavese e Calvino" nel Fondo Manoscritti, si può dedurre che il libretto d'opera a cui si riferisce Calvino in questa lettera è il testo teatrale "La Panchina" (opera in un atto di Italo Calvino, musica di Sergio Liberovici), messo in scena al teatro Donizetti di Bergamo la sera del 2 ottobre 1956. Nel saggio è offerto, come prima cosa, un brano tratto dalla lettera che Calvino mandò a Maria Corti, il 5 luglio del 1976, in cui lo scrittore tratta di vari argomenti e offre, tra l'altro, il manoscritto della "Speculazione edilizia" per il Fondo pavese. In questo brano Calvino, a detta della Trotta, offre una testimonianza risolutiva per il rapporto cronologico tra la versione teatrale de "La Panchina" e i due racconti, "La Panchina" e "Una villeggiatura in panchina".
A proposito del debutto a Bergamo della sua prima operina, Calvino racconta alla Corti un po' quello che scrisse alla De Giorgi: all'attrice disse che fu eccitato dai fischi e che il musicista, poverino, non se lo aspettava ed era rimasto tramortito: "ce n'è voluta per tirarlo un po' su e fargli capire che i fischi erano il segno della vitalità della sua opera".
Riguardo ai giornali scrisse "Divertenti i giornali di Bergamo; se la prendono con la censura perché ha permesso la rappresentazione e dicono che per fortuna il loggione ha pensato a far giustizia".
Alla Corti disse: "Fu un fiasco clamoroso. Venne giù il teatro dai fischi. Più ancora con la musica di Liberovici (che era un ragazzino appena diplomato al Conservatorio e faceva, a quel che posso capirne io, musica abbastanza convenzionale) ce l'avevano con i "contenuti prosaici", neorealistici, un ubriaco, due passeggiatrici…" <99
È stato possibile rintracciare la scena inedita della "Panchina" proprio grazie a una lettera inedita di Calvino, la 2,8, priva di data, ma collocata approssimativamente nella primavera-estate del 1956. Si tratta di una prima stesura della Quinta scena "tagliata via" perché l'opera doveva essere abbreviata, come spiega l'autore nella lettera di accompagnamento scritta a mano di seguito al testo, parzialmente edita nel volume della De Giorgi, "Ho visto partire il tuo treno". La De Giorgi racconta infatti che Calvino le aveva inviato la quinta scena del libretto "La Panchina o degli amanti", tagliata via perché doveva abbreviarlo e nella stesura finale sostituita con la "Quinta scena (passanti e strillone)": "La storia della Panchina fu sofferta, posto come si trovò di fronte a difficoltà classiche del teatro: le incomprensioni tra autore e autore, musicista che fosse per la lirica, regista per la prosa". Calvino era contrariato perché il musicista giovane ed inesperto non aveva capito niente; aveva creduto che fosse da fare in chiave parodistica mal interpretando le sue intenzioni che invece erano quelle di fare una scena sentita ed autobiografica. Lo scrittore aveva quindi cassato a penna le didascalie che Liberovici stesso aveva apposto, perché descrivevano i personaggi in chiave comica, ma così facendo aveva tolto una parte di dialogo autobiografico con la De Giorgi, e di questo si dispiaceva. Nel testo definitivo c'era rimasta la scena degli innamorati che è tutta in chiave scherzosa, ma arricchita dallo spunto di un piccolo litigio: "l'accusa da parte di lei a lui di baciarla a occhi aperti, e una discussione sull'amare a occhi aperti e occhi chiusi" che era stata una divertita polemica tra gli amanti reali.
Una lettura della scena può comunque rievocare, a ben vedere, l'amore drammatico tra Calvino e la De Giorgi che altro non è che una "linciotta" e che insieme altro non sono che "amanti inconfessati", "corpi insaziati" e che altro non devono che "nascondere l'amore".
