Liberata Milano, nell’Aprile del 1945 si concludeva la Seconda Guerra Mondiale. Bisognava riorganizzare una nazione distrutta economicamente, socialmente e urbanisticamente: in pratica, si doveva ricostruire l’Italia. Uomini e donne dovettero lasciare le armi e dedicarsi alla riedificazione della propria patria, a prescindere da uno specifico colore politico. Per questi motivi, anche le donne desiderarono adoperarsi per il Paese, ma in quell’occasione non volevano più incarnare soltanto l’immagine delle madri o delle mogli, bensì impegnarsi attivamente al miglioramento delle condizioni economiche della propria famiglia.
Il primo diritto reale che la nuova Italia riconobbe alle sue cittadine fu il diritto di voto. Mentre parte del Nord Italia era ancora occupato a combattere per la Liberazione, il 1° febbraio 1945 il governo provvisorio Bonomi II, grazie al decreto legislativo luogotenenziale n. 23, sancì questo fondamentale diritto che era già prassi in altri paesi. Antesignani nel suffragio femminile universale furono la Nuova Zelanda (1893) e la Finlandia (1906), ma molte nazioni europee come il Regno Unito o l’URSS lo legalizzarono subito dopo la Prima Guerra mondiale. Nello stesso anno dell’Italia, introdussero il suffragio universale anche la Francia, il Giappone e Taiwan. Prima del 1945 c’erano stati altri tentativi di allargare alle donne il diritto di voto in Italia, il primo dei quali risale addirittura al 1875, grazie all’iniziativa parlamentare di Salvatore Morelli <1. Morelli fu il precursore italiano delle battaglie femministe: infatti si batté per equiparare la posizione giuridica della moglie con quella del marito, proponendo l’uguaglianza fra i coniugi e redasse un disegno di legge sul divorzio e sul suffragio femminile. A parte Morelli, ci furono altri tentativi precedenti al decreto luogotenziale del 1945 per equiparare giuridicamente uomo e donna. Il parlamentare lucano Francesco Saverio Nitti nel 1919 <2 propose in Parlamento l’allargamento del diritto di voto, ma la sua iniziativa non venne mai discussa o votata. A Fiume, sotto la reggenza del Carnaro, si arrivò a una sostanziale parità fra uomo e donna, come riconosciuta dalla Carta dannunziana, ma gli eventi del Natale di Sangue portarono a termine l’ardito esperimento <3. Infine, durante il fascismo sembrava che il regime avesse intenzione di concedere tale diritto universale, ma concesse soltanto il suffragio nelle elezioni amministrative. Si parlò, infatti, di “ultima farsa” o di “Mussolini e la beffa del voto alle donne” <4.
Così il 2 Giugno 1946 cittadini e cittadine finalmente votarono. Su 22 milioni di elettori, 12 milioni erano donne e 21 vennero elette per la stesura della Costituzione e cinque di loro entrarono a far parte della “Commissione dei 75”: Maria Federici, Teresa Noce, Lina Merlin, Angela Gotelli e Nilde Iotti. Queste donne avevano estrazione politica e sociale molto diversa: c’era chi afferiva alle fila della DC e chi invece proveniva dalle province rosse dell’Emilia-Romagna ed era iscritta nelle liste del PSI. Ciò che le accomunava era la loro origine, poiché provenivano tutte dal Nord Italia. Nella stesura della Costituzione emersero delle divergenze su alcuni temi che interessavano il ruolo delle donne, tra cui il tema del lavoro. Per la scrittura dell’art. 51, quello riguardante la libertà di intraprendere una carriera lavorativa, alcuni esponenti della Costituente volevano inserire nel testo la dicitura “tutti i cittadini d’ambo i sessi possono accedere agli uffici pubblici conformemente alle proprie attitudini”, attuando quindi una discriminazione vera e propria <5. Grazie all’intervento di Maria Federici si riuscì ad impedire che una barriera culturale potesse essere regolamentata a rango costituzionale: “Noi vediamo in questa formulazione due barriere che desideriamo siano abbattute. La