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mercoledì 10 gennaio 2024

Si iniziò a parlare del New Federalism di Nixon


Il fatto che l’era della Great Society stesse oramai giungendo al termine, si colse, in modo evidente, dal tono del discorso sullo stato dell’Unione che Lindon Johnson pronunciò nel 1967. In modo afflitto il Presidente uscente si rifece al pensiero di Thomas Jefferson, asserendo che: “È una triste regola delle società umane quella che a volte le costringe a scegliere un grande male per scongiurarne uno ancora più grande .. Vorrei potervi dire che il conflitto volge al termine. Non posso farlo. Ci attendono nuovi costi, nuove perdite e nuove sofferenze, perché non siamo ancora alla fine” <58. La Guerra in Vietnam divenne una delle ragioni politiche principali della sconfitta democratica, della mancata ricandidatura di Johnson e della vittoria repubblicana, nella cornice di quello che era diventato un Paese diviso <59.
Alle origini del neoconservatorismo, che si affermò nel corso degli anni Settanta, si collocano due importanti scuole di pensiero. La prima capeggiata da Milton Friedman, uno dei maggiori esponenti della Scuola monetarista di Chicago e la seconda, guidata da Irving Kristol, un sociologo legato alla rivista “The Public Interest”. L’intellighenzia conservatrice emerse dapprima in ambito economico, laddove fu agevole per i monetaristi mettere a nudo le derive negative di una politica smodata di deficit spending che li aveva indotti a ripudiare l’immagine di uno Stato interventista negli affari economici e sociali al fine di restituire al libero mercato i naturali andamenti. Friedman e Joseph Stigler criticarono il ruolo e le misure deliberate dal Regulatory State, giungendo, addirittura, a sostenere che la Grande Depressione era stata il risultato del fallimento del Governo e non del mercato. Il ritorno al fondamentalismo liberista e alla retorica della mano invisibile, in grado di auto-correggere i fallimenti del mercato, aveva addirittura condotto la Scuola monetarista ad una reiezione del corpus normativo del New Deal e, addirittura, quello precedente della Progressive Era <60.
La rivolta sociologica avvenne, invece, dopo il ritorno in auge del fondamentalismo liberista e rinvenne in Krystol uno dei suoi maggiori teorizzatori. Lo studioso si ribellava cinicamente alla poderosa costruzione welfaristica della Great Society, ritenuta un “assurdo esercizio di ingegneria sociale, conseguenza dell’accettazione generale delle teorie sociologiche della sinistra incorporate nel programma Guerra alla Povertà” <61. Nel solco di questa ‘nuova’ corrente di pensiero si poneva l’ascesa sulla scena politica di Richard Nixon che, appellandosi alla “maggioranza silenziosa” degli americani socialmente conservatori che rifiutavano la cultura hippie e il grave conflitto in Vietnam, riuscì a vincere con una larga maggioranza le elezioni presidenziali del 1968 e del 1972, che determinarono la rimonta della destra ultraconservatrice negli Stati Uniti d’America.
Nixon promise al Paese una “pace con onore” e congiuntamente al Segretario di Stato Henry Kissinger, diede una svolta alla politica americana, facendo perno sulla dottrina di Truman che credeva in un mondo bipolare <62. Nell’ambito della politica interna Nixon tentò di instaurare un equlibrio tra la retorica conservatrice e l’utilizzo di ogni prerogativa presidenziale, maturando un approccio liberale nel campo della tutela dei diritti civili e delle libertà economiche. Ma il suo mandato presidenziale si concluse con la rassegnazione delle dimissioni per evitare la condanna a seguito della procedura di impeachment avviata nei suoi confronti a causa dello scandalo Watergate <63.
