Renato Hirsch nacque a Ferrara nel 1889 in una facoltosa famiglia ebraica con origini tedesche e nel 1923 prese la guida dell’azienda di famiglia, la Società Anonima Industrie Riunite Hirsch Odorati, l’unica attività davvero di portata industriale che vi fosse a Ferrara rispetto alle piccole aziende artigianali e a conduzione famigliare presenti sul territorio. L’azienda impiegava stabilmente più di 400 operai e si distingueva per una gestione particolarmente moderna e attenta delle condizioni di lavoro: per gli operai erano previste assicurazioni di invalidità e vecchiaia, e la famiglia Hirsch si impegnò a migliorare anche le condizioni sanitarie tanto dei dipendenti quanto delle loro famiglie. <786
La famiglia Hirsch era molto legata alle proprie radici ebraiche e non fece mai mistero della propria appartenenza religiosa, il fratello di Renato, Giacomo, fu attivo anche all’interno del movimento sionista e si trasferì in Palestina nel 1930; non è possibile dire con certezza se anche Renato fosse vicino a posizioni sioniste, ma effettuò numerosi viaggi in Palestina prima della guerra e, considerata anche la scelta di trasferirsi lì dopo il 1945, non si può dire che non guardasse con interesse alle idee sioniste.
Hirsch si mostrò fin da subito apertamente ostile al fascismo, rifiutò di iscriversi al partito e di inquadrare la propria azienda nei sistemi assistenziali e corporativi predisposti dal regime, <787 un atteggiamento per il quale subì campagne diffamatorie da parte del fascismo ferrarese, che non accettava che a guidare una delle più importanti realtà economiche del territorio fosse un ebreo antifascista.
In conseguenza delle sue posizioni la sua azienda fu immediatamente oggetto dei provvedimenti relativi alle proprietà: poiché rientrava tra le attività con più di cento dipendenti, quelle del “gruppo b”, fu immediatamente nominato un liquidatore. <788 Alla volontà del regime di impossessarsi di un’attività industriale di grande valore si opponeva la volontà dello stesso Hirsch di non perdere l’attività di famiglia e per ben due volte fece richiesta per ottenere la discriminazione. La partecipazione alla Prima guerra mondiale, che gli era valsa la medaglia d’argento al valor militare e tre croci al merito di guerra era di per sé un titolo di merito sufficiente a permettergli di ottenere una risposta positiva alla sua richiesta, ma nelle memorie presentate dal suo avvocato si faceva riferimento anche ai risultati economici e all’impegno sociale di Hirsch, in cui si era distinto “più di qualsiasi cittadino ebraico di Ferrara”.
Il prefetto impose indagini molto accurate sul suo conto e tutti gli apparati del fascismo ferrarese poterono dare libero corso alla loro ostilità. Il segretario dell’Unione fascista dei lavoratori industriali specificava che per il suo comportamento “non ha certo meritato di beneficiare delle discriminazioni”, sottolineando che a tutto il 1936 aveva ospitato nelle sue proprietà alcune decine di ebrei provenienti dalla Germania, mentre l’Ispettorato Corporativo segnalava che l’azienda era stata condotta secondo una mentalità “tipicamente ebraica con tutti i difetti di tale razza”. Il federale Lino Balbo motivò il suo parere contrario per via degli “indubbi sentimenti antifascisti” e il prefetto confermò il parere sfavorevole “per non aver voluto aderire al regime” e per aver “dimostrato manifestamente assoluto spirito di incomprensione delle direttive del regime nel campo sindacale”. <789
La richiesta di Hirsch fu respinta una prima volta nel 1939 e, nonostante un secondo tentativo fatto l’anno successivo, con queste referenze anche nel 1940 non gli fu concessa la discriminazione. <790
Per le sue posizioni antifasciste le autorità ferraresi non esitarono a farlo rientrare tra i soggetti pericolosi e a richiedere per lui l’internamento nei campi appositi: il 24 aprile 1940 la questura emanò un verbale di fermo in conseguenza del quale Hirsch fu rinchiuso a Campagna, in provincia di Salerno, e poi a Gioia del Colle (Bari), negli anni successivi fu poi trasferito a Isola del Gran Sasso (Teramo) e a Urbisaglia (Macerata), e infine fu sottoposto alla residenza coatta in provincia di Varese fino al 7 agosto 1943. Più volte Hirsch chiese di poter ottenere il permesso per poter fare ritorno a Ferrara e vendere definitivamente le quote della propria azienda, ottenendo però la possibilità di allontanarsi dai campi in cui era internato solo in un’occasione. <791 L’essere ebreo e l’essere antifascista si rincorrono costantemente nelle carte delle autorità per giustificare i provvedimenti nei suoi confronti, un’argomentazione serviva a corroborare l’altra e viceversa.