Lui:- Tra risvegli struggenti innanzi l'alba,
e addii strappati quando si è tutt'uno,
i corpi fiduciosi ed insaziati,
i cuori straripanti,
così vivono gli amanti inconfessati
che devono nascondere l'amore
come lontan dal sole si rimpiatta
una morbida lince una tana. <100
Si è detto quindi che l'inedito de "La Panchina" lo si ricava dalla lettera 2,8 che risale alla primavera-estate del 1956; tuttavia, la Trotta ravvisa che una prima testimonianza epistolare sull'opera si ricava da un'altra lettera inedita (con la sola indicazione di "mercoledì ore 14,30" [1956]) che, come precedentemente detto, potrebbe essere la n° 2,9. Si ricorda che Calvino disse a Maria Corti che il Festival di Bergamo poteva benissimo essere quello del settembre 1956 e che il libretto lo scrisse nei mesi immediatamente precedenti il Festival, incalzato da Liberovicini che non gli dava tregua. Concordemente a questo, nella lettera scritta "mercoledì ore 14.30" - che per congettura poniamo essere la 2.9 - Calvino avverte per l'appunto, di essere stato in mattinata dal suo amico musicista che ha terminato di musicare l'operina e scrive così alla De Giorgi: "Ha dei punti che mi sembrano molto felici, un po' russi (questo giovane è figlio di un ebreo russo di Odessa). Vorrebbe presentarla al Festival di Bergamo di quest'anno. Non capisce molto del mio libretto, ma ha una certa grazia di "divertimento" che gli permette di muovere con abbastanza allegria il canovaccio piuttosto statico che gli ho buttato giù, mezzo per scherzo". <101 Del teatro aveva preso anche ad affascinarlo il senso del "testo pretesto", come racconta la De Giorgi, ovvero l'opera non compiuta dalla scrittura alla rappresentazione, e rimase spiazzato dallo spettacolo somapsichico che fu "Porgy and Bess" (un'opera musicata da George Gershwin, per il libretto di DuBose Heyward, e testi di Ira Gershwin e Heyward). La storia è basata sul romanzo di Heyward "Porgy" e sull'omonimo lavoro teatrale che egli scrisse con la moglie Dorothy, che descrive la vita degli afroamericani nell'immaginaria strada di Catfish Row a Charleston, South Carolina all'inizio degli anni Trenta. Alla Scala di Milano il 22 febbraio 1955 avvenne la prima rappresentazione diretta da Smallens e nel 1959 uscì il film omonimo.
Riguardo all'opera teatrale la De Giorgi riporta una conversazione che ebbe con Calvino, il quale più volte espresse il suo entusiasmo: "Ho visto ieri sera Porgy and Bess e sono impressionato da quel polipaio di vita, da quell'aggrumarsi di cose facili, intrise di volgarità umana che diventano stile, spettacolo esattissimo mai volgare, di quella intensità raggiunta sul piano della massima elementarità e di quel senso di fatalità nel bene e nel male che c'è dentro tra protestante, ebreo e pagano". [HPT pag. 106]
Lei gli rispondeva che quell'America che reagisce allo stimolo dei suoi innesti più provocanti non era un polipaio di cose facili e primitive, ma era sospinto da ritmi segreti, leggi di sesso, d'orgoglio e di morte. Calvino allora conveniva con lei: "Hai ragione. Tutto conviene e separa. Quei tre modi di arrendersi all'amore di Bess; la prima a Porgy, alla rivelazione di una generosità e forza morale, la seconda a Crown, alla forza, al richiamo bruto, la terza a Sportin' Life, all'amore come vizio e inferno, è di una verità che scavalca il melodrammaticismo di cui queste situazioni sono intrise" [HPT pag. 107].
Ecco che da queste considerazioni, lo scrittore riconosce il fatto che "l'amore ha mille volti, che la sua esperienza non ha mai fine, che l'unica vittoria su di esso è lasciarsi vincere" per poi confessarle: "Da anni m'andavo consolidando in una polemica antivitalistica, andavo difendendomi da ogni suggestione che non fosse controllata e razionale e adesso, da quando sono preso da questo nuovo amore che ci scatena come una forza della natura, sono invece più che mai partecipe di ogni manifestazione che gusti un sapore di vita il più possibile concitato, di note alte, di frenesia, di passione". [HPT pag. 107]
Si esprime così, nel '55, in una prima elaborazione di quello che solo negli anni dopo capirà a pieno, con le "Fiabe" e con il "Barone rampante", ovvero che la fantasia di queste opere discende molto più dall'esprit de géométrie che da quello di finesse. Calvino razionalista odia il disordine continuo dei fatti e dei moti del cuore ed ora che si trova di fronte a questo amore travolgente si impegna a trovare un modo per domare un'assurdità pura con una razionalità assoluta, ma c'è da dire che questa razionalità risulta capovolta.
