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martedì 17 giugno 2025

Nella pratica la maggior parte dei giudici durante la fase politica detta del centrismo tende a dimostrare una sorta di collateralismo nei confronti dei partiti moderati


La cultura dominante tra i magistrati nel dopoguerra è caratterizzata dall’importanza della separatezza, almeno formale, tra magistratura e politica in tutti i suoi aspetti. Un’inchiesta condotta nel 1946 da parte dell’Anmi aveva mostrato che la stragrande maggioranza dei magistrati era contraria a che i giudici potessero aderire a partiti politici o anche organizzazioni aventi fini o ispirazioni politiche <15. Tale orientamento era d’altra parte legato alla teoria, allora prevalente in questa professione, circa il ruolo eminentemente tecnico del giudice: egli doveva essere niente altro che la “bocca della legge”, secondo la nota espressione introdotta da Montesquieu, limitarsi all’applicazione strettamente letterale della norma senza alcuno spazio per l’interpretazione personale nell’adattare la legge alle circostanze specifiche. Un altro punto fermo nella cultura dell’ordine è costituito dalla determinazione nel preservarne il decoro ed il prestigio, ritenuti fondamentali ai fini di un’efficace esercizio della giurisdizione.
Una delle poche manifestazioni al di fuori del conformismo generale è la pubblicazione del libro del magistrato Dante Troisi "Diario di un giudice" <16, che descrive in maniera realistica e disincantata la vita quotidiana in un tribunale meridionale di provincia; considerato da molti una condanna della chiusura burocratica della casta dei giudici, viene messo all’indice da parte delle gerarchie, mentre Troisi deve, per l’iniziativa del guardasigilli Aldo Moro, difendersi da un processo disciplinare che si conclude con la sua condanna all’ammonimento e poi alla censura <17 nonostante ne prendano la difesa intellettuali come Calamandrei, Galante Garrone, Maranini ed altri. Se l’opera di Troisi, che costituisce anche un caso letterario, è ampiamente nota, Guido Neppi Modona, propone anche due libri di memorie da parte di due magistrati, Domenico Riccardo Peretti Griva e Mario Berutti, che confermano «la piaga del conformismo e dell’acquiescenza della stragrande maggioranza dei magistrati nei confronti del potere politico di governo e delle gerarchie interne» <18.
Mentre l’estraneità del giudice rispetto ai partiti viene affermata nelle dichiarazioni pubbliche e sugli organi di stampa dell’Associazione nazionale magistrati <19, nella pratica la maggior parte dei giudici durante la fase politica detta del centrismo tende a dimostrare una sorta di collateralismo nei confronti dei partiti moderati. Di tale atteggiamento vi sono numerosi indizi. Uno di essi si può rintracciare nell’analisi effettuata da Cazzola e Morisi <20; i due studiosi classificano le richieste di autorizzazioni a procedere inviate al parlamento (procedimento necessario per poter istruire procedimenti penali a carico di parlamentari fino al 1993) tra la prima e l’undicesima legislatura usando come criteri i partiti di appartenenza del parlamentare ed il tipo di reato contestato (suddividendoli in «reati di opinione» e «reati di appropriazione»). Ciò che emerge dall’analisi quantitativa è che mentre la Dc, nel corso delle due prime legislature, vede inquisiti, rispettivamente, il 12,5% e l’8.3% dei propri parlamentari, le percentuali del Psi risultano essere 31,1% e 35,5% e per il Pci addirittura 61,5% e 64,5%. Altra considerazione rilevante è che i reati tipici contestati ai democristiani rientrano nella categoria dei reati di “appropriazione” (che includono la corruzione, la truffa, l’appropriazione indebita, ecc.) mentre la quasi totalità di quelli contestati alle sinistre rientra tra i reati di opinione. Un secondo indizio circa le inclinazioni politiche della magistratura durante il “centrismo” viene fornito da Neppi Modona che, dopo aver sottolineato i frequenti conflitti, negli anni 1945-47 tra la magistratura ed il ministero della Giustizia retto da esponenti comunisti (a Togliatti succede Fausto Gullo nel luglio del 1946) a causa delle divergenze circa l’esercizio della giurisdizione sui reati commessi da partigiani e su quelli dei fascisti, illustra uno scenario completamente diverso per quanto riguarda gli anni Cinquanta «sia perché gli indirizzi governativi, ora collimanti con l’impostazione conservatrice della magistratura italiana trovano precisi riscontri negli atteggiamenti giurisprudenziali, sia perché […] alcuni magistrati “indipendenti” furono colpiti da azioni disciplinari e trasferimenti d’ufficio» <21. Lo studioso, al fine di verificare la “sintonia” tra Democrazia cristiana e magistratura, fa poi riferimento ad indicatori di tipo diverso: le circolari ministeriali, i provvedimenti disciplinari ed i trasferimenti e, forse aspetto più importante in assoluto, gli atteggiamenti giurisprudenziali <22.