dizione «conformemente alle loro attitudini» ci è sembrata pleonastica, perché non solamente per le carriere o per le cariche elettive, ma per tutte le manifestazioni del lavoro si deve verificare la possibilità che chi lavora segua la propria attitudine. Questo evidentemente è un principio fondamentale. [...] Poiché le attitudini non si provano se non col lavoro, escludere le donne da determinati lavori significherebbe non provare mai la loro attitudine a compierli. Ma evidentemente qui c'è l'idea di creare una barriera nei riguardi delle donne. E tuttavia che cosa può far pensare che le donne non siano capaci di accedere a posti direttivi? E che le donne non possano accedere alle cariche pubbliche, alle cariche dello Stato? È un pregiudizio, un preconcetto. E del resto tutta la storia delle affermazioni femminili dimostra che sempre si sono dovuti superare dei preconcetti. [...] Bisogna far sì che cada dalla nostra Costituzione ogni barriera frapposta alla donna. Credo poi che parlare di norme di legge qui sia ozioso, poiché tutte le disposizioni della Costituzione dovranno realizzarsi in norme di legge, espresse dalla legislazione positiva. Lasciamo cadere questa seconda barriera. Accetterei ben volentieri la formulazione presentata dall’on. Mortati, cioè quella che dice: «Tutti i cittadini forniti dei requisiti stabiliti dalla legge» ecc. Questo in nessun modo potrebbe offendere una donna perché, parlare di requisiti è cosa ben diversa che parlare di attitudini; e allora in questo senso potremmo accettare una limitazione o una dichiarazione che dica che ci sarà una legge che determinerà i requisiti richiesti per particolari incarichi.” <6
Nonostante il lavoro della Federici, ci furono diversi impieghi che vennero preclusi alle donne nella storia dell’Italia repubblicana: ad esempio la carriera nelle forze dell’ordine o nell’esercito fu aperta soltanto verso la fine degli anni ‘90, mentre quella in Magistratura dal 1963. Alle donne italiane era richiesta una funzione particolare, ovvero provvedere alle contraddizioni intrinseche del boom economico. La peculiarità principale di quegli anni fu l’esplosione dei comportamenti consumistici delle famiglie, dimostrata dalla diminuzione della spesa pubblica ospedaliera e nei trasporti e dalla crescita delle vendite di automobili e di elettrodomestici di ultima generazione come frigoriferi, televisioni o lavatrici. Questo fu il “miracolo italiano” che però contribuì a rendere più profonda la distanza tra un Nord sviluppato, con redditi alti e nuclei familiari ridotti, e un Sud arretrato, con ménage numerosi e dove ancora il 56,9% della popolazione lavorava nei campi <7. Nel Meridione gli elettrodomestici erano un lusso che pochi potevano permettersi. D’altronde le divisioni materiali conducevano inevitabilmente anche a differenze culturali. Infatti, seppur quasi tutte le donne italiane si dedicavano alla casa, le cause di questo fenomeno erano diverse da Nord a Sud. Le donne piccolo-borghesi del Settentrione, grazie agli alti salari dei loro mariti, potevano permettersi pellicce di visone e girocolli di perle pur scegliendo di fare le casalinghe; nel Meridione, la povertà diffusa e le scarse opportunità rendevano l’essere casalinghe una necessità obbligata, non sostenuta neanche da redditi dignitosi.
[NOTE]
1 “XVI Legislatura – Conoscere la Camera dal 1848 al 1882” https://leg16.camera.it/512?conoscerelacamera=35
2 Corriere della sera https://pochestorie.corriere.it/2020/01/30/30-gennaio-1945-le-donne-ottengono-ildiritto-di-voto-in-italia/
3 https://www.consiglio.regione.fvg.it/cms/hp/eventi/0221.html [ultimo accesso 22 maggio]
4 La nota è presente in “Sorelle d’Italia: presenze e immagini femminili”, Treccani di Cecilia Dau Novelli 2011; riportato in M. De Leo, F. Taricone, Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Napoli 1992.
