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mercoledì 27 agosto 2025

I gappisti penetrarono nella Stazione de L'Aquila


Tutte le cellule del G.A.P. furono particolarmente attive fin da inizio ottobre nelle azioni di sabotaggio: riferiti dal Franchi sistematiche asportazioni e distruzione di tabelle indicatrici tedesche e manomissioni di manifesti, bandi e proclami delle autorità di occupazione, a cui vennero spesso sovrapposte «scritte e stampe incitanti alla resistenza o anche emblemi antinazisti» <147. Al contempo, soprattutto le cellule del Franchi, del Rauco e del Ventura <148 condussero contro gli automezzi tedeschi lasciati in sosta nelle vie cittadine, atti di sabotaggio e la metodica sottrazione di armi e materiale bellico <149. In una di queste azioni, svolta il 1° dicembre, il partigiano Antonio Rauco venne sorpreso e catturato mentre con i compagni tentava di impossessarsi di alcuni documenti «dalla macchina di Kesselring […]. Mirabile fu la sua forza d’animo durante il processo e gli interrogatori in cui riuscì a sopportare da solo tutto il peso delle accuse e a evadere, pur nella tortura, tutte le domande tendenti a [… indicare] i nomi dei suoi compagni» <150.
In una L’Aquila sottoposta dal novembre al coprifuoco - applicato, secondo il Franchi, dal Comando tedesco in risposta all’attività dalla banda - i gappisti della cellula del Ventura provvidero a effettuare il taglio e l’asportazione di una cinquantina di metri di cavo telefonico della linea di collegamento tra i quattro comandi più importanti della città: «l’Ortskommandur [sic!], il Comune, la Stazione e l’officina “Carte e Valori”» <151. A seguito del danno inflitto, la linea rimase per oltre tre giorni interrotta e nonostante le rappresaglie condotte ai tedeschi della zona tra la Stazione e l’officina, presso cui il sabotaggio era stato effettuato <152, i partigiani ripeterono l’impresa il 20 del mese successivo <153.
Nel dicembre l’Aquila cominciò a subire l’impatto dei bombardamenti aerei alleati. Secondo quanto descritto dal Rasero:
«Il comando tedesco, venuto a conoscenza che l‘aviazione inglese ha tra i suoi obiettivi la stazione ferroviaria dell’Aquila e la contigua officina carte e valori della Banca d’Italia, allo scopo di impedire l’incursione, forma un convoglio ferroviario, all’interno della stazione, alternando vagoni carichi di munizioni e vagoni impiombati pieni di prigionieri di guerra angloamericani <154 […]. Il bombardamento viene effettuato l’8 dicembre. La maggior parte degli operai delle officine carte e valori riescono a salvarsi fuggendo mentre i prigionieri vengono lasciati morire nei vagoni in conseguenza delle esplosioni dei carri munizioni. Perdono la vita 12 operai dell’officina carte e valori, 3 abitanti del borgo Riviera, 85 prigionieri inglesi e 58 soldati tedeschi» <155.
La sera del 25 dicembre verso le ore 20:30, un soldato tedesco di 22 anni fece irruzione in un’abitazione della città presso cui un gruppo di persone era riunito per trascorrere il Natale: senza motivo apparente, se non le risate suscitate dalle incomprensibili parole dell’ubriaco, questo fece fuoco ferendo una donna e colpendo a morte Maria Pia Bellini <156 che portata in ospedale morì il giorno dopo <157. 
Sempre nel dicembre, iniziò la collaborazione tra il G.A.P. e Domenico Trecco <158, per tramite del patriota Silvio Mantini <159, che si sviluppò concretamente agli inizi del nuovo anno con la pubblicazione <160 di un settimanale clandestino dal titolo iniziale de «Lo Studente» <161 - poi dal 7 febbraio <162 rinominato «Il Patriota» - «tendente ad incitare i giovani, e particolarmente quelli del ceto studentesco, a resistere attivamente, e gli operai a non collaborare con in nemico opponendogli la loro resistenza passiva» <163.
