Novembre e dicembre 1953 furono mesi decisivi per l’impostazione della strategia americana. Incrociando le risposte al questionario con alcuni memoranda, possiamo comprendere meglio le ragioni dell’atteggiamento verso l’Italia <144. Diversi protagonisti di quella stagione politica - Pacciardi, De Gasperi, Scelba e Covelli - fecero osservazioni più o meno condivise dall’ambasciatrice. Mentre i colloqui con l’esponente repubblicano e con l’ex ministro dell’Interno sono noti <145, quelli con De Gasperi e Covelli sono inediti. E permettono di avanzare nuove ipotesi sia sulla genesi dei timori dell’ambasciata che sulle continuità/discontinuità rispetto ai centri decisionali di Washington.
Randolfo Pacciardi, amico personale della Luce, giudicava aveva espresso forti critiche sull’operato di Pella e paventava spostamenti a destra del baricentro politico, che avrebbero, con ogni probabilità, fatto «crollare» la coalizione di centro. Per prevenire questa involuzione, suggeriva di puntare sul centrismo con una forte leadership e su una decisa politica a favore della Ced. In caso contrario, i comunisti avrebbero continuato il loro «subdolo gioco» per i successivi due anni. Un governo spostato sempre più a destra avrebbe senz’altro favorito questo processo. Compito dell’ambasciata, secondo l’esponente del Pri, era comunicare la delicata fase che stava attraversando l’Italia agli editori di tre importanti quotidiani: «Corriere della Sera», «Il Messaggero» e «Il Tempo». Così da sottolineare che «a causa della stupidità della destra», il Pci - in assenza di azioni rigorose - avrebbe conquistato il potere legalmente nell’arco di due anni. Altra priorità era la necessità di esporre il contesto a De Gasperi, che «con il suo prestigio e la sua influenza poteva fare molto per salvare la situazione». Infine, Pacciardi ricordava a Clare Boothe Luce che gli americani avevano erogato fin troppi soldi e che il problema dell’Italia non era economico ma politico. Gli italiani, cioè, dovevano smettere di chiedere soldi. E gli americani dovevano far capire che sarebbero andati avanti anche senza di loro. Più in generale, era indispensabile «risvegliare i leader politici dal loro letargo». A Pella - continuava Pacciardi - bisognava dire che, «in assenza dell’approvazione della Ced e di provvedimenti immediati contro il comunismo, tutti gli aiuti sarebbero stati tagliati, incluse le commesse off shore» <146.
Molte, se non tutte, le future azioni dell’ambasciata sarebbero andate proprio in questa direzione. La disponibilità nel seguire pedissequamente i consigli di Pacciardi - come era successo con Montanelli qualche mese prima - è un fatto che va ricordato per dare il giusto peso alle origini dell’interventismo dell’ambasciatrice. Origini che non trovano spiegazioni convincenti solo nella sua formazione personale, nel suo carattere irruento e, tantomeno, nella sua conversione religiosa, come spesso - riduttivamente - è stato fatto <147.
Due giorni dopo, su richiesta della Luce, De Gasperi si presentò a Villa Taverna. I temi affrontati nel lungo colloquio furono essenzialmente quelli proposti da Pacciardi. Su tutti, il crescente pericolo comunista e il risentimento dell’opinione pubblica americana per la «riluttanza, o incapacità» dell’Italia nel cooperare con gli Stati Uniti. Mrs. Luce non esitò a comunicare che gli Stati Uniti avrebbero potuto rivedere non solo gli aiuti economici ma anche l’intera strategia militare verso l’Italia. E di fronte all’avanzata della sinistra, suggeriva azioni - piuttosto generiche - per «distruggere l’apparato del Pci».
Anche De Gasperi - è bene sottolinearlo - temeva la possibilità che il Pci potesse prendere il potere legalmente: «la sinistra era contenta di contrastare qualsiasi progresso italiano nelle politiche filo-occidentali e avrebbe nascosto la sua forza crescente fino al 1955, quando sarebbe stata pronta a prendere definitivamente il potere». E giudicava la situazione «molto, molto pericolosa». La prova di questo - secondo l’ex presidente del Consiglio - era il fatto che avesse accettato di rimanere segretario del partito: la carica veniva percepita «un umiliante passo indietro» imposto dalle circostanze critiche. Il suo compito, «terribile e pesante», era quello di «sviluppare il morale, l’organizzazione e lo spirito battagliero della Dc» coi pochi fondi a disposizione del partito. Alle richieste di azioni dirette contro il Pci, obiettava la mancanza di soldi e di tempo, oltre che di una linea unitaria. Lo statista trentino, peraltro, temeva anche uno scivolamento verso destra. Eventualità che, fisiologicamente, avrebbe portato ad un rafforzamento della sinistra. Criticando la virata nazionalista dell’esecutivo Pella, De Gasperi insisteva sulla decisività della questione di Trieste. In caso di mancata soluzione, il governo avrebbe incontrato «il falso e stupido nazionalismo della destra e l’altrettanto falso, ma più furbo, nazionalismo della sinistra».