5 Discorso di Maria Federici in sede Costituente il 22 maggio 1947, https://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/051/index.htm?art051-012.htm&2 (ultima consultazione: 9 maggio 2023).
6 Ibidem
7 “Le donne dal dopoguerra ad oggi” di Francesca Koch 09/2015
Silva Lestingi, Le donne nel Mezzogiorno dal 1945 a oggi: Esperienze, generazioni e trasformazioni, Tesi di Laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2022-2023
Il primo diritto reale che la nuova Italia riconobbe alle sue cittadine fu il diritto di voto. Mentre parte del Nord Italia era ancora occupato a combattere per la Liberazione, il 1° febbraio 1945 il governo provvisorio Bonomi II, grazie al decreto legislativo luogotenenziale n. 23, sancì questo fondamentale diritto che era già prassi in altri paesi. Antesignani nel suffragio femminile universale furono la Nuova Zelanda (1893) e la Finlandia (1906), ma molte nazioni europee come il Regno Unito o l’URSS lo legalizzarono subito dopo la Prima Guerra mondiale. Nello stesso anno dell’Italia, introdussero il suffragio universale anche la Francia, il Giappone e Taiwan. Prima del 1945 c’erano stati altri tentativi di allargare alle donne il diritto di voto in Italia, il primo dei quali risale addirittura al 1875, grazie all’iniziativa parlamentare di Salvatore Morelli <1. Morelli fu il precursore italiano delle battaglie femministe: infatti si batté per equiparare la posizione giuridica della moglie con quella del marito, proponendo l’uguaglianza fra i coniugi e redasse un disegno di legge sul divorzio e sul suffragio femminile. A parte Morelli, ci furono altri tentativi precedenti al decreto luogotenziale del 1945 per equiparare giuridicamente uomo e donna. Il parlamentare lucano Francesco Saverio Nitti nel 1919 <2 propose in Parlamento l’allargamento del diritto di voto, ma la sua iniziativa non venne mai discussa o votata. A Fiume, sotto la reggenza del Carnaro, si arrivò a una sostanziale parità fra uomo e donna, come riconosciuta dalla Carta dannunziana, ma gli eventi del Natale di Sangue portarono a termine l’ardito esperimento <3. Infine, durante il fascismo sembrava che il regime avesse intenzione di concedere tale diritto universale, ma concesse soltanto il suffragio nelle elezioni amministrative. Si parlò, infatti, di “ultima farsa” o di “Mussolini e la beffa del voto alle donne” <4.
Così il 2 Giugno 1946 cittadini e cittadine finalmente votarono. Su 22 milioni di elettori, 12 milioni erano donne e 21 vennero elette per la stesura della Costituzione e cinque di loro entrarono a far parte della “Commissione dei 75”: Maria Federici, Teresa Noce, Lina Merlin, Angela Gotelli e Nilde Iotti. Queste donne avevano estrazione politica e sociale molto diversa: c’era chi afferiva alle fila della DC e chi invece proveniva dalle province rosse dell’Emilia-Romagna ed era iscritta nelle liste del PSI. Ciò che le accomunava era la loro origine, poiché provenivano tutte dal Nord Italia. Nella stesura della Costituzione emersero delle divergenze su alcuni temi che interessavano il ruolo delle donne, tra cui il tema del lavoro. Per la scrittura dell’art. 51, quello riguardante la libertà di intraprendere una carriera lavorativa, alcuni esponenti della Costituente volevano inserire nel testo la dicitura “tutti i cittadini d’ambo i sessi possono accedere agli uffici pubblici conformemente alle proprie attitudini”, attuando quindi una discriminazione vera e propria <5. Grazie all’intervento di Maria Federici si riuscì ad impedire che una barriera culturale potesse essere regolamentata a rango costituzionale: “Noi vediamo in questa formulazione due barriere che desideriamo siano abbattute. La dizione «conformemente alle loro attitudini» ci è sembrata pleonastica, perché non solamente