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venerdì 19 aprile 2024

Dall’estate del 1944 cominciano le operazioni di rastrellamento da parte delle forze tedesche tra il Pasubio e la Val Posina


La città di Schio era uno dei centri più importanti della provincia di Vicenza, quarta città più popolosa dopo il capoluogo, Bassano del Grappa e Valdagno. L’industrializzazione della zona aveva subito una forte accelerazione dalla metà del XIX secolo con la creazione di alcune fabbriche all’avanguardia come il famoso Lanificio Rossi, oltre che a numerosi opifici. La crescita dell’economia aveva a sua volta prodotto un proletariato urbano particolarmente attivo e politicizzato che, più volte, si scontrò con gli imprenditori in numerose proteste che bloccarono la città. La guerra e l’arrivo della RSI non migliorarono le condizioni di vita della popolazione locale, i licenziamenti di massa e il divieto di riassunzione dei sovversivi causò esodi di massa della popolazione <171. La caduta di Mussolini e l’armistizio non turbarono particolarmente la popolazione di Schio e dei dintorni; il giorno successivo, 9 settembre, una folla esultante si radunò in piazza Alessandro Rossi, tanto che il Podestà del Comune Radi si affrettò ad emanare un comunicato per invitare alla calma la popolazione <172. A differenza della maggior parte dei paesi limitrofi, a Schio il fascismo non riuscì mai ad avere una presa salda sulla popolazione e ciò causò l’istituzione di un sistema di controllo molto stretto da parte delle autorità locali, arrivando a più di 300 persone schedate e sotto sorveglianza per il loro rapporti con l’ambiente operaio <173. La città divenne il nodo centrale per il sistema di aiuti finanziari e di rifornimenti per i partigiani <174. Con il sopraggiungere della precettazione dei lavoratori da mandare in Germania e gli scioperi di inizio anno del 1944 la tensione crebbe, come apprendiamo dai rapporti della GNR:
«Schio, 11 marzo 1944-XXII.
Oggetto: Segnalazione sospensione del lavoro.
10 corrente ore 9 operaie circa 70 Filanda Maule di Malo (Vicenza) sospendevano lavoro, ripreso dopo circa 35 minuti per pronto intervento Arma, segno protesta sospensione da lavoro per una giornata filandiera Valmorbida Clorinda d’anni 18 da Malo sorpresa leggere alta voce in detto stabilimento sottoriportato manifestino sovversivo la cui unica copia in originale rimettesi at Prefettura Vicenza punto Detto manifestino veniva rinvenuto in mattinata da altra filandiera mentre recavasi at filanda per iniziare lavoro punto In detta Valmorbida escludesi proposito propagandistico punto Proprietario filanda diffidava dipendenti operaie dal far circolare in fabbrica manifestini del genere punto Nessun perturbamento ordine pubblico punto»
“Operai del Veneto!
Opponetevi con tutto l’animo alla brutale violenza germanica che vuole strappare voi le vostre donne alle case d’Italia. Resistere per affrettare la caduta della Germania e la liberazione d’Italia. Vi siamo vicini con tutti i mezzi spirituali e materiali. Non temete rappresaglie.” <175
Le forze tedesche arrivarono a Schio la notte tra il 9 e il 10 settembre del 1943, con reparti provenienti principalmente dalla Divisione Granatieri Corazzati SS Liebstandarte Adolf Hitler e dalla 25ª Divisione Corazzata del 2° SS-Panzerkorps <176. Gli autocarri carichi di truppe e mezzi che scendevano verso Schio arrivarono da Valli del Pasubio e da Torrebelvicino; la mattina del 10 settembre un reparto di tedeschi avanzò verso il presidio italiano alla Caserma Cella <177. Nella caserma stazionavano degli alpini da Rovereto che, il giorno prima, erano stati disarmati per ordine del loro comandante ed avevano respinto alcune proposte di collaborazione avanzate da dirigenti antifascisti della città; l’attacco tedesco si abbatté sulla Caserma Cella causando la cattura e la deportazione verso la Germania di 54 autocorriere piene di soldati italiani <178.
I primi nuclei della Resistenza scledense si radunarono sui colli circostanti, la maggior parte dei partigiani prese residenza per circa un mese presso le contrade Festari e Formalaita sotto la guida di alcuni antifascisti della città e il comando di Iginio Piva, andando a creare il cosiddetto “gruppo del Festaro”. Il 29 aprile il Fascio Repubblicano di Thiene dava ordini per l’arresto di diversi cittadini in seguito all’uccisione del locale Commissario Prefettizio; l’ordine venne eseguito alle prime ore del pomeriggio dai fascisti appartenenti agli Enti Economici dell’Agricoltura e alla Compagnia della Morte di Vicenza. Risultava noto il fatto che gli arrestati erano estranei all’accaduto e che l’azione era stata portata avanti unicamente su iniziativa del fascio locale che aveva già predisposto l’esecuzione. La fucilazione non avvenne a causa di screzi tra i funzionari fascisti locali e le forze tedesche <179.
30 aprile in località S. Caterina di Tretto avvenne un rastrellamento a seguito dei lanci aerei degli alleati in zona; i tedeschi razziarono il paese, svuotando il caseificio locale e rubando delle radio <180. Il 17 maggio venne costituita la 30ª Brigata d’assalto “Ateo Garemi” nella zona di Campodavanti verso cima Posina; nato su iniziativa del gruppo di Malga Campetto, ovvero i “Fratelli Bandiera”, per raccogliere tutta la Resistenza del vicentino nord-occidentale. La brigata era formata da due battaglioni: lo “Stella”, operante nella Valle dell’Agno e lo “Apolloni”, operante principalmente nella Val Leogra e in parte sull’Altopiano di Asiago; con altri battaglioni in fase di creazione <181.
Dall’estate del 1944 cominciano le operazioni di rastrellamento da parte delle forze tedesche tra il Pasubio e la Val Posina. In località San Vito di Leguzzano, nella notte tra il 2 e il 3 giugno avvenne uno scontro tra i militi della GNR e il Battaglione “Ismene” guidato dal “Tar”, dove morì un partigiano e rimasero feriti due fascisti che vennero trasportati in ospedale a Schio; pochi giorni dopo, nella notte tra il 6 e il 7 alcuni partigiani entrarono nell’ospedale e giustiziarono i due fascisti. Il 22 giugno i tedeschi eseguirono una rappresaglia prelevando quattro persone da Vallortigara, portandole a S. Giustina di Ca’ Trenta dove vennero fucilate dopo essere state costrette a scavare le proprie fosse <182. Tra il 31 luglio e il 1° agosto avvenne uno scontro tra l’Ost-Bataillon 263 e il gruppo garibaldino guidato da Ferruccio Manea, detto “Tar” <183.
Nel contesto del “Piano Vicenza” il massiccio del Pasubio avrebbe dovuto costituire una “zona libera” e per questo, nell’estate del 1944, molti partigiani cominciarono a convergere nell’area e, contemporaneamente, i tedeschi affrettavano le opere per la costruzione della “Linea Blu” <184. A luglio la formazione partigiana guidata dal “Tar” giunse a Posina e si divise in due gruppi: il primo salì verso i Campiluzzi, un gruppo di malghe che sorgeva sul Pasubio; l’altro gruppo guidato dallo stesso “Tar” raggiunse il rifugio “Lancia” che venne sgomberato e occupato dai guerriglieri. Tra il 30 e il 31 luglio, mentre “Tar” si trovava presso il comando della formazione a valle, arrivò la notizia che le forze sul Pasubio avevano efficacemente respinto un attacco tedesco <185. Due settimane prima, il 15 luglio, la Scuola Allievi Ufficiali di Tonezza del Cimone veniva presa d’assalto da forze partigiane che vennero respinte grazie all’intervento di un reparto tedesco; a seguito dello scontro i guerriglieri riuscirono ad impossessarsi di molto equipaggiamento bellico presente nella struttura <186. I combattenti provenivano da Campolongo e la forza che attaccò la scuola era composta di circa 50 elementi ed il piano iniziale era di circondare il luogo e prendere di sorpresa ufficiali e cadetti per asportare più materiale possibile senza colpo ferire <187. Un partigiano venne catturato e il suo interrogatorio garantì preziose informazioni ai nazi-fascisti <188. Le azioni sul Pasubio e a Tonezza rappresentarono un duro colpo per le forze occupanti; le forze della “Garemi” a quel punto minacciavano seriamente le linee di rifornimento e comunicazione; inoltre, la ricollocazione prevista per il Comando tedesco a Recoaro Terme rendeva necessario ripulire l’intera “zona libera” del Pasubio dalla presenza dei partigiani. Questa situazione diede l’impulso fondamentale alla seguente Operazione “Belvedere” con lo scopo di garantire la sicurezza nelle retrovie nazi-fasciste.
All’inizio di agosto la “Garemi” si riorganizzò in un Gruppo Brigate e le sue forze vennero suddivise come segue: Brigata “Stella”, Brigata “Pasubiana”, Brigata “Val Leogra” e Brigata “Pino” per un totale di circa 400 effettivi <189.
L’Operazione “Belvedere” scattò il 12 agosto con un rastrellamento che non riuscì a raggruppare molti partigiani che, grazie alla conoscenza del territorio, riuscirono quasi sempre a sganciarsi dagli inseguitori. Lo scontro più rilevante e che più spesso rappresenta questa operazione avvenne in territorio trentino; un gruppo di partigiani venne circondato in località Malga Zonta presso Folgaria, in provincia di Trento, lì i tedeschi e i partigiani condussero una sparatoria di alcune ore che vide i primi avere la meglio. I sopravvissuti allo scontro vennero riuniti ad una quindicina di civili rastrellati il giorno stesso; la giornata si concluse con 14 partigiani e tre malgari, accusati di aver dato loro supporto, fucilati mentre dal lato tedesco si contarono tre morti e quattro feriti <190. Nonostante questa azione possa sembrare un successo per le forze tedesche in realtà la maggior parte dei partigiani che subirono l’attacco riuscì ad evitare le maglie del rastrellamento tedesco <191.
[NOTE]
171 De Grandis, E la piazza decise, p. 27.
172 Valente, Schio, la verità sull’8 settembre, p. 59.
173 De Grandis. E la piazza decise, p. 31.
174 Vangelista, Guerriglia a nord, p. 207.
175 Franzina, La provincia più agitata, p. 155.
176 Valente, Schio, la verità sull’8 settembre, p. 59.
177 Ivi, pp. 72-73.
178 Simini, Eccidi e stragi di militari, civili e partigiani nell’alto vicentino (1943-1945), pp. 9-10.
179 Testimonianza di Corrà Giovanni, Dalla Fontana Bortolo, Fabris Pietro, Finozzi Antonio, Gamba Francesco, Gemmo Livio, Leder Giobatta, Munarini Antonio, Rossi Cesare, Spillare Antonio e Vecelli Riccardo consegnata al Procuratore Generale presso la Corte d’Assise Straordinaria (27 giugno 1945), ASVI, CLNP, b. 15 bis fasc. b, sotto-fascicolo b3.
180 Questura di Vicenza, Ufficio Politico Militare, testimonianza di ex militari della RSI (13 giugno 1945), ASVI, CLNP, b. 10 fasc. 8.
181 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, pp, 127-128; Pirina, Guerra civile sulle montagne, vol. III, pp. 9-10.
182 Simini, Eccidi e stragi di militari, civili e partigiani nell’alto vicentino (1943-1945), pp.20-21.
183 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, p. 28.
184 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, p. 285.
185 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, pp. 295-297.
186 Brunetta, Veneto e Resistenza, p. 141.
187 Franzina, Vicenza di Salò, pp. 276-277.
188 Ivi, p. 270.
189 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, pp. 30-32; Vangelista, Guerriglia a nord, pp. 192-193.
190 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, pp. 34-35; Brunetta, Veneto e Resistenza, p. 155; Pirina, Guerra civile sulle montagne, vol. III, p. 35.
191 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, p. 311.

