La staffetta in Campidoglio fra Argan e Petroselli rinsalda quel controllo del Pci sull’amministrazione capitolina che il ritorno all’opposizione in parlamento e il nuovo corso dell’alternativa democratica rendono ora necessario. La Dc si muove in maniera speculare e abbandona l’ipotesi di accordo col Pci <659, giacché considerazioni di politica interna e internazionale non le consentono più «una corresponsabilità di gestione col Partito comunista» <660. Attraverso il celebre preambolo redatto da Carlo Donat-Cattin, il partito cattolico porta Flaminio Piccoli alla segreteria e segna una decisa soluzione di continuità nei confronti delle politiche di apertura di Aldo Moro.
In questa complessa transizione, le elezioni comunali del 21 e 22 giugno 1981 assumono la forma di un passaggio elettorale delicato per il nuovo sindaco e il partito intero. Si rende necessario un rilancio della spendibilità del progetto politico comunista, nel tentativo di rinvigorire la narrazione elettorale sul buon governo che, a livello nazionale, non sembra garantire un consenso diffuso, come nel biennio d’oro 1975-76. Alle porte del nuovo decennio, il buon governo si inserisce ormai nel più ampio quadro della questione morale: lodevole territorio etico, poco incisivo nell’attuazione di una piattaforma in grado di agire concretamente sulla politica delle alleanze. Si tratta del primo appuntamento che vede gli elettori chiamati ad esprimere un effettivo giudizio sul rinnovamento promesso dalla giunta rossa. Bisogna verificare la fedeltà del blocco sociale che saldandosi attorno al Pci ne aveva favorito un significativo avanzamento «sulla base di alcune forti tensioni progettuali e di alcune grandi idee-forza, che nello spazio del decennio precedente e poi durante il periodo della solidarietà nazionale si erano fatte strada e ricevettero elaborazione» <661. Sulla carta la consultazione cela delle insidie, anticipate dalle elezioni politiche del 1979, dove l’arretramento del Pci è palese e aggrava lo stallo del sistema politico italiano <662.
Per riconquistare il consenso perduto, i comunisti provano a dispiegare la forza dell’impianto narrativo utilizzato alla metà degli anni settanta. Se il buon governo è insediato in Campidoglio, scoraggiando con la sua sola presenza la voracità di gruppi di interessi privati e potentati locali, in ogni intervista e presa di posizione pubblica i dirigenti comunisti sottolineano l’immaturità di un percorso appena agli inizi, lungo e di non semplice attuazione. I proclami di una radicale trasformazione sono ora mitigati da una cautela su cui pesa l’impronta narrativa arganiana, a sua volta ispirata da una prudenza che riflette la duplice difficoltà, nazionale e locale, fotografata nell’immagine-simbolo di un partito «in mezzo al guado» <663. A prescrivere accortezza sono inoltre ancora una volta i colpi messi a segno dal terrorismo: solo due giorni prima delle elezioni, nell’attentato di Primavalle, perde la vita il Commissario Sebastiano Vinci, ultimo di una scia di sangue che lascia sul selciato della capitale militanti politici e uomini dello stato. Ora il Pci porta in dote l’intransigenza mostrata nei governi della solidarietà nazionale e un’inedita credibilità politica come garante dell’ordine democratico, resa possibile dall’avallo di politiche di ordine pubblico da più parti considerate tout court repressive.
Attraverso le elezioni comunali il Pci persegue un obiettivo di più largo raggio: dimostrare la bontà della linea dell’alternativa democratica e la validità progettuale della chiusura di ogni dialogo con la Dc. È lo stesso Berlinguer ad intervenire sul punto alla vigilia del voto: «L’esperienza ci dice infatti che quando gli altri partiti si alleano con la DC perdono capacità di iniziativa e sensibilità per i bisogni reali del popolo, vengono via via coinvolti in quel sistema di potere corruttore e finiscono col divenire un comodo sostegno» <664. Insieme alla politica nazionale, sulla vicenda romana preme inoltre il quadro internazionale. Il Pci guarda con grande attenzione alla vittoria di Francois Mitterand, laddove le amministrazioni locali offrono l’unica piattaforma possibile per attuare sperimentazioni sul modello francese, seppure con rapporti di forza invertiti ed il primato elettorale del Pci sul Psi.
