La stampa
Prima della diffusione di mezzi di comunicazione più invasivi e “penetranti”, la stampa ha costituito il principale strumento di informazione politica per gli elettori italiani: il fatto che secondo i rilevamenti della DOXA solo gli analfabeti (16% della popolazione) non leggessero giornali e periodici <166, spiega l’impegno delle forze politiche ad esercitare la loro influenza sul mondo della carta stampata.
Le contrapposizioni del sistema politico italiano si ripercossero sul mondo dei quotidiani e dei periodici: nel secondo dopoguerra, soprattutto a partire dalla campagna elettorale del 1948 si verificò «un grado elevatissimo di coinvolgimento delle testate che si definivano d’informazione o indipendenti, e che si risolse a favore della DC» e dell’area di governo centrista <167. Tale polarizzazione, che avrebbe sempre caratterizzato l’informazione italiana, era già percepita dai protagonisti della lotta politica: nell’estate del 1954, il numero di Rinascita dedicato all’Inchiesta sull’anticomunismo presentava uno sguardo d’insieme sulla «stampa asservita alla reazione».
Nell’analisi offerta, l’impegno di gran parte dei giornali a diffondere il «veleno anticomunista» era ricondotto alle dinamiche della proprietà e dei finanziamenti, che legavano i quotidiani ai circoli industriali e finanziari <168.
Sicuramente, il fatto che giornali come il Corriere della Sera e Il Messaggero appartenessero a grandi famiglie imprenditoriali come i Crespi e i Perrone non era un elemento secondario nella definizione della loro linea politica <169; nell’Inchiesta, però, gli autori non andarono al di là delle logiche classiste, che facevano discendere in maniera diretta le posizioni dei fogli d’informazione dagli interessi “padronali”. Un’analisi più approfondita del “fronte” anticomunista nella stampa italiana può invece mostrare come questo fosse piuttosto eterogeneo, e come l’insieme delle opinioni che caratterizzavano le redazioni nascessero da stimoli e influenze molto vari: l’importanza del materiale giornalistico statunitense, il ruolo giocato dai fogli di orientamento cattolico, la prevalenza tra i collaboratori di esponenti delle aree politico-culturali liberali e moderate, ecc. Ma sulla base delle chiavi di lettura esposte nel 1954 i leader comunisti avevano creato, dal ritorno del partito alla vita legale dieci anni prima, un circuito di giornali e riviste contrapposto e direttamente concorrenziale alle riviste “borghesi”, pensato per offrire ad ogni tipo di lettore un riferimento adeguato alle proprie esigenze. Fu anche attraverso queste pubblicazioni, non direttamente riguardanti temi politici, che i dirigenti comunisti «diffusero una particolare concezione del mondo» ed alimentarono i contenuti della «subcultura comunista» <170.
I quotidiani
Il centro del sistema di pubblicazioni periodiche del PCI era l’organo ufficiale, L’Unità fondata nel 1924 da Antonio Gramsci. Abbandonata la clandestinità tra il 1944 e il 1945, il quotidiano iniziò con la Liberazione ad essere stampato in quattro edizioni, dalle redazioni di Roma, Milano, Genova e Torino <171. Primo e fondamentale compito svolto dall’Unità era quello, proprio di ogni foglio di partito, di fornire i materiali per l’orientamento politico di iscritti e simpatizzanti, dalle relazioni presentate al Comitato centrale, ai discorsi dei leader, agli editoriali di commento dei principali fatti politici <172. Ma la funzione del quotidiano comunista non si esauriva qui: per i militanti della sinistra italiana, l’organo ufficiale costituiva il simbolo dell’appartenenza ad una “famiglia” ed un «grandissimo canalizzatore della militanza» <173. Già nei primi anni del secolo, l’Avanti! era per militanti e simpatizzanti socialisti un punto di riferimento, la cui lettura era un momento fondamentale per il consolidamento delle opinioni in ogni campo <174. Nel primo decennio del dopoguerra il quotidiano socialista riuscì solo a tratti a svolgere questo ruolo, per la tendenza dei suoi collaboratori a muoversi “di conserva” rispetto ai colleghi comunisti; i redattori dell’Unità riuscirono invece ad offrire un prodotto vario e di buona qualità, capace di concorrere con le principali testate “indipendenti”, e spesso di superare la loro tiratura, specialmente grazie all’attività di distribuzione effettuata dai militanti <175.
Tra gli altri quotidiani di partito, solo Il Popolo fu qualcosa di diverso da un bollettino ufficiale. La tiratura dell’organo della DC era di 50 mila copie, un decimo rispetto all’Unità <176, ma il giornale costituiva una voce autorevole nell’informazione italiana. Il Popolo poteva ospitare interventi delle migliori firme formatesi nel circuito dei periodici cattolici; inoltre, nella trattazione della politica internazionale, esso poteva appoggiarsi all’autorevole redazione esteri dell’Osservatore Romano, in diretto contatto con la Segreteria di Stato <177, e alle associazioni di rifugiati politici anticomunisti con cui la DC era in contatto.
A garantire la formazione di un’opinione pubblica moderata e ostile al comunismo contribuì soprattutto la grande stampa quotidiana d’informazione. Nel dopoguerra la maggiore testata italiana, il Corriere della Sera, ebbe una direzione saldamente moderata con Guglielmo Emanuel, che nel 1946 sostituì il filoazionista Mario Borsa <178 e nel 1952 fu sostituito da Mario Missiroli. Sulle colonne del quotidiano milanese, in questi anni, apparvero i nomi più illustri del giornalismo di orientamento liberale, come Mario Ferrara, Panfilo Gentile e Guido Piovene, inviato speciale prima da Parigi e poi dagli Stati Uniti. Commentatore principale della politica estera era Augusto Guerriero, già attivo in via Solferino dal 1938 <179. Molti dei giornalisti del Corriere, dal 1949, lavorarono assiduamente al progetto editoriale del Mondo di Mario Pannunzio, dove poterono iniziare un confronto con il comunismo più spregiudicato e culturalmente più autonomo <180.
Prima di passare a Milano, Missiroli fu dal 1946 direttore del Messaggero, il principale quotidiano della capitale. Iniziò la sua carriera a Bologna, sua città natale, a cavallo della Prima guerra mondiale; durante il regime assunse un atteggiamento defilato, ma non chiaramente ostile al fascismo, e nel dopoguerra tornò ad essere un esponente di spicco del giornalismo italiano. Mario Isnenghi individua in lui una sorta di simbolo di quella generazione di giornalisti che dopo il ventennio, falliti i tentativi di epurazione, si ricollocò ideologicamente secondo i cardini dell’anticomunismo, dell’ossequio alla linea politica dei governi centristi e dell’assidua collaborazione con le autorità statunitensi <181. Al fianco di Missiroli al Messaggero fu, come editorialista politico, Mario Vinciguerra, a suo tempo fondatore dell’organizzazione antifascista monarchica Alleanza Nazionale <182.
