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domenica 29 giugno 2025

Dal Dipartimento di Stato giunsero alla conclusione che il Movimento sociale non poteva essere equiparato al partito fascista


Le elezioni amministrative del 1951-52 sono state un banco di prova per tutte le forze politiche italiane di varia estrazione. In primo luogo perché era il primo test elettorale che dovettero affrontare i partiti di centro, e la Dc in particolare, dopo la netta vittoria del 1948. In secondo luogo perché potevano essere considerate una sorta di “prova generale” prima delle elezioni politiche del 1953. Il voto locale era in qualche misura specchio della situazione nazionale. Ne esprimeva gli umori, le insofferenze e i nervi scoperti. E se i consensi al governo stavano calando, il più delle volte, il voto rafforzava gli interpreti della protesta. Nella primavera del 1951 votava solo l’Italia centro-settentrionale, dove le destre avevano una scarsa consistenza. Sui motivi dello scaglionamento in due tornate non c’è accordo tra gli storici. Da parte monarchica, si è sottolineato il tentativo di influenzare l’esito delle successive elezioni nelle «roccaforti monarchiche del Meridione» <160. Secondo altri, tuttavia, non si possono trascurare «i tempi di approvazione della revisione delle circoscrizioni elettorali», al di là delle motivazioni politiche dei partiti di governo contrarie ad un voto contestuale di Nord e Sud <161.
Una novità importante era poi costituita dal sistema elettorale. Nei comuni con più di 10mila abitanti esisteva la possibilità di apparentarsi. La lista in grado di raggiungere la maggioranza relativa avrebbe beneficiato di un premio pari ai due terzi dei seggi, mentre i rimanenti sarebbero stati attribuiti proporzionalmente fra le altre <162. Concorrevano, in altri termini, non singoli partiti ma liste collegate. Dopo il fallimento della “grande destra“ a causa del rifiuto dei liberali, si presentarono uniti monarchici e missini. Tuttavia, nelle situazioni locali, interagivano fattori che potevano facilitare manovre diverse. Si pensi alla minaccia di scioglimento del Msi, al tentativo di apertura ai monarchici e all’ipotesi di una lista estesa a tutti i partiti anticomunisti nella capitale.
Per quanto riguarda la strategia democristiana nei confronti delle destre è utile ricordare che convivevano due approcci diversi: uno più negativo-repressivo, cioè la legge Scelba, e l’altro più positivo-propositivo, ossia il tentativo di aprire al partito monarchico.
Già dal 1950 il governo stava preparando una legge destinata a mettere fuori legge il Movimento sociale italiano. Era Mario Scelba - ministro dell’Interno - il più preoccupato della possibile deriva non democratica dei neofascisti. All’interno della Dc e del clero coesistevano però opinioni anche molto distanti. Alcuni, per esempio, vedevano positivamente un allargamento ai missini del fronte anticomunista. Ci riferiamo soprattutto a Mons. Ronca e a Luigi Gedda. Da segnalare anche Mons. Angelini, che dopo la prima tornata al Nord e il significativo aumento delle destre, in un memorandum parlava di una Dc ormai egemonizzata dai «Dossetti leftwingers». E giudicava il pericolo da destra sostanzialmente inesistente. Anzi, affermava di conoscere alcuni «eccellenti uomini del Msi che avrebbero fatto quello che vogliamo noi, se la Dc non fosse così irragionevole». <163 Sulla scia di quanto affermato da Angelini, sempre nel ’51, il vicecapo della polizia e direttore degli “Affari riservati” Gesualdo Barletta giudicò l’avanzata del Msi «significativa e non del tutto sgradita» <164. Era uno spaccato del substrato fascista che esisteva in parte della società italiana e della pubblica amministrazione. D’altra parte, erano passati solo pochi anni dalla fine del conflitto e di un ventennio di dittatura che aveva egemonizzato la burocrazia, tanto che la storiografia ha individuato nella preponderanza dello Stato sul partito uno dei caratteri distintivi del fascismo, a differenza di altri fenomeni politici degli anni ’30. A questo bisogna aggiungere una certa ritrosia a fare i conti con il proprio passato, sforzo da cui l’opinione pubblica moderata si è per lungo tempo tenuta lontana <165.
La minaccia della scomunica ai missini aveva anche la funzione di spaventare gli elettori di fede monarchica. Allearsi con coloro che avevano ricostituito il “disciolto partito fascista” doveva - secondo i promotori della legge - far desistere il Pnm dall’apparentamento <166. Per essere incisivo, il provvedimento avrebbe dovuto essere approvato prima delle elezioni, o perlomeno prima della tornata meridionale, dove i partiti di destra avevano gran parte dei loro consensi. Tuttavia, a causa della pervicace opposizione missina ma anche della scarsa collaborazione dei comunisti, la legge fu approvata troppo tardi. Il Pci, infatti, aveva un certo interesse a non spingere troppo per il voto della legge, che - temeva - non sarebbe stata confinata al Msi ma estesa a tutte le formazioni totalitarie, sia di destra che di sinistra. In più, l’erosione del consenso democristiano da destra non era invisa a comunisti e socialisti perché avrebbe indebolito il partito di maggioranza <167. Il provvedimento rimase, comunque, sostanzialmente inapplicato. Ad elezioni concluse, lo stesso Scelba avrebbe confidato al consigliere d’ambasciata [americana] Fraleigh l’intento di non attuarlo «almeno per un po’ di tempo». Voleva aspettare il congresso missino di luglio, anche perché il rischio - si legge in un documento inedito - era che «i fascisti fossero troppo ingabbiati per fare qualsiasi cosa che giustificasse l’invocazione della legge» <168.
L’esistenza di un partito antidemocratico non era un problema circoscritto all’Italia o alla scadenza elettorale. L’appartenenza a una formazione del genere, per esempio, escludeva le possibilità di emigrare negli Usa. Implicitamente, quindi, contribuiva ad aggravare la situazione del nostro Paese, dato che la sovrappopolazione e la scarsità di risorse erano tra i maggiori problemi del dopoguerra. Del resto un tema all’ordine del giorno era il crescente antiamericanismo in Europa e in Italia, dove non si poteva continuare a inimicarsi la popolazione. A questo proposito, fu la concessione dei visti a porre la questione all’attenzione del Dipartimento di Stato. Esisteva infatti una norma - l’Internal Security Act o Mc Carran Act <169 - che vietava l’ingresso negli Stati Uniti agli appartenenti ai partiti totalitari. Primariamente, aveva la funzione di evitare l’entrata dei comunisti, ma trovava applicazione anche a chi aveva aderito al partito fascista o era membro del Msi. Da qui nacquero una serie di problemi interpretativi in vista di potenziali effetti negativi tanto per gli Usa quanto per l’Italia. Vale la pena riportare le valutazioni del Minister Counselor dell’ambasciata Thompson: "Sebbene io non nutra certo alcuna simpatia per il Msi e lo consideri una seria minaccia alla democrazia italiana, e perciò agli interessi americani, sarei contro una regola generale per la quale l’appartenenza al Msi renda il richiedente automaticamente inammissibile. Il Msi sembra composto da tutte le categorie di persone. Abbiamo offeso e reso nemici così tanti italiani con l’applicazione delle nostre severe leggi sull’immigrazione che credo sarebbe molto spiacevole aggiungere un’altra interpretazione rigida alla lista" <170.
Dal Dipartimento di Stato, Knight e Greene giunsero alla conclusione che il Movimento sociale non poteva essere equiparato al partito fascista e non era, secondo i canoni americani, un partito totalitario. Argomentazioni simili a quelle di Thompson si trovano anche in altri documenti, in cui prevale l’ipotesi di un’interpretazione del Mc Carran Act in senso non restrittivo per diverse ragioni. Oltre al pericolo di inimicarsi troppo la popolazione italiana - certo non una strategia lungimirante in periodo elettorale - era necessario prendere coscienza che una vasta porzione di italiani aveva avuto in passato «una qualche connessione con il regime fascista». Nella grande maggioranza dei casi era una connessione «nominale o involontaria». Si pensi all’obbligo per i giovani di iscriversi a certe organizzazioni, o alla necessità di avere la tessera di partito per poter continuare un’attività professionale. Alcuni, che erano stati fascisti, poi cooperarono con gli Alleati. Alla questione, quindi, andava dato il giusto peso senza eccessive criminalizzazioni. Infine, esisteva un problema legato all’immigrazione di italiani che potevano essere educati ai valori della productivity americana. Una lettura rigida dell’Internal Security Act avrebbe determinato l’impossibilità di accogliere e formare businessmen, educatori, tecnici e altri specialisti di varia estrazione. Tale eventualità sarebbe stata indubbiamente di ostacolo per il futuro delle relazioni italo-americane <171.
Thompson, dall’ambasciata romana, pensava che l’obiettivo di Scelba non fosse solo quello di colpire le attività sovversive del Msi, ma anche quello di «porre le basi per l’eliminazione integrale del partito e rendere così possibile l’estensione a destra della coalizione democratica» <172, ossia del Pnm. Era questa la seconda strategia abbozzata dalla componente più conservatrice della Democrazia cristiana.
Nei primi due mesi del 1952 non erano ancora ben definite le possibilità di un’alleanza tra il Pnm e la Dc. Anche secondo gli osservatori americani la situazione appariva poco chiara, tanto da essere definita «fluida, confusa e non molto promettente» <173. A conferma di ciò, Horsey scriveva a Greene (Office of Western European Affairs) che «i nostri rapporti hanno dato l’impressione di una scena politica italiana confusa. Potrebbe essere di conforto sapere che la nostra opinione è condivisa da Guareschi» <174.