Nella lettera 2,24 Calvino fa alcune considerazioni sul "Visconte dimezzato", ma prosegue dicendo: "Da quando parliamo di teatro capisco perché ti piace il mio primo libro più di tutti gli altri. Là c'è quella temperatura di vita brulicante fra l'attrazione e la repulsione, quel desiderio di immergersi e d'uscire da se stessi che poi non ho più conosciuto, che reputavo una conquista aver superato. Ero in un momento di crisi esistenziale della mia vita. Non ben sicuro ancora di esserci, di esistere. Oggi ancora mi governa un non riposato ordine di pensiero, ma il dramma di esistere di fronte a una esperienza assoluta. Un amore che spezza il cuore e m'esalta fino al parossismo. Ma non è il vitalismo tumultuoso e irrazionale che mi interessa: non scriverò più 'Il sentiero dei nidi di ragno' né 'Porgy and Bess'. Non lo struggimento dell'infanzia né quello dell'ossessione pansessuale. Un'aspirazione alla totalità. Sono lontano da questo. Voglio arrivare al clima dell'uomo, del vero uomo e della vera donna, in cui la ragione non è rinuncia, ma volontà, i cui sentimenti e sensi fanno parte della sfera più alta di sé, non della più debole, e dilatano un ritmo alla vita, danno intensità e respiro alla loro integrazione nel mondo e nella storia, non s'annullano bruciando della loro stessa fiamma". [2,24: Estate 1957, dopo il 4.6.57]
[NOTE]
98 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi, pag. 143
99 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 109
100 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 111
101 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 112
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

sabato 15 luglio 2023

Anche la Rsi aveva riorganizzato un sistema per la caccia agli ebrei


L’organizzazione della persecuzione, della depredazione e della deportazione degli ebrei in Italia andò di pari passo con l’occupazione tedesca e l’organizzazione dell’amministrazione fascista repubblicana. Se certamente nella caccia agli ebrei i tedeschi ebbero, a partire già dai primi giorni dopo l’8 settembre, un ruolo di indiscutibili protagonisti, si deve sottolineare tuttavia che la loro capacità di organizzare in poco tempo una rete capillare ed efficiente per l’individuazione, il concentramento e la deportazione degli ebrei fu resa possibile grazie a condizioni preesistenti <290.
Informatori tedeschi erano presenti nella penisola già prima della firma dell’armistizio, ma soprattutto era funzionante un sistema fascista che dal 1938 si era occupato di individuare, discriminare e perseguire gli ebrei. Enzo Collotti ha individuato almeno tre condizioni preesistenti alla Shoah italiana: un apparato propagandistico, che aveva diffuso un sentimento antisemita nell’opinione pubblica e che aveva intimidito e discriminato la popolazione ebraica tra il 1938 e il 1943; un sistema amministrativo che aveva redatto una serie di strumenti importanti ai fini del reperimento e della individuazione degli ebrei che si trovavano sul territorio italiano, a partire dai dati del censimento degli ebrei ripetutamente aggiornato dopo la prima schedatura del 1938 e depositati presso le prefetture, i comuni, le questure, in taluni casi presso le stesse federazioni fasciste, presso i vecchi centri per lo studio del problema ebraico; l’esistenza di strutture materiali come istituti carcerari presenti in tutto il territorio nazionale, che rappresentarono il luogo di custodia più ovvio delle persone incriminate subito dopo l’arresto, ma anche e soprattutto i campi di concentramento aperti in Italia dalla primavera-estate 1940 <291.
Parallelamente al sistema tedesco inoltre anche la Rsi aveva riorganizzato un sistema per la caccia agli ebrei. Anzi, la Rsi, come sottolinea ancora Collotti, nel “vuoto di altri valori” aveva fatto dell’antiebraismo non solo un “collante ideologico come strumento di aggregazione e di consenso”, ma finanche un suo fondamento spirituale, uno dei suoi tratti identitari <292. Già nel manifesto di Verona del 14 novembre 1943 infatti, al punto 7, si stabiliva che “gli appartenenti alla razza ebraica [erano] stranieri” e venivano assimilati a persone di “nazionalità nemica” <293. Successivamente il Ministro degli Interni Buffarini Guidi emanava l’ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943, con il quale si disponeva l’arresto di tutti gli ebrei, di qualunque nazionalità, il loro internamento in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi speciali appropriatamente attrezzati, il sequestro dei loro beni e l’adozione di una speciale vigilanza di polizia nei confronti dei figli nati da matrimonio misto <294. La normativa antiebraica veniva infine completata dal decreto legislativo n. 2 del 4 gennaio 1944, con il quale si disponeva la confisca dei beni ebraici. La realizzazione di queste normative faceva capo quindi al Ministero degli Interni, che a livello territoriale si serviva dei Capi delle province (ex prefetti), che emanavano gli avvisi per l’intercettazione degli ebrei, attraverso il controllo dei soggiorni nell’area di loro pertinenza. La loro opera era integrata poi dall’intervento delle questure che coordinavano le forze di polizia che dovevano eseguire arresti, perquisizioni, sequestri <295. Inoltre anche altri organismi territoriali e bande autonome legate a personalità carismatiche, come il caso della banda Carità o della banda Koch, si impegnarono nell’attività criminale contro gli ebrei.
