Powered By Blogger

sabato 27 settembre 2025

I vincitori della seconda guerra mondiale non si preoccuparono di abbattere anche il fascismo spagnolo


Il 1 aprile 1939 terminò ufficialmente la Guerra Civile. I sublevados guidati dal Generalissimo Franco avevano finalmente ottenuto la vittoria in un violento conflitto che, per quasi tre anni, aveva diviso non solo la Spagna, ma anche l'opinione pubblica e la classe politica di tutto l'occidente, in due bandi contrapposti. Il nuovo regime si ergeva su un panorama di sangue e macerie e, per consolidarsi, avviò un'ulteriore ondata repressiva che trasformò il paese in una “immensa prigione” <1. Il neonato Stato franchista, infatti, si propose sin dalle sue origini di estirpare quelli che, nella sua ottica, erano i “mali” che minacciavano la penisola, ossia gli ideali democratici, il liberalismo, e l'aspirazione all'emancipazione dei ceti subalterni: per raggiungere tale obiettivo, era necessario sterminare e sottomettere i portatori di tali teorie, vale a dire i dirigenti e i militanti dei partiti repubblicani e delle organizzazioni operaie che, con «crudele ironia storica» <2, vennero accusati di ribellione proprio da parte di coloro che il 18 luglio del 1936 erano insorti contro i legittimi detentori del potere politico. Furono centinaia di migliaia le vittime di questa repressione di classe, che si manifestò sotto forma di fucilazioni, incarceramenti ed epurazioni <3. Occorre sottolineare che la violenza finalizzata all'annichilimento totale del nemico, soprattutto durante il primo decennio della dittatura, non fu «qualcosa di episodico» o di importanza secondaria, bensì costituì «un pilastro centrale» nell'edificazione del nuovo Stato, tanto che la si può considerare come una sorta di «principio fondativo» del franchismo <4.
Il regime del Caudillo, contemporaneamente alla messa in atto della repressione contro gli esponenti del bando repubblicano, intraprese un processo di configurazione istituzionale e identitaria <5. La sua prima tappa, iniziata nel 1938 mentre la Guerra Civile si avviava alla conclusione e protratta fino al 1957, viene comunemente definita "Era Azu" <l6: questa fu caratterizzata dal predominio, tra le diverse famiglie politiche che componevano l'establishment franchista, di falangisti, cattolici e militari. In un primo momento si può parlare dell'esistenza in Spagna di un fallace progetto totalitario, ispirato a quello del fascismo italiano <7: non a caso in ambito internazionale il nuovo Stato si presentava molto legato alle forze dell'Asse, come testimoniato anche dall'aiuto fornito alla Germania sul fronte sovietico attraverso l'invio di un'unità di volontari, la División Azul, che venne integrata nell'Esercito tedesco <8. Terminata la II Guerra Mondiale però, si presentò al regime la necessità di mostrare alle potenze vincitrici un volto più rispettabile: a tal fine vennero cancellati i tratti più fascistizzanti assunti negli anni precedenti e vennero promulgate alcune leggi, quali ad esempio il Fuero de los Españoles e la Ley de Referéndum Nacional, volte a proiettare verso l'esterno un'immagine maggiormente compatibile con il nuovo ordine occidentale dominato dalle democrazie.
Tale tentativo, però, non ottenne i risultati sperati, tanto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua seduta del 12 dicembre 1946, raccomandò agli Stati membri di ritirare i loro ambasciatori da Madrid finché lì non si fosse istituito un governo realmente rappresentativo. Solo il successivo scoppio della Guerra Fredda, e la possibilità per il franchismo di far leva sul suo anticomunismo e sulla sua cattolicità, gli permisero di uscire gradualmente da tale ostracismo in ambito internazionale. Per quanto riguarda la sua natura politica, si può affermare che, a partire dal 1945, la dittatura abbandonò le velleità totalitarie e si configurò come un classico sistema autoritario, caratterizzato cioè, secondo la nota definizione di Linz, da: pluralismo politico limitato; assenza di un'ideologia elaborata e precisa, compensata dall'adozione di mentalità peculiari; ricerca della passività e dell'acquiescenza delle masse, piuttosto che della loro mobilitazione; un leader, o un piccolo gruppo, che esercita il potere all'interno di limiti formalmente non ben definiti ma in realtà prevedibili <9.
Ai fini del nostro studio, è bene sottolineare che da subito il regime si dotò di un proprio apparato sindacale, l'unico legale nel paese: la Organización Sindical Española (OSE), chiamata anche Sindicato Vertical a causa della sua struttura fortemente gerarchizzata <10. Il suo obiettivo consisteva nell'inquadrare e soggiogare il movimento operaio, impedendo il risorgere della sua “coscienza di classe”. Il pilastro fondamentale di tale organismo venne eretto già nel marzo del 1938, con la pubblicazione del Fuero del Trabajo. Questo rappresentava «l’incarnazione della filosofia sindacale del nuovo Stato»: con risonanze del fascismo italiano, affermava che l’organizzazione nazional-sindacalista si ispirava «ai principi di Unità, Totalità e Gerarchia» <11. Il suo fine dichiarato, il linea con il paternalismo tipico del regime <12, consisteva nell’affermazione del principio armonizzatore, ossia nell’eliminazione della lotta di classe. Questa, secondo tale testo, si doveva ritenere superata perché, in realtà, non vi era conflittualità alcuna tra il datore di lavoro e l’operaio: entrambi, infatti, lungi dall'essere due poteri contrapposti, erano due collaboratori ugualmente interessati al successo dell’impresa. Per questo motivo, tanto gli uni quanto gli altri, erano soggetti ad inquadramento obbligatorio all’interno della OSE che, definita come una corporazione di diritto pubblico le cui gerarchie dovevano essere ricoperte esclusivamente da membri della Falange, e organizzata in base ai differenti rami di produzione a scala territoriale e nazionale, costituiva lo strumento attraverso il quale il regime franchista si occupava di reprimere sul nascere qualsiasi conflitto lavorativo. Il Vertical infatti, sebbene in teoria si occupasse di armonizzare gli interessi dei datori di lavoro e degli operai, in pratica impediva a questi ultimi di avanzare qualsiasi rivendicazione. Nel Fuero del Trabajo, ad esempio, possiamo leggere che venivano predisposte sanzioni per la «diminuzione dolosa del rendimento del lavoro», così come per tutti quegli atti che perturbassero la produzione o attentassero contro di essa. Lo sciopero, quindi, era proibito e considerato, anche dal Código Penal (art. 222), come un “delitto di lesa patria”: poiché, infatti, il Fuero del Trabajo affermava che «tutti i fattori che intervengono nella produzione sono subordinati all’interesse supremo della Nazione», se ne deduceva che turbare l’andamento lavorativo equivaleva a colpire il paese <13. Ciò risultava del resto particolarmente significativo negli anni Quaranta: essendo l'economia spagnola di quel periodo basata sull'autarchia, era quantomai necessario assicurare il regolare svolgimento dell'attività produttiva. L'istituzionalizzazione della OSE fu poi completata nel 1940, con la promulgazione della Ley de Unidad Sindical e della Ley de Bases de la Organización Sindical, che dotavano di scheletro ed organigrammi amministrativi la linea politica e la linea socio-economica del Vertical.