L’epiteto di “Presidenza Imperiale” con cui Arthur Schlesinger Jr. fregiò il mandato di Richard Nixon, era motivato dall’uso che egli fece delle prerogative presidenziali, stravolgendo l’impianto della Costituzione, tanto sul piano della politica estera quanto su quello della politica interna. Richard Nixon seppe strumentalizzare le divisioni razziali, la preoccupazione cagionata dai cambiamenti sociali e le minacce provenienti dall’estero al fine di allontanare la classe lavoratrice bianca dalle conquiste del New Deal. L’astuzia del Presidente fu costituita dalla sua capacità di manipolare i media <64. Sul piano della politica interna Nixon adottò, comunque, delle misure invise alla destra ultraconservatrice, aumentando il prelievo fiscale, rafforzando la tutela ambientale e introducendo una nuova assicurazione sanitaria nazionale, considerati dei programmi sin troppo “liberal” <65.
In effetti, gli anni Settanta furono il periodo dell’elevato progresso scientifico e teconologico, ma furono anche gli anni degli shocks petroliferi del 1973 e del 1974 che cagionarono il diffondersi di una pericolosa spirale inflazionistica, mettendo a nudo l’inattititudine delle ricette economiche di deficit spending nel sanare la crisi. Gli Stati Uniti conobbero un nuovo grave e preoccupante fenomeno congiunturale noto come stagflazione, costituente una situazione di crisi dovuta alla compresenza di un elevata inflazione e di una economia reale stagnante e non in crescita <66. Una delle prime misure approntate dal Governo federale per affrontare la crisi fu costituita dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro nel 1971 <67.
La teoria monetarista di Milton Friedman non solo criticò l’efficacia delle ricette keynesiane, ma mise anche in evidenza il ruolo chiave svolto dalle politiche monetarie nella stabilizzazione macroeconomica. Secondo tale Scuola di pensiero un incremento proporzionato dell’offerta di moneta avrebbe condotto nel breve periodo ad un incremento del PIL nominale, in modo tale che nel lungo periodo si potesse assicurare una stabilizzazione dei prezzi e dei salari. A parere degli studiosi della Scuola di Chicago l’iniziativa economica privata, lasciata libera di operare in modo autonomo, non tendeva all’instabilità dal momento che le fluttuazioni del PIL nominale erano dovute ad un intervento dello Stato nell’economia. In tal modo, la moneta acquisiva un ruolo fondamentale nella determinazione della domanda aggregata e nella flessibilizzazione dei prezzi e dei salari.
La congiuntura economica influenzò notevolmente l’azione del Presidente Nixon e radicalizzò i tratti distintivi della sua “Imperial Presidency”, influendo in modo inevitabile sulle dinamiche intergovernative <68. Non costituisce una circostanza trascurabile il fatto che nel corso degli anni settanta i grants-in-aid ed i federal mandates siano aumentati notevolmente. Accanto al classico sistema di sovvenzioni federali, si pose una nuova categoria di sussidio finanziario, meglio noto come "Cross-over-sanctions". Questi ultimi imponevano un obbligo positivo di realizzazione in capo agli Stati, sul modello dei "Federal Mandates", il cui inadempimento comportava la immediata riduzione dei finanziamenti già concessi agli Stati. L’incisività di tale meccanismo risiedeva nel fatto che agli Stati non era concessa alcuna facoltà di scelta, costringendoli ad accettare la sovvenzione federale per evitare la sospensione, se non addirittura la revoca di aiuti finanziari già concessi e destinati, spesso, ad altri settori <69.