A partire da gennaio Gonella aveva cominciato a trattare col partito di Covelli <175, ma aveva dovuto fare i conti con l’ostilità del Psdi, contrario ad un’apertura a destra <176. Da parte della Dc era chiara l’intenzione di sfruttare i consensi monarchici al Sud. Complicava il quadro la scissione all’interno del Pnm in Sicilia ad opera del principe Giovanni Francesco Alliata di Montereale <177, che aveva fondato con Leone-Marchesano il Fronte Nazionale Monarchico, formato dai “monarchici di sinistra” e più incline a sostenere riforme sociali. Il Fnm, fin dal 1947, non aveva risparmiato critiche alla gestione Covelli, ma sulla nascita del Fronte esistono plausibili sospetti di una regia democristiana <178. Creare fratture nell’area di destra aveva lo scopo di irrobustire la Dc e screditare l’alleanza monarchico-missina. I democristiani, in sostanza, erano ingabbiati in una situazione non facile: non erano stati abbastanza «di sinistra» per attrarre il voto delle classi popolari e contemporaneamente si erano inimicati gli elementi conservatori, all’interno e all’esterno del partito, grazie a «certe politiche sociali e al tough talking contro la destra da parte del governo» <179.
Covelli, con l’approssimarsi del voto al Sud, criticò aspramente la Dc per «l’inerzia degli ultimi tre anni». Dando l’impressione di voler compiacere il suo interlocutore americano, il segretario del Pnm diceva di non essere soddisfatto per l’apparentamento con i neofascisti, ma si sentiva piuttosto «obbligato dal sistema elettorale e dal comune desiderio di formare un blocco anticomunista». Infine non mancò di sottolineare sia i forti legami tra il popolo americano e italiano che «il bisogno vitale del continuo supporto statunitense» <180. Elementi in vista del partito democristiano, come il vice-segretario Ravaioli, lasciavano aperta la porta ai monarchici, pensando soprattutto al radicamento del partito al Sud e alla possibilità di sottrarre voti al blocco social-comunista. Si parlava di una possibilità del 50% di rompere l’alleanza Msi-Pnm per allearsi col partito di Lauro e Covelli, senza preoccuparsi troppo delle lamentele dei partiti laici minori e pensando invece a sciogliere il nodo dei Comitati civici e a far rientrare progetti scissionisti all’interno della stessa Dc <181.
I funzionari di via Veneto [ambasciata statunitense] non credevano molto alle prospettive di centro-destra. Le vedevano più che altro in funzione puramente strumentale. Thompson scriveva infatti che le relazioni Dc-Pnm venivano presentate ai partiti laici per mantenere compatta la coalizione, e non per segnalare un effettivo spostamento del baricentro verso destra. Nonostante influenti personalità, si pensi a Gedda e ai Gesuiti, non fossero contrari all’alleanza, sembrava che «solo in una situazione senza speranza De Gasperi avrebbe accettato questo accordo» <182.
Intanto, crescevano le richieste avanzate dai monarchici in cambio di un loro eventuale appoggio. In un’intervista Lauro chiese l’inclusione del Msi nelle liste presentate in alcune località. Covelli sottolineava gli obiettivi politici del Pnm e non nascondeva di puntare ad incarichi di governo e ad una futura alleanza in vista delle elezioni politiche del 1953. Da parte monarchica, quindi, esisteva una disposizione a collaborare. A fronte della fermezza con cui venivano respinti accordi sottobanco, all’interno del Pnm lo stesso segretario ricordava che era possibile un’apertura in previsione di una collaborazione governativa, dove il principale punto di convergenza sarebbe stato la fermezza contro il comunismo. Ma dopo mesi in cui dominò il «reciproco scambio di inviti e di pressioni, di minacce e di lusinghe», Achille Lauro ruppe ogni possibilità di trattativa con un articolo dal titolo piuttosto esaustivo: "L’intesa Pnm-Msi non si può infrangere" <183. Tuttavia, si registrarono sporadici casi di alleanze tra Dc, Pnm e Msi al centro-Sud e in Sardegna <184.
[NOTE]
160 D. De Napoli, Il movimento monarchico, cit., p. 110.
161 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano al potere. La Dc di De Gasperi e di Dossetti, Vallecchi, Firenze, 1974, p. 24.
162 M.S. Piretti, La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 24.
163 Memorandum of conversation, Mons. Angelini (Ecclesiastical Assistant to prof. L. Gedda), W. Knight, July 16, 1951, NARA, RG 84, Box 74, f. 350 - Italy (confidential) 1950-52.
164 Conversation with dr. Barletta after the elections, June 22, 1951, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs relating to Italy, 1943-1951, Lot File 54D328, Box 5, f. 234 Elections (regional and local).
165 Un’indagine recente e originale è quella di C. Baldassini, L’ombra di Mussolini. L’Italia moderata e la memoria del fascismo (1945-1960), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008. Sull’indulgenza nei confronti del fascismo è assai severo P.G. Zunino, La Repubblica e il suo passato, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 577-601.
166 M. Tarchi, Cinquant'anni di nostalgia, cit., pp. 52-53. Da segnalare, come esempio dei problemi interni al Msi che suscitò la legge Selba, il caso di Franco Servello. Decaduta l’iscrizione al partito per un articolo fortemente polemico nei confronti di Mussolini, uscito dopo il ’45, Servello fece ricorso al Comitato centrale affermando che «un simile provvedimento dimostrava che nel Msi non si entrava se non si aveva un passato da fascisti o da gerarchi». Il Comitato non poté evitare di accettare la sua richiesta: «pendeva sul capo di tutti la legge Scelba e sarebbe stato un bel problema ammettere pubblicamente che nel Msi si doveva essere per forza “fascisti”», F. Servello, 60 anni in fiamma. Dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 29-31.
167 P. Ignazi, Il polo escluso, cit., pp. 63-65; G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., pp. 52-53.
168 W. N. Fraleigh (Embassy) to Mr. Free and Mr. Bowman, June 20, 1952, NARA, RG 84, Box 74, f. 350 - Italy (confidential) 1950-52.
169 Si veda Paul S. Boyer, Internal Security Act, The Oxford Companion to United States History, 2001, http://www.encyclopedia.com/doc/1O119-InternalSecurityAct.html
170 L.E. Thompson Jr. (Minister Counselor, Embassy) to J. Greene (Office of Western European Affairs, Department of State), September 20, 1951, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs relating to Italy, 1943-51, Lot File 54D328, Box 5, f. 220.05 Msi and neo-fascism.
171 J. Greene to L.E. Thompson Jr. (Minister Counselor, Embassy), October 8, 1951, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs relating to Italy, 1943-51, Lot File 54D328, Box 5, f. 220.05 Msi and neo-fascism; United States Policy toward Italy, November 23, 1951, NARA, RG 59, C-7, Box 3.
172 Latest developments concerning the MSI, L.E. Thompson Jr., to the Department of State, January 15, 1952, NARA, RG 84, Box 75, f. 350 Italy - Monarchist party, classified and unclassified, 1950-52.
173 Preparations for Provincial, Municipal Elections, L.E. Thompson Jr. to the Department of State, February 19, 1952, NARA, RG 59, C-3, Box 2, 765.00/2-1952.
174 Si allegava la vignetta Tutto chiaro apparsa su «Candido», 24 febbraio 1952, O. Horsey (Embassy) to J.S. Greene (Office of Western European Affairs, Department of State), February 27, 1952, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs, Office of the Italian and Austrian Affairs, 1949-1953, Lot File 54D541, Box 8, f. Italy - 200 political (general).
175 S. Setta La Destra nell’Italia del dopoguerra, cit., p. 25; F. Malgeri, La stagione del centrismo, cit., p. 124.
176 The May 25 elections - Negotiations and alliances of democratic parties, L.E. Thompson Jr. (Minister Counselor, Embassy) to the Department of State, May 6, 1952, NARA, RG 59, C-3, Box 3, 765.00/5-652.
177 Si veda D. De Napoli, Il movimento monarchico, cit., pp. 131 sgg.
178 Si veda P.G. Murgia, Ritorneremo!, cit., p. 304; A. Ungari, I monarchici, cit., p. 419.
179 Monarchist groups and their possible alliance with Christian Democrats, L.E. Thompson Jr., (Minister Counselor, Embassy) to the Department of State, January 15, 1952, NARA, RG 84, Box 75, f. 350 Italy - Monarchist party, classified and unclassified, 1950-52.
180 Alfredo Covelli and Monarchist Party, M. J. Looram to O. Horsey (Embassy), January 29, 1952, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs, Office of the Italian and Austrian Affairs, 1949-1953, Lot File 54D541, Box 8, f. Italy - 220.04 Monarchists.
181 Dal memorandum del 1° aprile 1952, in cui dopo aver affermato la possibilità di alleanza Dc-Pnm, Ravaioli disse che i partiti minori non potevano obiettare perché non avevano «nulla da offrire al Sud» ed espresse preoccupazione sul fermento dei Comitati Civici. Si veda Conversation on April 1st with Avv. Domenico Ravaioli, vice-secretary, Christian Democratic Party, Davis to O. Horsey, April 1, 1952, NARA, RG 59, Records of the Office of Western European Affairs, Office of the Italian and Austrian Affairs, 1949-1953, Lot File 54D541, Box 8, f. Italy - 220.01 Christian Democrats. Ravaioli fu uno dei primi a pensare alla possibilità di istituire un sistema maggioritario per arginare le ali estreme, G. Quagliariello, La legge elettorale del 1953, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 34-35.
182 Preparations for Provincial, Municipal Elections, L.E. Thompson Jr. (Minister Counselor, Embassy) to the Department of State, February 19, 1952, NARA, RG 59, C-3, Box 2, 765.00/2-1952. Da segnalare il tentativo, poi fallito, di coinvolgere Longanesi per sponsorizzare la destra laurina al Nord, in particolare a Milano, si veda R. Liucci, L’Italia borghese di Longanesi. Giornalismo politica e costume nell’Italia degli anni ’50, Marsilio, Venezia, 2002, pp. 112-113.
183 A. Ungari, I monarchici, cit., pp. 422-424. L’articolo di Lauro, in gran parte riportato dall’autore, fu pubblicato su «Il Giornale d’Italia», 6 aprile 1952.
184 De Gasperi, con lo pseudonimo “Quidam de populo” aveva scritto un articolo su «Il Popolo» del 7 aprile 1952 rifiutando ogni legame con la destra, tuttavia in alcune città di Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna ci furono alleanze, si veda M.S. Piretti, La legge truffa, cit., p. 27.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010