Le forze che avevano combattuto contro la sollevazione franchista, dal canto loro, si trovarono negli anni Quaranta in una situazione particolarmente dura e complessa: decimate dalla repressione all'interno della Spagna e costrette all'esilio <14, dovettero sia avviare un lento processo di riorganizzazione, sia iniziare a elaborare strategie per abbattere il nuovo regime e restaurare la legalità repubblicana. Questi compiti furono resi ancora più difficili dall'estrema divisione che caratterizzava i partiti e le organizzazioni che lottavano contro la dittatura: la perdita della Guerra Civile, infatti, portò con sé innumerevoli recriminazioni e accuse sulle rispettive responsabilità relazionate con la sconfitta, che ebbero come effetto quello di contrapporre sia i diversi gruppi tra di loro, sia le differenti fazioni all'interno di ciascuno di essi <15. In questo contesto le forze antifranchiste non-comuniste, guidate principalmente dal Partido Socialista Obrero Español (PSOE) <16, riuscirono comunque a dar vita nell'esilio ad alcuni organismi unitari, quali la Junta Española de Liberación, prima, e la Alianza Nacional de Fuerzas Democráticas, poi: lo scopo di tali coalizioni era quello di garantire la sopravvivenza di un governo repubblicano in grado di far pressione sulla comunità internazionale affinché venisse rovesciato, dall'esterno, il regime del Caudillo. Si sperava sostanzialmente che gli Alleati, una volta terminata la II Guerra Mondiale, si sarebbero occupati di abbattere anche il fascismo spagnolo. Quando tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta questa possibilità svanì, comportando quella che Juan Hermanos definì allora “la fine della speranza” <17, molte forze che avevano composto il Frente Popular andarono incontro a una progressiva eclissi, mentre i socialisti, da parte loro, adottarono una “strategia dell'attesa”: elaboravano cioè programmi per il post-franchismo e cercavano di tener viva in ambito internazionale l'attenzione verso la questione spagnola, prescindendo però dal problema centrale di come provocare la caduta del regime. Alcuni storici, tra cui Santos Juliá, hanno sostenuto che, così facendo, il socialismo all'interno della Spagna durante il franchismo si ridusse a «ricordo storico» <18. La Confederación Nacional del Trabajo (CNT), il celebre sindacato anarchico, fu invece l'unico gruppo dell'opposizione non-comunista, se si eccettua l'operato della socialista Unión General de Trabajadores (UGT) in alcune zone ben determinate, a mettere in atto, durante il primo decennio della dittatura, dei seri tentativi di riorganizzazione all'interno del paese, ottenendo i maggiori risultati in Cataluña, País Valenciano, Madrid e Andalucía: la dura repressione però, frustrò ripetutamente i suoi intenti di azione clandestina e, alla fine degli anni Quaranta, era riuscita a liquidarla quasi completamente <19.
[NOTE]
1 Molinero C., Sobrequés J., Sala M. (eds.), Una inmensa prisión. Los campos de concentración y las prisiones durante la Guerra Civil y el franquismo, Barcelona, Crítica, 2003.
2 Nicolás Marín M. E., Alted A., Disidencias en el franquismo (1939-1975), Murcia, Diego Marín Librero Editor, 1999, p. 13.
3 Sulla repressione franchista si vedano: Lanero M., Una milicia de la justicia. La política judicial del primer franquismo, Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1996; Juliá S. (ed.), Víctimas de la Guerra Civil, Madrid, Temas de Hoy, 2004; Rodrigo J., Cautivos. Campos de concentración en la España franquista, Barcelona, Crítica, 2005; Id., Vencidos. Violenza e repressione politica nella Spagna di Franco (1936-1948), Verona, Ombre Corte, 2006; Vega Sombría S., De la esperanza a la persecución, Barcelona, Crítica, 2005; Otero Carvajal L. E., La destrucción de la ciencia en España: depuración universitaria en el franquismo, Madrid, Universidad Complutense, 2006; Gómez Bravo G., El exilio interior. Cárcel y represión en la España franquista, 1939-1950, Madrid, Taurus, 2009.
4 Moreno F., «La represión en la posguerra», in Juliá S., (ed.), cit., p. 277.
5 Sul primo franchismo si vedano: Tusell J., Franco y los católicos, Madrid, Alianza Editorial, 1984; Payne S., El régimen de Franco, 1939-1975, Madrid, Alianza Editorial, 1987, pp. 245 e seg.; Ferrary A., El franquismo: minorías políticas y conflictos ideológicos, (1936-1956), Pamplona, EUNSA, 1993; Cazorla A., Las políticas de la victoria: la consolidación del nuevo Estado franquista (1938-1953), Madrid, Marcial Pons, 2000.