Matteo Ridolfi, La guerra civile nel vicentino nord-occidentale. Stragi ed eccidi dalla Val Chiampo alla Val d’Astico (1943-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

sabato 13 aprile 2024

Margaret Thatcher non è ancora emersa in seno al partito come una personalità decisiva per le sorti dei conservatori


Durante l’ultimo anno di mandato, il governo conservatore di Edward Heath si trova ad affrontare una serie di crisi il cui sovrapporsi contribuisce a diffondere nel Paese la sensazione che, per la prima volta nella storia, la GranBretagna si trovi allo sbando, senza una direzione precisa da seguire e senza quella sicurezza sociale ed economica che l’aveva contraddistinta fino a quel momento. Le difficoltà legate all’aumento dei prezzi e dell’inflazione, all’irrisolta crisi in Irlanda del nord, alla contestazione da parte dei sindacati dei minatori e ai conseguenti scioperi, problematiche che sembrano convergere e sovrapporsi nei primi mesi del 1974, culminano simbolicamente con i tagli dell’energia elettrica e con l’introduzione della settimana corta (la cosiddetta “three-day week”) in seguito all’aumento del prezzo del petrolio e all’embargo dei Paesi dell’OPAC, una crisi annunciata da mesi, che tuttavia rappresenta per l’opinione pubblica uno shock senza precedenti nel secondo dopoguerra <408.
Una situazione, questa, della quale il partito di governo mostra di essere consapevole, al punto che la campagna mediatica per le elezioni del 1974 si serve di uno slogan che rimane nel tempo a simboleggiare, da un lato, questa crisi istituzionale e, dall’altro, il braccio di ferro con i sindacati: “Who governs Britain”? <409 La risposta a questo interrogativo, che non appare allora affatto scontata, finisce per ritorcersi contro lo stesso Heath protagonista di quella che viene definita dai media e dagli osservatori una “backfiring campaign”.
Margaret Thatcher, a quel punto ancora in carica come ministro dell’Istruzione e della Scienza, non è ancora emersa in seno al partito come una personalità decisiva per le sorti dei conservatori. Dello stile d’azione e di governo determinato e poco incline al compromesso, che nel giro di qualche anno inizierà a essere indicato come “thatcherismo”, non si vedono i segni, se non andando a rintracciarli a posteriori. Thatcher è una figura rispettata nella scena politica e tuttavia ancora marginale, come dimostrano sia la sua esclusione dal gruppo dirigente che si era occupato di rappresentare nei media nazionali il volto del partito in vista delle elezioni del 1970, sia le interviste rilasciate durante gli anni di governo dei Tory (1970-1974), incentrate sulla sua vita personale piuttosto che sulle policy proposte nel campo dell’istruzione.
Da un verbale “segreto” destinato alla circolazione interna all’apparato amministrativo statunitense, che riporta la conversazione intercorsa durante un pranzo informale del giungo 1973 tra Thatcher e l’ambasciatore americano a Londra Walter Annenberg, si rileva quello che era in questa fase il giudizio pressoché unanime sull’unica donna del gabinetto di governo, in patria come all’estero. Se la solidità e la preparazione di Thatcher non vengono messi in discussione, si afferma nel report che il momento in cui si credeva che potesse un giorno diventare primo ministro della Gran Bretagna sembra tramontato e che, a quel punto, un simile scenario appare inverosimile. La performance di Thatcher al governo viene definita solida e rispettabile e, allo stesso tempo, non straordinaria (“unspectacular”), o non particolarmente sorprendente in termini positivi. Nel documento la si descrive come consapevole della moderata importanza del proprio ruolo e del fatto che, politicamente, il suo non è un ministero dalla gestione del quale possano derivare dei vantaggi per il futuro del partito. Se ne sottolinea certamente la tenacia e l’infaticabilità nel viaggiare per tutto il Paese per tenere comizi e incontri con l’elettorato e il supporto incondizionato al primo ministro Heath, a riprova del fatto, negato da Thatcher stessa nella propria autobiografia, che i rapporti tra i due non si erano ancora deteriorati in quel momento. La nota che precede il resoconto dettagliato dell’incontro e il giudizio di Thatcher sui singoli membri del governo, descrive la parlamentare come “quasi un archetipo” di una donna inquadrabile come leggermente a destra rispetto alla posizione del partito conservatore, le cui idee sono fortemente influenzate dal suo background culturale e dalla sua provenienza dalla middle-class. Thatcher viene ritenuta istruita, intelligente, “e persino sofisticata”, e le si attribuisce uno spiccato anti-intellettualismo, piuttosto diffuso al tempo tra i quadri del partito. Si raccomanda, infine, di leggere i giudizi che Thatcher fornisce sui propri colleghi <410 con “queste informazioni in mente”, ovvero tenendo conto della solidità politica della donna senza tuttavia attribuirle un’importanza eccessiva nel contesto degli equilibri del partito, sulle cui dinamiche ha a quel punto un’influenza piuttosto limitata <411.
Tra i commenti di Thatcher relativi a vari esponenti del gabinetto di governo, spicca quello relativo a Keith Joseph (1918-1994), tradizionalmente a destra rispetto alle posizioni del partito, monetarista convinto, critico del governo Heath in seguito all’U-turn e strenuo oppositore dell’interventismo statale nell’industria <412. Di quanto riportato su Joseph da Thatcher, che lo stima e ne condivide il pensiero politico, l’ambasciatore Annenberg annota: «She has tremendous admiration for Joseph and considers him brilliant, versatile, and full of further promises. She said he could handle any ministry and she was confident that he has been marked for higher responsibility» <413.
Sicuramente Thatcher pensava a Joseph come un probabile leader del partito o come primo ministro, in un periodo in cui ancora non attribuiva a se stessa la possibilità di ricoprire gli stessi incarichi, almeno da quanto si evince dalle interviste e dalle dichiarazioni pubbliche.
Per tutto il 1973 gran parte del 1974 Mrs. Thatcher è impegnata a sostenere la riforma della scuola e a presentare la posizione del partito sul futuro del sistema di istruzione britannico, attenendosi, se non con rare eccezioni, al proprio compito istituzionale, nell’esercizio del quale si dimostra, appunto, preparata e “instancabile”.
Durante i mesi in cui il gabinetto di governo conservatore discute la possibilità di andare alle urne prima della scadenza del mandato, una ipotesi nata dal crescente malcontento dell’opinione pubblica per la difficile fase di transizione attraversata dal Paese, Thatcher, che pure non si mostra critica verso il primo ministro, figura tra i membri dell’esecutivo che premono per una soluzione improntata alla determinazione, e dunque perché Heath consegni nelle mani degli elettori la soluzione alla crisi di legittimità che sembra caratterizzare il suo ultimo anno da primo ministro, mentre non appare apprezzare l’idea di un governo “nazionale” improntato al compromesso.
Il primo ministro uscente, consapevole della sfida che si presentava e del distacco dalla politica che il malcontento per l’operato del suo governo aveva favorito, aveva proposto, in caso di rielezione, un governo in cui alcuni dei ruoli chiave sarebbero stati affidati a personalità esterne al partito. La retorica conciliante del governo unitario non aveva incontrato il favore di una parte dell’esecutivo, che spingeva invece il primo ministro a non dissimulare la fine di quel consenso che per anni era stato il perno della vita politica britannica, ma, piuttosto, a esasperarla con una campagna dura e scevra di compromessi, considerata l’unico mezzo per opporsi una volta per tutte alle richieste avanzate dai sindacati dei minatori del carbone <414. Thatcher era tra questi <415.
Sebbene Heath sembrasse voler evitare una nuova competizione elettorale, con l’inizio dei nuovi scioperi dei minatori il 10 febbraio 1974 si era dovuto infine risolvere a fissare per il 28 febbraio una nuova chiamata alle urne che preoccupava i Labour tanto quanto i Tory <416. Se la campagna elettorale è accompagnata da un clima di incertezza e di esitazione, il manifesto conservatore sembra voler dare del partito un’immagine ben più assertiva, sin dal titolo: 'Firm action for a fair Britain (“Un’azione decisa per una Gran Bretagna giusta”)' <417.
[NOTE]