per le carriere o per le cariche elettive, ma per tutte le manifestazioni del lavoro si deve verificare la possibilità che chi lavora segua la propria attitudine. Questo evidentemente è un principio fondamentale. [...] Poiché le attitudini non si provano se non col lavoro, escludere le donne da determinati lavori significherebbe non provare mai la loro attitudine a compierli. Ma evidentemente qui c'è l'idea di creare una barriera nei riguardi delle donne. E tuttavia che cosa può far pensare che le donne non siano capaci di accedere a posti direttivi? E che le donne non possano accedere alle cariche pubbliche, alle cariche dello Stato? È un pregiudizio, un preconcetto. E del resto tutta la storia delle affermazioni femminili dimostra che sempre si sono dovuti superare dei preconcetti. [...] Bisogna far sì che cada dalla nostra Costituzione ogni barriera frapposta alla donna. Credo poi che parlare di norme di legge qui sia ozioso, poiché tutte le disposizioni della Costituzione dovranno realizzarsi in norme di legge, espresse dalla legislazione positiva. Lasciamo cadere questa seconda barriera. Accetterei ben volentieri la formulazione presentata dall’on. Mortati, cioè quella che dice: «Tutti i cittadini forniti dei requisiti stabiliti dalla legge» ecc. Questo in nessun modo potrebbe offendere una donna perché, parlare di requisiti è cosa ben diversa che parlare di attitudini; e allora in questo senso potremmo accettare una limitazione o una dichiarazione che dica che ci sarà una legge che determinerà i requisiti richiesti per particolari incarichi.” <6
Nonostante il lavoro della Federici, ci furono diversi impieghi che vennero preclusi alle donne nella storia dell’Italia repubblicana: ad esempio la carriera nelle forze dell’ordine o nell’esercito fu aperta soltanto verso la fine degli anni ‘90, mentre quella in Magistratura dal 1963. Alle donne italiane era richiesta una funzione particolare, ovvero provvedere alle contraddizioni intrinseche del boom economico. La peculiarità principale di quegli anni fu l’esplosione dei comportamenti consumistici delle famiglie, dimostrata dalla diminuzione della spesa pubblica ospedaliera e nei trasporti e dalla crescita delle vendite di automobili e di elettrodomestici di ultima generazione come frigoriferi, televisioni o lavatrici. Questo fu il “miracolo italiano” che però contribuì a rendere più profonda la distanza tra un Nord sviluppato, con redditi alti e nuclei familiari ridotti, e un Sud arretrato, con ménage numerosi e dove ancora il 56,9% della popolazione lavorava nei campi <7. Nel Meridione gli elettrodomestici erano un lusso che pochi potevano permettersi. D’altronde le divisioni materiali conducevano inevitabilmente anche a differenze culturali. Infatti, seppur quasi tutte le donne italiane si dedicavano alla casa, le cause di questo fenomeno erano diverse da Nord a Sud. Le donne piccolo-borghesi del Settentrione, grazie agli alti salari dei loro mariti, potevano permettersi pellicce di visone e girocolli di perle pur scegliendo di fare le casalinghe; nel Meridione, la povertà diffusa e le scarse opportunità rendevano l’essere casalinghe una necessità obbligata, non sostenuta neanche da redditi dignitosi.
[NOTE]
1 “XVI Legislatura – Conoscere la Camera dal 1848 al 1882” https://leg16.camera.it/512?conoscerelacamera=35
2 Corriere della sera https://pochestorie.corriere.it/2020/01/30/30-gennaio-1945-le-donne-ottengono-ildiritto-di-voto-in-italia/
3 https://www.consiglio.regione.fvg.it/cms/hp/eventi/0221.html [ultimo accesso 22 maggio]
4 La nota è presente in “Sorelle d’Italia: presenze e immagini femminili”, Treccani di Cecilia Dau Novelli 2011; riportato in M. De Leo, F. Taricone, Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Napoli 1992.