lunedì 23 giugno 2025

Lidia, Teresa e Carla Liliana Martini contribuirono in modo significativo alla Resistenza a Padova


La famiglia Martini, i cui capostipiti furono Lorenzo Giovanni Battista Martini e Maria Giacinta Carmela Lanzani, si componeva di ben dodici figli, sei maschi e sei femmine: Maria, Augusto, Maddalena Virginia, Domenico, Alessandro, Giuseppe, Teresa, Lidia, Renata, Mario, Carla Liliana e Giancarlo <123. Abitano a Padova, in via Galilei 18. Teresa, Lidia e Carla Liliana e, seppur con minor presenza, Renata, passarono alla storia come le celebri “Sorelle Martini” protagoniste e attiviste della Resistenza Veneta. Lidia Martini nacque a Torre di Mosto (Venezia) il 2 giugno 1921 <124 (si veda Fig. 1). Frequentò il Liceo Scientifico Annibale Calini di Brescia nell’anno 1940 <125; si immatricolò alla Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, presso l’Università di Padova (si veda Fig. 2), il 6 novembre 1940 e condusse la Tesi di laurea dal titolo "Epeiroforesi Wegeriana" il 30 novembre 1946, sotto la supervisione del prof. Francesco Vercelli, il direttore dell’Istituto di Geografia fisica (voto 90/110) <126 (si veda Fig. 3-4-5). Lidia Martini morì il 20 settembre 2011. Teresa (Teresina nei documenti) Martini nacque a Sandrigo (Vicenza) il 16 settembre 1919 <127 (si veda Fig. 6-7). Conseguì il titolo di ammissione all’Università patavina presso il Liceo Scientifico “Ippolito Nievo” di Padova nell’anno 1938 <128; si immatricolò nell’a.a. 1941-42 alla Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (e sceglie la Laurea di Chimica pura). Nel settembre del 1946, chiede il passaggio all’Università di Ferrara. Si immatricolò nuovamente nel settembre 1946, ma all’Università di Ferrara <129. Teresa Martini morì il 24 dicembre 2016. Carla Liliana Martini nacque a Boara Polesine (Rovigo) il 7 agosto 1926 <130 (si veda Fig. 8). Dopo aver compiuto gli studi classici a Bassano del Grappa, viene catturata e deportata (della sua deportazione si racconterà in maniera più dettagliata in questo capitolo). Dopo la guerra, rientrata a Padova, si iscrive all’Università per l’a.a. 1945-46, Facoltà di Lettere e Filosofia (si veda Fig. 9). Gli studi patavini sono bruscamente interrotti a causa di una lunga degenza causata dalla TBC ossea con duplice focolaio diagnosticata nel 1949, e potranno proseguire solo nel 1953 <131. Il 25 febbraio 1955 Carla Liliana si laurea, sotto la supervisione del prof. Sergio Bettini, con una tesi di laurea su «Epigrafi cristiane padovane» <132 (si veda Fig. 10-11). Muore il 25 settembre 2017.
Lidia, Teresa e Carla Liliana Martini contribuirono in modo significativo alla Resistenza, impegnandosi dopo l’8 settembre 1943 all’assistenza dei prigionieri alleati, fornendo loro viveri e un rifugio in cui poter trovare ristoro <133. A Padova nacque la cosiddetta «catena della salvezza» di cui Teresa, Lidia, Liliana e Renata si ritenevano essere semplici anelli, tanto che hanno raccontato la loro storia e il loro operato a distanza di molti anni dagli eventi (si veda Fig. 12-13).
L’opera di salvataggio dei prigionieri alleati che, all’alba della firma dell’Armistizio di Cassibile, si trovarono nei campi di concentramento della provincia di Padova merita ben più di poche righe. Ne furono coinvolti non solo i primi nuclei cospirativi antifascisti ma anche singoli sacerdoti e strutture ecclesiastiche, cooperando tra loro e fornendo soccorso ai bisognosi, andando a costituire improvvisate catene della solidarietà, nelle quali si impegnarono soprattutto donne provenienti dalla provincia patavina <134.
La giovane Teresa Martini, con l’aiuto della famiglia e dell’amica Elsa Vicinanza, organizzò un vero e proprio servizio di assistenza a favore dei numerosissimi prigionieri alleati nascosti nelle campagne dei comuni limitrofi. Essa provvide, in un primo tempo, al reperimento ed alla distribuzione di indumenti, viveri, sigarette, libri in lingua inglese; quando poi, con l’avvicinarsi dell’inverno, la situazione degli ex prigionieri si fece precaria, Teresa riuscì a nascondere nella sua casa di via Galilei alcuni prigionieri alleati <135. L’abitazione della famiglia Martini divenne così la sede dell’organizzazione, dove veniva raccolto il vestiario, si preparavano i documenti falsi e si aiutavano nel trasferimento i partenti. Nel frattempo, Teresa prese contatto con padre Placido Cortese, organizzando con l’aiuto di Armando Romani, ufficiale dell’aviazione, lo spostamento degli ex prigionieri verso la Svizzera. In gruppi, di non più di 12-15 persone, i fuggitivi furono accompagnati nel tragitto da Padova a Milano e di qui al confine italo-svizzero da Teresa Martini stessa o dai suoi familiari, che si alternavano nel servizio con altri volontari <136.
Catena di salvezza: imperativo individuale e collettivo per sanare ogni forma di ferita <137
"Dopo circa cinquant’anni di silenzio, incredibilmente condiviso con genitori e fratelli, sento ora il dovere di testimoniare quella parte di follia nazista che ho subita, affinché non vada perduta la memoria di atrocità ed eroismi che essa ha partorito, in difesa dei valori per i quali molti hanno pagato anche con la vita.
Memoria e futuro giusto, per non dimenticare la violenza, il degrado, le umiliazioni continue inflitte da uomini contro altri uomini.
Mi auguro che questi miei ricordi, le brevi considerazioni e i pensieri non si sperdano nel vento come il fumo dei milioni di nostri fratelli sterminati.
Sono tutti ricordi provocati dalla sofferenza di allora.
È desiderio di pace.
È volontà di sradicare l’odio che è annidato nei cuori.
È imperativo individuale e collettivo per sanare ogni forma di ferite" <138.
Nella notte di San Valentino del 2004 Carla Liliana Martini prese la decisione di condividere il suo segreto, che per anni aveva custodito sperando di dimenticare ogni traccia del suo passato. Iniziò così la stesura del volume che divenne il diario della sua vita, al cui interno l’efficacia di una parola racconta una tragedia da cui ci si deve trarre in salvo se la catena dei sentimenti vince su quella dell’odio <139.
Carla Liliana raccontò che nell’anno 1943 viveva con la sua famiglia a Padova, precisamente in via Galileo Galilei al civico 18, all’interno di una società ancora fortemente ancorata all’economia agricola: il padre, difatti, nonostante avesse la licenza superiore, nei documenti universitari era indicato come «agricoltore» e la madre, con diploma magistrale, era una casalinga <140.
[NOTE]
123 Ringrazio sentitamente il sig.re Enzo Sabbadin per avermi fornito l’albero genealogico della famiglia Martini dal quale ho rinvenuto numerosi dati anagrafici qui riportati.
124 Archivio Generale Ateneo di Padova (d’ora in poi AGAPd), Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Lidia Martini, matricola 80/32, certificato di iscrizione.
125 AGAPd, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Lidia Martini, matricola 80/32, scheda statistica di iscrizione.
126 AGAPd, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Lidia Martini, matricola 80/32, certificato di laurea.
127 AGAPd, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Teresa Martini, matricola 159/36, certificato anagrafico.
128 AGAPd, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Teresa Martini, matricola 159/36, scheda statistica di iscrizione.
129 AGAPd, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Fascicolo personale della studentessa Teresa Martini, matricola 159/36, rinuncia agli studi e successiva richiesta di immatricolazione all’Università di Ferrara in data 24 settembre 1946.
130 Albero genealogico della famiglia Martini. Luisa Bellina e Maria Teresa Sega, Tra la città di Dio e la città dell’uomo. Donne cattoliche nella Resistenza Veneta, Venezia, Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea, 2004.
131 Martini, Catena di salvezza, cit.
132 Informazione fornitami dal sig.re Enzo Sabbadin in data 5 giugno 2023. Cfr. inoltre, AGAPd, Facoltà di Lettere e Filosofia, Fascicolo personale della studentessa Carla Liliana Martini, matricola 152/29, tesi di laurea.
133 Ivi, p. 221.
134 Feltrin, La lotta partigiana a Padova, cit., Tomo I, p. 619.
135 Bellina e Sega, Tra la città di Dio e la città dell’uomo, cit.
136 Feltrin, La lotta partigiana a Padova, cit., Tomo I, p. 630.
137 Le parole sono di Carla Liliana Martini. Si veda Martini, Catena di salvezza, cit., p. 103.
138 Le parole sono di Carla Liliana Martini. Si veda Martini, Catena di salvezza, cit., p. 103.
139 Ivi, p. 7.
140 Tali informazioni, rinvenute nei fascicoli personali delle sorelle Martini presso gli archivi dell’Università di Padova, sono state confermate dai familiari delle “Sorelle Martini” nell’intervista avvenuta il 6 febbraio 2023.
Rebecca Albertini, L'altra Resistenza. Il ruolo delle sorelle Martini nella lotta di liberazione in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023


Per motivi di opportunità, tra le fotografie qui indicate da Rebecca Albertini si è scelto di selezionare e pubblicare solo quella indicata come Fig. 1, che, nel testo della Tesi, risulta accompagnata dalla seguente didascalia: "Lidia Martini (Fonte: fotografia fornitami dal sig.re Enzo Sabbadin in data 29 maggio 2023)".
Adriano Maini 

martedì 17 giugno 2025

Nella pratica la maggior parte dei giudici durante la fase politica detta del centrismo tende a dimostrare una sorta di collateralismo nei confronti dei partiti moderati