Alle "Cross-over-sanctions" si aggiunse una espansione della "Federal Preemption" che consentiva al Governo federale di conservare un ruolo di indirizzo e di controllo nei confronti delle realtà periferiche senza doverne, però, subire il conseguente onere finanziario, nella cornice legittimante della "Supremacy Clause". Nel corso degli anni settanta furono approvati una serie di atti normativi rientranti sia nella categoria della "Total Preemption" sia della "Partial Preemption" <70, a sostegno di una riduzione della spesa pubblica federale a favore degli Stati, pur mantenendo in vita dinamiche relazionali collaborative. Il modello dei "conditional grants-in-aid", visti gli alti costi per il bilancio federale, cedette gradualmente il posto al sistema della "federal preemption" che consentiva al Federal Government di avocare a sé la disciplina di rilevanti materie, spesso di rilievo e di competenza statale, senza però doversene accollare i relativi costi. Quando alla semplice invasione della competenza normativa statale si associò l’imposizione di un obbligo di positiva attuazione della misura federale, ci si trovò innanzi alla categoria dei "federal mandates", in cui la facoltà di adesione degli Stati era sostanzialmente annientata. Si trattava, comunque, di strumenti di coazione piuttosto che di programmazione messi in atto dal Federal Government che alterarono le dinamiche e gli equilibri delle relazioni intergovernative, tinteggiando il federalismo cooperativo di sfumature coercitive <71. Qualora, poi, la legge federale non contenesse una "saving clause" che legittimasse il concorrente intervento normativo statale, era compito della Corte Suprema appurare la sussistenza di un conflitto tra fonti e verificare quale fosse il "determining intent" perseguito dal legislatore federale nel momento in cui aveva deciso di legiferare in un ambito di acclarata competenza statale. Se questo intento non era enucleabile né in modo espresso né in modo tacito, la Corte non avrebbe potuto dichiarare preminente la disciplina federale <72.
Come ebbe modo di affermare Elazar, la "federal preemption" e i "federal mandates" consentirono la realizzazione di un “coercive or prefectorial Federalism” in cui il ruolo cooperativo e variamente partecipativo dei singoli Stati risultava, oltremodo, ‘compresso’ e ‘compromesso’ <73. A siffatto "federal coercive trend" fece da contraltare lo sviluppo di una nuova categoria di grants, erogati a favore degli Stati. Si diffusero così i cd. block grants, ossia sovvenzioni federali dall’ampia connotazione teleologica che conferivano una maggiore flessibilità, in capo ai singoli Stati, nella predisposizione ed attuazione dei singoli programmi. I block grants, a differenza dei categorical grants, non si prefissavano la realizzazione di obiettivi puntuali, ma stanziavano cospicue sovvenzioni federali per l’attuazione di ampi progetti e per il perseguimento di plurime finalità in vasti ambiti di intervento <74. Ne era derivata una maggiore semplificazione amministrativa nella gestione dei programmi di intervento socio-assistenziali, accorpabili a pregressi programmi di tipo categorical, che fungerà da prodromo per la successiva deregulation degli anni Ottanta.
Come rileva Bognetti fu già nel corso degli anni settanta che alcune direttive presidenziali rivolte alle agenzie amminstrative, misero in mostra la volontà di agire a livello federale solo nei casi comprovata insufficienza degli Stati, pur trattandosi ancora di intenti cristallizzati per lo più in fonti regolamentari, aventi un rango inferiore a quello delle leggi <75. Uno dei più importanti campi di applicazione della nuova categoria di sovvenzioni fu, soprattutto, quello dell’edilizia popolare attraverso il programma "Community Development Block Grants" che si dimostrò molto più duttile del pregresso progetto "Model Cities" <76. Il modello dei block grants fu riproposto anche nel corso della Presidenza di Carter al fine di promuovere gli investimenti privati nelle aree urbane, nell’ottica di quel “Piano Marshall per le città” invocato da anni dalla Conferenza dei sindaci <77.