5 Discorso di Maria Federici in sede Costituente il 22 maggio 1947, https://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/051/index.htm?art051-012.htm&2 (ultima consultazione: 9 maggio 2023).
6 Ibidem
7 “Le donne dal dopoguerra ad oggi” di Francesca Koch 09/2015
Silva Lestingi, Le donne nel Mezzogiorno dal 1945 a oggi: Esperienze, generazioni e trasformazioni, Tesi di Laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2022-2023
Il decreto legislativo del 1º febbraio 1945, n. 23 che aveva come titolo Estensione alle donne del diritto di voto, fu adottato in extremis da parte del Consiglio dei ministri allora presieduto da Ivanoe Bonomi il 30 gennaio, giorno dell’entrata in vigore delle disposizioni comunicate ai Comuni dell’Italia liberata per la nuova formazione delle liste elettorali per le amministrative. Nonostante avessero dovuto aspettare fino a questa data per vedersi riconoscere il diritto di voto, amministrativo e politico, le donne avevano già ricoperto nel passato recente dei ruoli pubblici, sia all'interno delle repubbliche partigiane sia successivamente durante un’attiva partecipazione dei lavori della Consulta, l’assemblea transitoria che era stata costituita nell’aprile 1945.
I membri della Consulta erano 455 designati dai partiti del Comitato di liberazione nazionale (CLN), fra questi vi erano però soltanto tredici donne, ma non era mai accaduto in precedenza. Fu anche la prima volta nelle aule del Parlamento italiano, nella seduta del 1º ottobre 1945, che una donna, Angela Cingolani Guidi parlò, sottolineando la difficoltà che trovavano le donne a entrare all’interno delle istituzioni e dei luoghi della politica.
"Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane: credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultrici, invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire (applausi), che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse, ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale (approvazioni – applausi). Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona, ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del Paese. […] Parole gentili, molte ne abbiamo intese nei nostri riguardi, ma le prove concrete di fiducia in pubblici uffici non sono molte in verità. Qualche assessore come la collega Velletri, qui presente, una Vicesindaco come la nostra di Alessandria e qualche altro incarico assai, assai… sporadico". <62
Nel 1948 la donna finalmente conseguì il diritto di voto, sia attivo che passivo, ed ebbe riconosciuta la parificazione formale con l’uomo, anche se per diventare sostanziale si dovettero aspettare ancore diverse leggi successive.
Nella Costituzione Italiana, l’articolo 3 stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso.
Gli articoli 29, 30, e 31 della Costituzione si occupano della famiglia ed è molto interessante seguire i dibattiti che si fecero durante l’Assemblea Costituente su questa materia per comprendere anche lo stato delle cose e l’universo valoriale che era presente durante l’Assemblea, agli albori dell’epoca repubblicana italiana. Secondo il relatore Corsanego, ad esempio, se da una parte era appurato il superamento del concetto di inferiorità della donna, dall’altra era contrario a toccare la posizione del padre quale capo di famiglia poiché, a suo avviso, si sarebbe sconvolta l’istituzione familiare, frantumandone l’unità. Per Moro la famiglia era l’ordinamento originario, mentre lo Stato doveva provvedere al coordinamento dell’ordinamento familiare con il proprio; considerava la famiglia come la cellula di una società ordinata sotto il profilo della saldezza morale e della prosperità, la quale non andava intesa come prosperità economica, ma messa in relazione con le fondamentali concezioni cristiane. <63
L’accordo fu raggiunto per una formulazione definitiva degli articoli 29 e 30 della Costituzione, nei quali si proclamava che la famiglia fosse una società naturale; non si inserì il riferimento all’indissolubilità del matrimonio, si riconosceva l’eguaglianza dei coniugi e la tutela giuridica e sociale dei figli illegittimi come membri familiari a tutti gli effetti.
