Powered By Blogger

sabato 27 gennaio 2024

Il convento fiorentino di Santa Marta ospitò, oltre che i fratelli Pacifici, numerosi bambini ebrei


Lasciata la madre, Emanuele Pacifici e il fratello Raffaele vennero portati dallo Zio in un altro istituto religioso fiorentino dove speravano di trovare ospitalità: "Lo zio ci accompagnò a Settignano nel collegio di Santa Marta, ma non eravamo sicuri di essere accettati. Fortunatamente suor Marta Folcia, che faceva le veci della superiora momentaneamente indisposta, ci disse che potevamo rimanere e dopo aver brevemente parlato con lo zio, rivolgendosi a me e Raffaele, disse: «Allora ragazzi, salutate vostro zio e andate subito a mangiare nella sala refettorio». Era la domenica 21 novembre 1943: il mio destino mi imponeva ancora una volta una separazione dai miei cari, ancora una volta un ambiente estraneo". <98
Il convento fiorentino di Santa Marta ospitò, oltre che i fratelli Pacifici, numerosi bambini ebrei; fra questi per un periodo ci fu anche, il poco sopra citato Umberto Di Gioacchino. Inizialmente egli era stato lasciato dai genitori alle suore di Santa Marta già nell’ottobre del 1942, quando Umberto aveva solo un anno. Umberto era nipote del rabbino di Firenze, Nathan Cassuto, il quale da tempo si era prodigato nell’assistenza dei profughi israeliti provenienti dai paesi in cui la persecuzione antisemita aveva messo in pericolo la loro vita. Per questo motivo il rabbino di Firenze fu edotto molto presto delle drammatiche conseguenze alle quali andavano incontro gli ebrei capitati sotto il giogo nazista e, intuendo il possibile pericolo che correvano gli ebrei italiani, non aveva indugiato nel cercare di porvi rimedio in anticipo. Di Gioacchino ha raccontato a riguardo: "Lo zio, Nathan Cassuto, era in una posizione privilegiata per avere notizie, informazioni, che, ovviamente, all’epoca non c’erano o quanto meno non giravano tra il pubblico e quindi cominciò ad avvertire un po’ la situazione pericolosa. La prima cosa che fu decisa fu come sistemare il bambino che era quello più facilmente, in un certo senso, nascondibile, perché non c’erano documenti, non c’era la carta di identità ecc. I miei avevano lasciato la casa, erano andati ospiti di amici in un’altra casa e mi trovarono una sistemazione presso le suore di Santa Marta". <99
Poiché nell’ottobre 1943 la situazione a Firenze sembrava degenerare, il piccolo Umberto venne però ripreso dai genitori che ritennero più sicuro portare il figlio con sé a Colle di Compito, un paese nella campagna lucchese. <100
Dopo l’8 settembre, le famiglie di Guido Bedarida e del fratello, per il timore di essere stati individuate dai tedeschi, lasciarono la grande fattoria nella campagna grossetana, dove si erano sistemate sin dal ritorno dalla Francia avvenuto nel febbraio del 1943. La ricerca di un luogo sicuro li condusse a Radicondoli, uno sperduto paesino nella provincia di Siena. Qui, entrambe le famiglie trovarono alloggio in un piccolo albergo <101. Lasciata Radicondoli, dopo una tappa di qualche giorno presso dei contadini («gente poverissima che non si lavava perché non c’era acqua, gente analfabeta, però gente di cuore»), i Bedarida raggiunsero il paese di Montieri, tra la provincia di Grosseto e Siena. A Montieri c’era un convento di suore Stimmatine le quali accolsero solo Anna, la più grandicella dei tre figli di Guido Bedarida e Pia Toaff, poiché le suore non potevano tenere maschi. Lasciata Anna, il resto della famiglia Bedarida tornò indietro e trovò ospitalità nella fattoria del conte Pannocchieschi ad Anqua, sempre nel comune di Radicondoli. Intenzionati a salvare i figli, Guido Bedarida e la moglie affidarono Gabriele e Davide al parroco della piccola frazione di Anqua, don Mario Bracci, che li tenne nascosti nella propria casa, senza farli mai uscire e chiudendoli nella dispensa quando il pievano temeva visite dei militi fascisti <102. Tuttavia la madre di don Bracci che viveva insieme a lui si