6 Cfr. il classico De Miguel A., Sociología del franquismo, Madrid, Euros, 1975, pp. 41-62.
7 Gentile E., Di Febo G., Sueiro S., Tusell J. (eds.), Fascismo y franquismo cara a cara: una perspectiva histórica, Madrid, Biblioteca Nueva, 2004; Di Febo G., Moro R. (eds.), Fascismo e franchismo. Relazioni, immagini, rappresentazioni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.
8 Tusell J., García Queipo de Llano G., Franco y Mussolini: la política española durante la Segunda Guerra Mundial, Barcelona, Península, 2006; Marquina Barrio A., «La neutralidad o la pérdida de la neutralidad en la Segunda Guerra Mundial. Cuestiones pendientes de un debate todavía inconcluso», in Espacio, Tiempo y Forma, n. 7, 1994, pp. 313-322; Núñez Seixas X. M., «Los vencedores vencidos: la peculiar memoria de la División Azul», in Pasado y memoria, n. 4, 2005, pp. 83-116.
9 Linz J., «An authoritarian regime. Spain», in Allardt E., Littunen Y. (eds.), Cleavages, Ideologies and Party Systems, Helsinki, Westmark Society, 1964, pp. 291-341. La questione della natura politica del franchismo viene discussa ampiamente in Casali L. (ed.), Per una definizione della dittatura franchista, Milano, Franco Angeli, 1990, e in Tusell J., La dictadura de Franco, Barcelona, Altaya, 1996.
10 Sulla OSE: Ludevid M., Cuarenta años de Sindicato Vertical. Aproximación a la Organización Sindical Española, Barcelona, Laia, 1977; Aparicio M. A., El sindicalismo vertical y la formación del Estado franquista, Barcelona, Eunibar, 1980; Id., «Sobre los comienzos del sindicalismo franquista, 1939-1945», in Fontana J. (ed.), España bajo el franquismo, Barcelona, Crítica, 2000, pp. 78-99; Sánchez López R., Nicolás Marín M. E., «Sindicalismo vertical franquista: la institucionalización de una antinomia (1939-1977)», in Ruiz D. (ed.), Historia de Comisiones Obreras (1958- 1988), Madrid, Siglo XXI, 1993, pp. 1-46; Bernal F., El sindicalismo vertical, Madrid, CEPC, 2010.
11 Carr R., Fusi J. P., España, de la dictadura a la democracia, Barcelona, Planeta, 1979, p. 180.
12 Cfr. su questo aspetto Babiano J., Paternalismo industrial y disciplina fabril en España (1938-1958), Madrid, Consejo Económico y Social, 1998
13 Fuero del Trabajo, XI, 1-3.
14 Villanova A., Los olvidados: exiliados españoles en la segunda guerra mundial, París, Ruedo Ibérico, 1969; Fagen P., Exiles and citizens: Spanish republicans in México, Austin, University of Texas Press, 1973; Egido Á., Eiroa M. (eds.), Los grandes olvidados. Los republicanos de izquierda en el exilio, Madrid, CIERE, 2004; Yuste de Paz M. A., La II República española en el exilio en los inicios de la guerra fría (1945-1951), Madrid, FUE, 2005; Alted A., La voz de los vencidos: el exilio republicano de 1939, Madrid, Aguilar, 2005; Herrerín A., El dinero del exilio, Madrid, Siglo XXI, 2007; Mateos A., La batalla de México, Madrid, Alianza Editorial, 2009.
15 Sull'opposizione durante il primo franchismo si vedano i classici: Tusell J., La oposición democrática al franquismo (1939-1962), Barcelona, Planeta, 1977; Preston P., «La oposición antifranquista: la larga marcha hacia la unidad», in Id. (ed.), España en crisis. Evolución y decadencia del régimen de Franco, Madrid, Ediciones F.C.E., 1978, in particolare pp. 223-235; Heine H., La oposición política al franquismo. De 1939 a 1952, Barcelona, Crítica, 1983.
16 Sul PSOE in questo periodo: Sacaluga J. A., La resistencia socialista en Asturias (1937-1962), Madrid, Fundación Pablo Iglesias, 1986; Gillespie R., The Spanish Socialist Party. A History of Factionalism, New York, Oxford University Press, 1989, pp. 53 e seg.; Juliá S., Los socialistas en la política española, Madrid, Taurus, 1997, pp. 283 e seg.
17 Hermanos J., La fin de l'espoir, Paris, Julliard, 1950. L'autore, alla fine degli anni Quaranta, affermava lapidariamente: «Siamo stanchissimi. Siamo stufi. Ormai è troppo tardi. Chi continuerà la lotta?». Si fa qui riferimento alla versione spagnola: El fin de la esperanza, Madrid, Oberon, 2004, p. 180.
18 Juliá S., Los socialistas..., cit., p. 12. Questa interpretazione è stata criticata da Abdón Mateos nel suo El PSOE contra Franco. Continuidad y renovación del socialismo español, 1953-1974, Madrid, Pablo Iglesias, 1993.
19 Paz A., CNT 1939-1951. El anarquismo contra el Estado franquista, Madrid, Fundación Anselmo Lorenzo, 2001; Herrerín A., La CNT durante el franquismo. Clandestinidad y exilio (1939-1975), Madrid, Siglo XXI, 2004; García Durán J., «La CNT y la Alianza Nacional de Fuerzas Democráticas», in El Movimiento Libertario Español (Supplemento di Cuadernos de Ruedo Ibérico), Paris, 1974, pp. 123-128.