La cultura dominante tra i magistrati nel dopoguerra è caratterizzata dall’importanza della separatezza, almeno formale, tra magistratura e politica in tutti i suoi aspetti. Un’inchiesta condotta nel 1946 da parte dell’Anmi aveva mostrato che la stragrande maggioranza dei magistrati era contraria a che i giudici potessero aderire a partiti politici o anche organizzazioni aventi fini o ispirazioni politiche <15. Tale orientamento era d’altra parte legato alla teoria, allora prevalente in questa professione, circa il ruolo eminentemente tecnico del giudice: egli doveva essere niente altro che la “bocca della legge”, secondo la nota espressione introdotta da Montesquieu, limitarsi all’applicazione strettamente letterale della norma senza alcuno spazio per l’interpretazione personale nell’adattare la legge alle circostanze specifiche. Un altro punto fermo nella cultura dell’ordine è costituito dalla determinazione nel preservarne il decoro ed il prestigio, ritenuti fondamentali ai fini di un’efficace esercizio della giurisdizione.
Una delle poche manifestazioni al di fuori del conformismo generale è la pubblicazione del libro del magistrato Dante Troisi "Diario di un giudice" <16, che descrive in maniera realistica e disincantata la vita quotidiana in un tribunale meridionale di provincia; considerato da molti una condanna della chiusura burocratica della casta dei giudici, viene messo all’indice da parte delle gerarchie, mentre Troisi deve, per l’iniziativa del guardasigilli Aldo Moro, difendersi da un processo disciplinare che si conclude con la sua condanna all’ammonimento e poi alla censura <17 nonostante ne prendano la difesa intellettuali come Calamandrei, Galante Garrone, Maranini ed altri. Se l’opera di Troisi, che costituisce anche un caso letterario, è ampiamente nota, Guido Neppi Modona, propone anche due libri di memorie da parte di due magistrati, Domenico Riccardo Peretti Griva e Mario Berutti, che confermano «la piaga del conformismo e dell’acquiescenza della stragrande maggioranza dei magistrati nei confronti del potere politico di governo e delle gerarchie interne» <18.
Mentre l’estraneità del giudice rispetto ai partiti viene affermata nelle dichiarazioni pubbliche e sugli organi di stampa dell’Associazione nazionale magistrati <19, nella pratica la maggior parte dei giudici durante la fase politica detta del centrismo tende a dimostrare una sorta di collateralismo nei confronti dei partiti moderati. Di tale atteggiamento vi sono numerosi indizi. Uno di essi si può rintracciare nell’analisi effettuata da Cazzola e Morisi <20; i due studiosi classificano le richieste di autorizzazioni a procedere inviate al parlamento (procedimento necessario per poter istruire procedimenti penali a carico di parlamentari fino al 1993) tra la prima e l’undicesima legislatura usando come criteri i partiti di appartenenza del parlamentare ed il tipo di reato contestato (suddividendoli in «reati di opinione» e «reati di appropriazione»). Ciò che emerge dall’analisi quantitativa è che mentre la Dc, nel corso delle due prime legislature, vede inquisiti, rispettivamente, il 12,5% e l’8.3% dei propri parlamentari, le percentuali del Psi risultano essere 31,1% e 35,5% e per il Pci addirittura 61,5% e 64,5%. Altra considerazione rilevante è che i reati tipici contestati ai democristiani rientrano nella categoria dei reati di “appropriazione” (che includono la corruzione, la truffa, l’appropriazione indebita, ecc.) mentre la quasi totalità di quelli contestati alle sinistre rientra tra i reati di opinione. Un secondo indizio circa le inclinazioni politiche della magistratura durante il “centrismo” viene fornito da Neppi Modona che, dopo aver sottolineato i frequenti conflitti, negli anni 1945-47 tra la magistratura ed il ministero della Giustizia retto da esponenti comunisti (a Togliatti succede Fausto Gullo nel luglio del 1946) a causa delle divergenze circa l’esercizio della giurisdizione sui reati commessi da partigiani e su quelli dei fascisti, illustra uno scenario completamente diverso per quanto riguarda gli anni Cinquanta «sia perché gli indirizzi governativi, ora collimanti con l’impostazione conservatrice della magistratura italiana trovano precisi riscontri negli atteggiamenti giurisprudenziali, sia perché […] alcuni magistrati “indipendenti” furono colpiti da azioni disciplinari e trasferimenti d’ufficio» <21. Lo studioso, al fine di verificare la “sintonia” tra Democrazia cristiana e magistratura, fa poi riferimento ad indicatori di tipo diverso: le circolari ministeriali, i provvedimenti disciplinari ed i trasferimenti e, forse aspetto più importante in assoluto, gli atteggiamenti giurisprudenziali <22.
Rispetto ai rapporti con il potere politico, un atteggiamento chiaro e prevalente nella vita associativa della magistratura italiana, già negli anni Cinquanta, è rappresentato dalla totale insofferenza nei confronti dei tentativi da parte dei partiti di influenzare o criticare pubblicamente le sentenze emesse; come afferma Neppi Modona, «ne emerge il quadro di una magistratura molto attenta nella denuncia delle perduranti interferenze dei ministri della giustizia ma assolutamente miope nel cogliere al proprio interno i segnali di sudditanza e di conformismo nei confronti del potere politico dominante» <23. D’altro canto l’origine di quest’apparente contraddizione può essere individuata nell’intreccio tra istanze tipicamente corporative, sempre largamente presenti nella magistratura italiana, con quelle di tipo ideologico-culturale. Un caso tipico è quello dell’ostilità, che si manifesta con chiarezza a partire dalla fine degli anni Cinquanta, da parte della maggioranza dei giudici italiani, nei confronti dei processi di selezione relativi alla “carriera” interna; essi rappresentano un ostacolo verso l’indipendenza interna, a causa del condizionamento che consentono all’alta magistratura sul giudice, eppure si tratta anche di uno strumento che, in qualche misura, incentiva l’impegno personale del giudice e tende ad assicurare una distribuzione di maggiori responsabilità in base al merito personale.
L’introduzione della Corte costituzionale, che comincia a funzionare a partire dal 1956 <24, provoca effetti fondamentali sull’equilibrio di potere tra le istituzioni per almeno due ragioni: innanzitutto il sindacato di legittimità delle leggi può essere attivato da tutti i giudici ordinari, ciò che contribuisce in maniera sostanziale a rendere la magistratura un potere diffuso <25 ed in possibile contrasto con il potere legislativo. In secondo luogo la stessa presenza della Corte ridimensiona in qualche modo il ruolo della Cassazione, la cui influenza sul resto della magistratura, fino ad allora, era stata totale. Del resto non è un caso che, immediatamente dopo l’entrata in funzione della Corte costituzionale, l’assemblea dei presidenti delle sezioni civili e penali della Cassazione detti gli “orientamenti di massima” ai giudici italiani per la presentazioni delle questioni di legittimità costituzionale, mentre, da parte sua, il ministro della Giustizia chieda di essere tempestivamente informato circa queste pratiche <26.
[NOTE]
15 V. Zagrebelsky, “La magistratura ordinaria dalla costituzione ad oggi”. Cit. Pag. 719
16 D. Troisi, Diario di un giudice, Einaudi, Torino, 1955.
17 A. Meniconi, Storia della magistratura italiana, Cit. Pag. 299
18 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 129
19 Il contenuto degli articoli del periodico dell’Anm, La Magistratura, negli anni Cinquanta viene sottoposto ad analisi da E. Moriondo, L’ideologia della magistratura. Cit.
20 F. Cazzola e M. Morisi, La mutua diffidenza: il reciproco controllo tra magistrati e politici nella prima repubblica, Feltrinelli, Milano, 1996.
21 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 108
22 Afferma Neppi Modona: «Le pagine indimenticabili di Achille Battaglia e di Carlo Galante Garrone e la vastissima rassegna giurisprudenziale di Giuliano Vassalli sul collaborazionismo ripercorrono passo a passo, reato per reato, prima il rifiuto di adeguarsi alle scelte delle leggi speciali del 1944, 1945 e 1946 per sanzionare i crimini fascisti e per legittimare il movimento partigiano e, poi, lo spontaneo adeguamento alla manifesta volontà politica dei governi centristi di vanificare la legislazione contro il fascismo e di criminalizzare la resistenza». Ibid. Pag. 131
23 Ibid. Pag.122
24 Il ritardo si deve, oltre al tempo che si rivela necessario per l’approvazione della legislazione ordinaria necessaria, anche alla difficoltà nell’elezione dei giudici costituzionali e nel contrasto che sorge tra i partiti e particolarmente tra Dc e Pci. Da notare anche l’evoluzione dell’atteggiamento dei comunisti, che da nettamente contrario alla Corte durante i lavori della Costituente, diventa assai più favorevole al controllo di costituzionalità delle leggi nella fase attuativa della Corte. Vedere G. Silvestri, “La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo”, in AAVV, Storia d’Italia. Legge, diritto e giustizia, Einaudi-Il Sole 24 Ore, Milano, 2006. Pag. 950.
25 Anche in considerazione del fatto che la gran maggioranza delle verifiche di costituzionalità vengono eseguite su istanza dei giudici di tribunale, cioè dalla “bassa” magistratura: «Le percentuali delle questioni rimesse nel primo quinquennio di funzionamento della Corte Costituzionale sono così distribuite: 49% Preture, 35% Tribunali e Corti d’assise, 8% Corti d’appello, 2% Cassazione», M. Capurso, I giudici della Repubblica, Edizioni di Comunità, Milano, 1977. Pag. 54.
26 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 114 e 115
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, 2013

