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martedì 12 agosto 2025

Il Morin è accusato di frode processuale


Un ulteriore tentativo di occultamento della pista nera [circa la strage di Peteano] è quello che vede protagonista il perito Marco Morin con la sua perizia sull’esplosivo usato nella trappola di Peteano.
In data 29 ottobre 1982, al Morin e alla dottoressa Milena Bellato viene affidato l’incarico di controllare l’esatta natura dell’esplosivo utilizzato nell’attentato di Peteano, recuperando i reperti legati all’esplosione.
I primi accertamenti vengono svolti dal solo perito Morin che trova un campione di esplosivo all’interno di un tubetto per rocca di filato e lo invia al Metropolitan Police Forensic Science Laboratory di Londra per gli esami del caso.
Nell’elaborato peritale, dopo una premessa critica nei confronti della prima perizia esplosivistica (Arvali-Gialain-Di Prete) effettuata nel 1972 nell’immediatezza della strage e che aveva identificato l’esplosivo in T4, segnala che il materiale esplodente era di origine cecoslovacca: si trattava, infatti, di Semtex-H, lo stesso tipo di quello sequestrato nel 1980 in un covo delle Brigate rosse. L’unica differenza tra i due esplosivi, stava nelle percentuali di pentrite e di T4 (70% e 20% per l’esplosivo di Peteano, 20% e 70% per quello delle Br).
Una prima stranezza da segnalare è la procedura usata dal perito per raccogliere i campioni di esplosivo. Il Morin, infatti, si reca da solo presso la caserma dei carabinieri di Gorizia per esaminare i resti dell’autovettura e il vestiario dei carabinieri coinvolti nell’attentato; sempre da solo, esamina il tubetto per rocca da filati e effettua la procedura di “raschiamento” dello stesso, nel quale le uniche tracce di esplosivo erano del tipo Semtex-H.
Una seconda stranezza è quella testimoniata in sede giudiziaria dal maresciallo Zazzaro: «Ricordo che egli raschiò nella parte posteriore dell’automezzo, tra il vano motore e il sedile, della sostanza combusta e la raccolse in un sacchetto» <94. Il Morin, quindi, non raschiò la parte dell’autovettura coinvolta dall’esplosione, ovvero il cofano anteriore, ma un’area che non fu toccata direttamente dalla sostanza esplosiva.
A sua volta, il coperito Milena Bellato dichiara davanti al pubblico ministero di Venezia che il suo contributo era stato quasi nullo, avendo il Morin avocato a sé ogni fase della perizia, dalla raccolta delle prove al loro esame, aggiungendo che, nonostante il collega le avesse detto della possibile presenza di tracce di esplosivo sugli abiti dei militi uccisi, non è in grado di dire se questi siano stati, effettivamente, analizzati.
Contemporaneamente, nell’ambito del procedimento penale n. 388/83 A g.i., condotto dal giudice istruttore di Bologna e originatosi dalle indagini riguardanti i reati di costituzione e associazione eversiva di stampo ordinovista, avente come maggiori imputati Carlo Maria Maggi, Marcello Soffiati, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, viene alla luce l’ideologia ordinovista del perito Marco Morin e i suoi precedenti. La documentazione, inviata alla corte di Venezia, è completa anche dei suoi contatti criminosi, comprendenti gli ordinovisti veronesi Elio Massagrande e Roberto Besutti, con i quali era stato condannato il 28 gennaio 1967 per detenzione di armi e munizioni da guerra dal pretore di Verona. Inoltre, il nome di Morin veniva rilevato anche in un documento sequestrato a Carlo Maria Maggi, arrestato il 21 settembre 1982 per ricostituzione del gruppo Ordine nuovo.
Alla luce di queste nuove evidenze, nel settembre 1984 viene ordinata una nuova perizia, curata questa volta dai periti Brandimarte, Marino e Montoro che, effettuando un corretto esame di tutti i corpi del reato coinvolti nell’esplosione (resti dell’autovettura, delle divise e di altri oggetti personali, oltre che del famoso tubetto), concludono che «l’esplosivo impiegato per l’attentato di Peteano era costituito da comune esplosivo da mina, potenziato, probabilmente nella zona di innescamento, con una aliquota di esplosivo al T4» <95.
Relativamente alle indagini effettuate dal perito Morin sul rocchetto per filati, i nuovi periti, dopo averlo analizzato a loro volta, evidenziavano come le tracce individuate nella precedente perizia erano state trovate in una zona esterna, situata in corrispondenza di un taglio preesistente; che le tracce erano senz’altro di Semtex-H di origine cecoslovacca, data la presenza di pentrite e T4; che il tubetto non poteva essere il contenitore dell’esplosivo, ma senz’altro ne era venuto a contatto. Per quanto potesse essere anomala la presenza del tubetto con tracce di esplosivo diverse da quello usato nell’esplosione e del quale non si sono trovate ulteriori tracce, le stranezze vere e proprie sono altre. I periti infatti fanno notare come l’esplosivo analizzato dai colleghi londinesi fosse allo stato puro, senza alcuna contaminazione, e come, all’interno del tubetto fossero presenti alcuni filamenti «di origine animale, in particolare dovuti alla secrezione (bava) di un insetto lepidottero introdottosi nel rocchetto», e aggiungono: «la larva del lepidottero, il bruco, è fitofaga, quindi per vivere e secernere la sua bava necessita di prodotti naturali vegetali, per cui il bruco ha vissuto nel rocchetto prima che venisse repertato e consegnato al collegio peritale che lo ha esaminato per primo» <96. Il tubetto, quindi, non è una prova genuina, ma una prova costruita ad hoc per accreditare, ancora una volta, una possibile pista di sinistra. La perizia Brandimarte-Marino-Montoro viene trasmessa alla procura di Venezia il 10 maggio 1985.
Il 16 dicembre 1985 Marco Morin viene indiziato di reato in un nuovo procedimento penale, che porta alla formalizzazione di una nuova istruttoria il 23 aprile 1986, con la richiesta di mandato di comparizione. Il Morin è accusato di frode processuale, falsa perizia riguardo alla strage di Peteano, e falsa perizia nel procedimento penale instaurato contro Maggi, Spiazzi, Soffiati, Digilio e altri: il perito, infatti, aveva espresso un parere tecnico mendace sulle armi e sulle munizioni sequestrate dalla polizia che avevano portato all’arresto del Maggi e di Claudio Bressan, senza notificare al magistrato la sua precedente conoscenza del primo, suo medico di famiglia e, con lui, frequentatore assiduo del poligono di tiro a segno presso il Lido di Venezia.
Dalla perquisizione effettuata presso la sua abitazione il 5 maggio 1986 erano inoltre rinvenute delle ricevute di pagamento a favore di Carlo Digilio, dipendente del Morin.
Marco Morin verrà condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione nell’ambito della seconda ordinanza di rinvio a giudizio “Peteano bis”, con sentenza in data 28 ottobre 1993, per i reati di favoreggiamento e peculato.
[NOTE]
94 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 258.
95 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 253.
96 Salvi, La strategia delle stragi: dalla sentenza della Corte d’Assise per la strage di Peteano, cit., p. 353.
Veronica Bortolussi, La strage di Peteano e la strategia della tensione, Tesi di laurea, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2013-2014