In Italia dunque si sviluppò un doppio canale della Shoah, facente capo agli occupanti e alla Rsi. Anche diverse donne si inserirono in questo sistema, impiegate in alcuni di questi uffici riservati agli affari ebraici o direttamente alle dipendenze delle SS, o “donne comuni” che, per scopi diversi, ideologia, opportunismo e voluttà di guadagno, denunciarono gli ebrei alle autorità competenti. Dalle carte processuali possiamo ricostruire alcune delle vicende di cui esse furono responsabili.
La prima grande azione contro gli ebrei operata dai tedeschi fu la grande razzia di Roma, la tragica Judenaktion del 16 ottobre. Roma era la città con la popolazione ebraica più numerosa del territorio occupato, perciò i tedeschi operarono un grande rastrellamento in seguito al quale vennero arrestati 1259 ebrei, di cui 1023 deportati ad Auschwitz due giorni dopo <296.
La vicenda di Flora A. è legata a questa triste data. Mentre infatti il fratello di Flora, Angelo A., si trovava in carcere perché aveva diffuso una falsa notizia sulla presunta uccisione di Hitler, il resto della famiglia veniva informato che i tedeschi avrebbero effettuato un grande rastrellamento di ebrei. La moglie del fratello insieme con i tre figli, lasciava l’abitazione per nascondersi e sfuggire alla cattura, affidando la custodia dell’appartamento alla cognata. Scampati al rastrellamento, i fuggiaschi rientravano in casa, ma Flora non voleva cedere l’appartamento e dunque inviava una lettera ai tedeschi in cui denunciava la cognata e i nipoti. La lettera non sortiva però alcun effetto, poiché veniva intercettata da un membro del Cln e non giungeva a destinazione <297. In questo, come in altri casi, quindi gli ebrei venivano denunciati da persone che conoscevano bene o dagli stessi familiari, a causa di rancori privati o per interessi economici.
Talvolta, come nel caso tristemente famoso di Celeste D., furono gli stessi correligionari a denunciare gli ebrei, spesso nella speranza che la collaborazione avrebbe comportato la propria salvezza. Difficile ricostruire le motivazioni che portarono Celeste D. a segnalare numerosi ebrei, certo è che all’epoca dei fatti, appena diciottenne, si era fidanzata con un milite fascista repubblicano, Vincenzo A., aderente alla banda facente capo a Giovanni C., addetta alle requisizioni e agli arresti di ebrei, dotata di grande autonomia rispetto a tedeschi e autorità della Rsi <298. La giovane ebrea, soprannominata prima “Stella”, per la sua bellezza, e poi “Pantera nera”, per la scaltrezza con la quale compieva i crimini, abitava nel cuore del ghetto e conosceva personalmente molti suoi correligionari. Si aggirava per le vie di Roma facendo catturare decine di ebrei dagli agenti, pronti ad intervenire ad ogni suo cenno di saluto. Per ogni persona che faceva catturare sembra ricevesse un premio di 5000 lire. Tra gli altri riuscì a far catturare anche alcuni componenti della sua stessa famiglia. Il suo nome è legato inoltre al massacro delle Fosse Ardeatine, poiché denunciò ventisei ebrei che furono uccisi in quell’occasione. È il caso di Lazzaro A., segnalato da Mimmo Franzinelli, che scrisse in un biglietto prima di essere portato sul luogo dell’esecuzione: “Se non rivedrò la mia famiglia, è colpa di quella venduta di Celeste. Vendicatemi” <299. Non siamo a conoscenza delle precise motivazioni che portarono la donna a scegliere di dare il suo contributo alla causa antiebraica. Nell’interrogatorio rilasciato agli alleati che
la catturarono il 25 luglio 1944, riportato da Roberta Cairoli, Celeste D. negava le accuse che le venivano addebitate, ricordando che l’unica “colpa” di cui si era macchiata era quella di frequentare uomini esterni alla comunità ebraica, dalla cui relazione aveva ottenuto diversi vantaggi, non ultimo la sua scarcerazione, dopo che, il 3 marzo 1944, era stata arrestata <300. Di fronte agli alleati tuttavia mostrava già un certo disprezzo verso i suoi correligionari ed esprimeva l’intenzione di rinunciare alla propria fede a favore del cattolicesimo <301. Il 16 settembre 1944 gli alleati però la rilasciarono e di lei si persero le tracce finché venne catturata nuovamente a Napoli, il 16 maggio 1945, tradotta nuovamente nella città in cui aveva compiuto gravi crimini, e infine processata dalla Cas di Roma <302. Tra i moventi della sua attività probabilmente anche il suo acceso temperamento di giovane irruenta e poco incline al rispetto delle regole, come dimostrato da numerose note del carcere di Roma, in cui si segnalava che aveva provocato diversi disordini con altre detenute [...]