Emanuele Treglia, La politica del PC spagnolo e il movimento operaio (1956-1977), Tesi di dottorato, Università Luiss "Guido Carli", 2011

lunedì 15 settembre 2025

L’ultimo autocarro tedesco lasciò L’Aquila il 13 giugno 1944


In questo clima di accentuata repressione, il G.A.P. aquilano conobbe una battuta di arresto nelle sue iniziative, e poi il trasferimento dei partigiani più attivi sulle montagne di Aragno per confluire nella formazione Giovanni Di Vincenzo <175 e condividerne la sorte e le azioni fino al giugno. Anche Renato Franchi per un breve periodo seguì Giovanni Ricottilli <176 nella piccola frazione aquilana, per poi decidere di rientrare nel capoluogo dove, con la collaborazione del Ventura <177 riorganizzò il G.A.P. cittadino e ne riprese le attività reclutando «nuovi elementi per rimpiazzare i vuoti prodotti dall’esodo in montagna» <178.
Nel mese di aprile tutte le cellule avevano ripreso la loro operatività. Quelle del Ventura e di Gino Di Carlo <179 sabotarono a più riprese le «linee telefoniche volanti allaccianti l’Ortskommandantur di Aquila con i vari comandi tedeschi dislocati nei paesi vicini» <180; quella rinominata Pio Troiani <181 asportò dietro segnalazione di un informatore diversi capi di vestiario e calzature <182 da un piccolo deposito tedesco in «via del Sali» <183, mentre la cellula del Ventura sottrasse mine anticarro presso un magazzino tedesco sito nei pressi della Stazione <184 pagando il prezzo dell’azione con la cattura dei gappisti Umberto Cialente e Arnaldo Giardini <185 poi rilasciati «dopo però notevoli maltrattamenti» <186.
Nel maggio, il Franchi annotò con soddisfazione che il G.A.P. aquilano venne ufficialmente riconosciuto «da un inviato speciale della Giunta Militare di Roma» <187 durante una riunione tenutasi presso l’abitazione del patriota Stefano Vanni <188 alla presenza di Dante Ranghi, Cesare Pacifico <189, Piero Ventura <190 e Sandro Ventura <191. Dalla metà dello stesso mese iniziò la collaborazione con il CLN aquilano per conto del quale i gappisti affissero nottetempo manifesti lungo le principali vie del capoluogo eludendo «la sorveglianza delle numerose pattuglie tedesche perlustranti la città nelle ore di coprifuoco» <192.
Il C.L.N. Aquila divenne attivo ufficialmente ai primi di marzo 1944, dopo che già nel mese di febbraio vi erano stati intensi contatti clandestini tra i capi del Partito D’Azione e del Partito Comunista - «entrambi già in efficienza organizzativa» <193 - e del ricostituito Partito Socialista <194. La prima riunione si tenne presso il Consorzio Agrario - ed in quell’occasione «il Comitato per poco non venne sorpreso da nazifascisti e repubblichini in agguato» - quindi presso lo studio del Leone presso la sua abitazione <195. La Commissione Regionale Abruzzese - pratica n. 019, il 7 luglio 1947 così deliberò in merito: «esaminata la relazione e documentazione in atti, riconosce al C.N.L. l’attività organizzativa delle bande che operavano nella provincia di Aquila e dà a ciascun componente di detto Comitato il riconoscimento della qualifica spettantegli [sic!] per l’attività in seno alla rispettiva Banda» <196. Secondo quanto riferito nella relazione del Leone, la composizione del Comitato fu la seguente: «Partito d’Azione: Rag. Victor Ugo Leoni <197 […] Partigiani e colleg. bande: Rag. Bruno Alpi <198 […] Partito Socialista: On. Avv. Emidio Lopardi <199 […] Geometra Guido De Merulis <200 […] Partito Comunista: Piero Ventura [e] Ranghi Dante […] Partito della Sinistra Cristiana: Rag. Francesco Marrama <201 […] nelle ultime settimane aderì al movimento anche il Col. Manlio Santilli <202 a nome di un gruppo di giovani liberali […] però essendo ammalato partecipò soltanto alle ultime sedute del Comitato Clandestino» <203.
Stando a quanto riferito dal Leone, le attività del comitato si concentrarono in diversi ambiti. Dal ruolo di coordinamento tra le diverse formazioni operanti nell’area del capoluogo, con cui i singoli rappresentanti avevano già stretto contatti nel periodo precedente al collegamento tra il CLN romano e i comitati a esso afferenti che si crearono nei diversi paesi per intermediazione del comitato aquilano, al sostegno alle bande partigiane operanti nella Conca Aquilana esplicatosi sia con finanziamenti per un totale stimato di lire 180.000 <204 che con la raccolta di armi e munizioni <205. Dalla propaganda antinazista e antifascista svolta attraverso la stampa e la diffusione di manifesti e volantini, all’assistenza «a sbandati e prigionieri fuggiaschi» <206, alla gestione «del governo della città nel periodo di congiuntura tra l’esodo dei tedeschi e l’arrivo degli alleati» <207.
Con gli inizi di giugno, mentre via via si facevano più chiari i segni di smobilitazione tedesca dal capoluogo <208, i G.A.P. aquilani intensificarono le loro attività: il giorno 8 i partigiani con al comando il Franchi e il Ventura penetrarono nella caserma della G.N.R., presso cui oltre alla guarnigione ordinaria erano presenti anche una «trentina di ufficiali», riuscendo ad asportare «molto materiale tra cui due mitragliatrici, un mitra e una ventina di moschetti» che venne occultato nei «magazzini appositamente costituiti in via Paganica per il deposito delle armi e di cui avevano la chiave il Comandante e il Vice-comandante dei G.A.P.» <209. Riferì il Franchi che «tale fu il panico provocato che le truppe [dei] repubblichini di stanza nella città si sciolsero disordinatamente il giorno successivo» <210. 
Il 9 giugno i gappisti effettuarono una nuova incursione stavolta presso la caserma della Milizia Contraerea sottraendovi moschetti ed altro materiale bellico <211; il giorno successivo la cellula del Ventura riuscì a catturare un militare tedesco che assieme ad altri due fatti prigionieri dallo stesso gruppo il giorno 7 giugno in località Le Casermette <212, vennero in seguito consegnati alla locale stazione dei Carabinieri <213. In quest’ultima azione fu anche requisita un’autovettura tedesca, poi messa a disposizione del colonello D’Alfonso, capo della Banda Alcedeo, nei giorni della Liberazione <214. Riferite anche di iniziative autonome, quale quella di Angelo Stornelli che con 14 giovani e solo 8 pistole, riuscirono a riprendere dai tedeschi razziatori «17 capi di bestiame (11 asini, 5 mucche e un mulo) che più tardi furono tutti restituiti ai proprietari» <215. 