In merito alla telefonata anonima, unico errore all’interno dell’operazione, il Vinciguerra farà il nome del Cicuttini solamente nel 1993, attraverso la pubblicazione del testo “La strategia del depistaggio”. Mantenere il silenzio sul Cicuttini, dopo la condanna definitiva all’ergastolo grazie ad una perizia audio-fonica, non avrebbe avuto effetti positivi sul verdetto, ma avrebbe significato non completare il cammino verso la verità. <368
Ad ogni modo le dichiarazioni pronunciate in dibattimento e contenute all’interno del memoriale, trovano riscontro. <369
[NOTE]
368 V. Vinciguerra, La strategia del depistaggio, cit., p. 19.
369 In merito alle dichiarazioni circa l’uso dell’esplosivo, queste trovano conferma nella perizia esplosivistica, che ha confermato l’uso di esplosivo da cava. Per quanto riguarda la telefonata anonima, le perizie foniche e glottologiche hanno indicato nel Cicuttini l’autore della chiamata. Si consideri come una perizia esplosivistica fosse stata già assegnata a tale Marco Morin in data 29 ottobre 1982. Non si entrerà ora nello specifico della vicenda che ha portato ad un ulteriore sviluppo processuale, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Venezia del 28 ottobre 1993. Basti sapere che la prima perizia rientra, ancora una volta, in quella logica di depistaggi che hanno accompagnato tutta la storia processuale di Peteano. Il Morin altro non era che un uomo vicino a On, ed in sede processuale sono state riscontrate le numerose irregolarità presenti nella perizia. Nel settembre 1984 viene quindi ordinata una nuova perizia, che darà riscontro alle dichiarazioni del Vinciguerra.
Mirko Cerrito, La strage di Peteano e l’amnistia di Almirante. Storia e analisi del rapporto tra destra missina e destra eversiva, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2019-2020