Le Estati romane sono un tema caldo nello scontro politico in vista delle elezioni e assumono una duplice veste. Da un lato, vi è la rivendicazione, mai completamente convinta, di un’attività culturale fortemente chiacchierata anche a sinistra; dall’altra, si apre un ventaglio di critiche serrate che conservano però il rischio di spegnere una stagione a cui i cittadini dimostrano di non voler rinunciare. Lo stesso Giovanni Galloni, candidato sindaco ed esponente della sinistra democristiana, in un’intervista concessa al quotidiano «la Repubblica» si chiede, riattivando ad arte la polemica tra effimero e permanente, perché il comune non abbia potenziato «le feste della autentica tradizione popolare romana e ha messo in piedi, invece, altre manifestazioni che nulla avevano di culturale». Aggiungendo al suo intervento una critica sui costi, topos polemico di questa seconda fase: «E poi c’è da addebitare a Nicolini non solo quello che ha fatto, ma anche quello che non ha fatto, perché con undici miliardi si possono fare grandi manifestazioni culturali di carattere internazionale. Invece hanno ridotto Roma a respirare in un’atmosfera gretta e provinciale» <665. A testimoniare quanto l’intero arco delle culture politiche italiane sia toccato dal fenomeno della spettacolarizzazione di massa, nei dibattiti della campagna elettorale sull’effimero interviene una voce inaspettata e autorevole, quella di Giulio Andreotti, il quale rimprovera a Galloni di non aver compreso sino in fondo il «fenomeno Nicolini» <666.
Nel quadro di una crescente incertezza, in controtendenza con quanto accade sul piano nazionale, il Pci si conferma il primo partito nella capitale e migliora persino il risultato di cinque anni prima, raggiungendo il 35,9 per cento dei voti (di contro, la Dc per la prima volta nella sua storia scende sotto il trenta, attestandosi al 29,6). L’Estate romana e la politica culturale della giunta pagano in termini elettorali, polarizzando un dibattito che mette all’angolo i detrattori della spettacolarità cittadina, ancorati a codici culturali fortemente elitari, zavorra di un una stagione intellettuale ormai alle spalle. Le feste estive avviano una pratica virtuosa per il Pci. Attraverso una costante presenza sugli organi di stampa, il continuo dibattito sull’operato dell’amministrazione, potenzialmente dannoso, ne veicola la voce presso i settori sociali che in precedenza hanno riposto nel partito le proprie speranze di cambiamento.