domenica 8 giugno 2025

La Perego era diventata un’azienda mafiosa fino alle fondamenta

Erba (CO). Fonte: Wikipedia

La «mutazione genetica» della Perego
Il 25 aprile 2009, mentre in centro a Milano si svolgeva il tradizionale corteo per festeggiare la Liberazione dell'Italia dal nazi-fascismo, gli investigatori intercettarono una lunga conversazione tra Salvatore Strangio e Mario Polito, un «compare» calabrese, che permette di comprendere la portata complessiva della missione del boss all'interno della Perego. Strangio si lamentava per le continue interferenze di Pasquale Varca, capo della Locale di Erba <1100, che lo costringevano a numerosi viaggi in Calabria per mantenere gli equilibri interni all'organizzazione. La Perego Strade, infatti, si trovava sul territorio di competenza di Varca, che non accettava questa invasione di campo da parte di Strangio nel suo territorio, a maggior ragione perché vantava un rapporto con l'azienda precedente: «nella Perego lavoretti ne ho… e quando lo voglio, ce l'ho sempre io…» <1101.
Strangio, dal canto suo, rivendicava il suo ruolo all'interno dell'azienda, cioè quello di salvarla dalla crisi senza perdere soldi ma anzi, riorganizzarla per procurare immediati vantaggi alle aziende della 'ndrangheta in Lombardia, in vista dei più lucrosi affari immaginati con Expo2015. Nella conversazione, a un certo punto Polito gli fece notare che «il problema è che qua ci sono centocinquanta famiglie da pagare… no una famiglia sola… qua c'è tutta la Calabria da pagare…», e proseguiva elencando tutti i territori a conoscenza degli affari della Perego, citando addirittura Reggio Emilia, con evidente implicito riferimento ai Grande Aracri <1102. «Tutta la Calabria!», gli faceva eco Strangio, che a un certo punto disse: «La volete sapere? Il primo lavoro dell'Expo, al 99% lo prende la Perego» <1103. E quindi, giù in Calabria, «loro questo stanno aspettando, l'Expo...» <1104.
Quel dialogo, più di ogni altra conversazione intercettata, restituì agli inquirenti e all'opinione pubblica la dinamicità e la disinvoltura con cui i boss della 'ndrangheta, pur in assenza di competenze professionali specifiche, sapevano muoversi nell'economia legale, colonizzandola progressivamente. La Perego da società brianzola si ritrovò in nemmeno sei mesi ad essere un'azienda calabrese, dove lavoravano maestranze calabresi e dove vigeva un clima di assoggettamento e omertà tra i dipendenti lombardi, costretti a violare le leggi sotto la minaccia del licenziamento in un periodo di grave crisi economica: non erano cambiati solo gli amministratori, si potrebbe dire che l'intera azienda venne mutata geneticamente fino alle fondamenta, poiché l'habitus imprenditoriale alla base della filosofia aziendale divenne un habitus essenzialmente mafioso.
Ivano Perego, infatti, rimase Presidente dell'azienda solo sulla carta. Tanto che quando un imprenditore della zona si rivolse a lui per ottenere dei lavori in subappalto, lo indirizzò a Strangio, al quale poi riferì ossequioso la conversazione, per ribadire per l'ennesima volta la sua fedeltà: «lui m'ha detto: fammi lavorare... e io gli ho detto: io non centro, devi chiedere a Salvatore!» <1105.
A cambiare tuttavia non fu solo la filosofia aziendale, lo fu anche l'habitus di Perego. L'assimilazione da parte dell'imprenditore delle regole non scritte della galassia 'ndranghetista emerse in maniera cristallina in una conversazione con Strangio intercettata il 12 giugno 2009: di fronte alla possibilità di subentrare a un'azienda nel secondo lotto di un appalto in Liguria, Perego si preoccupò di chiedere al boss calabrese «se c'è di mezzo qualcuno di voi», perché in quel caso «dobbiamo metterci a tavolino a ragionarci… io gli lascio il lavoro […] la quota e noi gli diamo il lavoro sennò vado giù e facciamo il lavoro noi… giusto?» <1106.
Tradendo anche una certa insicurezza sui passi da seguire, Perego chiamò poco dopo anche Pavone, riferendogli della telefonata a Strangio e chiedendo ulteriori conferme anche a lui se si fosse comportato in maniera corretta: «gli ho detto: Salvo, allora, qui a Genova c'è un bel lavoro, ho detto, però c'è Biella Scavi… […] informatevi, prima che c'è dietro qualche calabrese o qualcuno… che io vado a schiacciare i piedi… giusto, no? […] se non c'è dietro nessuno io vado avanti faccio il mio… bon basta… giusto?» <1107.
Illuminante sotto il profilo della «mutazione genetica» è la conversazione intercettata tra Strangio e Pavone del 15 aprile 2009, dove Pavone disse esplicitamente che «una volta che il virus è dentro, iniettato... è destinata a morire, una persona, non c'è un cazzo da fare...» <1108. In queste parole emerge il modus operandi tipico della 'ndrangheta: fingendo l'apporto di nuovi capitali, l'organizzazione entra nell'azienda e da quel momento è finita, la vecchia società non esiste più e l'impresa, per usare le parole del GIP, diventa «uno zombie a disposizione delle esigenze e degli interessi della componente 'ndranghetista» <1109.
La lotta interna alla 'ndrangheta: da Strangio a Cristello
Un'ulteriore prova della «mutazione genetica» la diede la lotta tutta interna alla 'ndrangheta per il controllo della Perego, incardinata nelle rigide regole gerarchiche dell'organizzazione mafiosa.
Il dominio assoluto di Strangio nell'azienda durò poco meno di un anno. Verso la metà del 2009, infatti, iniziò un lento processo di allontanamento tra Perego e Pavone dal boss che alla fine portò in sella come referente della 'ndrangheta Rocco Cristello, capo Locale di Mariano Comense, che come abbiamo visto deteneva una quota della Perego del 10% tramite prestanome.
L'accelerazione si ebbe quando sul Corriere della Sera del 21 agosto comparve un articolo a firma di Cesare Giuzzi intitolato «I cantieri dell'Expo, il nuovo business della 'ndrangheta», con tanto di mappa delle 'ndrine presenti nella provincia di Milano, dove si riportava la notizia che anche gli Strangio erano in procinto di entrare negli appalti dell'Expo2015. Benché gli Strangio di cui parlava l'articolo fossero quelli di San Luca, coinvolti nella Strage di Duisburg del 15 agosto 2007, e non quelli di Natile di Careri di cui faceva parte Salvatore, questi si convinse di essere lui l'oggetto delle indiscrezioni giornalistiche e iniziò ad allarmarsi. Nella disperata ricerca di informazioni, moltiplicò le conversazioni con affiliati e parenti, rivelando più di un dettaglio agli investigatori. Perego e Pavone, che già avevano allentato i rapporti con Strangio nei mesi precedenti, colsero la palla al balzo, facendogli credere, tramite un amico poliziotto del fratello di Perego in servizio a Lecco, di essere sotto osservazione dei Carabinieri <1110. In una conversazione col figlio Domenico, subito dopo aver ricevuto la notizia da Perego di indagini su di lui il 15 settembre, Strangio rivelò qual era la sua vera preoccupazione:
«devo vedere per questo discorso Mimmicé... devo vedere di andare a parlare con questo avvocato prima che facciano qualcosa questi... sennò sai che succede bello mio... io apposta me ne voglio andare dalla Perego… perché se importano a fare qualche associazione con il 416 bis sai che significa? […] significa che sequestrano […] fanno subito il sequestro dei beni, immediatamente…» <1111
Quello stesso giorno Strangio decise di licenziarsi, insieme a Pasquale Nocera, dalla Perego, restituendo tutto: l'auto di lusso, le utenze cellulari, oltre a tutti gli uomini riconducibili a lui. Il 22 settembre però venne a sapere da fonti romane che era tutto inventato, ma a quel punto la sua estromissione dalla Perego era definitiva: Perego, dopo aver permesso per un anno che la sua azienda fosse governata da Strangio, assunto come semplice geometra, sbatté la porta in faccia a Strangio, insieme a Pavone, forte del supporto di Rocco Cristello <1112. Ecco come Perego si rivolgeva al suo ex-padrone, nella telefonata in cui Strangio lo informava di voler ritornare nell'azienda:
«Basta mi sono rotto i coglioni io... portatemi indietro la macchina e vi licenzio tutti, mi sono rotto i coglioni! Salvatore portami su la macchina, che ti firmo il licenziamento... prendi e vai fuori dai coglioni anche te... anche Simone... no, non ragiono io [...] perché io in mezzo per voi non vado più... va bene?... Tra un'ora se non c'ho la macchina... denuncio tutti io [...] perché io mi sono rotto i coglioni che sono andato di mezzo per voi, va bene? Io tra un'ora sono a dire tutto» <1113.
Nel raccontare l'accaduto al fratello Antonio, Strangio rivendicò quanto aveva fatto per Perego, evocando il fattore calabrese che aveva permesso all'azienda di non fallire:
«il mio reato è che io ho un sacco di contatti con tutta sta gente... questo sai cos'è, il fattore calabrese... perché ti volevano fare del male... ed io ho cercato di calmarli e dirgli che li pagavamo... che li pagavi tu un po' alla volta […] hai detto […] di vedere queste persone e di dirgli di stare calmi che… che gli davi i soldi... e c'è telefonate, fotografie, c'è questo e c'è...» <1114
Perego però si sentiva al sicuro, come rivelò lui stesso in un'altra conversazione intercettata: «io c'ho un altro calabrese più forte...» <1115, mentre Pavone, conoscendo il suo ex-socio, dimostrava maggiore preoccupazione. E in effetti fu lui il destinatario di un atto di intimidazione in pieno stile mafioso: l'apposizione di una croce di grosse dimensioni davanti al portone di casa. Tuttavia, l'episodio si risolse con una vena, si può dire, comica, con Pavone che interpretò quel fatto come la minaccia non di Strangio ma di altri, tale Oricchio, e non gli diede alcun peso. L'indifferenza di Pavone fece infuriare ancora di più Strangio che, consapevole della situazione finanziaria dell'azienda, voleva ricevere immediatamente i pagamenti arretrati per i lavori eseguiti dalle sue aziende, a rischio fallimento anche loro.
Estenuato dalle discussioni con Rocco Cristello, Strangio decise di passare a modi meno diplomatici, ma nel pieno e assoluto rispetto delle regole e della gerarchia della 'ndrangheta: si rivolse così a Domenico Pio, capo della Locale di Desio, e a Salvatore Muscatello, capo della Locale di Mariano Comense cui Cristello era affiliato, per avviare azioni ritorsive contro di lui. In questo modo Strangio rendeva palese lo scontro ai vertici dell'organizzazione, interamente interessata alla questione Perego come si è visto per via di Expo.
Al di là dell'esito dello scontro, che si risolse a favore di Strangio, il punto da sottolineare qui è che nel novembre 2009, cioè esattamente 14 mesi dopo l'ingresso della 'ndrangheta nell'azienda per risolvere una crisi di liquidità, la Perego era diventata un'azienda mafiosa fino alle fondamenta, tanto che una questione di pagamenti mancati finì sul tavolo dei massimi vertici della 'ndrangheta in Calabria. Non solo, il 21 dicembre 2009 l'azienda veniva dichiarata fallita e, stando alle indagini della magistratura, quella dichiarazione sarebbe avvenuta già a fine 2008, dopo appena 3 mesi di attività, e se ciò non accadde fu solo perché vennero falsificati i bilanci dell'azienda <1116.
La Perego General Contractor era quindi un'azienda nata senza passività finanziarie ma anche senza reali capitali, che gli uomini della 'ndrangheta finsero di mettere a disposizione di Ivano Perego, il quale si mise nelle mani dell'organizzazione mafiosa per poter continuare a fare la bella vita, come vedremo, senza doversi più preoccupare della sua azienda. Pavone, con Strangio prima e Cristello poi, puntava a far affluire nuovi capitali all'azienda tramite le incorporazioni, poi non andate in porto, come quella con il colosso delle costruzioni Cosbau, sulla base di falsi bilanci.
Il potenziamento del capitale sociale di Ivano Perego
La gestione, secondo lui a «a costo zero», non fu l'unica cosa che Ivano Perego guadagnò dal rapporto con la 'ndrangheta. Per il giovane imprenditore brianzolo, legato alla locale realtà territoriale, fu un mezzo per potenziare il proprio capitale sociale ed espandere il reticolo di relazioni nel campo dell'economia, della politica e del mondo delle professioni.
[NOTE]
1100 Si veda Ghinetti, A. (2009). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 41849/07 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 26 ottobre., p. 622 e ss.
1101 Gennari, G. (2010). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 47816/08 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 6 luglio. (TENACIA), p. 57.
1102 Gennari, op. cit., p. 186.
1103 Ivi, p. 187.
1104 Ivi, p. 188.
1105 Ivi, p. 169.
1106 Ivi, p. 194-195.
1107 Ivi, p. 195.
1108 Ivi, p. 75. 
1109 Ivi, p. 76.
1110 Ivi, p. 238.
1111 Ivi, p. 238-239.
1112 Ivi, p. 245.
1113 Ivi, p. 243-244.
1114 Ivi, p. 240.
1115 Ivi, p. 262.
1116 Ivi, p. 365.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020  