Il 1° gennaio 1944 i gappisti Spatoliano e Ventura penetrarono nella Stazione su ordine «dell’allora recapito del P.C.I. Dante Ranghi» <164 per sottrarvi materiale bellico - in particolare gelatina e bombe a mano - qui immagazzinato sotto sorveglianza tedesca dopo il bombardamento dell’8 dicembre <165. I due, sorpresi dai tedeschi, furono catturati e rinchiusi presso un locale adiacente ai prefabbricati della Stazione in attesa dell’arrivo di un ufficiale, ma riuscirono abilmente a evaderne «attraverso un’apertura ovale sistemata a circa due metri dal suolo» <166. Verso la fine del mese in due azioni successive, la cellula del Ranco prima e quella del Ventura poi, riuscirono a sottrarre da automezzi tedeschi rispettivamente due mitra e un centralino radio-telefonico <167.
Nel febbraio, il G.A.P. subì l’arresto di sei elementi - Sandro Ventura <168, Gilberto Fioredonati <169, Giuseppe De Meo <170, e i tre fratelli Liberatore <171 - tutti con «l’imputazione generica di stampare e spacciare fogli e manifestini sovversivi e di aver compiuto numerose azioni di sabotaggio» <172. Nonostante la loro detenzione fosse durata pochi giorni senza portare a strascichi giudiziari, «grazie al fermo comportamento reciproco degli arrestati» <173, questi episodi furono rivelatori di un’intensificatasi attività anti-partigiana della polizia nazista e fascista - sostenuta, come era tristemente prassi, dalle numerose delazioni - confermata poi anche dai loro informatori «in seno alla G.N.R. [secondo] cui numerosi gappisti erano ormai individuati e sarebbe stato prossimo, se non imminente, un arresto in massa» <174.
[NOTE]
147 Ivi, G.A.P. Aquila, dettaglio attività della formazione e relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
148 Cfr. ivi, dettaglio attività della formazione.
149 Cfr. ivi, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
150 Ibidem. Il Rauco, accusato di furto e detenzione di armi fu condannato in data 22 dicembre 1943 dal Tribunale Militare Tedesco de L’Aquila, ad «anni 5 di casa [di] correzione», e riacquistò la libertà solo il 10 giugno 1944. Ivi, certificato di detenzione, rilasciato dalla Direzione Carceri Giudiziarie de L’Aquila.
151 Ivi, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
152 Cfr. ibidem e ivi, testimonianza di Gabrieli Anatolio, custode del Ginestrificio.
153 Cfr. ivi, dettaglio attività della formazione.
154 «È [questo] un provvedimento», scrisse il Rasero, «che fa parte del sistema di guerra nazista», Aldo Rasero, Morte a Filetto, cit., p. 108.
155 Ibidem.
156 Nata a L’Aquila il 10 luglio 1928, casalinga. Cfr. Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2754.
157 Cfr. ibidem. Al triste elenco dei morti per mano tedesca nel capoluogo abruzzese, vanno aggiunti: Gizzi Fortunato, nato a Francoforte sul Meno (Germania) nel 1903, che venne rinvenuto cadavere nell’orto della sua casa l’8 gennaio ’44. «Delitto commesso da militare tedesco per causa ignota», in Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2720; Savini Antonio, nato a Roma nel 1923, «ucciso presso il poligono di tiro» il 31 marzo 1944. In Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2755; Tucci Lucia, nata a Ortona (CH) nel 1897, di cui «non si hanno notizie precise sull’episodio», avvenuto il 3 maggio 1944. In Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2717; De Angelis Alfredo, nato a Roma, che catturato in seguito ad una tentata la fuga dal carcere di Collemaggio presso cui era detenuto, fu trovato in possesso di un’arma e quindi fucilato nel poligono di tiro il 22 maggio 1944. «Il suo corpo venne esposto in una camerata del carcere a monito per i prigionieri», in Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2751; Fioravanti Marco che detenuto presso il carcere di Collemaggio, fu prelevato e fucilato al poligono dell’Aquila presso il cimitero, il 3 giugno 1944. Cfr. Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2718.