[NOTE]
90 Continuità e discontinuità della Rsi riguardo alla questione ebraica sono sottolineate da Enzo Collotti nell’introduzione a E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), vol. 1, Roma, Carocci, 2007. Sugli ebrei nell’Italia fascista dal 1938 al 1945, si vedano anche, senza pretesa di esaustività, M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, 1994; M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2000; E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2003; M. Sarfatti, La repubblica sociale italiana a Desenzano: Giovanni preziosi e l'Ispettorato generale per la razza, Firenze, Giuntina, 2008.
291 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., pp. 11-12.
292 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei, cit., p. 128.
293 Cit. in M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 247.
294 Ivi, p. 248.
295 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., p. 26.
296 M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 243; sul rastrellamento di Roma si veda F. Coen, 16
ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze, La Giuntina, 1993.
297 Asro, Cas Roma, sezione istruttoria, fasc. 383 Flora A. Il fascicolo viene chiuso in istruttoria il 1 luglio
1946 perché il reato è estinto per amnistia.
298 A. Osti Guerrazzi, Caino a Roma. I complici romani della Shoah, Roma, Cooper, 2006, p. 107.
99 M. Franzinelli, Delatori, cit., p. 189.
300 R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit., p. 93.
301 In stato di detenzione poi chiedeva di essere battezzata e il Ministero di Grazia e Giustizia accordava il permesso con una nota in cui si diceva: “Non consta a questa direzione che altri abbiano influito sulla sua decisione, ma che questa sia maturata durante il periodo di detenzione per essere stata costantemente in contatto di compagne cattoliche. Si attendono disposizioni perché essa possa essere battezzata”, cfr. M. Firmani, Per la patria a qualsiasi prezzo, cit., p. 146. Si convertì infine al cattolicesimo, subito dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 21 marzo 1948, ricevendo il battesimo, la comunione e la cresima nella basilica di S. Franceso ad Assisi. Cfr. R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit. p. 93.
302 Il fascicolo processuale di Celeste D. è conservato presso l’Archivio di stato di Roma, cfr. Asro, Cas Roma, fasc. 97. Con sentenza del 7 luglio 1947 veniva condannata a soli 12 anni di reclusione, venivano poi però condonati 5 anni della pena e infine scarcerata il 21 marzo 1948.
Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

sabato 8 luglio 2023

Paura di essere rastrellati e mandati in Germania

Fonte: Giuseppe Morabito, Op. cit. infra

8 settembre 1943, giorno di armistizio.
Noi giovani allora eravamo felici per la fine della guerra; ma… fu proprio l’inizio, guerra che toccò tutti: bambini, giovani e vecchi. Mario poco dopo l’8 settembre incontrò in un’osteria del paese due soldati inglesi scappati dalla prigione di Chiavari e, senza pensarci due volte, li portò a casa non pensando alle conseguenze. Poi, attraverso i parenti, riuscì a rivestirli in borghese e a procurar loro un rifugio in una casetta sui monti di Uscio dove una famiglia teneva le mucche. La prima notte quindi la trascorsero lì, ma la mattina dopo, per sicurezza, Mario ed altri amici li trasferirono in una cava d’ardesia, più sicura, dove trovarono modo anche di portar loro qualcosa da mangiare. Ad Uscio, intanto si trovava anche un altro prigioniero fuggitivo da Chiavari, il capitano Orlando Bianchi, che sarà poi, nel 1944, uno dei primi organizzatori della Resistenza a Genova e verrà ucciso dai fascisti il 23 marzo 1945 a Cravasco. Bianchi che conosceva l’inglese parlò con i due prigionieri e per qualche giorno tutto filò liscio. Purtroppo, sparsasi la voce dell’esistenza di questi due prigionieri e temendo rappresaglie da parte dei tedeschi, gli abitanti di Tribogna cominciarono a far girare voce di quanto era accaduto. Fu così che un nucleo iniziale di antifascisti della zona prese la decisione, onde evitare la reazione di rappresaglia dei tedeschi su tutto il paese, di trasferirli presso una villa sicura a Molinetti. Fu Mario che, presa la corriera insieme a loro, li accompagnò fino a Recco.
Fu questa la sua prima “avventura”. Nessuno di noi giovani aveva idea di cosa fosse il fascismo. Li odiavamo soltanto per la prepotenza e l’arroganza che dimostravano nei confronti della povera gente, ma avremmo ben presto imparato a nostre spese a conoscerne il alto più feroce. Noi giovani di allora, non avevamo mai letto un giornale, né sentito la radio; non così i più anziani che, preparandosi a vivere in clandestinità, organizzavano in segreto le prime riunioni facendo finta di incontrarsi casualmente per strada e organizzando poi riunioni clandestine dove, per la prima volta, sentivano parlare di politica e di “democrazia”: una parola mai sentita prima.