Clare Boothe Luce, infine, lo incalzava sulla necessità di coinvolgere e responsabilizzare gli industriali. Notava sconsolatamente che sarebbe stato difficile per gli Stati Uniti sostenere l’Italia se neanche i business men, che «avevano materialmente molto da perdere e beneficiavano più di tutti della coalizione centrista», si muovevano <148.
Da questo memorandum si evince che tra i due esisteva più di un punto di contatto <149. Ci riferiamo, in particolare, a Trieste e alle paure per l’avanzata dei socialcomunisti, manifestato per la prima volta nell’analisi della Luce di inizio novembre <150. Altro fattore degno di nota è che nella primavera del 1953, ricordava la Luce a Gruenther, <151 De Gasperi aveva sollecitato la Nato a considerare seriamente la minaccia del comunismo in Italia. In tale occasione, la ricerca della legittimazione dell’Alleanza atlantica poteva evitare le accuse «di attaccare partiti legali e fare una politica di parte». Ma non venne presa nessuna risoluzione a causa «dell’opposizione inglese, in accordo con noi [gli Usa]». Piuttosto delusa, l’ambasciatrice commentava amaramente: «se la Nato è soddisfatta di questo livello di infiltrazione comunista, perché dovremmo lamentarci noi, come ambasciata, della mancanza di forti misure contro il comunismo in politica interna?» <152.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il primo impatto con Mario Scelba, a fine novembre 1953, fu disastroso. In una conversazione definita «inutile e sconcertante», Clare Luce apprendeva l’avversità del politico siciliano ad azioni dirette contro il comunismo e la sua «mancanza di convinzioni» a riguardo. Qualsiasi misura - anche in questo caso mai formalizzata chiaramente - era da lui ritenuta politicamente pericolosa e avrebbe potuto essere presa solo da un «governo di centro stabile e pronto ad un attacco totale». Scelba, secondo la Luce, appariva preoccupato solo di «sopravvivere, se necessario, in uno qualsiasi dei due campi» <153. Questo incontro rafforzò lo scetticismo nei confronti della Dc e della sua capacità di combattere il comunismo.
A differenza di Scelba, il segretario del Pnm Covelli non lesinò critiche feroci al partito di maggioranza relativa. In un memorandum dell’11 dicembre espose alla ricettiva ambasciatrice le sue preoccupazioni relative all’Italia, che «in assenza di provvedimenti decisi, rigorosi e unitari, avrebbe potuto essere il primo Stato dell’Europa occidentale a diventare comunista legalmente». Tra le altre cose sottolineava la necessità sia di sopprimere il commercio con i Paesi oltre-cortina, sia di combattere la «benevolenza» con cui la Dc aveva trattato il comunismo nei cinque anni passati <154.