158 Nato a L’Aquila il 25 maggio 1920, sottotenente, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 20/09/43 al 13/06/44. Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, schedario partigiani. All’8 settembre 1943 il Trecco era distaccato a Novo Mesto in Slovenia, nella 115° Sezione Sanità della Divisione Fnt. Isonzo: abbandonato il servizio, rientrò a L’Aquila il 17 settembre «dopo varie e fortunose vicende […]. Qualche giorno dopo il mio arrivo all’Aquila esaminai la possibilità di attraversare le linee ma ritenendo imminente l’arrivo degli alleati rinunciai ad effettuare tale disegno», ivi, Banda Giovanni Di Vincenzo, relazione personale di Trecco Domenico, del 10 aprile 1945. Oltre che con il G.A.P. aquilano e la Giovanni Di Vincenzo - a sostegno della sua appartenenza a quest’ultima banda, cfr. ivi, dichiarazione di Ricottilli, Di Gregorio e Franchi, del 5 luglio 1944. Il Trecco riferì di essere stato in contatto dalla fine di gennaio anche con il ten. col. D’Alfonso che sapeva essere a capo della banda Alcedeo ed a cui fornì viveri, tabacco e vestiti. Cfr. ivi, relazione personale di Trecco Domenico del 10 aprile 1945. Per rapporti tra il Trecco ed il D’Alfonso cfr. ivi, relazione di quest’ultimo del 12 luglio 1944. L’attività del Trecco trova conferma anche dalla testimonianza del prof. Natali Giulio. Cfr. ivi.
159 Nato a L’Aquila il 25 maggio 1926, ha svolto attività patriottica nel G.A.P. Aquila. Cfr. ivi, schedario patrioti.
160 «[…] la pubblicazione venne fatta per i primi numeri con fogli dattilografati e successivamente con fogli tirati con un rudimentale duplicatore per procurare il quale non sto a narrare le grandi difficoltà […] usai la massima e quasi esagerata prudenza sicché distruggevo sempre ciò che rimaneva di ogni tiratura», ivi, Banda Giovanni Di Vincenzo, relazione personale di Trecco Domenico del 10 aprile 1945. Dalla sistematica distruzione operata a scopo precauzionale da Trecco si salvò solo il numero del 7 febbraio 1944. Cfr. ivi.
161 Cfr. ivi, relazione personale di Trecco Domenico del 10 aprile 1945. La cui diffusione avvenne a mezzo del Mantini, cugino del Trecco, ed alcuni partigiani. Cfr. ibidem.
162 Cfr. ibidem.
163 Ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma di Franchi Renato. Cfr. anche Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 236.
164 ACS, Ricompart, Abruzzo, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro. Ranghi Dante, nato a L’Aquila il 25 gennaio 1909, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 21/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
165 Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, dettaglio attività della formazione.
166 Ivi, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro. Cfr. ivi, anche testimonianza di Oberschmied Maria del 10 novembre 1945, interprete presso i tedeschi.
167 Cfr. ivi, dettaglio attività della formazione. Il centralino radio-telefonico ed alcune bombe a mano furono quindi consegnate dal Ventura a Ranghi Dante che provvide ad inviarle alla banda Giovanni D Vincenzo. Cfr. ivi, dichiarazione di Ranghi Dante del 15 novembre 1945.
168 La sua detenzione durò dal 13 al 16 febbraio, giorno in cui fu rilasciato per ordine del Comando Tedesco. Cfr. ivi, certificato di detenzione rilasciato dalla Direzione delle Carceri Giudiziarie de L’Aquila.
169 Riconosciuto nella banda Giovanni Di Vincenzo. Cfr. ivi, schedario partigiani. Arrestato il 13 febbraio la sua detenzione durò un solo giorno e già il 14 di febbraio venne rilasciato per ordine del Comando Tedesco. Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, certificato di detenzione rilasciato dalla Direzione delle Carceri Giudiziarie de L’Aquila.