Il complessivo apprezzamento del rinnovamento urbano promosso dalla giunta Argan ne fa il fiore all’occhiello delle politiche locali. Su «Rinascita» Ottavio Cecchi afferma senza timori che con i comunisti in Campidoglio «quella culture of cities ha lavorato e lavora in profondità, fa di un abitante di Roma un cittadino romano. Un moto di intelligenza e un atto di coscienza: due atti di modernità» <667. Il blocco sociale vicino al Pci nel 1976 rinnova la fiducia, nonostante l’avvento di Giovanni Paolo II al soglio pontificio <668 ridisegni le coordinate del cattolicesimo mondiale in senso conservatore, come dimostrano un feroce anticomunismo e le durissime prese di posizione contro i teologi della liberazione. Non ancora tramontato, quel variegato mondo cattolico non riesce più a rappresentarsi efficacemente e numerose fra le elaborazioni di un incontro tra cattolicesimo e marxismo non avrebbero mai sciolto i nodi più controversi. Allo stesso tempo, altri gruppi di credenti riservano alla cultura di massa una crescente attenzione e ad attestarlo contribuisce l’esperienza del settimanale «il Sabato», i cui lettori di lì a qualche anno avrebbero ingrossato le fila dei Papa Boys, simbolo di un cattolicesimo ciellino ormai maggioritario nella vita pubblica <669. Il pontificato di Karol Wojtyla rilancia il ruolo dell’associazionismo laico, quindi più permeabile - secondo i precetti dell’enciclica Sollecitudo rei socialis - ad un appello che coinvolga «i comportamenti quotidiani». Del resto incontro e viaggio rappresentano due precisi momenti della strategia del nuovo papato <670. Analogamente ad altri gruppi giovanili, anche in quelli cattolici «l’impegno nel civile e nel politico assume insomma forme nuove, rispetto alle quali i partiti ed anche la Dc suscitano sempre minor interesse» <671. Il referendum sull’aborto <672 palesa il maggiore appeal suscitato dai temi etici rispetto a quelli politici, pur nel quadro di aperte contraddizioni. Confrontando le scelte su aborto ed ergastolo, Piero Scoppola ha scritto:
"Difficile non cogliere una contraddizione fra le due espressioni di volontà popolare: se davvero la votazione sull’aborto avesse avuto quelle motivazioni culturali e civili che i vincitori gli attribuirono avrebbe dovuto essere accompagnata dall’abrogazione dell’ergastolo e non dalla sua conservazione con schiacciante maggioranza" <673.
Dopo le elezioni, la conferma di Nicolini all’ufficio della cultura non è automatica, nonostante un’ampia affermazione elettorale, seconda solo al plebiscito che accoglie con 126 mila preferenze il sindaco uscente Luigi Petroselli. Il ruolo del popolare assessore è oggetto di aspro dibattito, in campagna elettorale e nel consiglio comunale, ma trova in Bettino Craxi un inaspettato nume tutelare. É infatti il segretario socialista a frenare «l’offensiva contro Nicolini», verosimilmente in termini di opportunità politica, intuendo una correlazione fra il successo dell’effimero e l’incremento elettorale. L’interesse verso le attività culturali e spettacolari si sarebbe cristallizzato nell’emblematico affiancamento di Severi a Nicolini, con la creazione di un apposito «Coordinamento per le attività culturali» <674.
L’amministrazione appena insediata è esposta agli equilibri nazionali in una condizione di isolamento che si acuisce progressivamente nel corso degli anni. Le ricadute locali dei meccanismi della politica nazionale sono del resto chiari allo stesso Petroselli: appena rieletto si affretta a rivendicare la difesa dell’ «autonomia e la sovranità del Campidoglio contro ogni sistema di pressione e di intrighi» che possa in qualche modo «manomettere la libertà del Consiglio comunale di Roma». Più in generale il sindaco traccia la via di una giunta di «continuità e rinnovamento», ma non di rottura. Un atteggiamento calibrato attorno a un partito che ha da tempo smorzato i toni di una radicale trasformazione di Roma, ora più cauto, dopo diversi anni di confronto con gli atavici nodi della capitale. Il clima generale è una pallida imitazione dell’ebrezza del 1976 e la maggioranza nasce politicamente più debole della precedente, bersaglio del fuoco incrociato di un’opposizione ora coesa e decisa a porre fine all’avventura delle giunte rosse.
[NOTE]
659 Su questi temi e sulle loro conseguenze nel rapporto fra masse e politica in Italia si rimanda a F. De Felice, L’Italia repubblicana, cit., pp. 235-46.
660 G. Sabatucci, Il trasformismo come sistema. Saggio sulla storia politica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 98-99.
661 G. C. Argan et al., Roma perché la giunta di sinistra: analisi di un’esperienza, Roma, Napoleone 1986, p. 28.
662 P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., pp. 264-265.
663 La celebre espressione è di Giorgio Napolitano, in un volume curato da Giuseppe Vacca che raccoglie gli scritti dell’ex presidente della Camera dei Deputati. Il testo si occupa di evidenziare i percorsi tortuosi del Pci nei difficili anni della solidarietà nazionale. G. Napolitano, In mezzo al guado, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2013.