Inverno del 1944, fine di una strana tranquillità
Nell’inverno del 1944, l’inverno più freddo del secolo, a Uscio arrivano gli alpini della Monterosa tristemente noti per essere i più feroci alleati dei tedeschi. Iniziano quindi i rastrellamenti e Mario scappa in montagna, appena in tempo per non essere preso. In compenso prendono la sorella, di neanche 15 anni, e il padre di 80 anni; e li portano ad Avegno, dove li tengono per qualche giorno. Io fuggii nei boschi e stetti lì fino a notte fonda. La mattina presto con mio cognato, per fuggire dai rastrellamenti, veniamo a piedi a Genova passando per i monti. A Genova ci incontriamo con Mario ed altri due partigiani. Stiamo li qualche giorno e poi ritorniamo a Uscio dove nella nostra casa viene organizzata una riunione con “Scrivia” [Aurelio Ferrando] e “Bisagno” [Aldo Gastaldi] a cui partecipano altri partigiani.
Tutto questo portava ad una continua atmosfera di paura. Paura di essere rastrellati e mandati in Germania, paura di essere trovati nelle riunioni… che voleva dire essere subito incarcerati. E poi… le notizie sui compagni fucilati….
Dal gennaio del 1945 le visite ormai si fanno più rare! Settimane e settimane prive di notizie. Sintomo che la guerra sui monti si stava facendo sempre più dura. Così arriviamo al 24 aprile 1945. Siamo a Genova. Nell’aria si respira il sentore di quello che succederà: un misto di certezza che le sofferenze siano finalmente finite e la paura per gli ultimi colpi di coda del fascismo. È allora che, mentre stiamo aspettando che arrivino da qualche parte i partigiani, un ragazzino viene a gridarci: “Correte, correte, Oliva passa in piazza Manin!”. Di corsa, in un lampo, arriviamo in piazza Manin, ma ormai il tram carico di partigiani e di bandiere era lontano e neanche questa volta riuscimmo a vederci. Mario arriva il 29 aprile. Finalmente la guerra è finita. Grazie ai partigiani gli americani troveranno la città liberata.
Silvana Oliva (moglie di Mario Oliva), La storia partigiana come l'abbiamo vissuta noi in Giuseppe Morabito, Viaggio nella Memoria. In ricordo dei partigiani, dei patrioti e dei caduti per la Libertà della Bassa Val Bisagno, ANPI Sezioni di Marassi, Quezzi e S. Fruttuoso [Genova], col Patrocinio del C.d.C. III Bassa Val Bisagno, 2005

sabato 1 luglio 2023

La costruzione della Doria diviene invece impresa nazionale


Fonte: Clara Pellegris, Op. cit. infra

“I cantieri di Sestri Ponente danno la magnifica risposta a quelli di Monfalcone e di Trieste. Essa porta il nome, augurale sul mare, di Andrea Doria, che con quello di Genova brillerà sulle eliche” <324.
Etichettata in fase di realizzazione con la sigla “costruzione 918”, la turbonave è la prima unità allestita in proprio dal rinato Ansaldo ed esprime la piena rivincita della città di Genova, per la quale l’ExImBank aveva personalmente garantito a Washington e sulla quale il Piano Marshall ha particolarmente investito <325.
Le responsabilità politiche e diplomatiche gravitanti attorno al progetto dell’Andrea Doria lo rendono calamita di attenzioni e aspettative delle quali neppure il Giulio Cesare e l’Augustus avevano goduto (varate a Trieste e in rotta verso il Sud America, le attese erano molto meno ambiziose) <326. La costruzione della Doria diviene invece impresa nazionale e il disegno degli interni è di nuovo percepito come il più immediato strumento di propaganda.
Se con il rinnovo dei “Conti” Ponti aveva potuto inaugurare e fissare il prototipo della “nave-museo” quale mezzo di espressione e divulgazione della cultura decorativa e artigianale italiana; studiando le fotografie degli arredi della designata Andrea Doria, l’opinione è che si volesse proporre un messaggio promozionale ancor più amplificato, capace di veicolare un’immagine che fosse visivamente riconoscibile come “italiana”.
A bordo di una nave tanto pretenziosa presentare arredi e decori italiani non è sufficiente, ma è necessario presentare opere che gli ospiti possano “riconoscere come italiane”.