170 Riconosciuto nella banda Giovanni Di Vincenzo. Cfr. ivi, schedario partigiani.
171 Carlo, Domenico e Marcello. Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro e ivi, relazione personale di Liberatore Domenico del 12 novembre 1945. Liberatore Carlo, nato a L’Aquila il 12 febbraio 1925, ha svolto attività patriottica nella banda Giovanni Di Vincenzo; Liberatore Domenico, nato a L’Aquila il 1° febbraio 1922, ha svolto attività patriottica nella banda Giovanni Di Vincenzo. Cfr. ivi, schedario patrioti. Liberatore Marcello, nato a L’Aquila il 20 settembre 1926, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 20/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
172 Ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro. Testimonianza degli avvenuti arresti fu resa dal Liberatore Domenico nella sua relazione personale del 12 novembre 1945. Cfr. ivi.
173 Ivi, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
174 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018

martedì 12 agosto 2025

Il Morin è accusato di frode processuale


Un ulteriore tentativo di occultamento della pista nera [circa la strage di Peteano] è quello che vede protagonista il perito Marco Morin con la sua perizia sull’esplosivo usato nella trappola di Peteano.
In data 29 ottobre 1982, al Morin e alla dottoressa Milena Bellato viene affidato l’incarico di controllare l’esatta natura dell’esplosivo utilizzato nell’attentato di Peteano, recuperando i reperti legati all’esplosione.
I primi accertamenti vengono svolti dal solo perito Morin che trova un campione di esplosivo all’interno di un tubetto per rocca di filato e lo invia al Metropolitan Police Forensic Science Laboratory di Londra per gli esami del caso.
Nell’elaborato peritale, dopo una premessa critica nei confronti della prima perizia esplosivistica (Arvali-Gialain-Di Prete) effettuata nel 1972 nell’immediatezza della strage e che aveva identificato l’esplosivo in T4, segnala che il materiale esplodente era di origine cecoslovacca: si trattava, infatti, di Semtex-H, lo stesso tipo di quello sequestrato nel 1980 in un covo delle Brigate rosse. L’unica differenza tra i due esplosivi, stava nelle percentuali di pentrite e di T4 (70% e 20% per l’esplosivo di Peteano, 20% e 70% per quello delle Br).
Una prima stranezza da segnalare è la procedura usata dal perito per raccogliere i campioni di esplosivo. Il Morin, infatti, si reca da solo presso la caserma dei carabinieri di Gorizia per esaminare i resti dell’autovettura e il vestiario dei carabinieri coinvolti nell’attentato; sempre da solo, esamina il tubetto per rocca da filati e effettua la procedura di “raschiamento” dello stesso, nel quale le uniche tracce di esplosivo erano del tipo Semtex-H.
Una seconda stranezza è quella testimoniata in sede giudiziaria dal maresciallo Zazzaro: «Ricordo che egli raschiò nella parte posteriore dell’automezzo, tra il vano motore e il sedile, della sostanza combusta e la raccolse in un sacchetto» <94. Il Morin, quindi, non raschiò la parte dell’autovettura coinvolta dall’esplosione, ovvero il cofano anteriore, ma un’area che non fu toccata direttamente dalla sostanza esplosiva.
A sua volta, il coperito Milena Bellato dichiara davanti al pubblico ministero di Venezia che il suo contributo era stato quasi nullo, avendo il Morin avocato a sé ogni fase della perizia, dalla raccolta delle prove al loro esame, aggiungendo che, nonostante il collega le avesse detto della possibile presenza di tracce di esplosivo sugli abiti dei militi uccisi, non è in grado di dire se questi siano stati, effettivamente, analizzati.
Contemporaneamente, nell’ambito del procedimento penale n. 388/83 A g.i., condotto dal giudice istruttore di Bologna e originatosi dalle indagini riguardanti i reati di costituzione e associazione eversiva di stampo ordinovista, avente come maggiori imputati Carlo Maria Maggi, Marcello Soffiati, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, viene alla luce l’ideologia ordinovista del perito Marco Morin e i suoi precedenti. La documentazione, inviata alla corte di Venezia, è completa anche dei suoi contatti criminosi, comprendenti gli ordinovisti veronesi Elio Massagrande e Roberto Besutti, con i quali era stato condannato il 28 gennaio 1967 per detenzione di armi e munizioni da guerra dal pretore di Verona. Inoltre, il nome di Morin veniva rilevato anche in un documento sequestrato a Carlo Maria Maggi, arrestato il 21 settembre 1982 per ricostituzione del gruppo Ordine nuovo.