Nella notte tra l’11 ed il 12 giugno, i tedeschi evacuarono il palazzo Carli sede di un deposito di medicinali, per poi darlo alle fiamme: i gappisti intervennero quindi prontamente per sedare l’incendio, istituire dei turni di guardia e infine trasportare tutto il materiale sanitario all’Ospedale civile San Salvatore <216. Il giorno successivo il G.A.P. aquilano partecipò all’occupazione della città in collaborazione con le bande Giovanni Di Vincenzo e La Duchessa.
Il C.L.N. aquilano, che già nei giorni precedenti aveva preso contatti con il Commissario Prefettizio Stanislao Pietrostefani predisponendo al contempo tutte quelle misure che si rendevano necessarie per sventare danni alla città, provvide alla nomina degli «uomini che dovevano reggere la città nel periodo di attesa del primo contatto colle truppe alleate e di conseguenza coi successivi rappresentanti del Governo di Salerno, ormai insediatisi a Roma» <217: il Lopardi assunse la carica di Prefetto, il Pietrostefani quella di Sindaco Provvisorio, l’avv. Chiarischia del Partito d’Azione ricevette la nomina a Presidente della Provincia, Pietro Ventura a Questore, mentre Vincenzo Franceschelli <218 del Partito Socialista e Victor Ugo Leoni furono nominati il primo Segretario del Comitato, e il secondo Cassiere dello stesso <219. «Malgrado tanti odi e tanto sangue» - si legge in chiusura della relazione del Leone in riferimento agli avvenimenti successivi all’abbandono della città da parte dei tedeschi - «non si verificarono incidenti di rilievo e il trapasso avvenne in modo dignitoso e senza rappresaglie, il questore Ventura si oppose energicamente ad ogni reazione del popolino e tenne con ferrea mano a posto anche gli elementi che avrebbero volentieri approfittato della confusione per commettere atti di rapina e furti» <220.
L’ultimo autocarro tedesco lasciò L’Aquila alle 17:30 del 13 giugno <221. Raccontò Mario Bafile: «L’ho visto io stesso passare al bivio di Coppito. Alla stessa ora, press’a poco, si insediava all’Aquila il Comitato di Liberazione. Cinque partiti politici rappresentati: un gran da fare! Strano, che in nove mesi, dal 10 settembre 1943 al 13 giugno 1944, tante persone ci sono passate accanto, tanti uomini di buona volontà che hanno operato o tramato in diverso modo contro i Tedeschi: alcuni di essi sono stato uccisi in combattimento o fucilati da Tedeschi, altri condannati a morte, altri sono partiti per missioni pericolose dalle quali non hanno fatto ritorno, altri si sono buttati a capo fitto nella lotta, ma nessuno, nessuno fra tutti ha detto a me o agli altri a quale partito politico appartenesse» <222.
[NOTE]
175 Cfr. relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
176 Riconosciuto nella banda Giovanni Di Vincenzo. Cfr. ivi, schedario partigiani.
177 Tornato a L’Aquila in seguito ad un incidente occorsogli in montagna. Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
178 Ibidem.
179 Nato a L’Aquila il 2 giugno 1920, sottotenente, ha svolto attività partigiana nel G.A.P. Aquila dal 06/03/44 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
180 Ivi, G.A.P. Aquila, dettaglio attività della formazione.
181 Nome con grande probabilità attribuito alla cellula gappista aquilana per onorare il partigiano di Borbona (RI) fucilato con i suoi congiunti ed altri due, agli inizi di marzo a Posta (RI). Cfr. ivi, Banda Cagnano Amiterno.
182 Consegnati poi alla banda Giovanni Di Vincenzo, congiuntamente ad aiuti finanziari ottenuti grazie a «sottoscrizioni presso i maggiori esponenti del commercio cittadino», ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
183 Ibidem.
184 Cfr. ivi, dettaglio attività della formazione.
185 Nato a L’Aquila il 24 novembre 1927, ha svolto attività patriottica nel G.A.P. Aquila. Cfr. ivi, schedario patrioti.
186 Ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
187 Ibidem.
188 Nato a Firenze il 21 gennaio 1908, ha svolto attività patriottica nella banda Giovanni di Vincenzo. Cfr. ivi, schedario patrioti.
189 Nato a L’Aquila il 9 marzo 1902, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 01/10/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
190 Nato a L’Aquila il 29 giugno 1886, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 20/09/43 al 13/06/44. Cfr. ibidem.
191 Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro. Durante la riunione venne anche riconosciuto il ruolo di comando dei G.A.P. di L’Aquila al Franchi «che però di fatto già lo aveva fin dalla prima costituzione dei medesimi in collaborazione con S. Ventura», ibidem.
192 Ibidem.
193 Ivi, C.L.N. Aquila, relazione sull’attività dei componenti del Comitato Clandestino di Liberazione Nazione di Aquila di Leone Victor Ugo del 13 ottobre 1946.
194 Cfr. ibidem.
195 Cfr. ivi, relazione di Leone Victor Ugo del 17 gennaio 1948.
196 Ivi, Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano, L’Aquila, - pratica n. 019 del 7 luglio 1947.
197 Nato a Milano il 19 luglio 1893, caporal maggiore, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
198 Nato a Milano il 16 giugno 1914, sergente, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 01/03/44 al 13/06/44. Cfr. ibidem.
199 Nato a L’Aquila il 25 novembre 1877, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ibidem.
200 Nato a Mosciano (TE) il 16 marzo 1886, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ibidem. Nel C.L.N. ebbe funzione di presidente. Cfr. Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 237. Cfr. anche Aldo Rasero, Morte a Filetto, cit., p. 109.