Rispetto ai rapporti con il potere politico, un atteggiamento chiaro e prevalente nella vita associativa della magistratura italiana, già negli anni Cinquanta, è rappresentato dalla totale insofferenza nei confronti dei tentativi da parte dei partiti di influenzare o criticare pubblicamente le sentenze emesse; come afferma Neppi Modona, «ne emerge il quadro di una magistratura molto attenta nella denuncia delle perduranti interferenze dei ministri della giustizia ma assolutamente miope nel cogliere al proprio interno i segnali di sudditanza e di conformismo nei confronti del potere politico dominante» <23. D’altro canto l’origine di quest’apparente contraddizione può essere individuata nell’intreccio tra istanze tipicamente corporative, sempre largamente presenti nella magistratura italiana, con quelle di tipo ideologico-culturale. Un caso tipico è quello dell’ostilità, che si manifesta con chiarezza a partire dalla fine degli anni Cinquanta, da parte della maggioranza dei giudici italiani, nei confronti dei processi di selezione relativi alla “carriera” interna; essi rappresentano un ostacolo verso l’indipendenza interna, a causa del condizionamento che consentono all’alta magistratura sul giudice, eppure si tratta anche di uno strumento che, in qualche misura, incentiva l’impegno personale del giudice e tende ad assicurare una distribuzione di maggiori responsabilità in base al merito personale.
L’introduzione della Corte costituzionale, che comincia a funzionare a partire dal 1956 <24, provoca effetti fondamentali sull’equilibrio di potere tra le istituzioni per almeno due ragioni: innanzitutto il sindacato di legittimità delle leggi può essere attivato da tutti i giudici ordinari, ciò che contribuisce in maniera sostanziale a rendere la magistratura un potere diffuso <25 ed in possibile contrasto con il potere legislativo. In secondo luogo la stessa presenza della Corte ridimensiona in qualche modo il ruolo della Cassazione, la cui influenza sul resto della magistratura, fino ad allora, era stata totale. Del resto non è un caso che, immediatamente dopo l’entrata in funzione della Corte costituzionale, l’assemblea dei presidenti delle sezioni civili e penali della Cassazione detti gli “orientamenti di massima” ai giudici italiani per la presentazioni delle questioni di legittimità costituzionale, mentre, da parte sua, il ministro della Giustizia chieda di essere tempestivamente informato circa queste pratiche <26.
[NOTE]
15 V. Zagrebelsky, “La magistratura ordinaria dalla costituzione ad oggi”. Cit. Pag. 719
16 D. Troisi, Diario di un giudice, Einaudi, Torino, 1955.
17 A. Meniconi, Storia della magistratura italiana, Cit. Pag. 299
18 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 129
19 Il contenuto degli articoli del periodico dell’Anm, La Magistratura, negli anni Cinquanta viene sottoposto ad analisi da E. Moriondo, L’ideologia della magistratura. Cit.
20 F. Cazzola e M. Morisi, La mutua diffidenza: il reciproco controllo tra magistrati e politici nella prima repubblica, Feltrinelli, Milano, 1996.
21 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 108
22 Afferma Neppi Modona: «Le pagine indimenticabili di Achille Battaglia e di Carlo Galante Garrone e la vastissima rassegna giurisprudenziale di Giuliano Vassalli sul collaborazionismo ripercorrono passo a passo, reato per reato, prima il rifiuto di adeguarsi alle scelte delle leggi speciali del 1944, 1945 e 1946 per sanzionare i crimini fascisti e per legittimare il movimento partigiano e, poi, lo spontaneo adeguamento alla manifesta volontà politica dei governi centristi di vanificare la legislazione contro il fascismo e di criminalizzare la resistenza». Ibid. Pag. 131
23 Ibid. Pag.122
24 Il ritardo si deve, oltre al tempo che si rivela necessario per l’approvazione della legislazione ordinaria necessaria, anche alla difficoltà nell’elezione dei giudici costituzionali e nel contrasto che sorge tra i partiti e particolarmente tra Dc e Pci. Da notare anche l’evoluzione dell’atteggiamento dei comunisti, che da nettamente contrario alla Corte durante i lavori della Costituente, diventa assai più favorevole al controllo di costituzionalità delle leggi nella fase attuativa della Corte. Vedere G. Silvestri, “La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo”, in AAVV, Storia d’Italia. Legge, diritto e giustizia, Einaudi-Il Sole 24 Ore, Milano, 2006. Pag. 950.
25 Anche in considerazione del fatto che la gran maggioranza delle verifiche di costituzionalità vengono eseguite su istanza dei giudici di tribunale, cioè dalla “bassa” magistratura: «Le percentuali delle questioni rimesse nel primo quinquennio di funzionamento della Corte Costituzionale sono così distribuite: 49% Preture, 35% Tribunali e Corti d’assise, 8% Corti d’appello, 2% Cassazione», M. Capurso, I giudici della Repubblica, Edizioni di Comunità, Milano, 1977. Pag. 54.
26 G. Neppi Modona, “La magistratura dalla liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza”. Cit. Pag. 114 e 115
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, 2013