Si approntarono scelte politiche mirate che palesavano l’intenzione di ripensare le relazioni intergovernative al fine di evitare derive coercitive nell’azione di programmazione federale. Per tali motivi, si iniziò a parlare del "New Federalism" di Nixon che poggiava sulla devoluzione di maggiori competenze a favore delle entità decentrate e da queste ultime a favore delle realtà locali e delle istituzioni appartenenti al "Third Party of Government". In tal modo, si tentò di ripristinare un nuovo balancing tra Stato federale e singole entità statali, fondato su di una suddivisione delle sfere di competenza secondo le logiche di una ‘recuperata’ ottica cooperativa. Nel corso della Presidenza di Richard Nixon, il termine "New Federalism" era stato più volte utilizzato con riguardo ai finanziamenti federali erogati a favore dei singoli Stati senza vincoli di destinazione, attraverso il "General Revenue Sharing", avente il fine precipuo di ridare vigore alla discrezionalità statale nella conduzione delle politiche di spesa, in virtù dell’eliminazione di una serie di conditions apposte ai categorical grants che fu implementato nel corso della Presidenza di Gerald Ford <78. Si trattò di una forma di cooperazione sul piano fiscale, che riuscì ad esaltare la libertà e la creatività simultanea di tutti i livelli di govenro coinvolti, vivacizzando le dinamiche federali. Sempre in quegli anni, Nixon provvide a ridurre il “potere della borsa” del Congresso incardinato in apposite previsioni costituzionali. Il Presidente, inaugurando la prassi dell’impoundment, si rifiutò di spendere fondi stanziati in via formale dal Congresso per il settore edilizio, per il disinquinamento dell’acqua e dell’istruzione, temendo che il Congresso potesse assumere condotte irresponsabili nel coordinare i programmi di spesa con i piani delle entrate. <79
Occorre poi, rammentare le importanti modifiche occorse al settore bancario che rivisitarono taluni assunti di base del corpo normativo del New Deal. Infatti, virtù di una interpretazione estensiva di una legge del 1970 si determinò una ibridazione tra modelli e comparti del settore creditizio sino ad allora molto delimitati e delineati. <80
[NOTE]
58 La citazione è rinvenibile nell’opera di P. KRUGMAN, La coscienza di un liberale …cit., p. 93.
59 La nozione di “division in the American house” è rinvenibile nel discorso che Lindon Johnson fece alla Nazione il 31 marzo del 1968, in occasione del quale rese nota la sua volontà di non ricandidarsi. Il testo dell’annuncio è integralmente consultabile sul sito internet: http://millercenter.org/, correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.
60 In particolare, P. KRUGMAN, “Who Was Milton Friedman”, in New York Review of Books, 15 febbraio 2007.
61 Sul punto, I. KRYSTOL, “American Conservatsim, 1965-1995”, in The Public Interest, (Autumn 1995), pp. 80 e ss.
62 L’Amministrazione Nixon si fece portatrice di un programma di realpolitik che induceva gli Stati Uniti ad intervenire militarmente solo quando fossero stati messi in gioco i loro interessi nazionali. Ma non bisogna tralasciare l’ingerenza, strategica e gravida di tristi conseguenze, negli affari politici dell’America Latina.
63 Quando rassegnò le proprie dimissioni, l’8 agosto del 1974, Richard Nixon affermò: “Continuare la mia battaglia nei mesi a venire per difendermi dalle accuse, assorbirebbe quasi totalmente il tempo e l’attenzione del Presidente e del Congresso, in un momento in cui i nostri sforzi devono essere diretti a risolvere le grandi questioni della pace fuori dai nostri confini e della ripresa economica, combattendo contro l’inflazione al nostro interno. Ho deciso, perciò, di rassegnare le dimissioni da Presidente”. Il Presidente non ammise la sua responsabilità e celò le ragioni delle sue dimissioni sulla necessità che un Paese in difficoltà avesse un full-time Congress ed un full-time President. Per una consultazione della versione scritta e della versione orale del discorso del Presidente, si rimanda al sito internet: http://millercenter.org/ , correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.