201 Nato a Corfinio (AQ) il 7 luglio 1899, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni Di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, schedario partigiani.
202 Nato a Frosinone il 13 luglio 1892, tenente colonello, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ibidem. La Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano, L’Aquila, - del 12 febbraio 1948 - ha riconosciuto partigiani combattenti in seno alla Banda G. Di Vincenzo, Santilli Manlio e Franceschelli Vincenzo. Cfr. ivi, C.L.N. Aquila.
203 Ivi, relazione sull’attività dei componenti del Comitato Clandestino di Liberazione Nazione di Aquila a firma di Leone Victor Ugo del 13 ottobre 1946. Cfr. anche Aldo Rasero, Morte a Filetto, cit., pp. 109-110.
204 Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, C.L.N. Aquila, relazione sull’attività dei componenti del Comitato Clandestino di Liberazione Nazione di Aquila a firma di Leone Victor Ugo del 13 ottobre 1946.
205 Cfr. ivi, foglio volante.
206 Ivi, lettera di Santilli Manlio del 20 gennaio 1948.
207 Ivi, foglio volante.
208 «[…] una prossima ritirata si comprendeva dall’intensificato traffico di automezzi sulle rotabili principali lungo le quali i Tedeschi tentavano disperatamente di fare affluire truppe fresche di rinforzo», ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
209 Ibidem.
210 Ibidem.
211 Cfr. ivi, dettaglio attività della formazione. Partecipanti all’azione furono: Franchi Renato, Ventura Sandro, Benedetti Cesare, Celi Attilio, D’Amore Attilio e Piccinini Cladinoro. Benedetti Cesare, nato a L’Aquila il 28 luglio 1902, soldato, ha svolto attività partigiana nel G.A.P. Aquila dal 06/03/44 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. Celi Attilio, nato a L’Aquila il 1° febbraio 1922, ha svolto attività patriottica nel G.A.P. Aquila; D’Amore Attilio, nato a Fagnano Alto (AQ) il 18 marzo 1915, ha svolto attività patriottica nel G.A.P. Aquila; Piccinini Cladinoro, nato a L’Aquila il 13 aprile 1915, ha svolto attività patriottica nel G.A.P. Aquila. Cfr. ivi, schedario patrioti.
212 Cfr. ivi, C.L.N. Aquila, dettaglio attività della formazione.
213 Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
214 Cfr. ivi, Banda Alcedeo.
215 Ivi, C.L.N. Aquila, relazione personale di Stornelli Angelo del 25 aprile 1946. Stornelli Angelo, nato a Pizzoli (AQ) il 2 maggio 1924, ha svolto attività partigiana nel G.A.P. Aquila dal 01/10/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
216 Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione a firma del comandante dei G.A.P. Franchi Renato e del vicecomandante Ventura Sandro.
217 Ivi, C.L.N. Aquila, relazione sull’attività dei componenti del Comitato Clandestino di Liberazione Nazionale di Aquila a firma di Leone Victor Ugo del 13 ottobre 1946.
218 Nato ad Ortona (CH) il 2 luglio 1902, ha svolto attività partigiana nella banda Giovanni di Vincenzo dal 01/01/44 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. La Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano de L’Aquila, il 12 febbraio 1948, riconobbe partigiano combattente in seno alla Banda Giovanni Di Vincenzo, Franceschelli Vincenzo. Cfr. ivi, C.L.N. Aquila.
219 Cfr. ivi, relazione sull’attività de componenti del Comitato Clandestino di Liberazione Nazione di Aquila a firma di Leone Victor Ugo del 13 ottobre 1946.
220 Ibidem.
221 Cfr. ivi, Banda La Duchessa, memoriale di Bafile Mario del 15 giugno 1944.
222 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018 

sabato 6 settembre 2025

Le Estati romane sono un tema caldo nello scontro politico in vista delle elezioni


La staffetta in Campidoglio fra Argan e Petroselli rinsalda quel controllo del Pci sull’amministrazione capitolina che il ritorno all’opposizione in parlamento e il nuovo corso dell’alternativa democratica rendono ora necessario. La Dc si muove in maniera speculare e abbandona l’ipotesi di accordo col Pci <659, giacché considerazioni di politica interna e internazionale non le consentono più «una corresponsabilità di gestione col Partito comunista» <660. Attraverso il celebre preambolo redatto da Carlo Donat-Cattin, il partito cattolico porta Flaminio Piccoli alla segreteria e segna una decisa soluzione di continuità nei confronti delle politiche di apertura di Aldo Moro.
In questa complessa transizione, le elezioni comunali del 21 e 22 giugno 1981 assumono la forma di un passaggio elettorale delicato per il nuovo sindaco e il partito intero. Si rende necessario un rilancio della spendibilità del progetto politico comunista, nel tentativo di rinvigorire la narrazione elettorale sul buon governo che, a livello nazionale, non sembra garantire un consenso diffuso, come nel biennio d’oro 1975-76. Alle porte del nuovo decennio, il buon governo si inserisce ormai nel più ampio quadro della questione morale: lodevole territorio etico, poco incisivo nell’attuazione di una piattaforma in grado di agire concretamente sulla politica delle alleanze. Si tratta del primo appuntamento che vede gli elettori chiamati ad esprimere un effettivo giudizio sul rinnovamento promesso dalla giunta rossa. Bisogna verificare la fedeltà del blocco sociale che saldandosi attorno al Pci ne aveva favorito un significativo avanzamento «sulla base di alcune forti tensioni progettuali e di alcune grandi idee-forza, che nello spazio del decennio precedente e poi durante il periodo della solidarietà nazionale si erano fatte strada e ricevettero elaborazione» <661. Sulla carta la consultazione cela delle insidie, anticipate dalle elezioni politiche del 1979, dove l’arretramento del Pci è palese e aggrava lo stallo del sistema politico italiano <662.