408 Nell’articolo di David McKie corrispondente politico di «The Guardian» del 31 dicembre 1973 (Tories “cooking the books”, p.1) si fa riferimento all’introduzione della settimana corta come a “una emergenza costruita a tavolino sulla base di una crisi energetica che non esiste” («Britain moves into three-day working today amid bitter allegations that the Government is merely staging an emergency exercise on the basis of a crisis which does not exist»). Il sospetto che si tratti di un espediente del governo per controllare i disordini sociali e per tagliare drasticamente le spese, partito dai rappresentanti dei sindacati, sembra essere confermato dallo scontro tra il ministro ombra dell’Industria e dei Trasporti Mr. Toy Benn e il primo ministro Heath («This suspicion, already voicd by some union leaders, lies behind the weekend clash between Mr. Tony Benn, Shadow Minister for Trade and Industry, and Mr. Heath. Mr. Benn challenged the Prime Minister to publish full information behind the Government’s decision at once»). Quest’ultimo era stato infatti invitato a rendere pubblici i dati sulla fornitura di energia elettrica, nonostante il presidente del consiglio (Lord President o the Council) avesse espressamente affermato che la three-day week era indispensabile perché le riserve energetiche potessero durare il tempo necessario a superare una crisi di cui non si intravvedeva la risoluzione. Alla richiesta di Mr. Benn Heath aveva risposto che la riserve di carbone ammontavano a 13 milioni di tonnellate alla data del 23 dicembre e andavano calando al ritmo di un milione di tonnellate a settimana, tre volte in più rispetto alla normalità. A questa dichiarazione, Mr. Benn, supportato dal leader dell’opposizione, il segretario del partito laburista Wilson, aveva ribattuto che l’introduzione della settimana corta avrebbe avuto effetti devastanti sul Paese, dai licenziamenti ai ritardi nei trasporti e che a subirne le conseguenze sarebbero stati soprattutto “gli anziani e i malati”. Nel bilancio tra le risorse che potevano essere investite per cedere alle richieste dei minatori e quelli dovuti al rallentamento della produttività, secondo l’opposizione, la seconda opzione era da ritenersi la più controproducente. A quest’accusa Heath aveva risposto che le misure restrittive erano state prese non per volontà personale del primo ministro ma in seguito alla decisione dei membri del governo di tentare di suddividere le scorte rimaste in moto tale che potessero durare fino alla fine della stagione invernale. Infine, in seguito alle supposizioni secondo le quali la settimana corta sarebbe rimasta in vigore per almeno sei settimane, Heath aveva annunciato che se era troppo presto per fare previsioni, sicuramente la disposizione sarebbe rimasta valida fino a quando i sindacati dei minatori non avessero interrotto gli scioperi e ripreso un normale ritmo lavorativo («Reports that the Government was already expecting the three-day week to run for at least six weeks were discounted in Whitehall yesterday as it was far too early to make such an assesment. In his reply to Mr. Benn, Mr. Heath said the three-day week would have to last until normal working was resumed by the miners and adequate supplies were available at power stations»). Il tono cospiratorio e le accuse al governo di aver inscenato una crisi petrolifera per “risistemare” i libri contabili avevano contribuito alla percezione della situazione da parte dell’opinione pubblica come non drammatica e non imminente. In realtà già diversi mesi prima una serie di articoli, anche dello stessa testata, avevano esposto nel dettaglio sia le conseguenze della guerra dello Yom Kippur sia gli effetti della decisione dell’Arabia Saudita di non riconoscere più la sterlina come settlement currency sul tasso di svalutazione del pound (Si veda, per esempio, Peter Hillmore, Crisis in oil draws closer, in «The Guardian», 24 ottobre 1973, p.1). Anche nell’ambito della produzione culturale la crisi petrolifera assume un ruolo preponderante, fornendo il pretesto per la rappresentazione della disillusione dei cittadini e per la descrizione di scenari foschi per il Paese, come dimostra in quegli anni il cinema mainstream, a partire dal film della serie su James Bond The Man with the Golden Gun del 1974. Se da un lato il nucleare veniva presentato come l’alternativa “pulita” al petrolio e al carbone, dall’altro si affermava un sentimento collettivo di consapevolezza dei danni legati all’inquinamento provocati dalle industrie (Black, J., Britain since the Seventies. Politics and Society in the Consumer Age, Reaktion Books, Londra, 2004, p. 78).
409 Sull’interpretazione dei fatti principali del 1974, con le sue due elezioni, la mancanza di una maggioranza, lo spostamento del voto dai due partiti tradizionali e come punto di rottura della storica stabilità britannica si veda il volume (che prende il nome dallo slogano usato da Heath, Who governs Britain?, Pelican, Londra, 2015) dedicato dallo storico Anthony King al periodo in questione.
410 Tra gli MP sui queli Thatcher si esprime ci sono John Gummer, Geoffrey Howe, Lord Windelsham, Peter Walker, Keith Joseph e Reginald Maudling e John Biffen.
411 Si legge nel report: «The only woman in the cabinet, Mrs. Thatcher’s performance has been solid, respectable and unspectacular. She has not sought to introduce radical remedies to deal with Britain’s problems in education and science. Believing strongly that educational policy is not an issue on which her party could expect to gain political advantage, she has concentrated, with remarkable self-confidence, on making sure it does not become a disadvantage. She is a strong supporter of Heath and undoubtedly is a very real political asset to the Government. She is one of the workhorses of the Government and is constantly touring the country defending its policy». E ancora: «Once touted as a potential first woman Prime Minister, it is most doubtful that she could, or does, realistically expect to lead her party. But she carries weight within Tory Party councils and can be expected to continue to play an influential role. Mrs. Thatcher is an almost archetypal, slightly to the right-of-centre Tory whose views are strongly influenced by her own middle-class background and experience. A well-educated, intelligent and even sophisticated woman herself, Mrs. Thatcher shares with others in her party a certain anti-intellectual bias. Her views on her party colleagues are interesting but should be read with the above in mind». Il documento, desegretato nel 1998, e intitolato Margaret Thatcher’s Views on Politics and Tory Personalities, è conservato presso l’archivio del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (US National Archives II, State Department Files, RG59, Central File 1970-3, Box 2652).
412 Keith Joseph (1918-1994), avvocato e politico conservatore. Ricopre diversi ruoli minori nel governo di Macmillan. In seguito al rimpasto di governo seguito alla “notte dei lunghi coltelli” nel 1962 diventa Minister of Housing and Board of Trade; portavoce dei ministeri ombra dei Servici Sociali e in seguito del Lavoro durante l’era Heath. Dopo la vittoria del 1970 diventa segretario di Stato per i Servizi Sociali. Personaggio centrale nella conferenza di Selsdon, fortemente influenzata dal suo approccio, rimangono alla storia i suoi due discorsi pronunciati a cavallo tra le elezioni del febbraio 1974 e quelle di ottobre dello stesso anno (Upminster Speech e Preston Speech, dei quali si parlerà più avanti in questo capitolo). Proprio nel corso di questi discorsi annuncia la fondazione, insieme a Margaret Thatcher, del Centre for Policy Studies.
413 «Nutre una incredibile ammirazione per Joseph, che considera brillante, versatile e pieno di sorprese per il futuro. [Thatcher] ha affermato che lui potrebbe gestire qualunque ministero e si è detta sicura che sia destinato a incarichi più alti» (Ibid.).
14 La nuova fase di tensione con i lavoratori dell’industria mineraria del carbone era stata scatenata dal disaccordo sullo Stage 3 del negoziato sui salari, con i sindacati che avevano rifiutato un ulteriore incremento del 13 per cento proposto dal National Coal Board e che suggerivano di trattare il caso dei minatori come un caso speciale, al fine di evitare che il governo subisse un numero ingestibile di richieste dello stesso tipo da altre union se i minatori avessero avuto la meglio. In questo senso, una vittoria schiacciante dei conservatori alle elezioni del 1974 avrebbe rappresentato per Heath e per i Tory la parola definitiva nella disputa con le Union.
415 Nella sua unica apparizione in un programma nazionale durante la campagna elettorale, l’Election Call della BBC, Thatcher inizia a manifestare i propri dubbi in merito a un governo di unità nazionale, sostenendo che non necessariamente riunire le migliori menti del Paese avrebbe garantito che queste si sarebbero trovate d’accordo sulle strategie di governo («I think it’s a false assumption that if you get a government of all the best brains, the best brains will agree what to do»). In un’intervista rilasciata pochi giorni dopo al «Daily Express», Thatcher si riferisce alla propria crescente insofferenza e al proprio carattere combattivo, seppur nascosto dietro un “rivestimento di zucchero” con l’espressione «there’s a bit of though steel that’s me» (l’intervista è disponibile presso l’archivio della fondazione Thatcher esclusivamente su supporto audiovisivo - Inteview for Daily Express, “Under all that sugar - a bit of thoughsteel”, 20 febbraio 1974. La trascrizione è citata in Moore, C., Not for Turning, cit., p. 247).
416 Child, D., Britain since 1945, cit., p. 239. Sulle ragioni che convincono Heath della necessità di andare a elezioni anticipate e sul ruolo ricoperto dalle dispute sindacali e dall’aumento del prezzo del petrolio si veda: Ian Aitken, Oil price, not miners, “made Heath call election”, in «The Guardian», 19 febbraio 1979, p. 2.
417 Il manifesto è conservato al Staffondshire and Stock-on-Trent Archive Service, William Salt Library (135/95).
Eva Garau, Margaret Thatcher. Formazione e ascesa di un leader, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno accademico 2014-2015