664 Nell’appello riecheggiano anche i temi della questione morale e Berlinguer aggiunge: «Il voto al PCI significa dunque mantenere sulla giusta strada e dare più forza - oppure dar vita - ad amministrazioni oneste, efficienti, democratiche, non inquinate da vincoli e da ricatti con centri di potere occulto come la P2 e come la mafia, non legate ai palazzinari, ai ladri di Stato e agli evasori fiscali». L’appello in TV di Berlinguer, in «l’Unità», 20 giugno 1981.
665 “Anche se non si vede qui in giro c’è malcontento…”, in «la Repubblica», 20 giugno 1981.
666 G. Capitta, Un’estate lunga cinque anni ancora, partiti permettendo, in «il Manifesto», 24 luglio 1981.
667 O. Cecchi, Come un abitante diventa un cittadino, in «Rinascita», XXIV, 1981, p. 11.
668 Cfr. F. Gentiloni, Karol Wojtyla. Nel segno della contraddizione, Milano, Baldini & Castoldi, 1996.
669 Sui Papa Boys di veda A. Tonelli, Comizi d’amore. Politica e sentimenti dal Sessantotto ai Papa Boys, Roma, Carocci, 2007.
670 Melloni ha scritto al riguardo: «[…] i discorsi di Giovanni Paolo II hanno una sorta di doppio registro: visitando le diocesi italiane, Wojtyla gioca il suo carisma e la sua presenza. Viaggia e parla nelle città italiane dando sostegno alle posizioni dei vescovi (che sono i minutanti dei suoi discorsi?), trascurando l’esigenza di avere una linea coerente, compiacendosi di essere venerato con toni più plateali di quelli riservati all’appartato predecessore, aprendo lo spazio per saluti e udienze calorose ai movimenti che per molte diocesi sono ancora una spina nel fianco». A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica. cit., p. 212.
671 P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 1945-1996, Bologna, il Mulino, 1997, p. 418.
672 G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Milano, Mondadori, 2008.
673 P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 420.
674 Il nuovo tandem Nicolini-Severi coordinerà la cultura del comune, in «Corriere della Sera», 10 novembre 1982.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la "stagione dell’effimero" (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2019-2020
In questa complessa transizione, le elezioni comunali del 21 e 22 giugno 1981 assumono la forma di un passaggio elettorale delicato per il nuovo sindaco e il partito intero. Si rende necessario un rilancio della spendibilità del progetto politico comunista, nel tentativo di rinvigorire la narrazione elettorale sul buon governo che, a livello nazionale, non sembra garantire un consenso diffuso, come nel biennio d’oro 1975-76. Alle porte del nuovo decennio, il buon governo si inserisce ormai nel più ampio quadro della questione morale: lodevole territorio etico, poco incisivo nell’attuazione di una piattaforma in grado di agire concretamente sulla politica delle alleanze. Si tratta del primo appuntamento che vede gli elettori chiamati ad esprimere un effettivo giudizio sul rinnovamento promesso dalla giunta rossa. Bisogna verificare la fedeltà del blocco sociale che saldandosi attorno al Pci ne aveva favorito un significativo avanzamento «sulla base di alcune forti tensioni progettuali e di alcune grandi idee-forza, che nello spazio del decennio precedente e poi durante il periodo della solidarietà nazionale si erano fatte strada e ricevettero elaborazione» <661. Sulla carta la consultazione cela delle insidie, anticipate dalle elezioni politiche del 1979, dove l’arretramento del Pci è palese e aggrava lo stallo del sistema politico italiano <662.