lunedì 2 giugno 2025

Anche dopo le elezioni amministrative del 15 giugno 1975, continuerà l’azione del Pci contro gli scandali


Nella fase che precede le elezioni amministrative, anche le vicende dell’inquirente, in particolare quelle relative allo scandalo dei petroli, tornano nel dibattito pubblico. Nell’aprile 1975 il Pci prepara un documento che denuncia le «ingiustificate lungaggini» della commissione <189 e poi prepara una conferenza stampa (presieduta da Natta e Perna, capigruppo alla Camera e al Senato) per divulgarlo <190. Spagnoli protesta per l’atteggiamento della Dc: «abbiamo lavorato per 15 mesi sul caso del petrolio per sentirci dire dalla maggioranza che l’attività dei ministri non è sindacabile. E allora quale dovrebbe essere l’attività della nostra commissione?». Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale del 15 giugno 1975, l’azione dei comunisti si fa più intensa. A fine maggio Spagnoli partecipa ad un programma televisivo e afferma: «posso affermare serenamente che i petrolieri, con versamenti in denaro, hanno negoziato almeno una legge, sei decreti e otto decreti ministeriali, ottenendo vantaggi di diverse centinaia di miliardi in contributi e agevolazioni fiscali» <191. In seguito, intervistato da La Stampa, spiega che «…l’indagine della commissione, come istruttoria, era finita nell’ottobre dello scorso anno. Dal 13 novembre al 21 febbraio di quest’anno c’era stata la discussione generale. Tutto era chiarito. Gli elementi in mano alla commissione per decidere c’erano […] vogliamo che tutti sappiano quello che non si vuol dire […] Ferri ha fatto bene a protestare…» <192.
Qualche giorno prima i commissari comunisti avevano preparato un documento d’accusa che sottopongono alla commissione, la quale lo respinge (votano a favore solo i comunisti e Galante Garrone); il settimanale L’Espresso però pubblica ampi stralci del documento <193 divulgandone i particolari e questo solleva una aspra polemica con la Dc. La situazione appare tesa anche in virtù del fatto che la commissione inquirente ha deciso di avocare un inchiesta condotta dalla procura di Roma su imputati non politici per reati legati allo scandalo. Il consigliere istruttore Gallucci si dice d’accordo con l’avocazione, ma il sostituto procuratore Enrico Di Nicola <194 chiede alla Cassazione di rivolgere un ricorso alla Corte Costituzionale <195. 
Anche dopo le elezioni amministrative del 15 giugno 1975, l’azione del Pci continuerà: a novembre riuscirà a far riesaminare le posizioni già archiviate dei quattro ministri, e Spagnoli farà notare che per Ferri (sotto inchiesta) le risultanze sono esattamente uguali a quelle di Preti, la cui posizione era stata invece archiviata. A dicembre i comunisti proporranno di restituire alla procura di Roma parte dell’inchiesta ma tutti gli altri partiti voteranno contro. A marzo del 1976, il partito insisterà per dare pubblicità ai lavori della commissione inquirente <196 (dopo aver predisposto e presentato, a febbraio, un disegno di legge per la completa riforma della normativa circa la commissione <197). Sull’altro versante, a maggio, la Dc chiederà l’archiviazione per i due ex ministri ancora sotto inchiesta.
Nel corso degli oltre due anni tra l’inizio dell’inchiesta e le elezioni politiche del 20 giugno 1976, l’atteggiamento del partito socialista è di grande prudenza. Sull’Avanti i pochi articoli sullo scandalo invitano, in maniera piuttosto astratta, a fare chiarezza, affermano l’estraneità di esponenti socialisti alle pratiche di malaffare emerse con lo scandalo, ma sostengono con energia l’esigenza di evitare «scandalismi» <198. In occasione della pubblicazione da parte dell’Espresso del documento elaborato dai comunisti, l’organo del Psi appare decisamente irritato e afferma di «non credere alla fuga di notizie» <199 (i comunisti avevano sostenuto di essere totalmente estranei alla divulgazione del documento <200). Un fatto certo è che i socialisti votano quasi sempre con la Dc: quando si tratta di archiviare la posizione dei quattro ex ministri, quando si tratta di respingere documenti d’accusa. Una delle cause di tale atteggiamento è, probabilmente, il coinvolgimento del segretario amministrativo del Psi, Augusto Talamona, nell’inchiesta; ma, soprattutto vi è un altro scandalo di cui si occupa l’inquirente parallelamente a quello del petrolio e che vede sotto inchiesta un esponente di primo piano del partito: l’ex segretario Mancini (e con lui l’ex ministro Dc Natali). Si tratta dell’affare “Anas”. Il caso era sorto a causa della denuncia da parte di un costruttore che, nel 1971, aveva segnalato turbative d’asta ed episodi di corruzione sistematica nell’assegnazione degli appalti da parte dell’Anas, l’ente pubblico gestore delle strade, nei cinque o sei anni precedenti. Le accuse erano corroborate dalle intercettazioni fatte clandestinamente da un avvocato, Marino Fabbri, e coinvolgevano i ministri dei Lavori pubblici dell’epoca, Giacomo Mancini e Lorenzo Natali, democristiano. L’inchiesta si era trascinata fino al settembre 1974, quando il consigliere istruttore Gallucci l’aveva trasmessa per intero (senza cioè trattenere gli atti per gli imputati non ministri) alla commissione inquirente. Nella vicenda si erano dimostrate determinanti le intercettazioni effettuate e, probabilmente, ciò era stato tra le cause del disegno di legge presentato da Vincenzo Balzamo, responsabile del settore giustizia del Psi, nel 1973 <201, che prevedeva sanzioni penali per chiunque eseguisse intercettazioni ed attribuiva unicamente alla magistratura, con vari limiti, la capacità di effettuarle. Tale disegno di legge, insieme ad altri e con alcuni emendamenti, aveva poi determinato l’approvazione della legge citata (la N. 98 del 8 aprile 1974) sulle intercettazioni. In base ad essa le intercettazioni effettuate dall’avv. Fabbri non sono più utilizzabili ma, secondo un’interpretazione <202 (d’accordo con la quale le registrazioni sarebbero ammesse se effettuate secondo la normativa in vigore al momento della loro esecuzione) esse potrebbero ancora essere usate in dibattimento.