martedì 9 aprile 2024

Fra i comunisti serpeggia una grande delusione per la sortita elettorale del cardinale


Nonostante lo stallo sul piano nazionale, le comunali del 20 giugno 1976 chiudono, con il successo di Roma, il percorso iniziato nell’anno precedente, offrendo un banco di prova di portata internazionale per dispiegare la strategia del buon governo. Lietta Tornabuoni fotografa sul «Corriere della Sera» il cambiamento politico all’indomani delle elezioni nella capitale:
"Tante storie per tanti decenni, per lustri: Roma città papalina, Roma città fascista, Roma del cattolicesimo più scettico e torvo, Roma cinica e ottusa ad ogni progresso, Roma città-mercato mediorientale» (Moravia) oppure «gran madre cialtrona» (Fellini), Roma cuore della piccola borghesia parassitaria e clientelare, Roma degli impiegati sempre fuori stanza, Roma capoccia della corruzione nazionale e del disavanzo in bilancio, Roma che fa la stupida stasera… Poi, dalle elezioni, questa repentina nuova faccia: Roma rossa, con il partito comunista che è il primo, il più votato. Più forte, con il suo 35,4 per cento delle comunali, persino della democrazia cristiana, che con tutti gli Andreotti e i cardinal Poletti arriva soltanto al 33,8 per cento" <78.
La «serenata in Campidoglio» ritratta dalla giornalista pisana testimonia la varietà delle rappresentazioni di Roma, a metà fra politica e cultura. Le fratture che attraversano il mondo cattolico, il discorso del Pci sulla città e la dialettica fra le culture politiche realizzano nella realtà capitolina una sintesi proficua. La stagione delle amministrazioni a guida comunista spezza l’era dei “sette sindaci” democristiani <79, portando al massimo dell’evidenza lo stretto intreccio fra vicenda nazionale e ricadute locali. D’altra parte, se la formazione di una compagine di governo comunista in altri capoluoghi è già di per sé una notizia, a Roma, capitale del paese e centro del cattolicesimo, assume «una portata politica e simbolica ben maggiore» <80. La cesura è netta e inaugura una stagione destinata a condensarsi in un repertorio di azioni ed immagini a disposizione di precisi utilizzi politici per le successive amministrazioni, anche di diverso orientamento politico.
Su un piano sociale, le questioni giovanile e femminile che prima e dopo il 15 giugno democratizzano il senso comune di un’Italia avviata alla modernizzazione si accompagnano alle fratture intervenute a rendere più eterogeneo e plurale il mondo cattolico della fase postconciliare <81. Qui come altrove è il sessantotto a marcare la discontinuità. L’esplodere di una costellazione di istanze accomunate da una messa in discussione radicale delle gerarchie esistenti stimola una crescente insofferenza verso il dogmatismo della Chiesa, che in molte sue espressioni stenta ancora a tradurre nei fatti la svolta postconciliare <82. L’impossibilità di contenere quella irrequietezza origina il processo in grado di risvegliare, nel medio periodo, il lascito del Concilio Vaticano II dal suo immobilismo, rendendolo operante «attraverso una riscoperta stimolata dalle lotte del movimento operaio e delle sue istanze di rinnovamento» <83. Le pratiche dei cattolici “del dissenso”, spesso vissute «più sul piano della prassi, che su quello culturale» <84, vivono quindi tra il 1968 al 1977 il loro momento di maggiore intensità, «strettamente legate alle loro valenze sociali e politiche» <85.
Il confronto informale fra cattolici e comunisti riprende vigore e partorisce formule originali come il movimento dei «Cristiani per il socialismo» <86. L’attivismo politico nelle città si arricchisce delle «Comunità ecclesiali di base» <87, portatrici della «polemica più dura con la gerarchia» <88, che affiancano altri e vari gruppi cattolici di animazione sociale. Si attivano rappresentazioni alternative in periodici come «Il Foglio», «Il Tetto», «Com» e «Nuovi Tempi», nelle cui scelte editoriali iniziano a farsi largo anche i principi della teologia della liberazione <89.
I rivolgimenti nel mondo cattolico, al netto dei problemi ecclesiologici e di dottrina, hanno due ricadute principali sul piano politico-sociale. La «perdita di validità» <90 delle direttive pastorali, proposte in «una sempre meno praticabile linea autoritaria e indicate con proposizioni assiomatiche» <91, è la prima e si palesa nell’atteggiamento in occasione del referendum sul divorzio. La galassia dei “cattolici del no” svela il sostanziale fallimento delle gerarchie ecclesiali di orientare in maniera organizzata le indicazioni di voto. Viene meno, in questo modo, l’idea che i vescovi ricevano anche la prerogativa di impartire indicazioni corrette nei campi più disparati dell’agire sociale. La seconda ricaduta si esprime in una posizione fortemente critica nei confronti della Democrazia cristiana, accusata di non aver avviato un ripensamento della cristianità in grado di fornire risposte efficaci. Nel tentativo di colmare questa lacuna due gruppi elaborano delle risposte antitetiche. Da destra, Comunione e Liberazione, che elegge anche quattro deputati alla camera <92, propugna la necessità per i cattolici di incidere nell’organizzazione sociale, marcando però «la loro diversità piuttosto che la loro integrazione» <93. Da sinistra, la Lega democratica <94 evidenzia il bisogno di individuare «un blocco sociale capace di esprimere un’ipotesi politica di sinistra non marxista» <95, formando un gruppo dirigente destinato ad un grande protagonismo nella vita politica italiana.
La questione delle spinte riformiste all’interno del cattolicesimo italiano si declina nel contesto romano attraverso il celebre convegno su "Le attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma e la responsabilità dei cristiani", promosso dal Vicariato con lo scopo di consentire un incontro fra i vari gruppi operanti nel disgregato tessuto cittadino. La convinzione diffusa in una parte del mondo cattolico dalla fine degli anni sessanta, secondo cui il Concilio Vaticano II sarebbe stato «svuotato della propria potenzialità riformatrice e che dunque si debba ripartire dallo “spirito” conciliare per ritrovarne la forza» <96, rimette al centro il momento assembleare come occasione di confronto e testimonianza.
Il «banco di prova della credibilità della Chiesa» <97, cui aderiscono i principali soggetti sul territorio <98, alterna autocritiche a testimonianze in presa diretta dal mondo delle periferie e delle borgate:
"Il parroco di Acilia che racconta come nel sobborgo romano famiglie di immigrati vivano ancora in case di paglia, mentre a un tiro di schioppo sorgono palazzi con i fitti alle stelle. Il giovane della borgata Tre Teste che ironizza amaramente sui fuochi delle prostitute, unica indicazione luminosa in tutto il quartiere che permetta agli abitanti di ritrovare la via di casa. Don Mario Picchi, animatore di un centro di assistenza ai drogati, che invoca la dissociazione del potere politico, da quello economico delle case farmaceutiche produttrici di psicofarmaci. Il giovane rappresentante di alcune comunità di base, che manifesta la sua soddisfazione nel vedere recepite dalla Chiesa istituzionale molte delle istanze avanzate da Don Lutte, da Don Franzoni, dai tredici preti dei baraccati" <99.
L’assemblea riconosce l’essitenza di peccati sociali che alimentano l’ingiustizia nella città e ha come esito la firma di un documento che vede i religiosi impegnarsi a «volgere verso un’utilizzazione sociale le proprietà» <100
A precedere un momento collettivo «impensabile in una tradizione ecclesiastica che non aveva mai visto un intervento siffatto da parte dei Vicari» <101, erano state le sferzate di Ugo Poletti contro la Dc locale, irritando una Segreteria di Stato che giudica la posizione del porporato troppo dura in vista della imminente campagna referendaria. Lo stesso Poletti sarebbe però intervenuto pesantemente sul dibattito elettorale, sottolineando la necessità della scelta fra «la città di Dio, che è la Chiesa, e la città senza Dio, che nel materialismo marxista coinvolge la sorte di molti fedeli» <102. Non si deve quindi sopravvalutare l’afflato riformatore del cardinale, più interessato a creare un rapporto di prossimità con l’associazionismo per «evitare che la contestazione e le sinistre esercitassero un'egemonia su questi ambienti» <103.
Fra i comunisti serpeggia una grande delusione per la sortita elettorale del cardinale, che stupisce nella ripresa di un anticomunismo di maniera, racchiuso nell’accusa di voler «sostituire alla cattedra di Pietro la cattedra di Petroselli», per l’occasione assurto a modello di «una nuova edizione dell’anticristo»:
Che vuole il cardinale vicario, davvero? Rivendica egli forse una sorta di extraterritorialità politica e ideale della città di Roma? Vuole farsi promotore di una nuova «questione romana»? Egli, che pure sembrava avere scoperto, in una sua ansia pastorale, una reale «seconda questione romana» nel modo insopportabile in cui tanta parte della popolazione della capitale era ed è costretta a vivere, ha rinunciato a quella per proporre la messa al bando di più di un terzo della popolazione della diocesi che egli amministra in nome del suo sovrano? <104.
Nonostante le posizioni ultraconservatrici del Vaticano, la vitalità di una parte del mondo cattolico desideroso di ascolto orienta verso il Pci i desideri di giustizia sociale che quest’ultimo sembra in quel momento poter rappresentare meglio degli altri partiti. I voti cattolici sono decisivi alla vittoria del Pci a Roma e alla formazione della prima giunta rossa guidata da Giulio Carlo Argan.
[NOTE]
78 L. Tornabuoni, Serenata al Campidoglio, in «Corriere della Sera», 26 giungo 1976.
79 Nella storiografia su Roma moderna e contemporanea si segnalano: L. Benevolo, Roma oggi, Laterza, Roma-Bari, 1977; V. Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2006; I. Insolera, Roma moderna. Da Napoleone al XXI secolo, Torino, Einaudi, 2011; Una ricostruzione della storia amministrativa della capitale è offerta negli agili volumetti di A. Caracciolo, I sindaci di Roma, Roma, Donzelli, 1993 e G. Pagnotta, Sindaci a Roma. Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi, Roma, Donzelli, 2006.
80 G. Pagnotta, Sindaci a Roma, cit., p. 77.
81 Alberto Melloni propone la seguente periodizzazione, scandita da alcune tappe decisive: «la svolta pessimista nel pontificato montiniano (1972), il referendum sul divorzio (1973), la crisi politico disciplinare innescata da quell’evento che porta alla sospensione di don Franzoni e alla scomunica di Lefebvre (1976), la posizione vaticana nel caso Moro, i due conclavi (1978)». A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica. La complessità nella ricezione del Concilio, in F. Lussana, G. Marramao (a cura di), L’italia repubblicana nella crisi degli anni settanta. Vol. 2, Culture nuovi soggetti e identità, p. 207.
82 Nel mare magnum della letteratura sul mondo cattolico in Italia, partendo dalle pubblicazioni coeve, si rimanda a L. Bedeschi, Cattolici e comunisti, Milano, Feltrinelli, 1974; S. Ristuccia (a cura di), Intellettuali cattolici tra riformismo e dissenso, Milano, Edizioni di Comunità, 1975; AA.VV., Cultura cattolica e egemonia operaia, Roma, Coines, 1976; AA.VV., I cristiani nella sinistra dalla Resistenza a oggi, Roma, Coines, 1976; G. Martina, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Roma, Studium, 1977; P. Scoppola, La “nuova cristianità” perduta, Roma, Studium, 1985; M. Impagliazzo, Il dissenso cattolico e le minoranze religiose, in F. Lussana, G. Maramao (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, Vol. 2, cit., pp. 231-251; D. Saresella, Il “dissenso” cattolico, in M. Impagliazzo (a cura di), La nazione cattolica. Chiesa e società in Italia dal 1958 a oggi, Milano, Guerini e Associati, 2004; Per una sintesi: A. Santagata, Una rassegna storiografica sul dissenso cattolico in Italia, in «Cristianesimo nella storia», XXXI, 2010, pp. 207-241.
83 G. Gualerni, Dall’autunno caldo alla fine del regime: i cattolici a una svolta, in Id., (a cura di), I cattolici degli anni ’70, Milano, Mazzotta, 1977, p. 53.
84 Ibidem.
85 M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia, Milano, Rizzoli, 1983, p. 20.
86 Cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana e il dialogo coi comunisti, Parma, Guanda, 1966; M. Papini, Tra storia e profezia. La lezione dei cattolici comunisti, Roma, Euroma, 1987; P. Ingrao, Le cose impossibili, Roma, Editori Riuniti, 1990, pp. 167-185; N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, in F. Lussana, G. Maramao (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana. vol. II., cit., pp. 92-111.
87 Sull’arcipelago delle comunità di base si rimanda a, R. Sciubba, R. Sciubba Pace, Le comunità di base in Italia, Roma, Coines, 1976; Aa.Vv., Esperienze di base, luoghi di creatività evangelica, Roma 1977; P. Doni, I ministeri nell’esperienza delle CdB in Italia, in L. Sartori (a cura di), I ministeri ecclesiali oggi: problemi e prospettive, Roma, Borla, 1977, pp. 207-229; Rafael J. Kleiner, Gruppi di base nella Chiesa italiana: obiettivi e metodi di lavoro, Assisi, Cittadella, 1978; F. Perrenchio, Bibbia e comunità di base in Italia, Roma, LAS, 1980; AA. VV., Massa e Meriba: itinerari di fede nella storia delle comunità di base, Torino, Claudiana, 1980.
88 M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia, cit., p. 21.
89 A. Monasta, Il dissenso cattolico nell’esperienza di quattro riviste: “Momento”, “Note di cultura”, “Note e rassegne”, “Il tetto”, in S. Ristuccia, Intellettuali cattolici tra riformismo e dissenso, cit., pp. 317-368; A. Nesti, I giornali dei gruppi ecclesiali e dell’altra Chiesa, in Ivi, cit., pp. 387-420.
90 G. Gualerni (a cura di), I cattolici degli ianni ’70, cit., p. 58.
91 Ibidem.
92 G. Pansa, Il crociato marcia su Roma, in «Corriere della Sera», 11 luglio 1976.
93 V. Onida, La crisi di identità politica dei cattolici italiani: le risposte di Comunione e liberazione e della Lega democratica, in G. Gualerni, I cattolici degli anni ’70, cit., p. 98; In un’ampia letteratura critica coeva si rimanda a S. Bianchi (a cura di), Gli estremisti di centro. Il neo-integralismo cattolico degli anni '70: Comunione e Liberazione, Firenze, Guaraldi, 1975; G. Guizzardi et al., Religione e politica: Il caso italiano, Roma, Coines, 1976; G. Cianflone, L'ultima crociata: Comunione e Liberazione, Messina-Firenze, D'Anna, 1978; F. Ottaviano, Gli estremisti bianchi, Roma, Data News, 1986.
94 Sulla Lega democratica e il suo impatto nella vita politica italiana si legga L. Biondi, La Lega democratica. Dalla Democrazia cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica, Roma, Viella, 2013.
95 V. Onida, La crisi di identità politica dei cattolici italiani: le risposte di Comunione e liberazione e della Lega democratica cit., p. 113.
96 A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica , cit., pp. 223-224.
97 F. De Santis, Autocritica dei cristiani sul «sacco» della capitale, in «Corriere della Sera», 13 febbraio 1976.
98 Dai partiti (Dc, Pci) alle associazioni ambientaliste (Italia Nostra), ai Cristiani per il Socialismo e ai gruppi di Don Franzoni, i “preti dei baraccati”.
99 F. De Santis, I preti dei baraccati contro i mali di Roma, cit.
100 Id., «Mea culpa» di 150 religiosi per i peccati commessi contro Roma, in «Corriere della Sera», 15 febbraio 1974.
101 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sul movimento “Febbraio '74”, Protocollo n. 1840, XVII Legislatura, p. 4.
102 M. Gozzini, I Cattolici e la sinistra: dibattito aperto, Assisi, Cittadella Editrice, 1977; S. Magister, La politica vaticana e l’Italia (1943-1978), Roma, Editori Riuniti, 1979; G. Cantoni, Risveglio anticomunista in difesa della fede e dell’Italia, in «Cristianità», XIV, 1975.
103 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sul movimento “Febbraio '74”, Protocollo n. 1840, XVII Legislatura, p. 4
104 Extraterritoriale tutta Roma?, in «Rinascita», XLII, 1975, p. 14.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la “stagione dell’effimero” (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2019-2020

lunedì 1 aprile 2024

Il successo dei comandanti tedeschi di conservare pressoché intatte le loro forze sarebbe stata pagata cara dagli anglo-americani