Nel giugno del 1944 venne fondato da Renato Angiolillo, giornalista vicino alle correnti monarchiche del PLI, il secondo quotidiano romano, Il Tempo. Il progetto nacque però dalla collaborazione di intellettuali di diverse tendenze, tra cui l’ex partigiano Leonida Repaci e Arturo Labriola. Il PWB guardò con favore al nuovo giornale, e concesse ampi rifornimenti di carta alle tipografie del giornale; Il Tempo poté così sopravvivere ed espandersi, occupando la fascia di pubblico liberatasi dalla temporanea sospensione del Messaggero <183. Negli anni successivi, la linea del giornale si orientò più a destra di quella del suo diretto concorrente: ad un anticomunismo sempre più esplicito si accompagnarono le campagne in favore della “pacificazione nazionale” tra ex fascisti ed antifascisti, le inchieste sugli ultimi giorni di Mussolini e le critiche ad un governo descritto come remissivo nei confronti del “nemico”.
L’orientamento ostile al comunismo della stampa d’informazione italiana conobbe rare eccezioni, la principale delle quali fu senz’altro quella del Paese. Il giornale venne fondato in occasione della campagna elettorale del 1948 da alcuni giornalisti romani orientati all’appoggio del Fronte popolare. Il direttore era Tomaso Smith, che prima della dittatura si era formato alla redazione del Becco Giallo, giornale satirico vicino alla sinistra, e durante il fascismo fu vicino al gruppo del Marc’Aurelio e a Omnibus di Longanesi <184. Si trattava però di una pubblicazione di non grandi dimensioni e povera di mezzi, nonostante i finanziamenti del PCI; non ci si poteva permettere corrispondenti, ed occorreva rifarsi alle prime edizioni di altri quotidiani per coprire “buchi” di cronaca. Solo negli anni Cinquanta l’edizione serale del Paese avrebbe trovato un proprio mercato, finendo per fagocitare il giornale del mattino <185.
Periodici di politica, costume e satira
Dai primi anni del dopoguerra, una parte consistente del mercato editoriale italiano venne occupato da pubblicazioni settimanali di grande diffusione, i cosiddetti rotocalchi. Essi iniziarono ad assolvere al ruolo che, nel mondo anglosassone, aveva dalla metà dell’Ottocento la penny press, ovvero l’insieme dei quotidiani popolari, pensati per il pubblico femminile e per quello culturalmente meno raffinato <186. Questi settori dell’opinione pubblica, solo parzialmente soddisfatti dalle testate quotidiane, poterono trovare dal 1945 un prodotto giornalistico pensato per le loro esigenze in Oggi, settimanale della Rizzoli diretto dal giornalista di formazione cattolica Edilio Rusconi. Il periodico si presentava come interessato solo marginalmente alla politica, per quanto potesse contare sulla collaborazione di commentatori come Luigi Barzini jr. e Ugo Zatterin, corrispondente da Roma per la cronaca parlamentare; la linea editoriale era quella di un settimanale di costume, impegnato a presentare la vita privata e familiare dei politici, degli ambasciatori e della nobiltà di tutta Europa allo stesso modo in cui si occupava dei divi di Hollywood. Un’analisi approfondita rivela però un’impostazione chiaramente connotata, e capace di orientare il suo pubblico; i reportage sui reali in esilio, l’accesa campagna antidivorzista, la stessa ottica distaccata con cui si guarda alla vita parlamentare e alla politica attiva erano indici di una volontà di intercettare, e formare, quel pubblico conservatore, di tendenze tradizionaliste e in generale anticomunista, che già negli ultimi mesi di guerra aveva dato segni di vita. Si trattava di un atteggiamento composito e per certi versi confuso, che l’Uomo Qualunque poté solo in parte rappresentare e che rimase privo di un referente politico preciso, finendo per raccogliersi intorno allo Scudo crociato dal 1948 ai primi anni Cinquanta <187.
Parzialmente diverso è il discorso per un altro settimanale molto popolare negli anni Cinquanta: Epoca della Mondadori, la casa editrice che più di ogni altra ricevette aiuti dagli Stati Uniti per rifondare i propri impianti <188. Nata nell’ottobre del 1950 sotto la direzione di Augusto Guerriero, che iniziava a sentirsi a disagio negli ambienti del Mondo, la testata si presentava dal suo sottotitolo come un Settimanale politico di grande informazione. Soprattutto nel primo periodo di pubblicazione, Epoca fu un periodico di approfondimento politico dotato di una certa autorevolezza; presentava collaboratori di alto profilo, tra cui alcuni dei principali giornalisti del Corriere, che sulle sue pagine potevano proporre interventi più ampi e distesi. Nel corso del tempo, la testata mantenne il suo orientamento esplicitamente favorevole alla politica internazionale degli Stati Uniti e del “mondo libero”, ma trovò altri punti di forza per consolidare il proprio mercato: come il tratto distintivo di Oggi erano le immagini a tutta pagina dei protagonisti della vita politica e sociale, così l’immagine di Epoca finì per essere caratterizzata dai grandi servizi fotografici, acquistati in esclusiva da agenzie specializzate americane come la Magnum, la Black Star, la International Publishing.
La Sezione stampa e propaganda del PCI dovette confrontarsi con questo nuovo genere di pubblicazioni, di cui si percepiva l’orientamento conservatore e genericamente filoamericano. Molti periodici di area comunista nati per l’educazione ideologica e culturale della base finirono per mutuare alcuni tratti dei rotocalchi, sia nel contenuto che nell’impostazione grafica. Era il caso del settimanale Vie Nuove, fondato nel giugno del 1946 da Luigi Longo. Soprattutto a partire dalla fine del 1947, su quello che il sottotitolo continuava ad indicare come Settimanale di orientamento e di lotta politica iniziò ad essere più frequente la presenza di vignette e di servizi fotografici. Rispetto a quanto avveniva sulle pagine di Oggi, si affrontavano temi più delicati, come quello del carovita e della povertà in Italia, ma l’approccio alla politica si avvicinava a quello proposto dai rotocalchi, con la presentazione di servizi sulla vita familiare di Umberto Terracini e di altri leader del partito. Per quanto riguarda le corrispondenze dall’estero, sia dagli Stati Uniti che dall’Europa orientale, il taglio non era soltanto politico, ma si cercava di far trasparire i giudizi in modo sottile, attraverso articoli di costume e bozzetti di vita quotidiana su temi come le vacanze e gli spettacoli <189. Uno sviluppo simile ebbe Noi Donne, la rivista dell’UDI diretta da Maria Antonietta Maciocchi, che soprattutto dopo il 1948 accompagnò articoli politici con rubriche relative alla moda e alla casa. Mantenne invece un profilo più strettamente pedagogico Il Calendario del Popolo, mensile fondato nel 1945 da Giulio Trevisani, esperto di educazione popolare <190.