Nelle ultime due settimane di dicembre, numerosi furono i contatti tra l’ambasciata e Washington con a tema l’Italia <155. Ne risultarono tre proposte, più o meno chiare. Innanzitutto, si invocava la riduzione degli investimenti per contenere il comunismo. L’invio di armi e mezzi, secondo questa lettura, avrebbe potuto essere utilizzato da un ipotetico regime non democratico contro gli stessi americani. Poi, seconda questione, esistevano «potenti individui, nell’industria e nel governo italiano» che, con il sostegno degli Usa, sarebbero stati pronti a mettere in atto azioni decisive contro il Pci. Non avrebbero fatto un passo senza la certezza degli aiuti dall’estero e arrivarono perfino a dubitare della sincera opposizione degli Usa al Pci. Alcuni di questi personaggi esprimevano una sorta di “oltranzismo atlantico” ben presente nella destra italiana. Infine, gli Stati Uniti dovevano «obbligare» gli italiani a rendersi conto da che parte stavano. In questo senso, la riduzione delle Osp o la minaccia della loro cancellazione, come auspicato da Pacciardi, suscitò la reazione del generale Stewart, che le ricordò la competenza del governo americano in materia <156. La Luce scrisse che i comunisti stavano esercitando «grande influenza, se non completo controllo di settori vitali per la nazione, come i mezzi di comunicazione, la stampa, i trasporti e le industrie». In forza di questo, l’Italia avrebbe avuto «grandi difficoltà a combattere dalla nostra parte» <157. In altre missive spedite al senatore Wiley e al Dipartimento della Difesa ritroviamo lo stesso tono allarmato per uno Stato che, in assenza di immediati quanto generici provvedimenti, stava lentamente scivolando nell’orbita sovietica. Confrontando tale corrispondenza con i memoranda dell’ambasciata, si nota una reiterazione - spesso tramite le stesse identiche parole - nel modo di esprimere l’avanzata della sinistra e di denunciare l’inettitudine della Democrazia cristiana. Insistere sui colloqui consente di cogliere una comunanza di idee, per certi versi sorprendente, tra l’ambasciatrice, De Gasperi, Pacciardi e Covelli. La paura che l’Italia diventasse comunista per vie legali e il conseguente approccio poco “morbido” verso il Pci non possono essere ricondotte solo a una «radicata convinzione ideologica» o a uno «strumento utilizzato consapevolmente allo scopo di tenere l’avversario sempre all’erta» <158. C’erano anche personalità politiche di primo piano, come risulta dalla documentazione d’archivio, fermamente convinte di questo. Vero è che all’esplicitazione del pericolo seguirono sempre indicazioni vaghe sia parte italiana che statunitense. Ma è doveroso ricordare il ruolo dei nostri politici nella condivisione - o nella critica, come nel caso di Scelba - dei timori della Luce. Diverse furono le reazioni dei centri decisionali Usa agli avvertimenti di Mrs. Luce. Casa Bianca e Dipartimento di Stato stavano elaborando una strategia simile con l’istituzione dell’Operations Coordinating Board in sostituzione del PSB, che aveva avuto il compito di attuare il piano Demagnetize-Clydesdale. Le differenze tra i due organi, escludendo una maggiore attenzione per l’europeismo dell’OCB, erano trascurabili. In sostanza, si trattava di un piano di “guerra psicologica” - il cui principale difetto rimaneva la vaghezza - in linea di continuità con quello formulato dall’amministrazione Truman <159. Dal Dipartimento della Difesa giungevano perplessità su una condotta troppo aggressiva in materia sindacale, in realtà più per ragioni di competenza - quindi di forma - che di sostanza. Nello stesso tempo, si ringraziava per aver suscitato un dibattito sulla Penisola. Emerse, comunque, la necessità di un viaggio chiarificatore di Mrs. Luce a Washington. Gli scenari prospettati dall’ambasciata furono, invece, in buona parte ridimensionati dalla sezione analitica della Cia, dove il personale era timoroso di una deriva autoritaria di destra più che di un takeover comunista. Che il consenso per socialisti e comunisti stesse crescendo era innegabile, ma non così tanto - secondo il direttore Allen Dulles - da pensare ad una conquista del potere tramite libere elezioni <160.
Il 1954, ormai alle porte, sarebbe stato un anno convulso e decisivo per il rapporto Stati Uniti-Italia. Convulso perché si alternarono nei primi mesi due governi che alimentarono i timori per la fragilità politico-istituzionale dell’Italia. In più, da parte americana si concretizzarono le pressioni sindacali abbozzate a fine ’53 e venne redatto il nuovo documento-quadro sulla politica da tenere nei confronti del nostro Paese. Non tardò, poi, a venire a galla quell’oltranzismo atlantico tutto italiano di cui si accennava. Un oltranzismo che in nome della solidarietà al blocco occidentale era pronto a mettere in discussione la democrazia.
Fu anche un anno decisivo, il 1954. Perché rivelò l’incontro-scontro tra la Luce e la destra in tutte le sue sfaccettature. Rivelò, cioè, la reale consistenza - in parlamento e nella società - di monarchici, missini e destra “impolitica”. Infine, amplificò i pregiudizi dell’ambasciatrice per l’Italia del tempo, sprofondata a suo parere in una sorta di limbo tra un passato fascista e un futuro comunista. E per il suo popolo, definito senza mezzi termini «incline all’autoritarismo».