Nella primavera del 1944 gli Alleati si trovavano ancora bloccati dalla serie di linee difensive create dai tedeschi a circa 100 km a sud di Roma, la principale delle quali era la ben nota Gustav. Dopo il cocente fallimento dello sbarco ad Anzio (operazione Shingle) del gennaio precedente, le prospettive per gli anglo-americani erano però in costante miglioramento, anche grazie al sopraggiungere della bella stagione. L’11 maggio, la 5ᵃ Armata americana al comando del generale Mark Clark e l’8ᵃ britannica agli ordini del generale Oliver Leese, scatenarono Diadem, una complessa operazione in gestazione da mesi, ma continuamente rinviata a causa del maltempo. Finalmente, dopo una settimana di combattimenti, la linea Gustav iniziò chiaramente a cedere all’offensiva alleata e le due armate tedesche - la 10ᵃ e 14ᵃ - iniziarono il ripiegamento sulla serie di linee difensive successive, ma meno munite della poderosa Gustav <681. Queste linee - denominate Hitler e Caesar - vennero a loro volta rapidamente sfondate e il 5 giugno 1944 unità della 5ᵃ Armata di Clark, che operava sul fronte tirrenico, presero il trofeo più ambito di tutta l’operazione: la città di Roma <682. La preziosa conquista, ancorché soprattutto dal punto di vista simbolico, venne oscurata il giorno successivo dalla notizia degli sbarchi alleati in Normandia, ma soprattutto era venuto meno l’obiettivo ben più importante concernente la distruzione della 10ᵃ Armata tedesca in ritirata. Il successo dei comandanti tedeschi di conservare pressoché intatte le loro forze sarebbe stata pagata cara dagli anglo-americani.
L’estate del 1944 fu una stagione di grandi speranze e di cocenti fallimenti per gli Alleati, mentre per la popolazione italiana si trattò di un periodo in cui il terrore e la morte erano all’ordine del giorno e provenivano da ogni direzione; dal cielo sotto forma degli aerei anglo-americani e dai tedeschi per mezzo di furti, distruzioni ed esecuzioni sommarie. L’avanza alleata fu infatti metodica e la ritirata tedesca non si trasformò mai veramente in una rotta, cosa che permise alle unità germaniche di fare il buono e il cattivo tempo nei territori che sapevano di dover presto abbandonare.
Dopo la presa di Roma, mentre le forze aeree martellavano le truppe della 10ᵃ e 14ᵃ Armata, con sanguinose conseguenze anche nei confronti della popolazione civile italiana, lo sfondamento della linea del Trasimeno il 21 giugno permise alle forze alleate di penetrare in Toscana e raggiungere il fiume Arno alla metà di luglio. Qui, dopo ulteriori combattimenti che permisero la presa di parte della città di Pisa e di Firenze ai primi di agosto, il fronte si stabilizzò per circa un mese <683.
 

L’avanzata alleata dalla linea del Trasimeno fino al fiume Arno. Mappa tratta dal volume Cassino to the Alps (carta IX). Qui ripresa da Jonathan Pieri, Op. cit. infra

2. Sulla linea dell’Arno
La linea del fiume Arno era quella che originariamente, passando per i Monti Pisani, il feldmaresciallo Kesselring intendeva tenere per almeno tutto l’inverno 1944-1945. Per vari motivi però il comandante tedesco decise di arretrare la linea Gotica di diversi chilometri verso nord, abbandonando completamente la piana della Versilia meridionale e quasi tutta la Lucchesia. Kesselring si era reso conto che le fortificazioni della originale linea difensiva erano troppo esposte sul lato tirrenico e probabilmente, ancora una volta, sulla sua decisione dovette ancora una volta pesare il timore di un possibile sbarco anfibio alle spalle delle forze tedesche. Le piatte ed estese spiagge della zona di Viareggio potevano essere un punto molto favorevole per un attacco e, pur essendo state munite di fortificazioni ed ostacoli, il feldmaresciallo non volle rischiare, abbandonando la città balneare nelle mani degli anglo-americani attestandosi più a nord <684. La decisione fu di importanza cruciale per le sorti delle popolazioni della Bassa Versilia e della piana di Lucca, perché evitò il previsto sfollamento generale dell’area e ulteriori mesi di occupazione tedesca. Questo però non significava che la linea dell’Arno diventasse totalmente inutile, perché più a lungo i tedeschi fossero riusciti a tenerla, più tempo avrebbero avuto per approntare le fortificazioni della linea Gotica.
Quando la 5ᵃ Armata del generale Clark giunse sul fiume, molte delle sue unità erano esauste. Il IV Corpo d’Armata del generale Willis D. Crittenberger in particolare, che si trovava all’estrema sinistra del fronte, aveva assoluta necessità di una pausa, con la quale si poteva anche effettuare una riorganizzazione delle forze. La 1ᵃ Divisione Corazzata venne finalmente organizzata secondo le nuove tabelle di ordinamento emanate l’anno precedente, mentre nello stesso periodo stavano entrando in linea nuove formazioni quali la 92ᵃ Divisione di Fanteria «Buffalo» americana e le prime unità della Força Expedicionária Brasileira (FEB) <685. Il 24 luglio, per rilevare la 34ᵃ e la 91ᵃ Divisione di fanteria, il generale Crittenberger e il suo superiore, generale Clark, decisero di formare un’unità mista a partire dalla 45ᵃ Brigata antiaerea, la quale assunse la denominazione di Task Force 45 (TF 45)686. Tale unità, che sarebbe stata molto importante per la storia della liberazione della Versilia meridionale, iniziò ad entrare in linea nella notte tra il 26 e il 27 luglio 1944 sull’estremo fianco sinistro dello schieramento del IV Corpo d’Armata, per una lunghezza di fronte complessiva di circa 25 chilometri <687. In quel momento, dalla parte opposta dello schieramento si trovavano alcune formazioni appartenenti alla «Reichsführer SS» <688.
[NOTE]
681 Cfr. W. G. F. Jackson, La battaglia di Roma, Baldini & Castoldi, Milano 1970, capitolo 7.
682 È ancora accesa la diatriba riguardante la decisione di Mark Clark di puntare su Roma anziché procedere con il piano originale deciso dal generale Alexander. Questo prevedeva che la testa di sbarco ad Anzio effettuasse al momento opportuno una sortita volta a sbarrare la strada alla 10ᵃ Armata tedesca in ritirata dal fronte di Cassino, permettendone l’annientamento. A questo proposito si vedano le interessanti conclusioni a cui giunge Peter Caddick-Adams nel suo L’inferno di Montecassino. La battaglia decisive della campagna d’Italia, Mondadori, Milano 2014.
683 Cfr. Ernest F. Fisher, Jr., Cassino to the Alps, Center of Military History, Washington D.C., 1993, capitoli da 13 a 15.
684 Cipollini, Il piano di sfollamento totale della provincia di Lucca, cit., pp. 152-153
685 Fisher, Cassino to the Alps, cit., p. 286-287.
686 Queste informazioni sono tratte da un rapporto dattiloscritto inerente la storia della Task Force 45. Il documento, dal titolo History of Task Force 45 (29 July 44 to 28 January 45), fa parte dei World War II Operational Documents ed è disponibile sul sito della Combined Arms Research Library (CARL).
687 Ivi, p. 1.
688 Ivi, p. 7.
Jonathan Pieri, Massarosa in guerra (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014

domenica 24 marzo 2024

Sindona non voleva rivelare solo la lista dei 500


Il 3 agosto 1979 la segretaria di Michele Sindona a New York ricevette una telefonata anonima, la voce comunicò che Sindona era stato rapito: «Michele Sindona è nostro prigioniero, presto riceverete altre notizie <56».
Il finto rapimento fu l’ultimo tentativo del banchiere di risolvere le sue problematiche di bancarotta fraudolenta, estorsione ed incriminazione per l’omicidio dell’avvocato e commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli.
La messinscena del finto rapimento, che durò due mesi e mezzo, venne preparata con meticolosa cura dal banchiere e dalla mafia siculo-americana. Volendo essere sicuro che nessuno dubitasse del sequestro programmò diversi impegni professionali per i giorni successivi, un appuntamento con un petroliere americano ed un principe arabo saudita.
La simulazione prevedeva dei finti comunicati di giustizia proletaria e delle lettere ai famigliari, nelle quali non mancò di mostrarsi vittima indifesa.
Dal suo finto carcere rivoluzionario di Palermo, il 25 settembre si fece sparare alla gamba sinistra.
Sindona affermò che i presunti giustizieri proletari pretesero documenti d’operazioni finanziarie illecite del padronato.
"Evidentemente qua mi hanno sopravvalutato e credono che io sappia tutto su tutti e che abbia elementi o documenti di tutta importanza da creare importanti coinvolgimenti. Ho già chiarito che posso dare qualche documento di cui posso venire in possesso solo se liberato. D’altra parte le persone implicate non hanno mai sollevato un dito per difendermi e non mi sento in nessun modo di proteggerli. Ho fatto presente che l’elenco dei 500 non esiste se ci si intende riferire ai nomi di persone che hanno depositato all’estero nelle banche da me controllate delle specifiche somme" <57.
La «lista dei 500» rivelava i nomi di coloro che esportarono capitali dall’Italia attraverso la Finbank di Ginevra, nella lista figuravano persone collegate ai partiti politici tra cui la Democrazia cristiana. Il possesso di tale lista costituiva un forte strumento di ricatto nei confronti degli interessati, per indurli a corrispondere a Sindona favori o denaro che avrebbe utilizzato per saldare il debito che aveva accumulato nei confronti di Cosa Nostra <58.
Fingendo d’essere messo sotto torchio dai terroristi il banchiere fece intendere che, messo ormai alle strette, avrebbe finito per confessare.
Michele Sindona era infuriato con gli “amici” che non furono in grado di tutelare i suoi interessi, lasciando che la Banca d’Italia continuasse ad indagare su di lui. Dalle numerose lettere inviate alla famiglia dalla prigionia fornì un elenco delle notizie che interessavano ai rapitori.
Il banchiere non voleva rivelare solo la lista dei 500, ma anche tutti i fondi esteri controllati dalla Democrazia cristiana, le operazioni irregolari per conto di determinati politici, alcuni finanziamenti a politici appartenenti al Partito socialista italiano ed al Partito socialista democratico, tutti i falsi bilanci e le speculazioni bancarie.
Da questa lista sarebbe potuto nascere uno scandalo dalle proporzioni gigantesche. Probabile, dunque, che la prima attuazione di questo piano fosse quella di rivelare questi contenuti a Carmine Pecorelli, piano fallito per la prematura morte del giornalista.
[NOTE]
56 SIMONI-TURONE, Il caffè di Sindona, p. 11.
57 Lettera di Michele Sindona all’avvocato Rodolfo Guzzi, Ivi, p. 18.
58 Tribunale di Palermo, sentenza 23 ottobre 1999, cap. IV, p. 1918.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013

domenica 17 marzo 2024

Milano, durante gli anni Settanta, fu il centro propulsore italiano di nuove sperimentazioni sociali