Per riconquistare il consenso perduto, i comunisti provano a dispiegare la forza dell’impianto narrativo utilizzato alla metà degli anni settanta. Se il buon governo è insediato in Campidoglio, scoraggiando con la sua sola presenza la voracità di gruppi di interessi privati e potentati locali, in ogni intervista e presa di posizione pubblica i dirigenti comunisti sottolineano l’immaturità di un percorso appena agli inizi, lungo e di non semplice attuazione. I proclami di una radicale trasformazione sono ora mitigati da una cautela su cui pesa l’impronta narrativa arganiana, a sua volta ispirata da una prudenza che riflette la duplice difficoltà, nazionale e locale, fotografata nell’immagine-simbolo di un partito «in mezzo al guado» <663. A prescrivere accortezza sono inoltre ancora una volta i colpi messi a segno dal terrorismo: solo due giorni prima delle elezioni, nell’attentato di Primavalle, perde la vita il Commissario Sebastiano Vinci, ultimo di una scia di sangue che lascia sul selciato della capitale militanti politici e uomini dello stato. Ora il Pci porta in dote l’intransigenza mostrata nei governi della solidarietà nazionale e un’inedita credibilità politica come garante dell’ordine democratico, resa possibile dall’avallo di politiche di ordine pubblico da più parti considerate tout court repressive.
Attraverso le elezioni comunali il Pci persegue un obiettivo di più largo raggio: dimostrare la bontà della linea dell’alternativa democratica e la validità progettuale della chiusura di ogni dialogo con la Dc. È lo stesso Berlinguer ad intervenire sul punto alla vigilia del voto: «L’esperienza ci dice infatti che quando gli altri partiti si alleano con la DC perdono capacità di iniziativa e sensibilità per i bisogni reali del popolo, vengono via via coinvolti in quel sistema di potere corruttore e finiscono col divenire un comodo sostegno» <664. Insieme alla politica nazionale, sulla vicenda romana preme inoltre il quadro internazionale. Il Pci guarda con grande attenzione alla vittoria di Francois Mitterand, laddove le amministrazioni locali offrono l’unica piattaforma possibile per attuare sperimentazioni sul modello francese, seppure con rapporti di forza invertiti ed il primato elettorale del Pci sul Psi.
Le Estati romane sono un tema caldo nello scontro politico in vista delle elezioni e assumono una duplice veste. Da un lato, vi è la rivendicazione, mai completamente convinta, di un’attività culturale fortemente chiacchierata anche a sinistra; dall’altra, si apre un ventaglio di critiche serrate che conservano però il rischio di spegnere una stagione a cui i cittadini dimostrano di non voler rinunciare. Lo stesso Giovanni Galloni, candidato sindaco ed esponente della sinistra democristiana, in un’intervista concessa al quotidiano «la Repubblica» si chiede, riattivando ad arte la polemica tra effimero e permanente, perché il comune non abbia potenziato «le feste della autentica tradizione popolare romana e ha messo in piedi, invece, altre manifestazioni che nulla avevano di culturale». Aggiungendo al suo intervento una critica sui costi, topos polemico di questa seconda fase: «E poi c’è da addebitare a Nicolini non solo quello che ha fatto, ma anche quello che non ha fatto, perché con undici miliardi si possono fare grandi manifestazioni culturali di carattere internazionale. Invece hanno ridotto Roma a respirare in un’atmosfera gretta e provinciale» <665. A testimoniare quanto l’intero arco delle culture politiche italiane sia toccato dal fenomeno della spettacolarizzazione di massa, nei dibattiti della campagna elettorale sull’effimero interviene una voce inaspettata e autorevole, quella di Giulio Andreotti, il quale rimprovera a Galloni di non aver compreso sino in fondo il «fenomeno Nicolini» <666.