64 Come evidenzia Krugman, Roger Ailes, Presidente di Fox News era consigliere di Richard Nixon per i mezzi di comunicazione e di informazione ed è un personaggio centrale nel libro di Joy McGinniss del 1969, Come si vende un Presidente. I media costituirono un ottimo strumento di propaganda politica e di repressione del dissenso. Sul punto, P. KRUGMAN, La coscienza di un …cit., p. 116. Nixon manifestò, del resto, una certa riluttanza nei confronti delle agenzie amministrative indipendenti, firmando una serie di ordini esecutivi aventi il fine di accentrare nelle mani del Presidente il potere di direzione dell’attività regolatoria. Sul punto, si veda il contributo di C.R. SUNSTEIN, “Constitutionalism After the New Deal”, in Harvard Law Review, Vol. 101, (1987), p. 454.
65 Si trattava del Federal Health Insurance Plan varato nel 1970, il quale estendeva una copertura sanitaria uniforme su tutto il territorio nazionale a favore delle famiglie povere con bambini. Fu anche approvato il Family Assistance Plan. Le politiche di Nixon erano dirette, comunque, a garantire una razionalizzazione della spesa pubblica ed una riduzione dei costi. Sul punto, per una accurata analisi ricostruttiva, si rinvia al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 80 e ss.
62 L’Amministrazione Nixon si fece portatrice di un programma di realpolitik che induceva gli Stati Uniti ad intervenire militarmente solo quando fossero stati messi in gioco i loro interessi nazionali. Ma non bisogna tralasciare l’ingerenza, strategica e gravida di tristi conseguenze, negli affari politici dell’America Latina.
63 Quando rassegnò le proprie dimissioni, l’8 agosto del 1974, Richard Nixon affermò: “Continuare la mia battaglia nei mesi a venire per difendermi dalle accuse, assorbirebbe quasi totalmente il tempo e l’attenzione del Presidente e del Congresso, in un momento in cui i nostri sforzi devono essere diretti a risolvere le grandi questioni della pace fuori dai nostri confini e della ripresa economica, combattendo contro l’inflazione al nostro interno. Ho deciso, perciò, di rassegnare le dimissioni da Presidente”. Il Presidente non ammise la sua responsabilità e celò le ragioni delle sue dimissioni sulla necessità che un Paese in difficoltà avesse un full-time Congress ed un full-time President. Per una consultazione della versione scritta e della versione orale del discorso del Presidente, si rimanda al sito internet: http://millercenter.org/ , correlato al Miller Center of Public Affairs della University of Virginia.
64 Come evidenzia Krugman, Roger Ailes, Presidente di Fox News era consigliere di Richard Nixon per i mezzi di comunicazione e di informazione ed è un personaggio centrale nel libro di Joy McGinniss del 1969, Come si vende un Presidente. I media costituirono un ottimo strumento di propaganda politica e di repressione del dissenso. Sul punto, P. KRUGMAN, La coscienza di un …cit., p. 116. Nixon manifestò, del resto, una certa riluttanza nei confronti delle agenzie amministrative indipendenti, firmando una serie di ordini esecutivi aventi il fine di accentrare nelle mani del Presidente il potere di direzione dell’attività regolatoria. Sul punto, si veda il contributo di C.R. SUNSTEIN, “Constitutionalism After the New Deal”, in Harvard Law Review, Vol. 101, (1987), p. 454.
65 Si trattava del Federal Health Insurance Plan varato nel 1970, il quale estendeva una copertura sanitaria uniforme su tutto il territorio nazionale a favore delle famiglie povere con bambini. Fu anche approvato il Family Assistance Plan. Le politiche di Nixon erano dirette, comunque, a garantire una razionalizzazione della spesa pubblica ed una riduzione dei costi. Sul punto, per una accurata analisi ricostruttiva, si rinvia al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 80 e ss.
66 La stagflazione era stata pronosticata da Milton Friedman nei libri, Capitalism and Freedom e nella Storia Monetaria degli Stati Uniti Sul punto, si rimanda al contributo di A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 158 e s.