Ancora prima della diffusione dei rotocalchi, un tipo di pubblicazione popolare che ebbe grande successo fu la stampa satirica. Dalla fine dell’Ottocento si diffusero fogli illustrati volti ad accentuare gli aspetti sarcastici e grotteschi della vita politica e sociale italiana, orientati sia in senso conservatore, sia verso l’area socialista e anticlericale. Con il fascismo, molti di questi fogli furono soppressi, ma giornalisti e disegnatori trovarono spazio in testate impegnate nella satira di costume, come il Marc’Aurelio <191. Anche grazie a tale tradizione nel dopoguerra, secondo i rilevamenti effettuati dalle autorità americane, il pubblico italiano si mostrava un fruitore appassionato e ricettivo di prodotti satirici <192; essi contribuirono a veicolare messaggi politici ed ideologici, attraverso i linguaggi immediati ed ipersemplificati della caricatura, della battuta e dello strale polemico diretto <193. Nei giornali italiani le vignette occupavano uno spazio in prima pagina, e le possibilità espressive del linguaggio grafico erano utilizzate per trattare anche argomenti seri e problematici, senza essere limitate a temi umoristici <194. Sulle pagine dei quotidiani apparvero così le firme dei migliori disegnatori del dopoguerra, come Pino Zac e Jacovitti. A riprendere la tradizione della satira italiana dopo il 1945 furono però soprattutto i periodici interamente dedicati a questo genere espressivo.
Universalmente nota, e molto studiata, è l’esperienza del Candido di Giovanni Guareschi e del suo contributo alla lotta anticomunista nella seconda metà degli anni Quaranta. Il suo animatore, formatosi alla redazione del Marc’Aurelio, si era affermato con la direzione del Bertoldo, presente nelle edicole dal 1936 al 1943. Dopo la guerra, Guareschi decise di riprendere il suo progetto, e dall’inizio del 1946 trovò appoggio presso la casa editrice Rizzoli, la stessa che curava la pubblicazione di Oggi. Monarchico, cattolico, legato alle tradizioni del suo “mondo piccolo”, Guareschi non apparteneva sd alcun partito, ed anzi faticò a trovare una collocazione nel dibattito politico: internato militare in Germania dal 1943 al 1945, l’autore trovò in tale esperienza un riferimento ai valori tradizionali e patriottici non riconducibile a nessuna filiazione, e anzi percepita da ogni parte con un certo imbarazzo <195. In lui, la “nebulosa” dell’opinione pubblica conservatrice trovò una voce graffiante ed incisiva, ideando e diffondendo «un vocabolario comune e una serie di slogan e di macchiette» tramite un settimanale che vendeva ottocentomila copie <196.
Per le elezioni del 1948, Guareschi e Giovanni Mosca, suo collaboratore e condirettore del Candido, furono decisivi per orientare il pubblico moderato-conservatore a convergere verso la Democrazia cristiana: non solo invitarono apertamente i lettori a votare per la DC, ma collaborarono attivamente con la SPES e i Civici nella campagna anticomunista, fornendo gratuitamente «slogan, manifesti, filastrocche, prontuari elettorali» <197. Non è però possibile parlare di un allineamento di Guareschi sulle posizioni democristiane: soprattutto nelle prime annate, in rubriche come “Visto da destra - Visto da sinistra” non si risparmiavano le prese in giro ai vizi linguistici e alla retorica dei partiti moderati, e negli anni della prima legislatura non mancarono sulle pagine del Candido pesanti critiche alla condotta governativa. In occasione delle elezioni del 1953, il giornale di Guareschi fu teatro di una campagna contro la nuova legge elettorale, a causa del danno che essa arrecava alle forze “legittime” che, come il Partito monarchico, non facevano parte della compagine di governo.
Negli stessi anni, anche a sinistra si registrò una ripresa della tradizione satirica di stampo socialista e anticlericale, iniziata alla fine dell’Ottocento con le feroci vignette dell’Asino di Podrecca. Tra i fogli che videro la luce nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione, quello che riuscì ad avere una diffusione relativamente ampia (tirando trecentomila copie) ed una presenza più consolidata fu il Don Basilio198. Esso vide la luce a Roma nel settembre 1946 per opera di alcuni giovani giornalisti di orientamento repubblicano e socialista, come Primo Parrini, Raffaele Maccari e Furio Scarpelli, come Settimanale satirico contro le parrocchie di ogni colore. Con l’uscita di PSI e PCI dal governo, il foglio chiarì le sue simpatie per la sinistra, fino a mutare, dopo il 18 aprile 1948, la denominazione in Settimanale satirico di opposizione. Già dal 1947, le vignette pubblicate dal Don Basilio iniziarono ad essere riprese dalla stampa locale comunista, e Scarpelli collaborava come disegnatore per le rubriche umoristiche di Vie Nuove. Stando alle informazioni provenienti dagli agenti di Pubblica Sicurezza, non furono mai occupati direttamente quadri comunisti nella redazione del giornale, ma esso godeva di finanziamenti da parte del PCI, e nel 1950 le pubblicazioni furono sospese proprio a causa dell’interruzione del flusso di denaro <199.
Attorno al settimanale iniziarono a formarsi, in varie città d’Italia, i “Circoli degli amici di Don Basilio”, formati da studenti, ex partigiani ed intellettuali anticlericali “storici”. I circoli erano essenzialmente impegnati a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi cari alla redazione del giornale, come il divorzio, la revisione del concordato, e la critica agli atteggiamenti immorali e politicamente sconvenienti del clero. Manifestazioni e comizi riuscirono a mobilitare alcune centinaia di persone <200, provocando reazioni molto preoccupate da parte della Chiesa cattolica. Già poche settimane dopo l’inizio delle pubblicazioni il card. Tardini incontrò l’ambasciatore italiano presso la S. Sede per sollecitare provvedimenti contro una pubblicazione che «non gli sembrava tollerabile anche secondo la più liberale interpretazione della libertà di stampa» <201; nel gennaio del 1947 Scarpelli, direttore responsabile del giornale, subì un processo per vilipendio alla religione, che portò alla temporanea sospensione delle pubblicazioni. Il processo non solo non impedì al giornale di sopravvivere ma fu fonte di pubblicità per la testata, poiché dell’evento si occuparono i quotidiani nazionali. Per l’occasione, tra l’altro, si mobilitarono in sua difesa alcuni esponenti socialisti, come l’avvocato Mario Berlinguer, che assunse la difesa, e Sandro Pertini <202.
[NOTE]
166 R.T. Holt, R.W. Van der Velde, Strategic Psychological Operations cit., pp. 172-173.
167 P. Murialdi, “Dalla Liberazione al centrosinistra”, in V. Castronovo, N. Tranfaglia (a cura di), Storia della stampa italiana, vol. V, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 232. Cfr. anche N. Tranfaglia, “L’evoluzione dei ‘mass-media’ e le peculiarità del sistema politico nell’Italia repubblicana”, Studi Storici, XXIX, 1, 1988, p. 45.
168 Cfr. Rinascita, XI, 8-9, Agosto-Settembre 1954, pp. 600-609.
169 A questo proposito, cfr. le acute osservazioni in P. Muraldi, Il giornale, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 50-53.