Nel quadro di una crescente incertezza, in controtendenza con quanto accade sul piano nazionale, il Pci si conferma il primo partito nella capitale e migliora persino il risultato di cinque anni prima, raggiungendo il 35,9 per cento dei voti (di contro, la Dc per la prima volta nella sua storia scende sotto il trenta, attestandosi al 29,6). L’Estate romana e la politica culturale della giunta pagano in termini elettorali, polarizzando un dibattito che mette all’angolo i detrattori della spettacolarità cittadina, ancorati a codici culturali fortemente elitari, zavorra di un una stagione intellettuale ormai alle spalle. Le feste estive avviano una pratica virtuosa per il Pci. Attraverso una costante presenza sugli organi di stampa, il continuo dibattito sull’operato dell’amministrazione, potenzialmente dannoso, ne veicola la voce presso i settori sociali che in precedenza hanno riposto nel partito le proprie speranze di cambiamento.
Il complessivo apprezzamento del rinnovamento urbano promosso dalla giunta Argan ne fa il fiore all’occhiello delle politiche locali. Su «Rinascita» Ottavio Cecchi afferma senza timori che con i comunisti in Campidoglio «quella culture of cities ha lavorato e lavora in profondità, fa di un abitante di Roma un cittadino romano. Un moto di intelligenza e un atto di coscienza: due atti di modernità» <667. Il blocco sociale vicino al Pci nel 1976 rinnova la fiducia, nonostante l’avvento di Giovanni Paolo II al soglio pontificio <668 ridisegni le coordinate del cattolicesimo mondiale in senso conservatore, come dimostrano un feroce anticomunismo e le durissime prese di posizione contro i teologi della liberazione. Non ancora tramontato, quel variegato mondo cattolico non riesce più a rappresentarsi efficacemente e numerose fra le elaborazioni di un incontro tra cattolicesimo e marxismo non avrebbero mai sciolto i nodi più controversi. Allo stesso tempo, altri gruppi di credenti riservano alla cultura di massa una crescente attenzione e ad attestarlo contribuisce l’esperienza del settimanale «il Sabato», i cui lettori di lì a qualche anno avrebbero ingrossato le fila dei Papa Boys, simbolo di un cattolicesimo ciellino ormai maggioritario nella vita pubblica <669. Il pontificato di Karol Wojtyla rilancia il ruolo dell’associazionismo laico, quindi più permeabile - secondo i precetti dell’enciclica Sollecitudo rei socialis - ad un appello che coinvolga «i comportamenti quotidiani». Del resto incontro e viaggio rappresentano due precisi momenti della strategia del nuovo papato <670. Analogamente ad altri gruppi giovanili, anche in quelli cattolici «l’impegno nel civile e nel politico assume insomma forme nuove, rispetto alle quali i partiti ed anche la Dc suscitano sempre minor interesse» <671. Il referendum sull’aborto <672 palesa il maggiore appeal suscitato dai temi etici rispetto a quelli politici, pur nel quadro di aperte contraddizioni. Confrontando le scelte su aborto ed ergastolo, Piero Scoppola ha scritto:
"Difficile non cogliere una contraddizione fra le due espressioni di volontà popolare: se davvero la votazione sull’aborto avesse avuto quelle motivazioni culturali e civili che i vincitori gli attribuirono avrebbe dovuto essere accompagnata dall’abrogazione dell’ergastolo e non dalla sua conservazione con schiacciante maggioranza" <673.
Dopo le elezioni, la conferma di Nicolini all’ufficio della cultura non è automatica, nonostante un’ampia affermazione elettorale, seconda solo al plebiscito che accoglie con 126 mila preferenze il sindaco uscente Luigi Petroselli. Il ruolo del popolare assessore è oggetto di aspro dibattito, in campagna elettorale e nel consiglio comunale, ma trova in Bettino Craxi un inaspettato nume tutelare. É infatti il segretario socialista a frenare «l’offensiva contro Nicolini», verosimilmente in termini di opportunità politica, intuendo una correlazione fra il successo dell’effimero e l’incremento elettorale. L’interesse verso le attività culturali e spettacolari si sarebbe cristallizzato nell’emblematico affiancamento di Severi a Nicolini, con la creazione di un apposito «Coordinamento per le attività culturali» <674.