[NOTE]
144 Per ammissione dell’ambasciatrice, gli ultimi due mesi del ’53 - e in particolare le ultime settimane - furono decisivi nel determinare un cambiamento di valutazione sul caso Italia, si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 196.
145 Del Pero ha reperito per primo il memorandum con Pacciardi, citato in M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 194 e 205. Quello con Scelba del 27 novembre è presente in NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53 ed è stato integralmente pubblicato in FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1640-1642.
146 Memorandum of conversation, C.B. Luce, R. Pacciardi, November 19, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53, anche in RG 59, C-3, Box 4, 765.00/11-2753. Si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 194-195.
147 Da qui la necessità di rivedere, o quanto meno di smussare, diversi giudizi della storiografia italiana: E. Di Nolfo, La Repubblica delle speranze e degli inganni, cit. p. 400; Id., Italia e Stati Uniti: un’alleanza diseguale, cit., p. 24; S. Colarizi, Storia del novecento italiano, cit., p. 344; S. Lupo, Partito e antipartito, cit. p. 106; L. Sebesta, L’Europa indifesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano, 1948-1955, Ponte alle Grazie, Firenze, 1991, p. 213; M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la «guerra psicologica», cit., p. 985; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 16 n. Non molto convincenti sono poi i lavori agiografici: G. Giordano, Clare Boothe Luce, cit.; M. Parodi, Clare Boothe Luce. Storia di una donna speciale, cit.
148 Memorandum of conversation, C.B. Luce, A. De Gasperi, November 21, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53.
149 Di diverso avviso, ma senza citare il documento, sono A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., pp. 75-76 e M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 197.
150 Estimate of italian situation, cit.
151 Supreme Allied Commander in Europe, ruolo ricoperto da Eisenhower nell’amministrazione Truman.
152 C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), December 11, 1953, DDEL, AG Papers, 1941-1983, Nato Series, Box 1, f. Top Secret correspondence (3). Disponibile, non interamente, in FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1642-1645. Sulla delusione della Luce per l’emarginazione politica di De Gasperi si veda E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 55.
153 C.B. Luce to the Department of State, November 30, 1953, FRUS, 1952-1954, VI, pt. 2, pp. 1640-1642.
154 Memorandum of conversation, A. Covelli, E. Patrissi (Pnm), A. Gaetani (President Confederazione Italiana dell’Agricoltura), E. Stolfi (Pnm), G. Branca (Italian land-owner), E. Durbrow (Minister Counselor, Embassy), December 11, 1953, NARA, RG 59, C-3, Box 4.
155 Si vedano Conversation with the U.S. Ambassador to Italy, G. Stewart (Mayor General, U.S. Army) to Assistant Secretary of Defense, December 16, 1953; C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), December 11, 1953; A. Gruenther to C.B. Luce, December 18, 1953, DDEL, AG Papers, 1941-1983, Nato Series, Box 1, f. Top Secret correspondence (3); Memorandum of conversation between Secretary Nash and Major General Christensen, December 15, 1953, NARA, RG 59, Subject files of the Bureau of Intelligence and Research (Inr), 1945-1960, Lot File 58D776, Box 12, f. Italy; C.B. Luce to A. Wiley (Republican Senator), December 14, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 10, f. Correspondence and miscellaneous, 1953, citato in M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 195.
156 Conversation with the U.S. Ambassador to Italy, cit. Stewart suggerì di incontrare Voorhees, direttore del programma Osp per l’Europa. L’incontro sarebbe avvenuto all’inizio del 1954. Sull’importanza delle commesse come strumento di pressione si veda la lettera della Luce al Dipartimento di Stato del 24 dicembre ’53, FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1647-1648. Per un inquadramento più generale in merito alle commesse americane in Italia si veda il lavoro di L. Sebesta, L’Europa indifesa, cit., pp. 206-230.
157 C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), cit.
158 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 20.
159 E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 52; M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 207-209; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 18. Per il piano Demagnetize-Clydesdale si rimanda a M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la «guerra psicologica», cit. L’executive order 10483 del 2 settembre 1953 istituì l’OCB. I membri del Board erano: il sottosegretario di Stato, che rappresentava il Segretario di Stato, il vice segretario della Difesa, che rappresentava il Segretario alla Difesa, il direttore del Foa, il direttore della Cia e un rappresentante del Presidente da lui designato, si veda FRUS, 1952-54, II, pt. 2, p. 455.