Nel frattempo, visto che l’evidente ostilità delle autorità fasciste non lasciava presagire un miglioramento delle condizioni nei mesi futuri, la gran parte dei beni di famiglia era stata alienata per tentare di mettersi in salvo, e l’azienda aveva attraverso molte difficoltà. Nel dicembre 1939 l’avvocato di Hirsch aveva chiesto al prefetto di agevolare la liquidazione alla società anonima Industrie Maglierie & Affini (IMA) di Ferrara, composta dai soci ariani della ditta Hirsch e che avrebbe dovuto provvedere alla vendita dei filati prodotti negli stessi stabilimenti. <792 La richiesta faceva leva sulle prospettive di maggiore efficienza dell’azienda e di sicurezza per i tanti dipendenti:
“Un’azienda industriale come la Industrie Riunite non può accontentarsi di un puro e semplice andamento amministrativo; in essa si deve invece prevedere un anno per l’altro e di conseguenza avviare l’opera dell’anno in corso per il successivo (…). Nelle maestranze poi si constata insinuarsi un notevole turbamento, perché queste cominciano a temere che possa verificarsi col crollo della loro fabbrica, la dispersione di ogni loro possibilità di lavoro e di sostentamento. La domanda dei soci ariani = alla quale ci riferiamo = rappresenta quindi un modo che osiamo qualificare, opportuno, serio, giudizioso (…). La presentata sistemazione non contraddirebbe in nulla = si noti in nulla = alle leggi razziali e peraltro salverebbe la fabbrica e quindi il lavoro di numerosi operai, e toglierebbe dalle cause di malcontento o per lo meno di grave e ansiosa incertezza, normalizzerebbe la fabbrica più importante di Ferrara a carattere continuativo, e tale sistemazione, ci pare, avverrebbe non nell’interesse di un singolo, ma proprio per il bene e per l’interesse di larghi strati delle masse lavorative della nostra città e indubbiamente, in misura cospicua anche = così ci pare = dell’interesse della Nazione.” <793
La gestione poco attenta della ditta, unita alla guerra e al blocco delle lane e dei filati, aveva notevolmente ridotto il lavoro e creato una difficile situazione economica per la quale il prefetto Di Suni chiese l’aiuto del Ministero delle Corporazioni per fare ottenere alla ditta delle commesse per le forniture militari, così da salvare il lavoro di centinaia di operai. Oltre alle necessità produttive al prefetto stava particolarmente a cuore che non sopraggiungesse la chiusura per evitare che la colpa della cessazione dell’attività ricadesse sulle leggi razziali più che sulla generale situazione economica, con la possibilità quindi di creare malumore verso il regime. Le commesse furono effettivamente assegnate al maglificio <794 e l’azienda poté proseguire la sua attività fino alla vendita, avvenuta nel 1942. <795
Hirsch fu uno dei pochi ebrei che dopo l’8 settembre 1943 non fuggì da Ferrara e già il 9 settembre si fece promotore di uno sciopero generale, sostenuto da alcune commissioni sindacali e da militari, ma che fu facilmente placato dai tedeschi arrivati a prendere il comando della città. <796
Nei mesi successivi scelse di unirsi alle formazioni partigiane fino a diventare dirigente del Comitato di Liberazione provinciale e al termine del conflitto fu nominato prefetto, incarico che ricoprì per solo pochi mesi, anche per le critiche che il suo operato attirò. Le forze moderate che gravitavano intorno alla Democrazia Cristiana non avevano apprezzato la sua nomina, che peraltro era avvenuta dopo che altri candidati avevano rifiutato; qualche perplessità sembrò levarsi anche nella popolazione, che ne criticava i modi con cui esercitò il suo mandato, giudicati troppo duri e violenti, secondo quanto scrisse l’arma dei carabinieri al Ministero dell’Interno: “A Ferrara la nomina di Renato Hirsch, ricco industriale israelita, a reggente la provincia non ha riscosso unanime consenso; la popolazione non gli riconosce le doti necessarie per risolvere i numerosi, difficili problemi di ordine sociale e economico che interessano attualmente la provincia”. <797
La sua vicinanza agli ambienti di sinistra, al Partito Comunista in particolare, unitamente all’intransigenza del suo agire, lo spinsero ai margini del potere politico cittadino, con il benestare delle forze alleate che non vedevano di buon occhio un prefetto vicino agli ambienti comunisti.