L’ipotesi ha inseguito trovato conferma in alcune fonti: tra le pagine di “Domus” Gio Ponti introduce le esigenze estetiche del nuovo progetto cantieristico, descrivendo la necessità dell’Andrea Doria di porsi come una vera e propria “annunciazione diretta (dell’Italia), cioè espressa direttamente” <327. Dal “Corriere della Sera” Ponti scrive di una “funzione rappresentativa” della nave, a bordo della quale il turista deve “imparare l’Italia; e in essa (nella nave) riconoscere l’incomparabile carattere del turismo in Italia” <328.
La posizione di Ponti circa il nuovo incarico del transatlantico è infine convalidata nell’opuscolo di presentazione della Doria a cura della Società di Navigazione “Italia”, che con queste parole la descrive: “È un invito al "viaggio in Italia", è la prefigurazione dell’Italia da tutti sognata e vagheggiata” <329. Osservando gli interni della nuova unità è indubbio che essi rappresentino un “pezzo di Italia”; una documentazione visiva del clima culturale, civile e umano della Nazione Italia.
Partendo da queste premesse, ma approfondendo il “caso della Doria”, è emerso che non i soli arredi d’autore siano stati coinvolti in quello che potrebbe essere considerato un più ampio e pianificato “progetto di propaganda” impostato attorno alla nave. Ripercorrendone la storia, si offre quindi un’inedita e più completa analisi del tentativo di eleggere e incaricare il transatlantico quale emissario dell’“italianità” tutta, in America e nel mondo.
2.2 - 1952: Il transatlantico Andrea Doria e la prima vera “annunciazione” dell’Italia
“Tutto il mondo non solo deve, ma vuole essere sedotto ai nostri incanti […]. Nell’arredamento, le nostre navi debbono essere "dedicate all’Italia", cioè all’onore dell’Italia […] rappresentato nelle decorazioni, nelle pitture, negli ornamenti: ed è il richiamo della "leggenda d’Italia": le architetture famose, i giardini famosi, l’Italia antica, l’Italia delle celebri festività (dal Redentore di Venezia ai ceri di Gubbio), l’Italia dei poetici amanti (da Romeo e Giulietta a Paolo e Francesca), l’Italia dei paesaggi famosi, l’Italia delle maschere e del teatro e dei personaggi, l’Italia dei costumi, l’Italia delle bellissime donne, l’Italia delle musiche, delle canzoni; l’Italia, l’Italia, l’Italia; l’Italia degli artisti e dell’artigianato d’oggi, l’Italia delle incantevoli ceramiche, dei prodigiosi vetri, degli smalti famosi, delle stoffe meravigliose; l’Italia leggendaria dell’arte e della storia” <330.
Citare anche solo in parte questo complesso passaggio di Gio Ponti sarebbe stato impossibile: nella sua lunghezza offre infatti il più completo affresco del patrimonio di civiltà e cultura propriamente italiano. Il termine “Italia” si ripete per diciassette volte e ogni volta riferito ad uno degli aspetti più rappresentativi del Paese: architetture e scenari, celebrazioni e folclore, attori e poeti, artisti e musici, fino all’immancabile riferimento all’artigianato regionale. Aspetti che potrebbero essere riportati e notificati a qualsiasi nazione; eppure quelli francesi o inglesi o tedeschi non sarebbero comunque così “leggendari” - ma soprattutto tutti leggendari - come quelli italiani.
Tanto noti e prestigiosi da essere scelti quali soggetti degli arredi di bordo del nuovo transatlantico: la rappresentanza insita nel progetto della Doria si è visto richieda una certa riconoscibilità visiva, tale da “educare” i passeggeri stranieri.
Analizzando gli interni della Doria “dedicati all’Italia” ognuno degli aspetti sopracitati emerge: gli spazi della nave prefigurano un ideale viaggio in Italia e ne omaggiano le più famose tradizioni e città d’arte. Ma è solo esaminando (per la prima volta) le inserzioni pubblicitarie americane diffuse le settimane e i mesi successivi lo sbarco a New York, che è stato possibile ricostruire l’effettivo impatto mediatico generato da quegli arredi e in generale dal transatlantico <331.
Partendo questa volta dagli annunci - e poi ripercorrendo sin dal principio le vicende che hanno accompagnato la Doria verso il debutto americano - sono emersi e si sono tracciati i margini della propaganda italiana: contenuti, enunciati e citazioni delle inserzioni riferite all’Italia, si sono infatti ispirate ai transatlantici <332.
È dunque ancora una volta lo studio del battage pubblicitario americano ad aver rivelato quanto l’Italia, nella delicata fase della sua ricostruzione postbellica, si sia affidata al prestigio dei transatlantici per il rilancio internazionale della propria immagine.