170 R. Martinelli, Storia del PCI, vol. VI cit., pp. 282-285.
171 Nelle citazioni del presente saggio, l’edizione di riferimento è quella romana.
172 Cfr. ad es. Per ogni seggio un Comitato Elettorale. Per un governo di pace e di riforme sociali. Per una Italia democratica e indipendente, 1953. Sulla funzione dell’organo ufficiale nella vita di un movimento politico, cfr. le osservazioni generali di G. Fedel, F. Goio, S. Bertoli, “Il simbolismo politico del PCI. L’Unità e gli interventi sovietici in Ungheria e Cecoslovacchia”, in B. Groppo, G. Riccamboni (a cura di), La sinistra e il ’56 in Italia e in Francia, Padova, Liviana, 1987, p. 221.
173 E. Novelli, C’era una volta il PCI cit., p. 124.
174 Cfr. M. Ridolfi, “L’Avanti!”, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 317-328.
175 Il testo di riferimento sull’Unità dei primi anni del dopoguerra è Bruno Pischedda, Due modernità. Le pagine culturali dell’Unità. 1945-1956, Milano, F. Angeli, 1995.
176 I dati relativi alla distribuzione dei periodici sono tratti da Annuario della stampa italiana. 1954-1955, a cura della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Milano-Roma, Bocca, 1954.
177 Cfr. M. Casella, L’Azione cattolica cit., p. 308.
178 Sulle vicende legate alla sostituzione, cfr. P. Murialdi, “Dalla liberazione al centrosinistra” cit., pp. 193 e ss.
179 Per la storia del principale quotidiano italiano, un fondamentale lavoro d’insieme è G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 1976, spec. pp. 433 e ss.
180 Per ciò che ha significato Il Mondo agli occhi dei comunisti italiani, assai interessanti sono le considerazioni di P. Spriano in Le passioni di un decennio. 1946-1956, Milano, Garzanti, 1986, pp. 110-111 e 121-122.
181 M. Isnenghi, “Il grande opinionista da Albertini a Bocca”, in S. Soldani, G. Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol. II, Una società di massa, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 273-276. Sugli orientamenti politici e giornalistici di Missiroli nel dopoguerra cfr. M. Bonomo, “Giornalismo indipendente e scelta moderata. Il Messaggero di Missiroli”, in R. Ruffilli (a cura di), Costituente e lotta politica. La stampa e le scelte costituzionali, Firenze, Vallecchi, 1978, pp. 203-233.
182 Cfr. C. Pavone, “Le idee della Resistenza. Antifascisti e fascisti di fronte alla tradizione del Risorgimento”, ora in Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 19. Per la storia del principale quotidiano romano, un punto di partenza rimane G. Talamo, Il Messaggero. Un giornale laico. Cento anni di storia, Firenze, Le Monnier, 1991; per gli orientamenti del giornale negli anni del centrismo, cfr. vol. III, 1946-1974.
183 R. Faenza, M. Fini, Gli americani in Italia cit., pp. 57-58 e 106.
184 A. Chiesa, La satira politica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1990, passim.
185 Cfr. i ricordi di uno dei redattori in F. Coen, “Leggere la mattina a destra e la sera a sinistra”, in V. Quaglione, F. Spantigati (a cura di), La comunicazione in Italia. 1945-1960, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 69-71.
186 Per una introduzione generale all’argomento, cfr. M. Conboy, The Press and Popular Culture, London, SAGE, 2002, spec. pp. 43 e ss.
187 Cfr. R. Pertici, “Il vario anticomunismo italiano…” cit., pp. 289-293.
188 Cfr. D.W. Ellwood, “Containing Modernity…” cit., p. 259.
189 S. Gundle, “Cultura di massa e modernizzazione. Vie Nuove e Famiglia Cristiana dalla guerra fredda alla società dei consumi”, in P.P. D’Attorre, Nemici per la pelle cit., spec. pp. 238-241.
190 Cfr. David Forgacs, “The Italian Communist Party and Culture”, in Zygmunt G. Baranski, Robert Lumley (eds.), Culture and Conflict in Postwar Italy, Basingstoke-London, Macmillan, 1990, pp. 100-101.
191 Il testo di riferimento in merito è A. Chiesa, La satira cit.
192 Cfr. L. Bogart (ed.), Premises for Propaganda cit., p. 147.
193 Per alcune osservazioni generali su questo tipo di trasmissione ideologica, cfr. C. Geertz, “ideology as a Cultural System”, ora in The Interpretation of Cultures¸ London, Hutchinson & Co., 1975, pp. 218 e ss., e E. Swain, “Disagreeing, but Doing It in Style. Houmour in a British Parliamentary Debate”, in Quaderni Linguistici del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Trieste, 3, 1998, pp. 81-113, e Société et Répresentations, 10, 2000, n. speciale Le rire au corps. Grotesque et caricature. Su un tema apparentemente estraneo, ma utile per uno sguardo comparativo all’importanza dello sguardo dissacrante della satira nella percezione di massa della politica, è O. Figes, B. Kolonitskii, Interpreting the Russian Revolution. The Language and Symbols of 1917, New Haven-London, Yale University Press, 1999, pp. 9-30.
194 Su questo tema, un utile riferimento per un approccio comparativo con la realtà francese è C. Beauvin, “L’Humanité dans la guerre froide. La bataille pour la paix à travers les dessins de presse”, Cahier d’Histoire, 92, 2003, pp. 63-85.
195 Sulla prigionia di Guareschi, raccontata in Diario Clandestino (Milano, Rizzoli, 1949), cfr. P. Nello, “La «resistenza clandestina». Guareschi e gli internati militari dopo l’8 settembre”, Nuova Storia Contemporanea, V, 6, 2001, pp. 147-158.
196 Cfr. G. Falabrino, I comunisti mangiano in bambini cit., p. 129. Su Guareschi e sul suo ruolo nella cultura e nella politica dell’Italia del dopoguerra, utili riferimenti per un approfondimento sono R. Pertici, “Il vario anticomunismo italiano…” cit., pp. 293-295, e S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni Novanta, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 122-126.
197 A. Chiesa, La satira cit., p. 166.
198 Cfr. Ibid., pp. 134-145.
199 ACS, MI, Gab. Fasc, Permanenti - Stampa Partiti, b. 140 f. 74/D.
200 ACS, DGPS, P 1944-1986, faldone 70, b. G/47.
201 Rapporto del 14/X/1946, in ACS, MI, Gab. Fasc, Permanenti - Stampa Partiti, b. 140 f. 74/D
202 Per alcune informazioni sulla vicenda, cfr. le cronache apparse sull’Unità, peraltro scritte con un tono piuttosto distaccato: “La polemica contro il ‘Don Basilio’ si trasferisce oggi in tribunale”, 10/I/1947, p. 2, e “il Processo al ‘Don Basilio’ rinviato per vizio di procedura”, 11/I/1947, p. 2.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006
Prima della diffusione di mezzi di comunicazione più invasivi e “penetranti”, la stampa ha costituito il principale strumento di informazione politica per gli elettori italiani: il fatto che secondo i rilevamenti della DOXA solo gli analfabeti (16% della popolazione) non leggessero giornali e periodici <166, spiega l’impegno delle forze politiche ad esercitare la loro influenza sul mondo della carta stampata.