Milano: Colonne di San Lorenzo in Corso di Porta Ticinese

Prendendo in esame la politica culturale di Milano tra anni Settanta e Ottanta, non possiamo non verificare come essa venne egemonizzata da due personalità di spicco del PSI: Aldo Aniasi, eletto sindaco di Milano il 16 novembre 1967, e restato in carica per tre mandati fino al 12 maggio 1976, al quale succedette Carlo Tognoli, rimasto in carica sino al 19 dicembre 1986. Vero spartiacque nella storia amministrativa di palazzo Marino, tuttavia, furono le elezioni del 1975 che segnarono una netta vittoria del PCI il cui gruppo consiliare risultò ampliato di sei unità, passando dalle 19 del mandato precedente, alle 25, effetto di un aumento percentuale di sette punti rispetto alle elezioni comunali del 1970. Elezioni che, del resto, videro per la prima volta la presenza del cartello politico di Democrazia Proletaria, formato da Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, il Movimento Studentesco, nonché Avanguardia Operaia. In questo clima, che vide in ogni caso la rielezione di Aniasi a sindaco, si profilava uno scenario nebuloso e instabile, con il programma di Giunta sempre soggetto a ritrattazioni e rimodulazioni.
In quegli anni Milano era forse la vera capitale italiana della strategia della tensione: ogni settimana il capoluogo lombardo si trovava suo malgrado a ospitare episodi di violenza politica e a rappresentare la sede privilegiata del processo di costruzione e consolidamento della già citata maggioranza silenziosa, desiderosa di far confluire all’interno di un fronte unico tutte le forze conservatrici e reazionarie della società italiana. A tal proposito, l’obiettivo precipuo del PCI era quello di creare uno schieramento unitario ed il più compatto possibile, aperto anche ai moderati-conservatori, purché manifestamente antifascisti, al fine di scongiurare la formazione di questo fronte compatto delle forze reazionarie. Per pervenire a questo obiettivo, il PCI si schierò a fianco di altre forze antifasciste, all’interno del Comitato Permanente Antifascista per la Difesa dell’Ordine Repubblicano, che si era prodigato in difesa dell’agibilità degli atenei milanesi, quello della Statale in particolare. Si registrava dunque, soprattutto da parte comunista, una tendenza a far coincidere la maggioranza costituzionale e elettorale presente in città con quella consiliare. Secondo Luigi Vertemati e Gianni Cervetti, con l’inizio degli anni Settanta era venuta a formarsi una Giunta tanto “informale” quanto “armonica” - ovvero in grado di lavorare in serenità, seppur le possibili cause di attrito erano ben presenti - composta da Cervetti stesso in qualità di segretario provinciale del PCI, Vertemati come segretario socialista, Colombo come segretario cittadino della DC, Massari come segretario provinciale del PSDI e Aniasi, in qualità di Sindaco.
Non solo “piombo” tuttavia - secondo un recente volume curato da Irene Piazzoni: Milano, durante gli anni Settanta, e nel periodo di avvicendamento tra Aniasi e Tognoli, fu il centro propulsore italiano di nuove sperimentazioni sociali dove, come sottolineava Walter Tobagi in una inchiesta sul “Corriere della sera”, si stava affermando una struttura economica e sociale diversificata che non vedeva più nei grandi capitani d’industria e nelle fabbriche delle periferie della città la grandezza del territorio, ma un “vulcano in ebollizione” costituito da un intricato reticolo di piccole e medie imprese costrette a entrare in relazione con un mondo che ormai poteva definirsi “planetario”: dalle radio di “movimento” (o libere), come Radio Milano International, alle radio commerciali, dai vecchi capitani d’industria, sorti durante il Ventennio, a novelli imprenditori - Berlusconi e Armani su tutti - fino a una precisa riorganizzazione urbanistica, che vide nella Variante generale del 1976-1980 una profonda riorganizzazione territoriale. Questo nuovo piano regolatore, difatti, venne proposto dall’amministrazione comunale per tentare di risanare il tessuto edilizio preesistente, atto anche al recupero delle aree urbane allora in disuso e soggette, come vedremo, a occupazioni abusive; non ultimo, in questa logica, la pianificazione di un decentramento amministrativo degli uffici della pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, il Comune tentò di attuare un progetto di miglioramento della vita quotidiana dei cittadini: progetto un processo di calmierazione degli affitti attraverso l’istituzione dell’Istituto case popolari, e cercò di migliorare la viabilità urbana dando avvio nel 1979 al prolungamento delle metropolitane 1 e 2, nonché impostando i lavori per la terza linea, che venne aperta solo un decennio più tardi, nel 1990; nel 1980-1981, infine, l’amministrazione di Tognoli concentrò le proprie finanze per la municipalizzazione del gas e nella metanizzazione utile a ridurre l’inquinamento atmosferico.
Anche la cultura stava rapidamente cambiando; se interventi come la “Mostra incessante per il Cile” organizzata nel corso di 5 anni presso la Galleria di Porta Ticinese di Gigliola Rovasino - vero e proprio centro di ricerca autogestito e autofinanziato per l’arte “impegnata”, i vari murales che organizzazioni della sinistra giovanile dipingevano sui muri del centro cittadino, come quelli fatti dal Collettivo Pittori di Porta Ticinese o dal Gruppo Femminista per il salario domestico, o i momenti di appropriazione urbana attraverso la pratica artistica - Franco Mazzucchelli, solo per citare una delle esperienze più interessanti <112, afferivano ancora a un mondo politicamente connotato, tali momenti convivevano con esperienze del tutto svincolate da una pratica “militante”. Le gallerie private, che sempre maggiormente venivano a caratterizzare la cultura cittadina, fornivano una lettura differente dell’arte degli anni Settanta, passando dall’ospitare artisti tipicamente nazionali, con altri di interesse internazionale: se all’Annunciata di Bruno Grossetti aperta a fine anni Trenta, nel corso dei Settanta, durante l’affiancamento del figlio Sergio, si proposero mostre di De Pisis, Lilloni, Del Bon, Cassinari, ma anche i “vecchi” surrealisti, nel 1975 alla galleria Salvatore Ala Gordon Matta-Clark proponeva - dopo aver tentato la rimozione di una parte del pavimento dello spazio della galleria di via Mameli - "Untitled Wal and Floor Cutting": un filo d’acciaio installato lungo le pareti dello spazio, che dalla corte d’ingresso passava attraverso finestre e luoghi di servizio. Anche presso Toselli, Michael Asher, nel settembre del 1973 esportava l’intonaco delle pareti interne tramite una sabbiatrice per mostrare le alterazioni subite dalla struttura nel corso del tempo. Come abbiamo visto, dunque, non si può dare una visione unilaterale di quello che avveniva nel campo artistico negli anni Settanta: la figura portata in scena da Crispolti alla Biennale del 1976 - ovvero quella dell’operatore culturale quale “provocatore di autocoscienza culturale altrui” <113 - conviveva con altre esperienze d’arte per l’arte, che si richiamavano alla più classica storia dell’arte dei secoli passati.
Anche il comune, del resto, fece la sua parte in questo campo: l’organizzazione e l’avviamento di nuovi spazi espositivi, come il PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea, la quale programmazione, dopo la nuova apertura del 1979, fu affidata a Zeno Birolli, Vittorio Gregotti e Germano Celant: uno spazio, e un progetto, “multidisciplinare attento alle interrelazioni della ricerca artistica d’avanguardia con la progettazione architettonica e con gli altri settori della cultura contemporanea, in primo luogo quello letterario” <114, ma aperto anche ai musei stranieri <115. Da ricordare, inoltre, anche la riapertura, il 24 aprile del 1980 - alla presenza del Presidente Pertini - della Pinacoteca Civica (riallestita per l’occasione di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva). E ancora: gli spazi dell’antico convento delle Stelline di corso Magenta, riutilizzati dal 1980 quale luogo adibito a esposizioni temporanee; il riallestimento e riammodernamento dei sotterranei e del piano terra di Palazzo Reale, che avrebbero dovuto ospitare, ancora, mostre di giovani artisti, ma non solo - come l’ormai celebre "Anni trenta: arte e cultura in Italia" - nell’attesa che i piani superiori del palazzo piermariniano avrebbero potuto ospitare la collezione del CIMAC, il Civico Museo d’Arte contemporanea, che effettivamente venne aperto nel 1984.
[NOTE]
112 Una ricognizione di queste esperienze nella Milano degli anni Settanta la si può trovare nel volume: La parola agli artisti. Arte e impegno a Milano negli anni Settanta, (Lissone, MAC - Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, 24 settembre - 25 novembre 2016), a c. di Cristina Casero e Elena Di Raddo, Milano, Postmedia books, 2016. Il volume nient’altro è che la pubblicazione a corredo di una esposizione tenuta a Lissone su tali momenti artistici.
113 Enrico Crispolti, Padiglione Italia, in La Biennale di Venezia 1976. Ambiente, partecipazione, strutture culturali, vol. 1, Venezia, Alfieri, 1976, p. 106.
114 Maria Fratelli, Paolo Rusconi, Mostre e spazi espostivi pubblici a Milano dal 1945, in Storia di Milano. Il Novecento, vol. III, Istituto della Ecnciclopedia italiana, Roma, 1996, p. 445.
115 Irene Piazzoni, Introduzione, in Non solo piombo. Politica e cultura nella Milano degli anni Settanta, a c. di Irene Piazzoni, Milano-Udine, Mimesis, 2017, p. 25
Andrea Capriolo, Manifestazioni artistiche nei centri sociali autogestiti della Milano tra anni Settanta e Ottanta. Dai Circoli del proletariato giovanile al movimento punk, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, 2023

lunedì 11 marzo 2024

Gli alleati si prepararono in maniera sostanzialmente autonoma e scoordinata rispetto alla fase finale della campagna d'Italia