160 Discussion at the 178th Meeting of the National Security Council, December 30, 1953, DDEL, AW File, NSC Series, Box 4, f. 178th Meeting of the NSC. La sottolineatura dell’orientamento liberal della Cia è merito di M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 196.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010
Randolfo Pacciardi, amico personale della Luce, giudicava aveva espresso forti critiche sull’operato di Pella e paventava spostamenti a destra del baricentro politico, che avrebbero, con ogni probabilità, fatto «crollare» la coalizione di centro. Per prevenire questa involuzione, suggeriva di puntare sul centrismo con una forte leadership e su una decisa politica a favore della Ced. In caso contrario, i comunisti avrebbero continuato il loro «subdolo gioco» per i successivi due anni. Un governo spostato sempre più a destra avrebbe senz’altro favorito questo processo. Compito dell’ambasciata, secondo l’esponente del Pri, era comunicare la delicata fase che stava attraversando l’Italia agli editori di tre importanti quotidiani: «Corriere della Sera», «Il Messaggero» e «Il Tempo». Così da sottolineare che «a causa della stupidità della destra», il Pci - in assenza di azioni rigorose - avrebbe conquistato il potere legalmente nell’arco di due anni. Altra priorità era la necessità di esporre il contesto a De Gasperi, che «con il suo prestigio e la sua influenza poteva fare molto per salvare la situazione». Infine, Pacciardi ricordava a Clare Boothe Luce che gli americani avevano erogato fin troppi soldi e che il problema dell’Italia non era economico ma politico. Gli italiani, cioè, dovevano smettere di chiedere soldi. E gli americani dovevano far capire che sarebbero andati avanti anche senza di loro. Più in generale, era indispensabile «risvegliare i leader politici dal loro letargo». A Pella - continuava Pacciardi - bisognava dire che, «in assenza dell’approvazione della Ced e di provvedimenti immediati contro il comunismo, tutti gli aiuti sarebbero stati tagliati, incluse le commesse off shore» <146.
Molte, se non tutte, le future azioni dell’ambasciata sarebbero andate proprio in questa direzione. La disponibilità nel seguire pedissequamente i consigli di Pacciardi - come era successo con Montanelli qualche mese prima - è un fatto che va ricordato per dare il giusto peso alle origini dell’interventismo dell’ambasciatrice. Origini che non trovano spiegazioni convincenti solo nella sua formazione personale, nel suo carattere irruento e, tantomeno, nella sua conversione religiosa, come spesso - riduttivamente - è stato fatto <147.
Due giorni dopo, su richiesta della Luce, De Gasperi si presentò a Villa Taverna. I temi affrontati nel lungo colloquio furono essenzialmente quelli proposti da Pacciardi. Su tutti, il crescente pericolo comunista e il risentimento dell’opinione pubblica americana per la «riluttanza, o incapacità» dell’Italia nel cooperare con gli Stati Uniti. Mrs. Luce non esitò a comunicare che gli Stati Uniti avrebbero potuto rivedere non solo gli aiuti economici ma anche l’intera strategia militare verso l’Italia. E di fronte all’avanzata della sinistra, suggeriva azioni - piuttosto generiche - per «distruggere l’apparato del Pci».
Anche De Gasperi - è bene sottolinearlo - temeva la possibilità che il Pci potesse prendere il potere legalmente: «la sinistra era contenta di contrastare qualsiasi progresso italiano nelle politiche filo-occidentali e avrebbe nascosto la sua forza crescente fino al 1955, quando sarebbe stata pronta a prendere definitivamente il potere». E giudicava la situazione «molto, molto pericolosa». La prova di questo - secondo l’ex presidente del Consiglio - era il fatto che avesse accettato di rimanere segretario del partito: la carica veniva percepita «un umiliante passo indietro» imposto dalle circostanze critiche. Il suo compito, «terribile e pesante», era quello di «sviluppare il morale, l’organizzazione e lo spirito battagliero della Dc» coi pochi fondi a disposizione del partito. Alle richieste di azioni dirette contro il Pci, obiettava la mancanza di soldi e di tempo, oltre che di una linea unitaria. Lo statista trentino, peraltro, temeva anche uno scivolamento verso destra. Eventualità che, fisiologicamente, avrebbe portato ad un rafforzamento della sinistra. Criticando la virata nazionalista dell’esecutivo Pella, De Gasperi insisteva sulla decisività della questione di Trieste. In caso di mancata soluzione, il governo avrebbe incontrato «il falso e stupido nazionalismo della destra e l’altrettanto falso, ma più furbo, nazionalismo della sinistra».