Le contrapposizioni del sistema politico italiano si ripercossero sul mondo dei quotidiani e dei periodici: nel secondo dopoguerra, soprattutto a partire dalla campagna elettorale del 1948 si verificò «un grado elevatissimo di coinvolgimento delle testate che si definivano d’informazione o indipendenti, e che si risolse a favore della DC» e dell’area di governo centrista <167. Tale polarizzazione, che avrebbe sempre caratterizzato l’informazione italiana, era già percepita dai protagonisti della lotta politica: nell’estate del 1954, il numero di Rinascita dedicato all’Inchiesta sull’anticomunismo presentava uno sguardo d’insieme sulla «stampa asservita alla reazione».
Nell’analisi offerta, l’impegno di gran parte dei giornali a diffondere il «veleno anticomunista» era ricondotto alle dinamiche della proprietà e dei finanziamenti, che legavano i quotidiani ai circoli industriali e finanziari <168.
Sicuramente, il fatto che giornali come il Corriere della Sera e Il Messaggero appartenessero a grandi famiglie imprenditoriali come i Crespi e i Perrone non era un elemento secondario nella definizione della loro linea politica <169; nell’Inchiesta, però, gli autori non andarono al di là delle logiche classiste, che facevano discendere in maniera diretta le posizioni dei fogli d’informazione dagli interessi “padronali”. Un’analisi più approfondita del “fronte” anticomunista nella stampa italiana può invece mostrare come questo fosse piuttosto eterogeneo, e come l’insieme delle opinioni che caratterizzavano le redazioni nascessero da stimoli e influenze molto vari: l’importanza del materiale giornalistico statunitense, il ruolo giocato dai fogli di orientamento cattolico, la prevalenza tra i collaboratori di esponenti delle aree politico-culturali liberali e moderate, ecc. Ma sulla base delle chiavi di lettura esposte nel 1954 i leader comunisti avevano creato, dal ritorno del partito alla vita legale dieci anni prima, un circuito di giornali e riviste contrapposto e direttamente concorrenziale alle riviste “borghesi”, pensato per offrire ad ogni tipo di lettore un riferimento adeguato alle proprie esigenze. Fu anche attraverso queste pubblicazioni, non direttamente riguardanti temi politici, che i dirigenti comunisti «diffusero una particolare concezione del mondo» ed alimentarono i contenuti della «subcultura comunista» <170.
I quotidiani
Il centro del sistema di pubblicazioni periodiche del PCI era l’organo ufficiale, L’Unità fondata nel 1924 da Antonio Gramsci. Abbandonata la clandestinità tra il 1944 e il 1945, il quotidiano iniziò con la Liberazione ad essere stampato in quattro edizioni, dalle redazioni di Roma, Milano, Genova e Torino <171. Primo e fondamentale compito svolto dall’Unità era quello, proprio di ogni foglio di partito, di fornire i materiali per l’orientamento politico di iscritti e simpatizzanti, dalle relazioni presentate al Comitato centrale, ai discorsi dei leader, agli editoriali di commento dei principali fatti politici <172. Ma la funzione del quotidiano comunista non si esauriva qui: per i militanti della sinistra italiana, l’organo ufficiale costituiva il simbolo dell’appartenenza ad una “famiglia” ed un «grandissimo canalizzatore della militanza» <173. Già nei primi anni del secolo, l’Avanti! era per militanti e simpatizzanti socialisti un punto di riferimento, la cui lettura era un momento fondamentale per il consolidamento delle opinioni in ogni campo <174. Nel primo decennio del dopoguerra il quotidiano socialista riuscì solo a tratti a svolgere questo ruolo, per la tendenza dei suoi collaboratori a muoversi “di conserva” rispetto ai colleghi comunisti; i redattori dell’Unità riuscirono invece ad offrire un prodotto vario e di buona qualità, capace di concorrere con le principali testate “indipendenti”, e spesso di superare la loro tiratura, specialmente grazie all’attività di distribuzione effettuata dai militanti <175.
Tra gli altri quotidiani di partito, solo Il Popolo fu qualcosa di diverso da un bollettino ufficiale. La tiratura dell’organo della DC era di 50 mila copie, un decimo rispetto all’Unità <176, ma il giornale costituiva una voce autorevole nell’informazione italiana. Il Popolo poteva ospitare interventi delle migliori firme formatesi nel circuito dei periodici cattolici; inoltre, nella trattazione della politica internazionale, esso poteva appoggiarsi all’autorevole redazione esteri dell’Osservatore Romano, in diretto contatto con la Segreteria di Stato <177, e alle associazioni di rifugiati politici anticomunisti con cui la DC era in contatto.
A garantire la formazione di un’opinione pubblica moderata e ostile al comunismo contribuì soprattutto la grande stampa quotidiana d’informazione. Nel dopoguerra la maggiore testata italiana, il Corriere della Sera, ebbe una direzione saldamente moderata con Guglielmo Emanuel, che nel 1946 sostituì il filoazionista Mario Borsa <178 e nel 1952 fu sostituito da Mario Missiroli. Sulle colonne del quotidiano milanese, in questi anni, apparvero i nomi più illustri del giornalismo di orientamento liberale, come Mario Ferrara, Panfilo Gentile e Guido Piovene, inviato speciale prima da Parigi e poi dagli Stati Uniti. Commentatore principale della politica estera era Augusto Guerriero, già attivo in via Solferino dal 1938 <179. Molti dei giornalisti del Corriere, dal 1949, lavorarono assiduamente al progetto editoriale del Mondo di Mario Pannunzio, dove poterono iniziare un confronto con il comunismo più spregiudicato e culturalmente più autonomo <180.
Prima di passare a Milano, Missiroli fu dal 1946 direttore del Messaggero, il principale quotidiano della capitale. Iniziò la sua carriera a Bologna, sua città natale, a cavallo della Prima guerra mondiale; durante il regime assunse un atteggiamento defilato, ma non chiaramente ostile al fascismo, e nel dopoguerra tornò ad essere un esponente di spicco del giornalismo italiano. Mario Isnenghi individua in lui una sorta di simbolo di quella generazione di giornalisti che dopo il ventennio, falliti i tentativi di epurazione, si ricollocò ideologicamente secondo i cardini dell’anticomunismo, dell’ossequio alla linea politica dei governi centristi e dell’assidua collaborazione con le autorità statunitensi <181. Al fianco di Missiroli al Messaggero fu, come editorialista politico, Mario Vinciguerra, a suo tempo fondatore dell’organizzazione antifascista monarchica Alleanza Nazionale <182.