Nel periodo di marzo [1945] altre missioni avevano completato l'addestramento ed erano pronte per partire: Grape II (alto Friuli al confine con la Jugoslavia), composta di un agente e un operatore radiotelegrafista; Mitra (Tagliamento) costituita di due agenti e un radiotelegrafista; Date II (Valtellina), la cui squadra era composta di un agente e un radiotelegrafista; Lorelei (Trentino) con un radio operatore; Mohawk (Val D'Aosta) la cui squadra sarebbe stata formata da tre agenti. Inoltre, si stava programmando l'infiltrazione della Venezia Tridentina, area ancora scoperta <22. La missione Mohawk si pose l'obiettivo di assumere il comando di tutte le formazioni partigiane della Val d'Aosta in nome del CLNAI e fu il risultato di un'accesa discussione concernente il riconoscimento dell'autonomia della regione rispetto allo Stato italiano del dopoguerra, che costituiva oggetto di pretesa, con l'appoggio francese, da parte di un gruppo di partigiani valdostani rifugiatisi in Francia. La discussione si svolse agli inizi di aprile presso il Comando dell'OSS di Siena, presente il colonnello Riepe del XV Gruppo d'Armata, il maggiore Max Corvo per il SI, il maggiore Augusto Adams, ufficiale dello Stato Maggiore italiano, inviato dal SI alla stazione dell'OSS di Annemasse per aiutare il colonnello Baker a comporre la questione, il capitano Cesare Olivetti, nome in codice “Adam Mesard”, capo degli autonomisti valdostani, nonché un delegato del CLNAI, Eugenio Dugoni, il quale ordinò che non vi fossero spargimenti di sangue e, nel caso di avanzata francese, le formazioni partigiane si ritirassero nel Canavese <23. Si decise, così, con l'approvazione del XV Gruppo d'Armate, Divisione Speciale G-3, di inviare una missione composta dal maggiore Adams, il maggiore Pistocchi e il capitano “Mesard”. La missione non rappresentò l'OSS, per evitare di 'trovarsi in una trappola diplomatica quando i Tedeschi si sarebbero ritirati dalla regione e l'amministrazione del territorio sarebbe potuta diventare oggetto di contesa tra Francia e Italia' <24 ma, su richiesta del CLNAI, fu addestrata e preparata dal SI, che altresì, assicurò alla squadra un circuito per le comunicazioni radio <25. La squadra fu paracadutata in Val d'Aosta, nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1945, in una delle aree bersaglio della missione Diana che si trovava al di là delle linee nemiche già da parecchi mesi. In quello stesso periodo - era il 4 aprile - si svolse una conferenza presso il Quartier Generale della Company D e, più tardi, presso il Comando della Divisione G-3 del XV Gruppo d'Armata a Firenze, cui presero parte il maggiore Suhling, Comandante della Company D, il maggiore Corvo, della sezione italiana del SI, e il maggiore Cagiati, dell'AAI, nonché un rappresentante del SOE, da un lato, e il generale Cadorna, alias “Valenti”, e Parri, “Generale Maurizio”, di ritorno dalla Svizzera, su importanti questioni concernenti i piani che i partigiani avrebbero dovuto attuare. I due rappresentanti del CLNAI furono, quindi, condotti al cospetto del generale Alfred Gruenter, capo di Stato Maggiore del generale Mark Clark e, il giorno successivo, furono ospiti del SOE, per poi partire il 6 aprile alla volta di Roma e, di lì, ritornare nella Milano occupata dai tedeschi.
I preparativi in vista dell'offensiva finale
Nei primi mesi del 1945, mentre l'Allied Force Headquaters (AFHQ) e il XV Gruppo d'Armate discutevano per definire la questione dei rifornimenti ai partigiani <26, l'OSS, il SOE e la Commissione Alleata posero in essere una serie di preparativi in vista dell'offensiva finale contro la 'linea gotica' ritenuta imminente.
A quel tempo, nell'Italia occupata dal nemico operavano cinquantanove ufficiali del SOE, cui si aggiungevano sessantasei militari di grado inferiore e novantadue agenti di altre nazionalità addestrati dal SOE. Quanto all'OSS, erano in campo settanta squadre diramate dalle varie Sezioni, cui si aggiungevano quelle degli OG <27. Solo quelle di competenza del SI erano quarantacinque <28.
L'OSS stava pianificando la costituzione di squadre speciali, composte di ufficiali messi a disposizione in massima parte dalla Sezione italiana del SI, da inviare nelle principali città dell'Italia settentrionale, nel caso di un'improvvisa evacuazione da parte dei tedeschi. Tali squadre (North Italian City Units), che si sarebbero avvalse dell'appoggio del personale già attivo nel nord dell'Italia con la rispettiva rete di agenti e subagenti, avrebbero dovuto adempiere le seguenti funzioni: - il sequestro dei documenti più importanti; - l'arresto delle persone sospette; - il raduno e coordinamento delle missioni a quel tempo attive in campo; - la preparazione delle basi per l'avvio di una fase di spionaggio intermedia nella stagione del passaggio dei poteri. L'istruzione e l'addestramento di tali unità cittadine furono avviati dal SI dal 2 aprile e diretti dai capitani Passanisi e Puleo della base di Siena, sotto la generale supervisione del maggiore Max Corvo <29. Squadre speciali sarebbero state inviate a Bolzano, Trieste, Udine, Udine, Genova, Torino, Venezia, Milano, Bologna. I servizi segreti americani appresero, altresì, del piano del SOE di lanciare missioni nelle principali città dell'Italia settentrionale e, in particolare, che le missioni britanniche già in Piemonte erano pronte a essere posizionate nelle principali città della regione tra le quali Torino, Asti, Alessandria e Novara, con le seguenti funzioni: a) per il presente, informarsi sull'esistenza di formazioni partigiane e prendere contatti con i Quartieri Generali; b) per il futuro, in caso di collasso del nemico, avvertire immediatamente i Comitati di Liberazione Nazionale locali di fronte ai quali avrebbero rappresentato gli Alleati nel periodo di transizione tra la ritirata tedesca e l'arrivo delle truppe alleate <30.
Il piano dell'OSS di costituire delle unità speciali da inviare nelle principali città del nord dell'Italia, in caso d'improvvisa evacuazione tedesca, dovette, pertanto, fare i conti con i sopra citati piani dei servizi segreti britannici e, in particolare, si discusse della necessità di definire, al più presto possibile, modi e mezzi di trasporto di una parte di quelle unità sul campo. A quel tempo erano disponibili due piste di atterraggio a Milano e Torino: il piano fu, dunque, quello di predisporre due B-25 per far atterrare una parte delle missioni dell'OSS il giorno stabilito. Fu anche preparato uno scaglione di retroguardia aggregato al Quartier Generale della Company D nel caso di improvviso collasso della resistenza tedesca il cui responsabile sarebbe stato il capitano Arthur Latina. Lo staff avrebbe, poi, organizzato spazi e strutture per le squadre di ritorno dal campo. Il capitano Passanisi avrebbe comandato la base di Siena e, sotto la sua direzione, sarebbe stato approntato il ritorno di alcune missioni meno importanti nonché un programma di de-addestramento delle stesse. Il piano procedette velocemente: a ciascuna operazione fu assegnato un nome in codice; per ciascuna squadra furono preparate cartelle contenenti istruzioni complete e obiettivi della relativa missione di competenza. Infine, la partenza delle principali Northern Italy City Teams fu fissata nella primavera del 1945: a titolo esemplificativo, la squadra speciale destinata a Bologna partì dal Comando di Siena il 21 aprile; quella per Venezia il 26 aprile e le unità di competenza di Milano e Genova il 29 aprile <31. Responsabile del personale dell'unità per la città di Milano sarebbe stato il capitano Emilio Daddario, nome in codice “Mim / Mimo”, (agente n. 809) della Sezione italo - albanese del SI dell'OSS <32. D'accordo con Daddario che, a quell'epoca, era in missione in Svizzera fu, altresì, predisposto un piano d'infiltrazione clandestina nelle principali città dell'Italia del nord che si articolava nei seguenti punti:
- agenti fidati sarebbero stati infiltrati, attraverso la Svizzera, nelle seguenti città italiane: Venezia, Padova, Verona, Trieste, Udine, Trento e Bolzano;
- i suddetti agenti sarebbero stati investiti dei seguenti compiti: a) procacciamento di tutti gli importanti documenti disponibili; b) attività di contro-spionaggio nei confronti degli agenti e dei servizi segreti sia tedeschi sia fascisti e redazione di relativi rapporti; c) attività d'intelligence politica, economica e industriale;
- ciascun agente avrebbe dovuto conservare il materiale raccolto fino all'arrivo dell'ufficiale competente nella città di propria competenza e, operando sempre sotto copertura, avrebbe dovuto infiltrarsi nelle società segrete naziste e fasciste;
- all'ingresso degli Alleati nella città di sua competenza, ciascun agente speciale si sarebbe presentato all'ufficiale alleato di competenza con il nome in codice già speso e, ove l'indirizzo non fosse stato disponibile, avrebbe dovuto fare rapporto al CLN locale e, ivi, aspettare l'arrivo dell'ufficiale dell'OSS, il quale si sarebbe identificato con un nome in codice <33.
L'OSS fu, poi, particolarmente attivo nel salvataggio (anti-scorch) contro la furia distruttiva dei tedeschi delle industrie dell'Italia del nord, nelle quali anche gli americani avevano forti interessi economici, e del patrimonio artistico e culturale (in particolare a Firenze), nonché dei porti dell'Italia settentrionale (Genova e Venezia).
I servizi segreti alleati addestrarono agenti antisabotatori e prepararono e inviarono missioni investite di particolari compiti a tutela delle attrezzature industriali e del patrimonio nazionale, tema che si pose alla loro attenzione sin dall'inverno del '43 - '44, come sopra evidenziato, ma che si presentò in tutta la sua gravità durante la stasi invernale degli anni '44 e '45, tanto da far temere che le misure già adottate non fossero sufficienti.
Alla vigilia delle operazioni di primavera del 1945 fu, dunque, posto in essere un piano organico di salvataggio degli impianti idroelettrici; stilata una graduatoria in ordine d'importanza degli impianti interessati; predisposto, per ciascun impianto, un preciso piano di salvataggio e, infine, individuate le misure necessarie per l'attuazione e la sorveglianza del programma <34.
Le missioni alleate incaricate di porre in essere le misure di cui sopra agirono anche in cooperazione con il Movimento della Resistenza italiana, il cui contributo nell'opera di antisabotaggio, soprattutto nella fase finale del conflitto, non fu di poco momento e si condensò nelle seguenti misure:
-in qualche settore si agirà con la corruzione, ché l'esperienza insegna essere i germanici molto avidi;
-in qualche altro settore si agirà con l'astuzia, disattivando mine, interrompendo circuiti elettrici d'accensione, provocando preventive distruzioni appariscenti ma sostanzialmente non esiziali;
-altrove si schierano reparti di patrioti destinati alla difesa attiva di determinati impianti;
-se ne isolano altri con preventive interruzioni stradali;
-gli industriali e gli operai cooperano attivamente intanto a rimuovere ed imboscare macchinari e scorte;
-si organizzano nelle officine squadre antisabotaggio <35.
Infine, l'AC ridefinì la politica delle operazioni di smobilitazione e disarmo dei partigiani, alla luce delle esigenze militari dell'avanzata alleata e, soprattutto, dei timori delle ripercussioni che una smobilitazione disordinata e troppo lenta avrebbe potuto avere sia sulla sicurezza delle truppe alleate sia sull'ordine pubblico e, in generale, sulla situazione socio-economica del Paese, alla cui ricostruzione generale essi non potevano e non volevano declinare.
Le linee guida elaborate nel corso di una riunione del 9 febbraio e, poi, trasfuse nell'appendice alle istruzioni operative del XV Gruppo d'Armate del 12 aprile, sono così sintetizzabili:
- Il disarmo doveva essere 'indorato', graduale <36 e celere e cioè: a) non doveva avvenire né troppo presto (come primo atto ufficiale) né troppo tardi e, in definitiva, non oltre una settimana dopo l'arrivo degli Alleati, perché 'l'esperienza ha mostrato che l'entusiasmo iniziale della liberazione cede gradualmente il posto alla disillusione che nasce dalla non realizzazione di aspettative che gli Alleati non possono sperare di soddisfare. Più cresce questa disillusione, più il disarmo diventa difficile' <37; b) doveva essere preceduto da una sfilata di parate con la consegna di diplomi al merito, medaglie e premi in denaro <38; c) alla fine delle celebrazioni ufficiali, le armi dovevano essere restituite <39;
- Il trattamento dei partigiani doveva essere 'giusto ma fermo', cioè il più amichevole possibile, in considerazione sia del contributo che il Movimento della Resistenza aveva arrecato alla guerra contro il nemico, sia delle problematiche di carattere politico, economico e sociale involte nella smobilitazione e disarmo delle formazioni partigiane, allo scopo di evitare il prodursi di fattori di disillusione e instabilità nella delicata fase tra la ritirata del nemico e l'arrivo delle truppe alleate, che avrebbero potuto ragionevolmente nuocere alla sicurezza delle stesse truppe alleate nonché al mantenimento dell'ordine e sicurezza pubblica <40;
- 'Le azioni di giustizia' intraprese dai partigiani sarebbero state tollerate solo se compiute prima dell'arrivo degli Alleati, mentre, dopo, non sarebbe stata più consentita alcuna azione autonoma. Conseguenze meno gravi si sarebbero prodotte se gli ufficiali alleati avessero proceduto a una giusta e ordinata azione di epurazione delle amministrazioni. Coloro che erano detenuti nei quartieri di comando partigiani ovvero in prigioni private avrebbero dovuto essere rilasciati ovvero, nei casi dubbi, internati in regolari prigioni sotto il controllo delle autorità di pubblica sicurezza italiane. I partigiani o altri, che fossero stati colti nell'atto di farsi giustizia da sé o avessero preso parte a esecuzioni sommarie illegali di chicchessia, sarebbero stati arrestati <41.