Alla luce di queste nuove evidenze, nel settembre 1984 viene ordinata una nuova perizia, curata questa volta dai periti Brandimarte, Marino e Montoro che, effettuando un corretto esame di tutti i corpi del reato coinvolti nell’esplosione (resti dell’autovettura, delle divise e di altri oggetti personali, oltre che del famoso tubetto), concludono che «l’esplosivo impiegato per l’attentato di Peteano era costituito da comune esplosivo da mina, potenziato, probabilmente nella zona di innescamento, con una aliquota di esplosivo al T4» <95.
Relativamente alle indagini effettuate dal perito Morin sul rocchetto per filati, i nuovi periti, dopo averlo analizzato a loro volta, evidenziavano come le tracce individuate nella precedente perizia erano state trovate in una zona esterna, situata in corrispondenza di un taglio preesistente; che le tracce erano senz’altro di Semtex-H di origine cecoslovacca, data la presenza di pentrite e T4; che il tubetto non poteva essere il contenitore dell’esplosivo, ma senz’altro ne era venuto a contatto. Per quanto potesse essere anomala la presenza del tubetto con tracce di esplosivo diverse da quello usato nell’esplosione e del quale non si sono trovate ulteriori tracce, le stranezze vere e proprie sono altre. I periti infatti fanno notare come l’esplosivo analizzato dai colleghi londinesi fosse allo stato puro, senza alcuna contaminazione, e come, all’interno del tubetto fossero presenti alcuni filamenti «di origine animale, in particolare dovuti alla secrezione (bava) di un insetto lepidottero introdottosi nel rocchetto», e aggiungono: «la larva del lepidottero, il bruco, è fitofaga, quindi per vivere e secernere la sua bava necessita di prodotti naturali vegetali, per cui il bruco ha vissuto nel rocchetto prima che venisse repertato e consegnato al collegio peritale che lo ha esaminato per primo» <96. Il tubetto, quindi, non è una prova genuina, ma una prova costruita ad hoc per accreditare, ancora una volta, una possibile pista di sinistra. La perizia Brandimarte-Marino-Montoro viene trasmessa alla procura di Venezia il 10 maggio 1985.
Il 16 dicembre 1985 Marco Morin viene indiziato di reato in un nuovo procedimento penale, che porta alla formalizzazione di una nuova istruttoria il 23 aprile 1986, con la richiesta di mandato di comparizione. Il Morin è accusato di frode processuale, falsa perizia riguardo alla strage di Peteano, e falsa perizia nel procedimento penale instaurato contro Maggi, Spiazzi, Soffiati, Digilio e altri: il perito, infatti, aveva espresso un parere tecnico mendace sulle armi e sulle munizioni sequestrate dalla polizia che avevano portato all’arresto del Maggi e di Claudio Bressan, senza notificare al magistrato la sua precedente conoscenza del primo, suo medico di famiglia e, con lui, frequentatore assiduo del poligono di tiro a segno presso il Lido di Venezia.
Dalla perquisizione effettuata presso la sua abitazione il 5 maggio 1986 erano inoltre rinvenute delle ricevute di pagamento a favore di Carlo Digilio, dipendente del Morin.
Marco Morin verrà condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione nell’ambito della seconda ordinanza di rinvio a giudizio “Peteano bis”, con sentenza in data 28 ottobre 1993, per i reati di favoreggiamento e peculato.
[NOTE]
94 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 258.
95 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 253.
96 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 353.