Nel giugno del 1944 venne fondato da Renato Angiolillo, giornalista vicino alle correnti monarchiche del PLI, il secondo quotidiano romano, Il Tempo. Il progetto nacque però dalla collaborazione di intellettuali di diverse tendenze, tra cui l’ex partigiano Leonida Repaci e Arturo Labriola. Il PWB guardò con favore al nuovo giornale, e concesse ampi rifornimenti di carta alle tipografie del giornale; Il Tempo poté così sopravvivere ed espandersi, occupando la fascia di pubblico liberatasi dalla temporanea sospensione del Messaggero <183. Negli anni successivi, la linea del giornale si orientò più a destra di quella del suo diretto concorrente: ad un anticomunismo sempre più esplicito si accompagnarono le campagne in favore della “pacificazione nazionale” tra ex fascisti ed antifascisti, le inchieste sugli ultimi giorni di Mussolini e le critiche ad un governo descritto come remissivo nei confronti del “nemico”.
L’orientamento ostile al comunismo della stampa d’informazione italiana conobbe rare eccezioni, la principale delle quali fu senz’altro quella del Paese. Il giornale venne fondato in occasione della campagna elettorale del 1948 da alcuni giornalisti romani orientati all’appoggio del Fronte popolare. Il direttore era Tomaso Smith, che prima della dittatura si era formato alla redazione del Becco Giallo, giornale satirico vicino alla sinistra, e durante il fascismo fu vicino al gruppo del Marc’Aurelio e a Omnibus di Longanesi <184. Si trattava però di una pubblicazione di non grandi dimensioni e povera di mezzi, nonostante i finanziamenti del PCI; non ci si poteva permettere corrispondenti, ed occorreva rifarsi alle prime edizioni di altri quotidiani per coprire “buchi” di cronaca. Solo negli anni Cinquanta l’edizione serale del Paese avrebbe trovato un proprio mercato, finendo per fagocitare il giornale del mattino <185.
Periodici di politica, costume e satira
Dai primi anni del dopoguerra, una parte consistente del mercato editoriale italiano venne occupato da pubblicazioni settimanali di grande diffusione, i cosiddetti rotocalchi. Essi iniziarono ad assolvere al ruolo che, nel mondo anglosassone, aveva dalla metà dell’Ottocento la penny press, ovvero l’insieme dei quotidiani popolari, pensati per il pubblico femminile e per quello culturalmente meno raffinato <186. Questi settori dell’opinione pubblica, solo parzialmente soddisfatti dalle testate quotidiane, poterono trovare dal 1945 un prodotto giornalistico pensato per le loro esigenze in Oggi, settimanale della Rizzoli diretto dal giornalista di formazione cattolica Edilio Rusconi. Il periodico si presentava come interessato solo marginalmente alla politica, per quanto potesse contare sulla collaborazione di commentatori come Luigi Barzini jr. e Ugo Zatterin, corrispondente da Roma per la cronaca parlamentare; la linea editoriale era quella di un settimanale di costume, impegnato a presentare la vita privata e familiare dei politici, degli ambasciatori e della nobiltà di tutta Europa allo stesso modo in cui si occupava dei divi di Hollywood. Un’analisi approfondita rivela però un’impostazione chiaramente connotata, e capace di orientare il suo pubblico; i reportage sui reali in esilio, l’accesa campagna antidivorzista, la stessa ottica distaccata con cui si guarda alla vita parlamentare e alla politica attiva erano indici di una volontà di intercettare, e formare, quel pubblico conservatore, di tendenze tradizionaliste e in generale anticomunista, che già negli ultimi mesi di guerra aveva dato segni di vita. Si trattava di un atteggiamento composito e per certi versi confuso, che l’Uomo Qualunque poté solo in parte rappresentare e che rimase privo di un referente politico preciso, finendo per raccogliersi intorno allo Scudo crociato dal 1948 ai primi anni Cinquanta <187.
Parzialmente diverso è il discorso per un altro settimanale molto popolare negli anni Cinquanta: Epoca della Mondadori, la casa editrice che più di ogni altra ricevette aiuti dagli Stati Uniti per rifondare i propri impianti <188. Nata nell’ottobre del 1950 sotto la direzione di Augusto Guerriero, che iniziava a sentirsi a disagio negli ambienti del Mondo, la testata si presentava dal suo sottotitolo come un Settimanale politico di grande informazione. Soprattutto nel primo periodo di pubblicazione, Epoca fu un periodico di approfondimento politico dotato di una certa autorevolezza; presentava collaboratori di alto profilo, tra cui alcuni dei principali giornalisti del Corriere, che sulle sue pagine potevano proporre interventi più ampi e distesi. Nel corso del tempo, la testata mantenne il suo orientamento esplicitamente favorevole alla politica internazionale degli Stati Uniti e del “mondo libero”, ma trovò altri punti di forza per consolidare il proprio mercato: come il tratto distintivo di Oggi erano le immagini a tutta pagina dei protagonisti della vita politica e sociale, così l’immagine di Epoca finì per essere caratterizzata dai grandi servizi fotografici, acquistati in esclusiva da agenzie specializzate americane come la Magnum, la Black Star, la International Publishing.
La Sezione stampa e propaganda del PCI dovette confrontarsi con questo nuovo genere di pubblicazioni, di cui si percepiva l’orientamento conservatore e genericamente filoamericano. Molti periodici di area comunista nati per l’educazione ideologica e culturale della base finirono per mutuare alcuni tratti dei rotocalchi, sia nel contenuto che nell’impostazione grafica. Era il caso del settimanale Vie Nuove, fondato nel giugno del 1946 da Luigi Longo. Soprattutto a partire dalla fine del 1947, su quello che il sottotitolo continuava ad indicare come Settimanale di orientamento e di lotta politica iniziò ad essere più frequente la presenza di vignette e di servizi fotografici. Rispetto a quanto avveniva sulle pagine di Oggi, si affrontavano temi più delicati, come quello del carovita e della povertà in Italia, ma l’approccio alla politica si avvicinava a quello proposto dai rotocalchi, con la presentazione di servizi sulla vita familiare di Umberto Terracini e di altri leader del partito. Per quanto riguarda le corrispondenze dall’estero, sia dagli Stati Uniti che dall’Europa orientale, il taglio non era soltanto politico, ma si cercava di far trasparire i giudizi in modo sottile, attraverso articoli di costume e bozzetti di vita quotidiana su temi come le vacanze e gli spettacoli <189. Uno sviluppo simile ebbe Noi Donne, la rivista dell’UDI diretta da Maria Antonietta Maciocchi, che soprattutto dopo il 1948 accompagnò articoli politici con rubriche relative alla moda e alla casa. Mantenne invece un profilo più strettamente pedagogico Il Calendario del Popolo, mensile fondato nel 1945 da Giulio Trevisani, esperto di educazione popolare <190.