Clare Boothe Luce, infine, lo incalzava sulla necessità di coinvolgere e responsabilizzare gli industriali. Notava sconsolatamente che sarebbe stato difficile per gli Stati Uniti sostenere l’Italia se neanche i business men, che «avevano materialmente molto da perdere e beneficiavano più di tutti della coalizione centrista», si muovevano <148.
Da questo memorandum si evince che tra i due esisteva più di un punto di contatto <149. Ci riferiamo, in particolare, a Trieste e alle paure per l’avanzata dei socialcomunisti, manifestato per la prima volta nell’analisi della Luce di inizio novembre <150. Altro fattore degno di nota è che nella primavera del 1953, ricordava la Luce a Gruenther, <151 De Gasperi aveva sollecitato la Nato a considerare seriamente la minaccia del comunismo in Italia. In tale occasione, la ricerca della legittimazione dell’Alleanza atlantica poteva evitare le accuse «di attaccare partiti legali e fare una politica di parte». Ma non venne presa nessuna risoluzione a causa «dell’opposizione inglese, in accordo con noi [gli Usa]». Piuttosto delusa, l’ambasciatrice commentava amaramente: «se la Nato è soddisfatta di questo livello di infiltrazione comunista, perché dovremmo lamentarci noi, come ambasciata, della mancanza di forti misure contro il comunismo in politica interna?» <152.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il primo impatto con Mario Scelba, a fine novembre 1953, fu disastroso. In una conversazione definita «inutile e sconcertante», Clare Luce apprendeva l’avversità del politico siciliano ad azioni dirette contro il comunismo e la sua «mancanza di convinzioni» a riguardo. Qualsiasi misura - anche in questo caso mai formalizzata chiaramente - era da lui ritenuta politicamente pericolosa e avrebbe potuto essere presa solo da un «governo di centro stabile e pronto ad un attacco totale». Scelba, secondo la Luce, appariva preoccupato solo di «sopravvivere, se necessario, in uno qualsiasi dei due campi» <153. Questo incontro rafforzò lo scetticismo nei confronti della Dc e della sua capacità di combattere il comunismo.
A differenza di Scelba, il segretario del Pnm Covelli non lesinò critiche feroci al partito di maggioranza relativa. In un memorandum dell’11 dicembre espose alla ricettiva ambasciatrice le sue preoccupazioni relative all’Italia, che «in assenza di provvedimenti decisi, rigorosi e unitari, avrebbe potuto essere il primo Stato dell’Europa occidentale a diventare comunista legalmente». Tra le altre cose sottolineava la necessità sia di sopprimere il commercio con i Paesi oltre-cortina, sia di combattere la «benevolenza» con cui la Dc aveva trattato il comunismo nei cinque anni passati <154.
Nelle ultime due settimane di dicembre, numerosi furono i contatti tra l’ambasciata e Washington con a tema l’Italia <155. Ne risultarono tre proposte, più o meno chiare. Innanzitutto, si invocava la riduzione degli investimenti per contenere il comunismo. L’invio di armi e mezzi, secondo questa lettura, avrebbe potuto essere utilizzato da un ipotetico regime non democratico contro gli stessi americani. Poi, seconda questione, esistevano «potenti individui, nell’industria e nel governo italiano» che, con il sostegno degli Usa, sarebbero stati pronti a mettere in atto azioni decisive contro il Pci. Non avrebbero fatto un passo senza la certezza degli aiuti dall’estero e arrivarono perfino a dubitare della sincera opposizione degli Usa al Pci. Alcuni di questi personaggi esprimevano una sorta di “oltranzismo atlantico” ben presente nella destra italiana. Infine, gli Stati Uniti dovevano «obbligare» gli italiani a rendersi conto da che parte stavano. In questo senso, la riduzione delle Osp o la minaccia della loro cancellazione, come auspicato da Pacciardi, suscitò la reazione del generale Stewart, che le ricordò la competenza del governo americano in materia <156. La Luce scrisse che i comunisti stavano esercitando «grande influenza, se non completo controllo di settori vitali per la nazione, come i mezzi di comunicazione, la stampa, i trasporti e le industrie». In forza di questo, l’Italia avrebbe avuto «grandi difficoltà a combattere dalla nostra parte» <157. In altre missive spedite al senatore Wiley e al Dipartimento della Difesa ritroviamo lo stesso tono allarmato per uno Stato che, in