Veronica Bortolussi, La strage di Peteano e la strategia della tensione, Tesi di laurea, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2013-2014

In merito alla telefonata anonima, unico errore all’interno dell’operazione, il Vinciguerra farà il nome del Cicuttini solamente nel 1993, attraverso la pubblicazione del testo “La strategia del depistaggio”. Mantenere il silenzio sul Cicuttini, dopo la condanna definitiva all’ergastolo grazie ad una perizia audio-fonica, non avrebbe avuto effetti positivi sul verdetto, ma avrebbe significato non completare il cammino verso la verità. <368
Ad ogni modo le dichiarazioni pronunciate in dibattimento e contenute all’interno del memoriale, trovano riscontro. <369
[NOTE]
368 V. Vinciguerra, La strategia del depistaggio, cit., p. 19.
369 In merito alle dichiarazioni circa l’uso dell’esplosivo, queste trovano conferma nella perizia esplosivistica, che ha confermato l’uso di esplosivo da cava. Per quanto riguarda la telefonata anonima, le perizie foniche e glottologiche hanno indicato nel Cicuttini l’autore della chiamata. Si consideri come una perizia esplosivistica fosse stata già assegnata a tale Marco Morin in data 29 ottobre 1982. Non si entrerà ora nello specifico della vicenda che ha portato ad un ulteriore sviluppo processuale, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Venezia del 28 ottobre 1993. Basti sapere che la prima perizia rientra, ancora una volta, in quella logica di depistaggi che hanno accompagnato tutta la storia processuale di Peteano. Il Morin altro non era che un uomo vicino a On, ed in sede processuale sono state riscontrate le numerose irregolarità presenti nella perizia. Nel settembre 1984 viene quindi ordinata una nuova perizia, che darà riscontro alle dichiarazioni del Vinciguerra.
Mirko Cerrito, La strage di Peteano e l’amnistia di Almirante. Storia e analisi del rapporto tra destra missina e destra eversiva, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2019-2020 

mercoledì 6 agosto 2025

Il centro-sinistra avrebbe perso ogni afflato riformatore originario


Se di apertura a sinistra si può cominciare a parlare all’indomani dell’incontro di Pralognan del 1956 - con la finalità ancora remota della ricomposizione delle anime scisse del socialismo italiano - e del convegno di Vallombrosa del 1957, è altrettanto vero che il centro-sinistra vero e proprio, prescindendo dalle formule parlamentari di appoggio esterno o partecipazione organica, si verificò all’indomani dei fatti di Genova del 1960, aprendosi con il II governo Fanfani e chiudendosi nell’estate del 1964, con la crisi del I esecutivo Moro. Altro spartiacque fondamentale per considerare definitivamente conclusa quella stagione è la scissione del Psu nel 1969, che segnò la definitiva sconfitta di quella che, per i riformisti, benché con declinazioni differenti, rappresentò l’operazione-chiave intorno alla quale ruotava il perno della formula politica in questione: in primis, creare gli spazi e le condizioni per l’esistenza di una forza di sinistra occidentale e laburista che sciogliesse l’anomalia tutta italiana di un partito socialista elettoralmente più esiguo delle forze alla sua sinistra e ideologicamente più autonomo dal massimalismo del Partito comunista, e in secondo luogo contendere alla Democrazia Cristiana il monopolio del ruolo di partito di governo. Da quel momento in poi, il centro-sinistra, pur sopravvissuto alle crisi scaturite dagli scontri tra gli attori politici e sociali che lo componevano e stabilizzato nella sua connotazione e nella sua interpretazione, avrebbe perso ogni afflato riformatore originario, caratterizzandosi per l’unico, magro merito d’esser diventato una formula di mero consenso parlamentare. Tale stallo è comprensibile solo in reverse, osservando gli sconvolgenti mutamenti accaduti alla fine del decennio in esame, che avrebbero cambiato la fisionomia della storia italiana e fatto parlare gli storici, non a torto, del 1968 come l’anno della fine effettiva del dopoguerra: la contestazione studentesca e l’autunno caldo. Il centro-sinistra nacque per fornire risposte ad un’ansia di cambiamento diffusa e radicata nell’Italia del boom economico, un Paese per certi versi ancora a metà strada su molti fronti, connotato da un benessere economico inegualmente distribuito, da una crescita tanto disordinata quanto fortuita, da una secolarizzazione culturale non ancora consapevolmente affrontata, da un rapporto con la modernità schizofrenico e da una posizione geopolitica ambiguamente intesa - solo per elencare i cleavages nati in quel periodo e tralasciando le tradizionali fratture che l’Italia affronta da sempre (centro/periferia, Stato/Chiesa, etc.). Non ci riuscì per via di una ragione su tutte: tali risposte, se correttamente messe in pratica, avrebbero spazzato via i cardini su cui poggiava il partito di maggioranza.