Per riconquistare il consenso perduto, i comunisti provano a dispiegare la forza dell’impianto narrativo utilizzato alla metà degli anni settanta. Se il buon governo è insediato in Campidoglio, scoraggiando con la sua sola presenza la voracità di gruppi di interessi privati e potentati locali, in ogni intervista e presa di posizione pubblica i dirigenti comunisti sottolineano l’immaturità di un percorso appena agli inizi, lungo e di non semplice attuazione. I proclami di una radicale trasformazione sono ora mitigati da una cautela su cui pesa l’impronta narrativa arganiana, a sua volta ispirata da una prudenza che riflette la duplice difficoltà, nazionale e locale, fotografata nell’immagine-simbolo di un partito «in mezzo al guado» <663. A prescrivere accortezza sono inoltre ancora una volta i colpi messi a segno dal terrorismo: solo due giorni prima delle elezioni, nell’attentato di Primavalle, perde la vita il Commissario Sebastiano Vinci, ultimo di una scia di sangue che lascia sul selciato della capitale militanti politici e uomini dello stato. Ora il Pci porta in dote l’intransigenza mostrata nei governi della solidarietà nazionale e un’inedita credibilità politica come garante dell’ordine democratico, resa possibile dall’avallo di politiche di ordine pubblico da più parti considerate tout court repressive.
Attraverso le elezioni comunali il Pci persegue un obiettivo di più largo raggio: dimostrare la bontà della linea dell’alternativa democratica e la validità progettuale della chiusura di ogni dialogo con la Dc. È lo stesso Berlinguer ad intervenire sul punto alla vigilia del voto: «L’esperienza ci dice infatti che quando gli altri partiti si alleano con la DC perdono capacità di iniziativa e sensibilità per i bisogni reali del popolo, vengono via via coinvolti in quel sistema di potere corruttore e finiscono col divenire un comodo sostegno» <664. Insieme alla politica nazionale, sulla vicenda romana preme inoltre il quadro internazionale. Il Pci guarda con grande attenzione alla vittoria di Francois Mitterand, laddove le amministrazioni locali offrono l’unica piattaforma possibile per attuare sperimentazioni sul modello francese, seppure con rapporti di forza invertiti ed il primato elettorale del Pci sul Psi.
Le Estati romane sono un tema caldo nello scontro politico in vista delle elezioni e assumono una duplice veste. Da un lato, vi è la rivendicazione, mai completamente convinta, di un’attività culturale fortemente chiacchierata anche a sinistra; dall’altra, si apre un ventaglio di critiche serrate che conservano però il rischio di spegnere una stagione a cui i cittadini dimostrano di non voler rinunciare. Lo stesso Giovanni Galloni, candidato sindaco ed esponente della sinistra democristiana, in un’intervista concessa al quotidiano «la Repubblica» si chiede, riattivando ad arte la polemica tra effimero e permanente, perché il comune non abbia potenziato «le feste della autentica tradizione popolare romana e ha messo in piedi, invece, altre manifestazioni che nulla avevano di culturale». Aggiungendo al suo intervento una critica sui costi, topos polemico di questa seconda fase: «E poi c’è da addebitare a Nicolini non solo quello che ha fatto, ma anche quello che non ha fatto, perché con undici miliardi si possono fare grandi manifestazioni culturali di carattere internazionale. Invece hanno ridotto Roma a respirare in un’atmosfera gretta e provinciale» <665. A testimoniare quanto l’intero arco delle culture politiche italiane sia toccato dal fenomeno della spettacolarizzazione di massa, nei dibattiti della campagna elettorale sull’effimero interviene una voce inaspettata e autorevole, quella di Giulio Andreotti, il quale rimprovera a Galloni di non aver compreso sino in fondo il «fenomeno Nicolini» <666.
Nel quadro di una crescente incertezza, in controtendenza con quanto accade sul piano nazionale, il Pci si conferma il primo partito nella capitale e migliora persino il risultato di cinque anni prima, raggiungendo il 35,9 per cento dei voti (di contro, la Dc per la prima volta nella sua storia scende sotto il trenta, attestandosi al 29,6). L’Estate romana e la politica culturale della giunta pagano in termini elettorali, polarizzando un dibattito che mette all’angolo i detrattori della spettacolarità cittadina, ancorati a codici culturali fortemente elitari, zavorra di un una stagione intellettuale ormai alle spalle. Le feste estive avviano una pratica virtuosa per il Pci. Attraverso una costante presenza sugli organi di stampa, il continuo dibattito sull’operato dell’amministrazione, potenzialmente dannoso, ne veicola la voce presso i settori sociali che in precedenza hanno riposto nel partito le proprie speranze di cambiamento.
Il complessivo apprezzamento del rinnovamento urbano promosso dalla giunta Argan ne fa il fiore all’occhiello delle politiche locali. Su «Rinascita» Ottavio Cecchi afferma senza timori che con i comunisti in Campidoglio «quella culture of cities ha lavorato e lavora in profondità, fa di un abitante di Roma un cittadino romano. Un moto di intelligenza e un atto di coscienza: due atti di modernità» <667. Il blocco sociale vicino al Pci nel 1976 rinnova la fiducia, nonostante l’avvento di Giovanni Paolo II al soglio pontificio <668 ridisegni le coordinate del cattolicesimo mondiale in senso conservatore, come dimostrano un feroce anticomunismo e le durissime prese di posizione contro i teologi della liberazione. Non ancora tramontato, quel variegato mondo cattolico non riesce più a rappresentarsi efficacemente e numerose fra le elaborazioni di un incontro tra cattolicesimo e marxismo non avrebbero mai sciolto i nodi più controversi. Allo stesso tempo, altri gruppi di credenti riservano alla cultura di massa una crescente attenzione e ad attestarlo contribuisce l’esperienza del settimanale «il Sabato», i cui lettori di lì a qualche anno avrebbero ingrossato le fila dei Papa Boys, simbolo di un cattolicesimo ciellino ormai maggioritario nella vita pubblica <669. Il pontificato di Karol Wojtyla rilancia il ruolo dell’associazionismo laico, quindi più permeabile - secondo i precetti dell’enciclica Sollecitudo rei socialis - ad un appello che coinvolga «i comportamenti quotidiani». Del resto incontro e viaggio rappresentano due precisi momenti della strategia del nuovo papato <670. Analogamente ad altri gruppi giovanili, anche in quelli cattolici «l’impegno nel civile e nel politico assume insomma forme nuove, rispetto alle quali i partiti ed anche la Dc suscitano sempre minor interesse» <671. Il referendum sull’aborto <672 palesa il maggiore appeal suscitato dai temi etici rispetto a quelli politici, pur nel quadro di aperte contraddizioni. Confrontando le scelte su aborto ed ergastolo, Piero Scoppola ha scritto:
"Difficile non cogliere una contraddizione fra le due espressioni di volontà popolare: se davvero la votazione sull’aborto avesse avuto quelle motivazioni culturali e civili che i vincitori gli attribuirono avrebbe dovuto essere accompagnata dall’abrogazione dell’ergastolo e non dalla sua conservazione con schiacciante maggioranza" <673.