assenza di immediati quanto generici provvedimenti, stava lentamente scivolando nell’orbita sovietica. Confrontando tale corrispondenza con i memoranda dell’ambasciata, si nota una reiterazione - spesso tramite le stesse identiche parole - nel modo di esprimere l’avanzata della sinistra e di denunciare l’inettitudine della Democrazia cristiana. Insistere sui colloqui consente di cogliere una comunanza di idee, per certi versi sorprendente, tra l’ambasciatrice, De Gasperi, Pacciardi e Covelli. La paura che l’Italia diventasse comunista per vie legali e il conseguente approccio poco “morbido” verso il Pci non possono essere ricondotte solo a una «radicata convinzione ideologica» o a uno «strumento utilizzato consapevolmente allo scopo di tenere l’avversario sempre all’erta» <158. C’erano anche personalità politiche di primo piano, come risulta dalla documentazione d’archivio, fermamente convinte di questo. Vero è che all’esplicitazione del pericolo seguirono sempre indicazioni vaghe sia parte italiana che statunitense. Ma è doveroso ricordare il ruolo dei nostri politici nella condivisione - o nella critica, come nel caso di Scelba - dei timori della Luce. Diverse furono le reazioni dei centri decisionali Usa agli avvertimenti di Mrs. Luce. Casa Bianca e Dipartimento di Stato stavano elaborando una strategia simile con l’istituzione dell’Operations Coordinating Board in sostituzione del PSB, che aveva avuto il compito di attuare il piano Demagnetize-Clydesdale. Le differenze tra i due organi, escludendo una maggiore attenzione per l’europeismo dell’OCB, erano trascurabili. In sostanza, si trattava di un piano di “guerra psicologica” - il cui principale difetto rimaneva la vaghezza - in linea di continuità con quello formulato dall’amministrazione Truman <159. Dal Dipartimento della Difesa giungevano perplessità su una condotta troppo aggressiva in materia sindacale, in realtà più per ragioni di competenza - quindi di forma - che di sostanza. Nello stesso tempo, si ringraziava per aver suscitato un dibattito sulla Penisola. Emerse, comunque, la necessità di un viaggio chiarificatore di Mrs. Luce a Washington. Gli scenari prospettati dall’ambasciata furono, invece, in buona parte ridimensionati dalla sezione analitica della Cia, dove il personale era timoroso di una deriva autoritaria di destra più che di un takeover comunista. Che il consenso per socialisti e comunisti stesse crescendo era innegabile, ma non così tanto - secondo il direttore Allen Dulles - da pensare ad una conquista del potere tramite libere elezioni <160.
Il 1954, ormai alle porte, sarebbe stato un anno convulso e decisivo per il rapporto Stati Uniti-Italia. Convulso perché si alternarono nei primi mesi due governi che alimentarono i timori per la fragilità politico-istituzionale dell’Italia. In più, da parte americana si concretizzarono le pressioni sindacali abbozzate a fine ’53 e venne redatto il nuovo documento-quadro sulla politica da tenere nei confronti del nostro Paese. Non tardò, poi, a venire a galla quell’oltranzismo atlantico tutto italiano di cui si accennava. Un oltranzismo che in nome della solidarietà al blocco occidentale era pronto a mettere in discussione la democrazia.
Fu anche un anno decisivo, il 1954. Perché rivelò l’incontro-scontro tra la Luce e la destra in tutte le sue sfaccettature. Rivelò, cioè, la reale consistenza - in parlamento e nella società - di monarchici, missini e destra “impolitica”. Infine, amplificò i pregiudizi dell’ambasciatrice per l’Italia del tempo, sprofondata a suo parere in una sorta di limbo tra un passato fascista e un futuro comunista. E per il suo popolo, definito senza mezzi termini «incline all’autoritarismo».
[NOTE]
144 Per ammissione dell’ambasciatrice, gli ultimi due mesi del ’53 - e in particolare le ultime settimane - furono decisivi nel determinare un cambiamento di valutazione sul caso Italia, si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 196.
145 Del Pero ha reperito per primo il memorandum con Pacciardi, citato in M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 194 e 205. Quello con Scelba del 27 novembre è presente in NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53 ed è stato integralmente pubblicato in FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1640-1642.