sentì investita di troppa responsabilità e così, dopo un paio di settimane, i due bambini vennero ricondotti dal conte Pannocchieschi. Il ritorno dai genitori fu caratterizzato da momenti di vero terrore; infatti, quando i due bambini, accompagnati dal fattore di un’anziana nobildonna che nel frattempo aveva preso a ben volere i coniugi Bedarida, incontrarono un prigioniero russo, anch’egli fuggitivo, temettero fortemente di poter essere aggrediti: "Durante quella fuga dalla prima casa nel senese con una persona di fiducia, mi ricordo a Radicondoli, passavamo per i boschi durante la notte e abbiamo incontrato un prigioniero russo che scappava e lì c’era da aspettarsi di tutto anche di essere aggrediti, di essere fatti fuori perché ognuno aveva paura dell’altro e mi ricordo la figura di quest’uomo che scappava e ha chiesto qualche cosa al nostro accompagnatore. Poi mi ricordo che siamo arrivati alla piazza di Radicondoli…" <103 Quella fuga notturna, per i piccoli Gabriele e Davide, prese tutti i connotati di un viaggio zeppo di immagini spettrali, e tale rimane fissato ancor oggi nella memoria: "Ecco bisogna immaginare questi paesini del senese arroccati sulle colline, la piazza centrale, la scarsa illuminazione la sera, e io mi ricordo che noi aspettavamo che il nostro accompagnatore sbrigasse delle cose e io guardavo su e c’era una persona che mi guardava, doveva essere una vecchia pazza, e questa donna mi faceva delle smorfie orribili. Quindi l’atmosfera era piuttosto cupa perché noi eravamo bambini e sapevamo, non so perché ma sapevamo, ma non ci rendevamo conto perché ci dovevamo nasconderci e oltretutto nella nostra solitudine vedere questa vecchia che ci faceva delle smorfie orribili e io non riuscivo a staccare gli occhi da questa vista… tremendo!" <104
Per loro fortuna i due bambini riuscirono a tornare dai loro genitori sani e salvi, dopo di che, sempre attraverso l’intercessione dell’anziana nobildonna senese, vennero accolti nel collegio vescovile di Montepulciano <105.
[NOTE]
98 E. Pacifici, «Non ti voltare», cit., p. 61.
99 Intervista a Umberto Di Gioacchino, Verona, 17 settembre 2007.
100 Ibidem.
101 Gabriele Bedarida descrive così il peregrinare in quei giorni: «Avevamo trovato un alberghetto in comune di Radicondoli, non so chi ce l’aveva consigliato. L’alberghetto era immerso nella foresta, senza luce elettrica, senza acqua corrente ma ‘fare buon viso a cattiva sorte!’. E così siamo stati lì qualche settimana, finché peggiorando la situazione abbiamo deciso di dividerci, perché cerano voci di rastrellamenti da parte dei repubblichini». Intervista a Gabriele Bedarida, Livorno, 10 settembre 2007.
102 «Lì» il pievano, racconta Davide Bedarida, «mi ricordo ci rinchiudeva nella dispensa e noi per passare il tempo si mangiava quest’uva secca!; lui poi ci lasciava un pochino per la casa ma le finestre erano chiuse, quando suonavano o si sentiva qualche macchina che generalmente le macchine erano dei repubblichini e allora ci rinchiudeva. Mi ricordo che questo pievano aveva scoperto che io cantavo bene e allora lui si metteva al piano e cantavo l’Ave Maria di Schubert!, me lo ricordo ancora… e mi piaceva, avevo sette anni». Intervista a Davide Bedarida, Livorno, 29 ottobre 2007.
103 Ibidem.
104 Ibidem.
105 «La Palazzuoli aveva arrangiato perché fossimo portati al Collegio vescovile di Montepulciano e mia madre aveva parlato con il vescovo Mons. Emilio Giorgi, e così finimmo prima a Siena a casa di Monsignor Petrilli, che era uno della curia arcivescovile di Siena e, molto gentile, ci dette da mangiare, ci fece passare una mezza giornata piacevole in attesa dell’autobus per Montepulciano, poi il fattore Filippini ci portò a Montepulciano e lì ci lasciò». Intervista a Gabriele Bedarida, Livorno, 10 settembre 2007.
Paolo Tagini, "Le prefazioni di una vita". I bambini ebrei nascosti in Italia durante la persecuzione nazi-fascista, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Verona, 2011