Dopo le elezioni, la conferma di Nicolini all’ufficio della cultura non è automatica, nonostante un’ampia affermazione elettorale, seconda solo al plebiscito che accoglie con 126 mila preferenze il sindaco uscente Luigi Petroselli. Il ruolo del popolare assessore è oggetto di aspro dibattito, in campagna elettorale e nel consiglio comunale, ma trova in Bettino Craxi un inaspettato nume tutelare. É infatti il segretario socialista a frenare «l’offensiva contro Nicolini», verosimilmente in termini di opportunità politica, intuendo una correlazione fra il successo dell’effimero e l’incremento elettorale. L’interesse verso le attività culturali e spettacolari si sarebbe cristallizzato nell’emblematico affiancamento di Severi a Nicolini, con la creazione di un apposito «Coordinamento per le attività culturali» <674.
L’amministrazione appena insediata è esposta agli equilibri nazionali in una condizione di isolamento che si acuisce progressivamente nel corso degli anni. Le ricadute locali dei meccanismi della politica nazionale sono del resto chiari allo stesso Petroselli: appena rieletto si affretta a rivendicare la difesa dell’ «autonomia e la sovranità del Campidoglio contro ogni sistema di pressione e di intrighi» che possa in qualche modo «manomettere la libertà del Consiglio comunale di Roma». Più in generale il sindaco traccia la via di una giunta di «continuità e rinnovamento», ma non di rottura. Un atteggiamento calibrato attorno a un partito che ha da tempo smorzato i toni di una radicale trasformazione di Roma, ora più cauto, dopo diversi anni di confronto con gli atavici nodi della capitale. Il clima generale è una pallida imitazione dell’ebrezza del 1976 e la maggioranza nasce politicamente più debole della precedente, bersaglio del fuoco incrociato di un’opposizione ora coesa e decisa a porre fine all’avventura delle giunte rosse.
[NOTE]
659 Su questi temi e sulle loro conseguenze nel rapporto fra masse e politica in Italia si rimanda a F. De Felice, L’Italia repubblicana, cit., pp. 235-46.
660 G. Sabatucci, Il trasformismo come sistema. Saggio sulla storia politica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 98-99.
661 G. C. Argan et al., Roma perché la giunta di sinistra: analisi di un’esperienza, Roma, Napoleone 1986, p. 28.
662 P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., pp. 264-265.
663 La celebre espressione è di Giorgio Napolitano, in un volume curato da Giuseppe Vacca che raccoglie gli scritti dell’ex presidente della Camera dei Deputati. Il testo si occupa di evidenziare i percorsi tortuosi del Pci nei difficili anni della solidarietà nazionale. G. Napolitano, In mezzo al guado, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2013.
664 Nell’appello riecheggiano anche i temi della questione morale e Berlinguer aggiunge: «Il voto al PCI significa dunque mantenere sulla giusta strada e dare più forza - oppure dar vita - ad amministrazioni oneste, efficienti, democratiche, non inquinate da vincoli e da ricatti con centri di potere occulto come la P2 e come la mafia, non legate ai palazzinari, ai ladri di Stato e agli evasori fiscali». L’appello in TV di Berlinguer, in «l’Unità», 20 giugno 1981.
665 “Anche se non si vede qui in giro c’è malcontento…”, in «la Repubblica», 20 giugno 1981.
666 G. Capitta, Un’estate lunga cinque anni ancora, partiti permettendo, in «il Manifesto», 24 luglio 1981.
667 O. Cecchi, Come un abitante diventa un cittadino, in «Rinascita», XXIV, 1981, p. 11.
668 Cfr. F. Gentiloni, Karol Wojtyla. Nel segno della contraddizione, Milano, Baldini & Castoldi, 1996.
669 Sui Papa Boys di veda A. Tonelli, Comizi d’amore. Politica e sentimenti dal Sessantotto ai Papa Boys, Roma, Carocci, 2007.
670 Melloni ha scritto al riguardo: «[…] i discorsi di Giovanni Paolo II hanno una sorta di doppio registro: visitando le diocesi italiane, Wojtyla gioca il suo carisma e la sua presenza. Viaggia e parla nelle città italiane dando sostegno alle posizioni dei vescovi (che sono i minutanti dei suoi discorsi?), trascurando l’esigenza di avere una linea coerente, compiacendosi di essere venerato con toni più plateali di quelli riservati all’appartato predecessore, aprendo lo spazio per saluti e udienze calorose ai movimenti che per molte diocesi sono ancora una spina nel fianco». A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica. cit., p. 212.
671 P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 1945-1996, Bologna, il Mulino, 1997, p. 418.
672 G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Milano, Mondadori, 2008.
673 P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 420.
674 Il nuovo tandem Nicolini-Severi coordinerà la cultura del comune, in «Corriere della Sera», 10 novembre 1982.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la "stagione dell’effimero" (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2019-2020