[NOTE]
324 Dal commento al docu-video, Varata la “Andrea Doria” a Genova, codice filmato I060904, Archivio Storico Istituto Luce, La Settimana Incom, 20 giugno 1951.
L’Archivio, considerato la più importante memoria audiovisiva del Novecento italiano, si è rivelato un’interessante fonte di indagine in quanto custode di brevi cinegiornali e documentari dedicati all’attività cantieristica del dopoguerra (manovre, vari, viaggi inaugurali, rodaggio motori, prove macchine, visite ufficiali), registrati e diffusi allo scopo di promuovere la rinascita dell’industria navale italiana. La voce maschile a commento delle immagini ha infatti sempre un tono declamatorio, quasi si trattasse di un discorso diplomatico.
325 Prima del conflitto l’industria genovese si era infatti limitata ad assemblare i soli scafi e le macchine, perché sovrastrutture, impianti e arredi interni venivano installati nel porto di Genova dalle “Officine Allestimento e Riparazioni Navi” (nelle quali l’Ansaldo aveva una partecipazione societaria, cessata nel 1949). Nel dopoguerra l’Ansaldo inaugurerà invece una nuova proposta di “allestimento in proprio a nave galleggiante”, in M. Eliseo, Andrea Doria. Centouno viaggi, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2006, p. 46.
326 Oltre alle presenti ragioni di carattere politico-diplomatico, altri motivi di natura estetica hanno portato a non considerare nello studio qui proposto i precedenti transatlantici Giulio Cesare e Augustus. Entrambi, infatti, peccano in alcune soluzioni mediocri, prontamente rilevate da Gio Ponti su “Domus”: sulla prima non passano inosservati “[…] certi ambienti con certe ignude sirene in ceramica, emergenti da onde in ceramica con lampadine colorate, (che) gridano vendetta” (“Domus”, n. 281, aprile 1953, p. 22; si veda anche G. Ponti, N. Zoncada, Interni di una nuova nave, “Domus”, n. 267, luglio-agosto 1952, pp. 12-19); e sul secondo transatlantico l’architetto milanese nota ancora la presenza di pareti imbottite nella sala delle feste e una sala da gioco “troppo mezzo-di-trasporto” (Opere d’arte sull’"Augustus", “Domus”, n. 272, luglio-agosto 1952, p. 26). Simili disattenzioni progettuali non sono invece ammesse a bordo dei transatlantici in rotta verso il Nord America.
327 G. Ponti, Alcuni interni dell’Andrea Doria, “Domus”, n. 281, aprile 1953, pp. 17-23.
328 G. Ponti, Occorre che sui nostri bastimenti gli stranieri imparino l’Italia, “Corriere della Sera”, 21 marzo 1950, p. 3.
329 La citazione è tratta dall’opuscolo Le Arti sull’Andrea Doria, “Italia - Società di Navigazione”, Genova 1952 (?), pagine non numerate, Archivio Storico della Triennale di Milano.
330 G. Ponti, L’architettura dei trasporti alla IX Triennale. Interni delle nuove navi italiane, “Domus”, n. 263, novembre 1951, p. 23. La lunga citazione è nuovamente tratta dal già menzionato articolo di Ponti dedicato al padiglione FINMARE presso la Triennale di Milano. Ricordando prima le inziali proposte d’autore avanzate per gli interni dei “Conti”, introduce in seguito le nuove soluzioni d’arredo per la Doria, le quali dovranno essere “riconoscibili”. L’articolo si rivela dunque un’importante sintesi del giudizio di Ponti riguardo l’arredamento navale.
331 La rivista americana “House and Garden” continua a essere il riferimento mediatico della ricerca. I suoi contenuti - spaziando da brevi articoli a editoriali più complessi e di spessore; da monografie di viaggio e cultura a numerose inserzioni pubblicitarie - garantiscono una copertura e dunque un’indagine più articolata e completa. Per analizzare le ricadute mediatiche del transatlantico, si sono presi in esame i numeri pubblicati tra il 1953 e il 1955, ovvero quelli relativi il primo sbarco della Doria a New York e il successivo biennio (l’analisi dell’impatto dell’iniziativa artigiana si era infatti interrotta al 1952, garantendo uno studio continuativo).
332 Per quanto riguardo lo studio delle vicende storiche del transatlantico, il principale e più completo riferimento bibliografico è attualmente: M. Eliseo, Andrea Doria. Cento Uno Viaggi, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2006. Si consiglia comunque anche: C. Frisone, L’Andrea Doria: storia, architettura, fascino di una nave, Marsilio, Venezia 2006.
Clara Pellegris, Homo Faber. La ricostruzione identitaria italiana e la nascita del “Made in Italy”, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno Accademico 2019-2020