L’amministrazione appena insediata è esposta agli equilibri nazionali in una condizione di isolamento che si acuisce progressivamente nel corso degli anni. Le ricadute locali dei meccanismi della politica nazionale sono del resto chiari allo stesso Petroselli: appena rieletto si affretta a rivendicare la difesa dell’ «autonomia e la sovranità del Campidoglio contro ogni sistema di pressione e di intrighi» che possa in qualche modo «manomettere la libertà del Consiglio comunale di Roma». Più in generale il sindaco traccia la via di una giunta di «continuità e rinnovamento», ma non di rottura. Un atteggiamento calibrato attorno a un partito che ha da tempo smorzato i toni di una radicale trasformazione di Roma, ora più cauto, dopo diversi anni di confronto con gli atavici nodi della capitale. Il clima generale è una pallida imitazione dell’ebrezza del 1976 e la maggioranza nasce politicamente più debole della precedente, bersaglio del fuoco incrociato di un’opposizione ora coesa e decisa a porre fine all’avventura delle giunte rosse.
[NOTE]
659 Su questi temi e sulle loro conseguenze nel rapporto fra masse e politica in Italia si rimanda a F. De Felice, L’Italia repubblicana, cit., pp. 235-46.
660 G. Sabatucci, Il trasformismo come sistema. Saggio sulla storia politica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 98-99.
661 G. C. Argan et al., Roma perché la giunta di sinistra: analisi di un’esperienza, Roma, Napoleone 1986, p. 28.
662 P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, cit., pp. 264-265.
663 La celebre espressione è di Giorgio Napolitano, in un volume curato da Giuseppe Vacca che raccoglie gli scritti dell’ex presidente della Camera dei Deputati. Il testo si occupa di evidenziare i percorsi tortuosi del Pci nei difficili anni della solidarietà nazionale. G. Napolitano, In mezzo al guado, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2013.
664 Nell’appello riecheggiano anche i temi della questione morale e Berlinguer aggiunge: «Il voto al PCI significa dunque mantenere sulla giusta strada e dare più forza - oppure dar vita - ad amministrazioni oneste, efficienti, democratiche, non inquinate da vincoli e da ricatti con centri di potere occulto come la P2 e come la mafia, non legate ai palazzinari, ai ladri di Stato e agli evasori fiscali». L’appello in TV di Berlinguer, in «l’Unità», 20 giugno 1981.
665 “Anche se non si vede qui in giro c’è malcontento…”, in «la Repubblica», 20 giugno 1981.
666 G. Capitta, Un’estate lunga cinque anni ancora, partiti permettendo, in «il Manifesto», 24 luglio 1981.
667 O. Cecchi, Come un abitante diventa un cittadino, in «Rinascita», XXIV, 1981, p. 11.
668 Cfr. F. Gentiloni, Karol Wojtyla. Nel segno della contraddizione, Milano, Baldini & Castoldi, 1996.
669 Sui Papa Boys di veda A. Tonelli, Comizi d’amore. Politica e sentimenti dal Sessantotto ai Papa Boys, Roma, Carocci, 2007.
670 Melloni ha scritto al riguardo: «[…] i discorsi di Giovanni Paolo II hanno una sorta di doppio registro: visitando le diocesi italiane, Wojtyla gioca il suo carisma e la sua presenza. Viaggia e parla nelle città italiane dando sostegno alle posizioni dei vescovi (che sono i minutanti dei suoi discorsi?), trascurando l’esigenza di avere una linea coerente, compiacendosi di essere venerato con toni più plateali di quelli riservati all’appartato predecessore, aprendo lo spazio per saluti e udienze calorose ai movimenti che per molte diocesi sono ancora una spina nel fianco». A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica. cit., p. 212.
671 P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 1945-1996, Bologna, il Mulino, 1997, p. 418.
672 G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Milano, Mondadori, 2008.
673 P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 420.
674 Il nuovo tandem Nicolini-Severi coordinerà la cultura del comune, in «Corriere della Sera», 10 novembre 1982.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la "stagione dell’effimero" (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2019-2020