Uno dei passi più importanti per la storia dell’emancipazione femminile in quell’Assemblea Costituente avvenne il 23 aprile 1947, quando finalmente si statuiva l’eguaglianza dei coniugi nella famiglia, ponendo così fine alla dipendenza della donna dall’uomo risalente addirittura al diritto romano e agli Statuti medievali. <64
L’impegno delle donne era rivolto, quindi, all’ottenimento di norme che, mettendo in pratica il dettato costituzionale, prevedessero da una parte l’estensione della legge anche sulla lavoratrice madre e anche a chi lavorava nel settore agricolo e dall’altra garantissero l’effettiva parità fra uomo e donna. Coinvolgere le donne nell’organizzazione sindacale era un obiettivo considerato essenziale dai partiti e dal sindacato. <65 I dirigenti sindacali decisero, nel giugno 1947, di creare la Commissione femminile nazionale, composta da «sei comuniste, sei socialiste, sei democristiane e cinque rappresentanti delle minoranze», <66 sancendo così ufficialmente il ritorno delle donne nell’organizzazione sindacale che avevano dovuto abbandonare con l’avvento del fascismo.
L’articolo 51 inoltre sancì il diritto delle donne ad accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Quest’ultima precisazione in realtà avrebbe ancora limitato per diverso tempo l’accesso delle donne a determinate carriere, come alla carriera militare o in Magistratura. Questo aspetto venne evidenziato dalla democristiana Maria Federici la quale affermò quanto fosse strano «che la donna, che pur paga le tasse e sopporta tutti gli oneri della vita sociale non debba poi avere la possibilità di poter procedere nelle carriere in condizione di uguaglianza con gli uomini. [...] La donna dovrebbe scegliere liberamente seguendo il suo spontaneo desiderio, guidata dall’educazione o da altri elementi di valore anche spirituale, mai per ragione di un’ingiustizia che la offenda profondamente». <67
[NOTE]
62 ROSSELLA ROPA, CINZIA VENTUROLI, Donne e lavoro: un’identità difficile. Lavoratrici in Emilia Romagna (1860-1960), Bologna, Compositori, 2010, pp. 168-169.
63 E. SAROGNI, La donna italiana: Il lungo cammino verso i diritti, 1861-1994, cit., p. 153.
64 Ivi, p. 155.
65 «Noi Donne - Rivista quindicinale dell’Unione delle Donne Italiane», anno I, n. 6, 25 ottobre 1944, p. 12.
66 «Notiziario Cgil», n. 8, 20 settembre 1947, p. 16.
67 E. SAROGNI, La donna italiana: Il lungo cammino verso i diritti, 1861-1994, cit., p. 155.
Nunzia De Palo, Donne di ieri, donne di oggi. Un’avventura che richiede coraggio, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2015-2016
I membri della Consulta erano 455 designati dai partiti del Comitato di liberazione nazionale (CLN), fra questi vi erano però soltanto tredici donne, ma non era mai accaduto in precedenza. Fu anche la prima volta nelle aule del Parlamento italiano, nella seduta del 1º ottobre 1945, che una donna, Angela Cingolani Guidi parlò, sottolineando la difficoltà che trovavano le donne a entrare all’interno delle istituzioni e dei luoghi della politica.
"Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane: credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultrici, invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire (applausi), che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse, ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale (approvazioni – applausi). Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona, ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del Paese. […] Parole gentili, molte ne abbiamo intese nei nostri riguardi, ma le prove concrete di fiducia in pubblici uffici non sono molte in verità. Qualche assessore come la collega Velletri, qui presente, una Vicesindaco come la nostra di Alessandria e qualche altro incarico assai, assai… sporadico". <62
Nel 1948 la donna finalmente conseguì il diritto di voto, sia attivo che passivo, ed ebbe riconosciuta la parificazione formale con l’uomo, anche se per diventare sostanziale si dovettero aspettare ancore diverse leggi successive.
Nella Costituzione Italiana, l’articolo 3 stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso.