67 Fu così posta fine al regime del Gold Exchange Standard, messo a punto nel 1944 e si istituì un nuovo regime monetario di tipo ibrido. Il nuovo sistema consentì ad ogni Stato di governare la propria liquidità interna. Nell’ambito del commercio internazionale, la ragione di scambio di una moneta nei confronti di altre era determinata dal libero mercato ed era fluttuante. Solo che i numerosi impegni contratti all’estero dagli Stati Uniti per la conduzione della politica di difesa contro il comunismo e il conflitto in Vietnam, contribuirono ad aumentare la massa monetaria in circolazione e ad indebolire il dollaro sul piano internazionale. Il sistema monetario internazionale si era connotato per le sue intrinseche trasformazioni strutturali. Alle origini, venne utilizzato il sistema di Gold Standard o sistema aureo o dei cambi fissi in cui i Governi specificavano la loro moneta nei termini fissati di una quantità fissa di oro. La scelta dell’oro era motivata in ragione della preziosità e scarsità del metallo e per la sua limitata utilizzazione industriale. Negli anni ’30 e ’40, il sistema aureo mostrò i suoi lati deboli, dovuti al disordine economico e alla svalutazione a fini anticoncorrenziali. Fu così che sotto la guida intellettuale di John Maynard Keynes, i rappresentanti di molte Nazioni si riunirono a Bretton Woods, nel New Hampshire, nel 1944 e siglarono l’accordo costitutivo del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e firmarono il General Agreement on Tariff and Trade, meglio noto con la sigla GATT. Si dette così vita al Gold Exchange Standard, che si fondava su di un regime di tassi fissi, ma aggiustabili in caso di eccessivo squilibrio. Il sistema di Bretton Woods istituiva una parità, per ciascuna moneta, rispetto al dollaro statunitense e all’oro. L’abbandono del sistema di Bretton Woods, negli anni settanta, fu seguito dall’introduzione del sistema ibrido odierno che conta sulla presenza di Paesi che consentono una libera fluttuazione monetaria, di altri che possiedono tassi di cambio amministrati, altri ancora agganciano la loro valuta ad una moneta forte o ad un paniere di monete forti secondo il sistema di parità strisciante e, infine, vi sono Paesi che si uniscono in blocco per stabilizzare i rispettivi tassi di cambio, come accadeva nell’ambito del sistema monetario europeo. Ogni Paese si riserva, comunque, di intervenire sui tassi di cambio, qualora i mercati diventino turbolenti. Sul punto, si leggano i contributi di G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalismo americano …cit., p. 178 e ss., nonché di R. SALOMON, The International Monetary System, 1945-1976: An Insider’s View, New York, 1977, pp. 2 e ss.
68 Come rileva Arthur Schlesinger, l’esaltazione dei poteri presidenziali, imposta dall’emergenza bellica e dalla Guerra Fredda degli anni Quaranta e Cinquanta, si sarebbe accentuata progressivamente nei due decenni successivi, in particolare con Richard Nixon, il quale, per uno “strano accidente storico”, fece confluire, in modo singolare, la carica e l’uomo. In particolare, A.M. SCHELISNGER, La presidenza imperiale, ed. it., Milano, 1980, p. 255 nonché K.E. WHITTINGTON, “The Buger Court, 1969-1986. Once More in Transition”, in The United States Supreme Court. The Pursuit of Justice (a cura di C. TOMLINS), New York, 2005, pp. 301 e ss.
69 Un tipico esempio di Cross-over-sanctions fu costituito da una legge federale del 1974 che introduceva l’embargo contro i Paesi esportatori di petrolio ed imponeva agli Stati federati di ridurre la velocità massima consentita alle automobili al fine di diminuire il consumo eccessivo di carburante, minacciando la riduzione dei fondi federali per la costruzione della rete autostradale. Si trattava, non solo di un mandato imperativo imposto ai singoli Stati, da adempiere in modo puntuale, pena la riduzione dei fondi federali, ma costituiva anche una intromissione nella sfera d’azione del police power statale, da sempre legittimato alla regolazione della materia della circolazione stradale. Analogamente, si comportò il Congresso federale nel 1991, quando approvò una legge che imponeva agli Stati di disporre la sospensione della patente, per sei mesi, ai soggetti condannati per reati correlati all’uso di sostanze stupefacenti. Sul punto, si rimanda al contributo di M. COMBA, Esperienze federaliste tra garantismo e democrazia. Il «judicial federalism» negli Stati Uniti, Napoli, 1996, p. 191.