Nuovamente, sempre con l’iniziativa del Psi, come tiene a sottolineare un articolo del Popolo <203, il Parlamento pone fine alla questione con una modifica alla legge che rende utilizzabili solamente le intercettazioni autorizzate dalla magistratura. D’altra parte l’atteggiamento del partito socialista sulla normativa relativa alle intercettazioni era stata chiarita al di là di qualsiasi dubbio dal ministro Zagari fin da febbraio <204. Alcuni suggeriscono che i socialisti siano arrendevoli e seguano la Dc in commissione inquirente sul caso petroli in cambio di un analogo aiuto da parte dei colleghi di governo sul caso Anas <205.
Il partito comunista appare decisamente cauto quando si tratta della politica del Psi in commissione inquirente: l’Unità non si esime certo dall’informare circa i voti espressi dai commissari socialisti, ma tende a non darvi troppo rilievo, anche quando appaiono in contrasto con la linea del Pci; si occupa pochissimo dell’affare Anas e quando lo fa <206, si esprime con estrema cautela a proposito del ruolo di Mancini.
A complicare la campagna elettorale della Dc intervengono anche alcuni sviluppi dell’inchiesta su Michele Sindona, che nei primi mesi del 1975 aveva acquisito nuovi impulsi grazie ai giudici di Milano. Essa era cominciata nel 1974, e riveste una notevole importanza non solo per le conseguenze immediate ma, in misura ancora maggiore, per l’evoluzione che essa avrà tra la fine del decennio e l’inizio degli anni Ottanta, visto che porterà ad uno dei maggiori contrasti tra alcuni partiti politici e la magistratura, oltre a dare, nel 1981, un contributo fondamentale all’esclusione, per la prima volta dal 1945, della Dc dalla presidenza del consiglio.
L’Unità aveva seguito con una certa attenzione l’evoluzione degli affari di Michele Sindona e già prima del crollo delle sue principali aziende e del mandato di cattura per bancarotta emesso a suo carico dalla procura di Milano (ottobre 1974) e aveva sottolineato l’inopportunità del prestito di 100 milioni di dollari da parte del Banco di Roma guidato da Ferdinando Ventriglia alla banca del finanziere siciliano <207. Sindona era identificato dai comunisti come il finanziere che aveva offerto un milione di dollari per la campagna elettorale di Richard Nixon, ed era ritenuto molto vicino agli ambienti della destra italiana. Anche l’organo del Psi si dimostra sempre molto attento all’evolversi dell’affaire Sindona e non esita a denunciare quelle che appaiono come complicità dell’alleato di governo nel fiancheggiare o coprire le sue imprese. L’inchiesta del giudice istruttore Ovidio Urbisci e del sostituto procuratore Guido Viola di Milano era nata in seguito alla denuncia di azionisti della Banca Privata Italiana che si erano sentiti defraudati per la perdita di valore delle azioni da loro detenute a causa della bancarotta del gruppo, ed avevano sostenuto che la dirigenza aveva deliberatamente nascosto loro informazioni. A ottobre il settimanale Panorama <208 aveva pubblicato un articolo in cui un anonimo collaboratore di Sindona denunciava il sostegno dato da partiti governativi al finanziere in cambio di denaro (si parlava di 750 milioni al mese alla Dc); l’intervista aveva suscitato l’attenzione della procura romana che però aveva immediatamente affermato di non voler di interferire nelle indagini dei colleghi milanesi. Nel frattempo l’ufficio economico del Psi aveva emesso un comunicato in cui elencava i momenti salienti del fallimento delle banche di Sindona affermando, tra l’altro: “emergono domande preoccupanti circa il comportamento dei pubblici poteri, i metodi con i quali viene esercitato il controllo del sistema bancario, le motivazioni con cui vengono autorizzate operazioni finanziarie…” <209. Da parte sua il ministro Emilio Colombo si limitava ad osservare che, dopotutto, il Banco di Roma non aveva subito perdite <210 (ma le perdite contabili emergeranno in seguito).
[NOTE]
189 “Accuse del Pci: insabbiate le inchieste parlamentari?”, La Stampa del 25 aprile 1975.
190 “I procedimenti contro i ministri, le accuse del Pci alla commissione”, La Stampa del 30 aprile 1975.
191 Tribuna elettorale, Rai Uno, ore 22:00 del 30 maggio 1975. Vedere anche “I comunisti denunciano in televisione le cifre dello scandalo petrolifero”, La Stampa del 31 maggio 1975.
192 “I comunisti denunciano in televisione le cifre dello scandalo petrolifero”, La Stampa . Cit.
193 “20 miliardi a 6 ministri per 4 partiti”, L’Espresso, N. 23 del 1975,
194 Secondo L’Espresso di «idee socialiste», vedere, “E anche Gallucci prova a insabbiare”, N. 23 del 1975
195 “Un nuovo contrasto per il caso petrolio”, La Stampa del 04 giugno 1975.
196 U. Spagnoli, “Come impedire l’affossamento degli scandali”, Rinascita, 20 febbraio 1976.
197 Vedere “Ventriglia: «Carli chiede direttive per salvare le banche di Sindona»”, L’Unità del 21 febbraio 1976
198 Vedere, ad esempio, “La segreteria del Psi sull’inchiesta per i petroli”, L’Avanti del 15 febbraio 1974, o “Scandali e scandalismo”, L’Avanti del 07 marzo 1974.
199 “Inquirente, accusatori e giudici”, L’Avanti del 06 giugno 1975.
200 “E’ più che mai necessaria una corretta informazione”, L’Unità del 04 giugno 1975.
201 Camera dei Deputati, disegni di legge e relazioni N. 1482 del 17 gennaio 1973.
202 Vedere “Lo scandalo Anas in Parlamento”, l’Avanti del 14 settembre 1974, in cui si afferma che l’interpretazione della legge sulle intercettazioni «lascia attoniti» e che «la prassi consente alla nostra magistratura le interpretazioni più aberranti».
203 “Intercettazioni, più precise le norme”, Il Popolo del 31 ottobre 1975.
204 “Lo scandalo delle intercettazioni”, L’Avanti del 07 febbraio 1974, o “Il PG conferma gli abusi delle intercettazioni”, L’Avanti del 14 marzo 1974
205 Lo suggerisce apertamente l’articolo “Istruzioni: prendi l’Anas e affogala nel petrolio”, l’Espresso, N. 6 del 1976,
206 “Dalla magistratura al Parlamento gli atti sull’istruttoria Anas”, l’Unità del 14 settembre 1974.
207 “Al finanziere Sindona 100 milioni di dollari di una banca pubblica”, l’Unità del 06 luglio 1974, in cui si parla di «motivi politici poco chiari».
208 Panorama del 12 ottobre 1974
209 “Un’inchiesta per sapere se Sindona finanziava la Dc”, l’Unità del 16 ottobre 1974.
210 “Colombo su Sindona”, Discussione del 11 novembre 1974
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, 2013