Ancora prima della diffusione dei rotocalchi, un tipo di pubblicazione popolare che ebbe grande successo fu la stampa satirica. Dalla fine dell’Ottocento si diffusero fogli illustrati volti ad accentuare gli aspetti sarcastici e grotteschi della vita politica e sociale italiana, orientati sia in senso conservatore, sia verso l’area socialista e anticlericale. Con il fascismo, molti di questi fogli furono soppressi, ma giornalisti e disegnatori trovarono spazio in testate impegnate nella satira di costume, come il Marc’Aurelio <191. Anche grazie a tale tradizione nel dopoguerra, secondo i rilevamenti effettuati dalle autorità americane, il pubblico italiano si mostrava un fruitore appassionato e ricettivo di prodotti satirici <192; essi contribuirono a veicolare messaggi politici ed ideologici, attraverso i linguaggi immediati ed ipersemplificati della caricatura, della battuta e dello strale polemico diretto <193. Nei giornali italiani le vignette occupavano uno spazio in prima pagina, e le possibilità espressive del linguaggio grafico erano utilizzate per trattare anche argomenti seri e problematici, senza essere limitate a temi umoristici <194. Sulle pagine dei quotidiani apparvero così le firme dei migliori disegnatori del dopoguerra, come Pino Zac e Jacovitti. A riprendere la tradizione della satira italiana dopo il 1945 furono però soprattutto i periodici interamente dedicati a questo genere espressivo.
Universalmente nota, e molto studiata, è l’esperienza del Candido di Giovanni Guareschi e del suo contributo alla lotta anticomunista nella seconda metà degli anni Quaranta. Il suo animatore, formatosi alla redazione del Marc’Aurelio, si era affermato con la direzione del Bertoldo, presente nelle edicole dal 1936 al 1943. Dopo la guerra, Guareschi decise di riprendere il suo progetto, e dall’inizio del 1946 trovò appoggio presso la casa editrice Rizzoli, la stessa che curava la pubblicazione di Oggi. Monarchico, cattolico, legato alle tradizioni del suo “mondo piccolo”, Guareschi non apparteneva sd alcun partito, ed anzi faticò a trovare una collocazione nel dibattito politico: internato militare in Germania dal 1943 al 1945, l’autore trovò in tale esperienza un riferimento ai valori tradizionali e patriottici non riconducibile a nessuna filiazione, e anzi percepita da ogni parte con un certo imbarazzo <195. In lui, la “nebulosa” dell’opinione pubblica conservatrice trovò una voce graffiante ed incisiva, ideando e diffondendo «un vocabolario comune e una serie di slogan e di macchiette» tramite un settimanale che vendeva ottocentomila copie <196.
Per le elezioni del 1948, Guareschi e Giovanni Mosca, suo collaboratore e condirettore del Candido, furono decisivi per orientare il pubblico moderato-conservatore a convergere verso la Democrazia cristiana: non solo invitarono apertamente i lettori a votare per la DC, ma collaborarono attivamente con la SPES e i Civici nella campagna anticomunista, fornendo gratuitamente «slogan, manifesti, filastrocche, prontuari elettorali» <197. Non è però possibile parlare di un allineamento di Guareschi sulle posizioni democristiane: soprattutto nelle prime annate, in rubriche come “Visto da destra - Visto da sinistra” non si risparmiavano le prese in giro ai vizi linguistici e alla retorica dei partiti moderati, e negli anni della prima legislatura non mancarono sulle pagine del Candido pesanti critiche alla condotta governativa. In occasione delle elezioni del 1953, il giornale di Guareschi fu teatro di una campagna contro la nuova legge elettorale, a causa del danno che essa arrecava alle forze “legittime” che, come il Partito monarchico, non facevano parte della compagine di governo.
Negli stessi anni, anche a sinistra si registrò una ripresa della tradizione satirica di stampo socialista e anticlericale, iniziata alla fine dell’Ottocento con le feroci vignette dell’Asino di Podrecca. Tra i fogli che videro la luce nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione, quello che riuscì ad avere una diffusione relativamente ampia (tirando trecentomila copie) ed una presenza più consolidata fu il Don Basilio198. Esso vide la luce a Roma nel settembre 1946 per opera di alcuni giovani giornalisti di orientamento repubblicano e socialista, come Primo Parrini, Raffaele Maccari e Furio Scarpelli, come Settimanale satirico contro le parrocchie di ogni colore. Con l’uscita di PSI e PCI dal governo, il foglio chiarì le sue simpatie per la sinistra, fino a mutare, dopo il 18 aprile 1948, la denominazione in Settimanale satirico di opposizione. Già dal 1947, le vignette pubblicate dal Don Basilio iniziarono ad essere riprese dalla stampa locale comunista, e Scarpelli collaborava come disegnatore per le rubriche umoristiche di Vie Nuove. Stando alle informazioni provenienti dagli agenti di Pubblica Sicurezza, non furono mai occupati direttamente quadri comunisti nella redazione del giornale, ma esso godeva di finanziamenti da parte del PCI, e nel 1950 le pubblicazioni furono sospese proprio a causa dell’interruzione del flusso di denaro <199.
Attorno al settimanale iniziarono a formarsi, in varie città d’Italia, i “Circoli degli amici di Don Basilio”, formati da studenti, ex partigiani ed intellettuali anticlericali “storici”. I circoli erano essenzialmente impegnati a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi cari alla redazione del giornale, come il divorzio, la revisione del concordato, e la critica agli atteggiamenti immorali e politicamente sconvenienti del clero. Manifestazioni e comizi riuscirono a mobilitare alcune centinaia di persone <200, provocando reazioni molto preoccupate da parte della Chiesa cattolica. Già poche settimane dopo l’inizio delle pubblicazioni il card. Tardini incontrò l’ambasciatore italiano presso la S. Sede per sollecitare provvedimenti contro una pubblicazione che «non gli sembrava tollerabile anche secondo la più liberale interpretazione della libertà di stampa» <201; nel gennaio del 1947 Scarpelli, direttore responsabile del giornale, subì un processo per vilipendio alla religione, che portò alla temporanea sospensione delle pubblicazioni. Il processo non solo non impedì al giornale di sopravvivere ma fu fonte di pubblicità per la testata, poiché dell’evento si occuparono i quotidiani nazionali. Per l’occasione, tra l’altro, si mobilitarono in sua difesa alcuni esponenti socialisti, come l’avvocato Mario Berlinguer, che assunse la difesa, e Sandro Pertini <202.
[NOTE]
166 R.T. Holt, R.W. Van der Velde, Strategic Psychological Operations cit., pp. 172-173.
167 P. Murialdi, “Dalla Liberazione al centrosinistra”, in V. Castronovo, N. Tranfaglia (a cura di), Storia della stampa italiana, vol. V, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 232. Cfr. anche N. Tranfaglia, “L’evoluzione dei ‘mass-media’ e le peculiarità del sistema politico nell’Italia repubblicana”, Studi Storici, XXIX, 1, 1988, p. 45.
168 Cfr. Rinascita, XI, 8-9, Agosto-Settembre 1954, pp. 600-609.
169 A questo proposito, cfr. le acute osservazioni in P. Muraldi, Il giornale, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 50-53.