70 Basti rammentare lo U.S. Grain Standard Act del 1968 e il Federal Rail Road Safety Act del 1970, costituenti casi tipici di Total Preemption con radicale esclusione di una concurring legislation statale in materie, di norma, sottoposte al police power degli Stati. Mentre il Safe Drinking Water Act del 1974, in materia di protezione ambientale, fu sottoposto ad una forma di Partial Preemption, in cui lo Stato federale imponeva solo degli standards generali di disciplina della materia. In particolare, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 108 e s.
71 Come affermò Elazar, dal 1965 al 1985, il trend federale fu centralizing, anche se in modo altalenante. In particolare, D.J. ELAZAR “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 12. L’autore rileva anche che gli eventi congiunturali negativi che connotarono l’Amministrazione di Nixon, paralizzarono, pur tuttavia, il Federal Government, spingendo i singoli Stati a provvedere in modo autonomo. Come sottolinea Elazar, gli Stati riscoprirono di avere un potere che derivava dalla loro condizione di “States as States and did not need to wait for federal iniziative or permission, in other words, that the States are indedd polities”, ibid. p. 14. Sul fenomeno della centralization of power, considerata strumento indispensabile per risolvere i problemi nazionali, si rimanda anche al contributo di M.F. LASLOVICH, “The American Tradition: Federalism in the United States”, in Comparative Federalism and Federation, Competing Tradittions and Future Directions (edited by M. Burgess and A.G. Gagnon), New York, 1993, pp. 188 e ss., il quale richiama più volte il pensiero di Elazar espresso in materia.
72 Caso E.G. Malone v. White Motor Corporation, 435 U.S. 497 (1978).
73 In particolare, D.J. ELAZAR, “Is Federalism Compatible with Prefectorial and Administation?”, in Publius, Vol. 11, (Spring 1981), pp. 4 e ss. nonché dello stesso autore, il citato “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 12.
74 Come rileva Pierini, si trattava di finanziamenti in blocco che lasciavano ai singoli Stati percipienti ampia discrezionalità nella individuazione dei problemi, nell’articolazione dei programmi, nelle modalità di intervento e nella allocazione delle risorse. I requisiti di natura amministrativa e fiscale, fissati dal Federal Government, avevano un carattere eminentemente principiologico. Di norma la legge federale provvedeva a fissare un apposito tetto di spesa. Tra i primi rilevanti esempi di atti normativi istitutivi dei block grants, si colloca l’Ominibus Crime Control and Safe Streets Act del 1968, destinato a ridurre il numero di regulations e di conditions federali. In particolare, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., pp. 100 e s.
75 Sul punto, G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalismo americano …cit., p. 208.
76 Il programma aveva il duplice scopo di eliminare il degrado urbano e la frammentazione burocratica, ma si attrasse le critiche di chi temeva che il nuovo assetto decentrato potesse disperdere gli obiettivi nazionali. Il programma federale venne stilato nel 1974 e proponeva sussidi generalizzati agli affittuari e block grants per finanziare piani di sviluppo comunitari, iniziati e decisi in sede locale. L’intento era quello di incrementare la domanda per la riabilitazione e per l’uso degli immobili urbani che era il cuore del problema delle case in città. Nixon intendeva estirpare gli abusi perpetrati nel programma di assistenza alla proprietà, che favorivano le speculazioni dei costruttori e provocavano disparità di trattamento. Il programma non sortì, però, gli effetti sperati. In uno studio effettuato dal Brookings nel 1978 per conto del Governo, si dimostrò che i rapporti tra i differenti livelli di governo non era affatto mutato. L’intervento federale era nuovamente aumentato e il conflitto con gli enti locali in merito alle scelte di assetto territoriale era diventato ampio. Sul punto, si rimanda al contributo di G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., pp. 90 e ss. Per un’analisi delle critiche mosse al programma normativo federale, si legga la relazione al disegno di legge redatta dal Banking Housing and Urban Affairs Committe del Senato.