Gli articoli 29, 30, e 31 della Costituzione si occupano della famiglia ed è molto interessante seguire i dibattiti che si fecero durante l’Assemblea Costituente su questa materia per comprendere anche lo stato delle cose e l’universo valoriale che era presente durante l’Assemblea, agli albori dell’epoca repubblicana italiana. Secondo il relatore Corsanego, ad esempio, se da una parte era appurato il superamento del concetto di inferiorità della donna, dall’altra era contrario a toccare la posizione del padre quale capo di famiglia poiché, a suo avviso, si sarebbe sconvolta l’istituzione familiare, frantumandone l’unità. Per Moro la famiglia era l’ordinamento originario, mentre lo Stato doveva provvedere al coordinamento dell’ordinamento familiare con il proprio; considerava la famiglia come la cellula di una società ordinata sotto il profilo della saldezza morale e della prosperità, la quale non andava intesa come prosperità economica, ma messa in relazione con le fondamentali concezioni cristiane. <63
L’accordo fu raggiunto per una formulazione definitiva degli articoli 29 e 30 della Costituzione, nei quali si proclamava che la famiglia fosse una società naturale; non si inserì il riferimento all’indissolubilità del matrimonio, si riconosceva l’eguaglianza dei coniugi e la tutela giuridica e sociale dei figli illegittimi come membri familiari a tutti gli effetti.
Uno dei passi più importanti per la storia dell’emancipazione femminile in quell’Assemblea Costituente avvenne il 23 aprile 1947, quando finalmente si statuiva l’eguaglianza dei coniugi nella famiglia, ponendo così fine alla dipendenza della donna dall’uomo risalente addirittura al diritto romano e agli Statuti medievali. <64
L’impegno delle donne era rivolto, quindi, all’ottenimento di norme che, mettendo in pratica il dettato costituzionale, prevedessero da una parte l’estensione della legge anche sulla lavoratrice madre e anche a chi lavorava nel settore agricolo e dall’altra garantissero l’effettiva parità fra uomo e donna. Coinvolgere le donne nell’organizzazione sindacale era un obiettivo considerato essenziale dai partiti e dal sindacato. <65 I dirigenti sindacali decisero, nel giugno 1947, di creare la Commissione femminile nazionale, composta da «sei comuniste, sei socialiste, sei democristiane e cinque rappresentanti delle minoranze», <66 sancendo così ufficialmente il ritorno delle donne nell’organizzazione sindacale che avevano dovuto abbandonare con l’avvento del fascismo.
L’articolo 51 inoltre sancì il diritto delle donne ad accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Quest’ultima precisazione in realtà avrebbe ancora limitato per diverso tempo l’accesso delle donne a determinate carriere, come alla carriera militare o in Magistratura. Questo aspetto venne evidenziato dalla democristiana Maria Federici la quale affermò quanto fosse strano «che la donna, che pur paga le tasse e sopporta tutti gli oneri della vita sociale non debba poi avere la possibilità di poter procedere nelle carriere in condizione di uguaglianza con gli uomini. [...] La donna dovrebbe scegliere liberamente seguendo il suo spontaneo desiderio, guidata dall’educazione o da altri elementi di valore anche spirituale, mai per ragione di un’ingiustizia che la offenda profondamente». <67
[NOTE]
62 ROSSELLA ROPA, CINZIA VENTUROLI, Donne e lavoro: un’identità difficile. Lavoratrici in Emilia Romagna (1860-1960), Bologna, Compositori, 2010, pp. 168-169.
63 E. SAROGNI, La donna italiana: Il lungo cammino verso i diritti, 1861-1994, cit., p. 153.
64 Ivi, p. 155.
65 «Noi Donne - Rivista quindicinale dell’Unione delle Donne Italiane», anno I, n. 6, 25 ottobre 1944, p. 12.
66 «Notiziario Cgil», n. 8, 20 settembre 1947, p. 16.
67 E. SAROGNI, La donna italiana: Il lungo cammino verso i diritti, 1861-1994, cit., p. 155.
Nunzia De Palo, Donne di ieri, donne di oggi. Un’avventura che richiede coraggio, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2015-2016