170 R. Martinelli, Storia del PCI, vol. VI cit., pp. 282-285.
171 Nelle citazioni del presente saggio, l’edizione di riferimento è quella romana.
172 Cfr. ad es. Per ogni seggio un Comitato Elettorale. Per un governo di pace e di riforme sociali. Per una Italia democratica e indipendente, 1953. Sulla funzione dell’organo ufficiale nella vita di un movimento politico, cfr. le osservazioni generali di G. Fedel, F. Goio, S. Bertoli, “Il simbolismo politico del PCI. L’Unità e gli interventi sovietici in Ungheria e Cecoslovacchia”, in B. Groppo, G. Riccamboni (a cura di), La sinistra e il ’56 in Italia e in Francia, Padova, Liviana, 1987, p. 221.
173 E. Novelli, C’era una volta il PCI cit., p. 124.
174 Cfr. M. Ridolfi, “L’Avanti!”, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 317-328.
175 Il testo di riferimento sull’Unità dei primi anni del dopoguerra è Bruno Pischedda, Due modernità. Le pagine culturali dell’Unità. 1945-1956, Milano, F. Angeli, 1995.
176 I dati relativi alla distribuzione dei periodici sono tratti da Annuario della stampa italiana. 1954-1955, a cura della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Milano-Roma, Bocca, 1954.
177 Cfr. M. Casella, L’Azione cattolica cit., p. 308.
178 Sulle vicende legate alla sostituzione, cfr. P. Murialdi, “Dalla liberazione al centrosinistra” cit., pp. 193 e ss.
179 Per la storia del principale quotidiano italiano, un fondamentale lavoro d’insieme è G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 1976, spec. pp. 433 e ss.
180 Per ciò che ha significato Il Mondo agli occhi dei comunisti italiani, assai interessanti sono le considerazioni di P. Spriano in Le passioni di un decennio. 1946-1956, Milano, Garzanti, 1986, pp. 110-111 e 121-122.
181 M. Isnenghi, “Il grande opinionista da Albertini a Bocca”, in S. Soldani, G. Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol. II, Una società di massa, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 273-276. Sugli orientamenti politici e giornalistici di Missiroli nel dopoguerra cfr. M. Bonomo, “Giornalismo indipendente e scelta moderata. Il Messaggero di Missiroli”, in R. Ruffilli (a cura di), Costituente e lotta politica. La stampa e le scelte costituzionali, Firenze, Vallecchi, 1978, pp. 203-233.
182 Cfr. C. Pavone, “Le idee della Resistenza. Antifascisti e fascisti di fronte alla tradizione del Risorgimento”, ora in Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 19. Per la storia del principale quotidiano romano, un punto di partenza rimane G. Talamo, Il Messaggero. Un giornale laico. Cento anni di storia, Firenze, Le Monnier, 1991; per gli orientamenti del giornale negli anni del centrismo, cfr. vol. III, 1946-1974.
183 R. Faenza, M. Fini, Gli americani in Italia cit., pp. 57-58 e 106.
184 A. Chiesa, La satira politica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1990, passim.
185 Cfr. i ricordi di uno dei redattori in F. Coen, “Leggere la mattina a destra e la sera a sinistra”, in V. Quaglione, F. Spantigati (a cura di), La comunicazione in Italia. 1945-1960, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 69-71.
186 Per una introduzione generale all’argomento, cfr. M. Conboy, The Press and Popular Culture, London, SAGE, 2002, spec. pp. 43 e ss.
187 Cfr. R. Pertici, “Il vario anticomunismo italiano…” cit., pp. 289-293.
188 Cfr. D.W. Ellwood, “Containing Modernity…” cit., p. 259.
189 S. Gundle, “Cultura di massa e modernizzazione. Vie Nuove e Famiglia Cristiana dalla guerra fredda alla società dei consumi”, in P.P. D’Attorre, Nemici per la pelle cit., spec. pp. 238-241.
190 Cfr. David Forgacs, “The Italian Communist Party and Culture”, in Zygmunt G. Baranski, Robert Lumley (eds.), Culture and Conflict in Postwar Italy, Basingstoke-London, Macmillan, 1990, pp. 100-101.
191 Il testo di riferimento in merito è A. Chiesa, La satira cit.
192 Cfr. L. Bogart (ed.), Premises for Propaganda cit., p. 147.
193 Per alcune osservazioni generali su questo tipo di trasmissione ideologica, cfr. C. Geertz, “ideology as a Cultural System”, ora in The Interpretation of Cultures¸ London, Hutchinson & Co., 1975, pp. 218 e ss., e E. Swain, “Disagreeing, but Doing It in Style. Houmour in a British Parliamentary Debate”, in Quaderni Linguistici del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Trieste, 3, 1998, pp. 81-113, e Société et Répresentations, 10, 2000, n. speciale Le rire au corps. Grotesque et caricature. Su un tema apparentemente estraneo, ma utile per uno sguardo comparativo all’importanza dello sguardo dissacrante della satira nella percezione di massa della politica, è O. Figes, B. Kolonitskii, Interpreting the Russian Revolution. The Language and Symbols of 1917, New Haven-London, Yale University Press, 1999, pp. 9-30.
194 Su questo tema, un utile riferimento per un approccio comparativo con la realtà francese è C. Beauvin, “L’Humanité dans la guerre froide. La bataille pour la paix à travers les dessins de presse”, Cahier d’Histoire, 92, 2003, pp. 63-85.
195 Sulla prigionia di Guareschi, raccontata in Diario Clandestino (Milano, Rizzoli, 1949), cfr. P. Nello, “La «resistenza clandestina». Guareschi e gli internati militari dopo l’8 settembre”, Nuova Storia Contemporanea, V, 6, 2001, pp. 147-158.
196 Cfr. G. Falabrino, I comunisti mangiano in bambini cit., p. 129. Su Guareschi e sul suo ruolo nella cultura e nella politica dell’Italia del dopoguerra, utili riferimenti per un approfondimento sono R. Pertici, “Il vario anticomunismo italiano…” cit., pp. 293-295, e S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni Novanta, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 122-126.
197 A. Chiesa, La satira cit., p. 166.
198 Cfr. Ibid., pp. 134-145.
199 ACS, MI, Gab. Fasc, Permanenti - Stampa Partiti, b. 140 f. 74/D.
200 ACS, DGPS, P 1944-1986, faldone 70, b. G/47.
201 Rapporto del 14/X/1946, in ACS, MI, Gab. Fasc, Permanenti - Stampa Partiti, b. 140 f. 74/D
202 Per alcune informazioni sulla vicenda, cfr. le cronache apparse sull’Unità, peraltro scritte con un tono piuttosto distaccato: “La polemica contro il ‘Don Basilio’ si trasferisce oggi in tribunale”, 10/I/1947, p. 2, e “il Processo al ‘Don Basilio’ rinviato per vizio di procedura”, 11/I/1947, p. 2.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006