77 In particolare, G. AMATO, Democrazia e redistribuzione …cit., p. 94. Anche Elazar evidenzia i limiti dell’Amministrazione Carter, ma sottolinea come il Presidente ebbe il merito di sviluppare relazioni simpatetiche con i singoli Stati, sviluppando una trama relazionale che gli valse l’epiteto di ideatore della “federalism partnership”. Fu proprio in quel periodo che le Corti Supreme statali svilupparono un nuovo e vibrante diritto costituizionale statale, “building state constitutional foundations for public policy in everytthing from individual rights to relations between religion, state and society, and to fairer distribution of public services”. Si trattò di un atteggiamento che si riflettè sugli indirizzi pretori della Corte Suprema e si manifestò in quel leading case, isolato nell’oceano degli indirizzi pretori contrastanti, in materia anche nel futuro, che sarà come vedremo costituito dal National League Cities case del 1976. Sul punto, D.J. ELAZAR “Opening the Third Century of American Federalism: Issues and Prospects”, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 509, (May 1990), p. 15.
78 Sul punto, A. PIERINI, Federalismo e Welfare State nell’esperienza giuridica …cit., p. 186 nonché S. KOFF, “Il sistema federale americano e la Presidenza”, in Federalismo, regionalismo, autonomismo (a cura di E.A. Albertoni e M. Ganci), Tomo II, Enna, 1987, p. 347.
79 Si trattò di uno dei tanti esempi di quella Presidenza Imperiale che avocava a sé poteri di protezione e direzione dell’economia e della società che ebbe rilevanti ripercussioni nell’ambito dell’equilibrio tra poteri sull’asse orizzontale. Fu solo l’indebolimento del Presidente, a seguito dello scandalo Watergate, che spinse il Congresso ad approvare il Budget Reform Act, nel 1974, che conferì ad entrambe le Camere il potere di veto sugli impoundments, denominati poi recisions, e istituì speciali commissioni per il bilancio in ambedue le camere, congiuntamente al Congressional Budget Office. Le due Commissioni provvedevano a curare il coordinamento tra introiti e spese. In particolare, M.A. KRASNER, S.G. CHABERSKI, Il sistema di governo degli Stati Uniti d’America. Profili istituzionali, Torino, 1994, p. 164, gli autori rilevano come gli stanziamenti del Congresso, anche se stabiliti per legge, divennero meri suggerimenti forniti al Presidente, ibid., p. 165.
80 Le casse di risparmio furono anche autorizzate ad emettere particolari depositi a risparmio detti now accounts che offrivano ai depositanti tassi di interesse simili a quelli concessi su altri depositi e conferivano la possibilità di emettere assegni. Le riforme esautorarono le banche commerciali del potere di controllo del sistema dei pagamenti. Di rilievo, sono anche due provvedimenti normativi approvati nel 1978, l’International Banking Act che pose le banche straniere sullo stesso piano di quelle domestiche ed implementò la capacità delle banche statunitensi di competere nel circuiti internazionale ed il Financial Institutions Regulatory and Interest Rate Control Act con cui vennero perseguiti taluni abusi finanziari e vennero rafforzati i poteri delle autorità di controllo nel prevenire pericolose operazioni di concentrazione bancaria.
Giuseppina Passarelli, Il "Federalizing process" tra dinamismo ed evoluzionismo negli Stati Uniti e nell'Unione Europea. La "Commerce Clause" in prospettiva comparata, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Calabria, Anno Accademico 2008-2009