In quest'epoca fu, altresì, elaborata una linea politica di reclutamento di volontari tra le formazioni partigiane da destinarsi alle fila dell'esercito italiano, secondo ben precisi criteri di reclutamento e sotto il rigoroso controllo del Governo Militare Alleato (AMG) per la Regione Lombardia e della Commissione Alleata, Divisione per il reclutamento dei patrioti, Sottocommissione per i governi locali (MMIA) <42.
In conclusione si è rilevato che l'AFHQ, il XV Gruppo d'Armata, l'OSS, il SOE e l'AC si prepararono in maniera sostanzialmente autonoma e scoordinata rispetto alla fase finale della “campagna d'Italia”.
[NOTE]
22 Si veda Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 April 1945 cit., p. 7.
23 Risulta che la posizione di Dugoni fosse alquanto precaria, poiché le autorità francesi gli chiesero di lasciare la Francia e così, concorde il CLNAI, fu paracadutato in Piemonte per eseguire gli ordini del CLNAI concernenti la questione francese. Si veda, a tal proposito, Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 3, § 3). La coraggiosa missione di Dugoni in Piemonte è raccontata anche in M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., p. 343.
24 M. Corvo, Ivi, pp. 334 e 335.
25 Si vedano: Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., p. 9; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 3.
26 La direttiva del 4 febbraio 1945 fu, infatti, rivista il 17 aprile 1945, quale risultante di una discussione interalleata scaturita dal fatto che sia il XV Gruppo d'Armate e la sua Sezione Operazione Speciali, al comando del colonnello Riepe, che l'OSS non si attennero ai limiti ivi statuiti sulla quota di 550 tonnellate mensili, come risulta anche dalla documentazione del SI qui trattata, né al rapporto tra rifornimenti non militari e armi, ritenendo prioritarie le esigenze militari e trascurandone, invece, le implicazioni politiche di una crescita del movimento della Resistenza italiana. Si veda a tal proposito, oltre alla documentazione richiamata nelle note precedenti, il citato Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence, relativo al periodo di aprile 1945, che, alla sezione dedicata alle attività operative della sezione italiana del SI e, in particolare, al capo sui progressi delle attività in generale, focalizza bene il ruolo del SI nell'erogazione dei rifornimenti alle formazioni partigiane del nord dell'Italia quale mediatore tra i comandi di queste ultime e la Sezione Operativa della Company D; nonché le modalità e i criteri di ripartizione fondati su 'esigenze di importanza tattica e strategica funzionali allo schema di combattimento delle Armate Alleate nell'Italia del Nord'. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., sez. I Operational Activities, cap. C General Progress, § 2. General Activity, p. 10. Per approfondimenti sulla revisione della questione dei rifornimenti nei primi mesi del 1945, si veda anche T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 216 e ss.
27 T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., p. 224.
28 Può, a tal proposito, essere utile un sintetico riepilogo delle squadre in campo nei primi mesi del 1945. Si noti che i nomi in codice delle operazioni sono seguiti da quelli corrispondenti ai relativi circuiti radio nonché, in taluni casi da quelli dei rapporti d'intelligence prodotti all'esito delle relative missioni. Alo; Apple I (Meriden) - Kankakee; Apple II (Cromwell) - Cree; Apple III (Betty) - Mars; Apricot (Jolliet) - Hopi; Boston (Boston) - Venus; Brutus; Cherry (Saybrook) - Yaqui; Citron (Baldwin) - Winnebago; Date; Date II (Clinton) - Pluto; Detachment “F”; Dick (Anita) - Mercury; Edera; Feach (Marianna) - Natchez; Feltre; Finch (GrapeII); Franconia (Elinor) - Jupiter; Gastone (Tully); Giovanna; Icu; Lancia (Lancia) - Lambeth; Lobo (Lobo) - Lobo; Lorelei; Mangostine (Chrysler) - Sauk; Maria Giovanna; Melon (Youngstown) - Ohio; Mitra; Mitraglia (Linda) - Cosmic; Mohawk; Montreal (Montreal) - Oak; Morristown (Rosetta) - Morrison; Norma (Westfield) - Lagoon; Offence; Orange (Gobi) - Sioux; Papaya (Fratello) - Cherokee; Pear; Pineapple (Diana) - Oneonta; Piroscafo (Piroscafo) - Piroscafo; Plum (Olivetti) - Felucca; Pomegranate (Portland) - Trireme; Quince (Locust) - Iowa; Strawberry (Marianna); Wildcat (Wildcat) - Wilkinson; Zita (Zita) - Zephir. Cfr. Italian Source List cit. nonché i pluricitati: Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 28 February 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 March 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 30 April 1945; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945.
29 M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 335 e 336.
30 Si cfr. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence …Period Covered: 1 to 30 April 1945 cit., sez. I, cap. C. Future Plans, §. 1. British Plans, p. 20. Sui preparativi del SOE in vista della fase finale della campagna d'Italia, si cfr. anche T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 220 e ss.
31 Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 April 1945 cit., pp. 21 e 22; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., pp. 5, 10.
32 'Ho dato istruzioni che sia responsabile di tutto il personale dell'unità nell'area della città di Milano, in coerenza con le istruzioni originali conferite al suo predecessore Corvo. Di conseguenza, Daddario incrementerà la sua generale supervisione sull'area. Egli sta facendo un buon lavoro ed è un'eccellente persona.' Messaggio di Glavin a Suhling del 3 maggio 1945, in NARA, R.G. 226, E.211, B. 5.
33 Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 11.
34 Questi obiettivi furono descritti in un documento preparato da Max Corvo e distribuito a tutti i membri delle missioni della Company D destinate a essere inviate sul campo. Cfr. M. Corvo, La campagna d'Italia dei servizi segreti americani cit., p. 346.
35 Relazione del capo di Stato Maggiore Generale Giovanni Messe Il Movimento Italiano di Liberazione dall'oppressione nazifascista, parte I Origini e Sviluppo. Stato Maggiore Generale - Ufficio Informazioni, maggio 1945, pp. 50-53. Archivio Centrale di Stato (ACS), Archivi di famiglie e di persone, Fondo De Felice Renzo, B. 5, F. 24.
36 A tal proposito, non si trascuri che Cadorna e il Corpo Volontari Libertà (CVL), in generale, proposero che il disarmo dei partigiani fosse graduale, piuttosto che immediato, adducendo varie ragioni a sostegno, tra le quali l'ostilità dei gruppi di fascisti ancora insediati a Milano che continuavano ad attaccare i partigiani; la mancanza di vie e mezzi di trasporto e, in generale, di cibo e mezzi economici che rendeva difficile il ritorno dei partigiani alle loro case e, infine, il pericolo di rastrellamenti fascisti che suggeriva il mantenimento dell'armamento almeno dei gruppi partigiani più disciplinati. Si veda, a tal proposito, il Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., sez. II Political; cap. E Partisan Activities; par. 7 Disarming of Partisans, p. 55.
37 Sul tema della smobilitazione e disarmo delle formazioni partigiane, si cfr. e multis T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana cit., pp. 222-224.
38 Ad esempio, si racconta che mercoledì 11 aprile il distaccamento del SI a Siena partecipò alla cerimonia ufficiale per la consegna di decorazioni da parte del colonnello Glavin in persona a quattro agenti che si erano distinti nelle rispettive missioni dietro le linee nemiche e meritarono le medaglie Legion of Merit. Essi erano: il sergente Albino Perna, operatore radiotelegrafista della missione Date; il caporale Carl Bova, operatore radiotelegrafista della missione Artic; il caporale Chester Maccarone, capo della missione Artic; il soldato semplice Valeriano Melchiorre, agente della missione Date. Erano tutti presenti, escluso il caporale Maccarone che era in missione. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 May 1945 cit., p. 4. In una circolare, senza data, emanata dal Quartier Generale del CVL, d'accordo con il Comando Alleato, a firma del Generale Cadorna, si fissavano i principali punti in materia di smobilitazione e disarmo dei partigiani in base ai quali redigere un proclama del CLNAI - CVL a tutti i partigiani che sarebbe stato diffuso a mezzo stampa e radio il 3 maggio 1945. Con particolare riferimento ai premi ai partigiani, si prescriveva l'elargizione di: a) certificati al merito da concordare con gli Alleati; b) premi in denaro da parte del Governo Italiano nella misura di Lire 1000; b) premi in denaro a carico del CVL per un importo da determinarsi; c) indennità ai partigiani feriti e agli invalidi di guerra nella misura di Lire 5000; d) premi in denaro alle famiglie dei caduti per l'ammontare di Lire 10.000. Circolare CVL, Prot. N. 44/ow, Partisan - Patriots, April 1945-June 1945, in ACS, Fondo Allied Control Commission (ACC), AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700- 122/112.
39 Il tema della smobilitazione e disarmo dei partigiani nel nord dell'Italia meriterebbe invero una trattazione separata anche alla luce dell'ampia documentazione del Quartier Generale dell'Allied Military Government (AMG) per la Regione Lombardia, oggi, consultabile sotto microfilmatura in ACS nel Fondo della Commissione Alleata di Controllo (ACC). In particolare, degni di nota sono i corposi rapporti così rubricati Patriots Policy June 1944-May 1945 e Patriots General June 1944-July 1945, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Operations, UA-10700-133/141, nonché il rapporto intitolato Directive on Italian Partisans del 22 maggio 1945 indirizzato a tutti i commissari provinciali e cittadini per la Regione Lombardia a firma del Commissario Regionale Charles Poletti, nel quale si stabiliva che: a) entro e non oltre la data del 1° giugno 1945 prorogabile al 7 giugno 1945 tutte le formazioni partigiane nella città di Milano e in ciascuna altra provincia della Regione Lombardia dovevano restituire le armi in loro possesso; b) da allora tutti i posti di blocco partigiani avrebbero dovuto essere immediatamente eliminati; c) le armi da restituire ai comandi partigiani avrebbero dovuto essere poi affidate al diretto controllo del questore ovvero poste a disposizione alle Forze Alleate; d) i partigiani o chiunque fosse stato sorpreso nel portare armi illegalmente detenute sarebbe stato arrestato e processato innanzi ai Tribunali dell'AMG. Directive on Italian Partisans, Partisan-Patriots, April 1945-June 1945 in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700-122/113. La smobilitazione delle organizzazioni partigiane in Milano e nelle altre province della Lombardia iniziò l'8 maggio 1945 e di essa fu redatto un interessante rapporto stilato dal CLNAI-CVL per gli Alleati del 9 maggio 1945, a firma del Comandante Generale di Milano, Emilio Faldella. Report on the demobilization of the Partisan Forces of Milan and of the Province, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, UA-10700-122/174.
40 Le istruzioni di politica generale sul trattamento dei partigiani furono diramate in una missiva riservata del Quartier Generale dell'AMG della V Armata del 29 dicembre 1944 a tutte le Autorità alleate nel nord dell'Italia e confermate nei successivi atti di queste ultime. Cfr. Handling of Partisans, del 29 dicembre 1944, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Miscellaneous, Partisan Reports, 10/1944-05/1945, UA-10700-122/174. A tal proposito, quattro furono le soluzioni elaborate allo scopo di assicurare un giusto trattamento dei partigiani: a) impiego temporaneo in incarichi di pubblica sicurezza nel limite massimo di mille unità nella città di Milano e cinquecento per ciascuna provincia della Regione; b) possibile arruolamento nelle forze armate previo giudizio di una commissione competente a Roma; c) occupazione, attraverso le competenti agenzie, in speciali organizzazioni civili e/o militari; d) ritorno alle loro case e occupazioni. Ove nessuna di tali soluzioni fosse stata percorribile, i partigiani avrebbero dovuto evacuare i reception centres. La città di Milano fu, all'uopo, suddivisa in nove settori, ciascuno dei quali fu trasformato in punto di raccolta dei partigiani cui avrebbero dovuto confluire le formazioni partigiane di competenza della relativa area geografica. Si cfr. la menzionata circolare del Quartier Generale del CVL sulla smobilitazione del CVL, Partisan - Patriots, April 1945-June 1945 cit.
41 'Si dovranno arrestare partigiani o altri che prendano parte ad esecuzioni illegali di chicchessia. Le azioni di partigiani che si fanno giustizia da sé devono cessare immediatamente. Soltanto le Speciali Corti di Assise e i Tribunali militari italiani sono autorizzati a processare e condannare i colpevoli di crimini nazi fascisti commessi prima dell'avvento al potere del Governo Militare Alleato. Questo Quartier Generale dovrà essere tenuto informato dell'arresto di persone per la violazione delle direttive qui statuite.' Directive on Italian Partisans cit., § 7.
42 Si confrontino i rapporti con i relativi allegati dell'AC, Land Forces Sub. Com. (MMIA), che autorizzò l'arruolamento di quattromila volontari specialisti nelle fila dell'Esercito Italiano. Cfr. Partisan Recruiting, Sept. 1944-June 1945, in ACS, Fondo ACC, AMG 5th Army - Operations, UA- 10700-133/138
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012