Benché alcuni significativi cambiamenti vennero attuati, con una tempistica incerta e con metodi e premesse discutibili, nel complesso il centro-sinistra non seppe trasmettere l’adeguata immagine di sé: era troppo riformatore per quella fetta di società legata ai valori tradizionali, lo era troppo poco per i giovani, per i figli del dopoguerra, che infatti diedero vita ad una delle stagioni più esaltanti ed insieme controverse della storia. Il Sessantotto, in questo senso, non può essere inquadrato come un momento di pura contestazione-per-la-contestazione, o, peggio, come la rivolta dei figli pasciuti contro i propri padri. Il Sessantotto fu innanzitutto la prima seduta d’autoanalisi della società occidentale contemporanea, il primo incontro tra conscio ed inconscio collettivi in una determinata e ben definibile area del mondo. Un momento in cui l’Occidente si confrontò coi suoi miti e coi suoi limiti, con le sue conquiste ed i suoi fantasmi, con le sue leggi (scritte e non) e le sue pene, provò a dare interpretazioni "altre" della realtà, ad elaborare analisi da prospettive nuove e diverse rispetto a quelle classiche. Un momento di discussione e non solo di contestazione, quindi, che avrebbe segnato un punto di rottura rispetto al passato. L’esplosione delle istanze libertarie, solidaristiche ed egualitarie manifestatesi in quel periodo partì proprio dall’insieme di risposte inevase, incomplete e insufficienti fornite dalle classi dirigenti, ivi compresa quella italiana, ad un fenomeno, la modernizzazione, le cui conseguenze furono comprese male o solo in parte.
L’anno successivo la protesta studentesca si saldò coi moti operai, che avevano l’obiettivo di cambiare i rapporti di forza all’interno delle relazioni industriali fino ad allora esistenti attraverso tutta una serie di rivendicazioni a favore dei lavoratori. Anche questo fu un punto saliente nella storia di quel periodo: mai una così vasta ondata di scioperi, proteste e manifestazioni si verificò in Italia in così breve lasso di tempo. Il bersaglio era un mondo del lavoro ormai sclerotizzato su modelli antichi e la massiccia sindacalizzazione della forza lavoro che da lì in poi avrebbe preso il via sarebbe servita proprio a rafforzare il potere contrattuale verso i datori di lavoro. L’eredità dell’autunno caldo, al di là delle marcate derive operaiste degli anni Settanta e della commistione frequente con il terrorismo, servì però a sancire l’irrinunciabilità del principio della contrattazione tra le parti sociali in maniera più flessibile e aperta di quanto fosse stato possibile fare fino ad allora, anche per via della rigida incomunicabilità che aveva animato nel passato le relazioni industriali. Se a ciò si aggiunge l’affermazione del principio per il quale la contrattazione tra capitale e lavoro era una questione che doveva veder impegnato anche il governo in termini di mediazione e proposte, allora non è difficile capire come il biennio 1968-1969 abbia chiuso un’epoca e segnato l’ingresso dell’Italia nella modernità anche in questo campo. Un ambito che il centro-sinistra si trovò a influenzare notevolmente - e in positivo -, tramite la filosofia economica e riformista di cui si fece portatore, sebbene in termini di realizzazioni mancò di esprimere un potenziale più ampio.
Francesco Corbisiero, La stagione del centrosinistra in Italia. (1956-1969), Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2013-2014