146 Memorandum of conversation, C.B. Luce, R. Pacciardi, November 19, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53, anche in RG 59, C-3, Box 4, 765.00/11-2753. Si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 194-195.
147 Da qui la necessità di rivedere, o quanto meno di smussare, diversi giudizi della storiografia italiana: E. Di Nolfo, La Repubblica delle speranze e degli inganni, cit. p. 400; Id., Italia e Stati Uniti: un’alleanza diseguale, cit., p. 24; S. Colarizi, Storia del novecento italiano, cit., p. 344; S. Lupo, Partito e antipartito, cit. p. 106; L. Sebesta, L’Europa indifesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano, 1948-1955, Ponte alle Grazie, Firenze, 1991, p. 213; M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la «guerra psicologica», cit., p. 985; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 16 n. Non molto convincenti sono poi i lavori agiografici: G. Giordano, Clare Boothe Luce, cit.; M. Parodi, Clare Boothe Luce. Storia di una donna speciale, cit.
148 Memorandum of conversation, C.B. Luce, A. De Gasperi, November 21, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’53.
149 Di diverso avviso, ma senza citare il documento, sono A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., pp. 75-76 e M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 197.
150 Estimate of italian situation, cit.
151 Supreme Allied Commander in Europe, ruolo ricoperto da Eisenhower nell’amministrazione Truman.
152 C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), December 11, 1953, DDEL, AG Papers, 1941-1983, Nato Series, Box 1, f. Top Secret correspondence (3). Disponibile, non interamente, in FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1642-1645. Sulla delusione della Luce per l’emarginazione politica di De Gasperi si veda E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 55.
153 C.B. Luce to the Department of State, November 30, 1953, FRUS, 1952-1954, VI, pt. 2, pp. 1640-1642.
154 Memorandum of conversation, A. Covelli, E. Patrissi (Pnm), A. Gaetani (President Confederazione Italiana dell’Agricoltura), E. Stolfi (Pnm), G. Branca (Italian land-owner), E. Durbrow (Minister Counselor, Embassy), December 11, 1953, NARA, RG 59, C-3, Box 4.
155 Si vedano Conversation with the U.S. Ambassador to Italy, G. Stewart (Mayor General, U.S. Army) to Assistant Secretary of Defense, December 16, 1953; C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), December 11, 1953; A. Gruenther to C.B. Luce, December 18, 1953, DDEL, AG Papers, 1941-1983, Nato Series, Box 1, f. Top Secret correspondence (3); Memorandum of conversation between Secretary Nash and Major General Christensen, December 15, 1953, NARA, RG 59, Subject files of the Bureau of Intelligence and Research (Inr), 1945-1960, Lot File 58D776, Box 12, f. Italy; C.B. Luce to A. Wiley (Republican Senator), December 14, 1953, NARA, RG 84, CBL, Box 10, f. Correspondence and miscellaneous, 1953, citato in M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 195.
156 Conversation with the U.S. Ambassador to Italy, cit. Stewart suggerì di incontrare Voorhees, direttore del programma Osp per l’Europa. L’incontro sarebbe avvenuto all’inizio del 1954. Sull’importanza delle commesse come strumento di pressione si veda la lettera della Luce al Dipartimento di Stato del 24 dicembre ’53, FRUS, 1952-54, VI, pt. 2, pp. 1647-1648. Per un inquadramento più generale in merito alle commesse americane in Italia si veda il lavoro di L. Sebesta, L’Europa indifesa, cit., pp. 206-230.
157 C.B. Luce to A. Gruenther (Supreme Allied Commander in Europe), cit.
158 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 20.
159 E. Ortona, Anni d’America, cit., p. 52; M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 207-209; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 18. Per il piano Demagnetize-Clydesdale si rimanda a M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la «guerra psicologica», cit. L’executive order 10483 del 2 settembre 1953 istituì l’OCB. I membri del Board erano: il sottosegretario di Stato, che rappresentava il Segretario di Stato, il vice segretario della Difesa, che rappresentava il Segretario alla Difesa, il direttore del Foa, il direttore della Cia e un rappresentante del Presidente da lui designato, si veda FRUS, 1952-54, II, pt. 2, p. 455.
160 Discussion at the 178th Meeting of the National Security Council, December 30, 1953, DDEL, AW File, NSC Series, Box 4, f. 178th Meeting of the NSC. La sottolineatura dell’orientamento liberal della Cia è merito di M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 196.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010