D’altronde la formazione dei nuovi gruppi dirigenti nel dopoguerra non fu affatto semplice, le continuità socio-economiche e di potere con gli anni precedenti prevalsero sulla volontà di cambiamento. Vecchie conflittualità sociali unite all’instabilità ed alla frammentazione politica favorirono l’isolamento di Hirsch e la fine del Cln provinciale, mentre le forze più conservatrici rafforzarono il proprio potere. <798 Hirsch fu rapidamente rimosso a favore di un prefetto di carriera, Socrate Forni, e divenne presidente della Delegazione Provinciale per le sanzioni contro il fascismo, ma lo slancio epurativo, di cui Hirsch era un convinto sostenitore, si affievolì molto rapidamente e in un clima politico e sociale in veloce cambiamento Hirsch scelse di abbandonare le cariche e trasferirsi definitivamente in Palestina con la famiglia.
Il ricordo dei mesi convulsi e difficili che seguirono la Liberazione accompagnò la figura di Renato Hirsch anche per gli anni a seguire, tanto che nel 1954 l’allora prefetto di Ferrara si disse contrario all’assegnazione di un riconoscimento “per il cattivo ricordo lasciato durante il periodo in cui ricoprì la carica di prefetto”. <799
[NOTE]
786 Nei primi anni Venti la ditta creò una “cassa malattia operai interna”, finanziò corsi di elettrotecnica all’interno della scuola industriale di Ferrara e nel 1925 creò un asilo interno, in cui le lavoratrici potevano lasciare i figli fino al terzo anni di età, ed era permesso di allontanarsi dal lavoro negli orari di allattamento, cfr. Istituto di storia contemporanea di Ferrara, Renato Hirsch. Prefetto della Liberazione, Interbooks, Padova, 1992.
787 Hirsch non ebbe mai paura di esprimere il proprio dissenso verso le autorità locali e di rifiutare di assecondare le logiche fasciste, quando il federale Lino Balbo gli scrisse per raccomandare l’assunzione di alcuni lavoratori a lui molto vicini, Hirsch oppose un netto rifiuto motivandolo con un momento di difficoltà dell’azienda. ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
788 Immediatamente fu fatto modificare anche il marchio dell’azienda che conteneva le lettere ZVI, il cognome Hirsch in caratteri ebraici, che era presente anche nel materiale promozionale e nella carta intestata della ditta. Cfr. M. Coccagna, Casa Hirsch. Un uomo, una famiglia, un palazzo, Bollettino della Ferrariae Decus 2009-2010, p. 17.
789 ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
790 Come ebbe modo di far notare il prefetto: “nei riguardi degli ebrei è stato notato che l’istituto della discriminazione è stato concesso a tutti gli abbienti […] meno uno, Hirsch”; ibidem.
791 Sulla richiesta per recarsi a Ferrara o almeno essere internato in un luogo più vicino alla città estense, presentata l’8 settembre 1940 al Ministero dell’Interno, vi è un appunto perentorio in matita rossa: “Né l’una né l’altra cosa”. Nelle settimane successive anche la prefettura di Milano negò il permesso di recarsi in città, dal momento che la vendita delle quote era gestita da un mandatario e non era necessaria la presenza di Hirsch. Dalla documentazione risulta comunque che abbia potuto ottenere almeno una licenza per seguire in prima persona le trattative. In ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59.
792 La nuova società si era costituita nel novembre 1938 con un primo capitale piuttosto modesto, che permetteva di seguire solo la vendita dei filati, ma con l’intenzione di aumentare il capitale e acquisire successivamente anche la gestione della produzione. Ibidem.
793 ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
794 Il Ministero delle Corporazioni assegnò la produzione di 300 maglioni per sciatori e 8.600 paia di mutande di lana. Ibidem.
795 ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59. Lo stesso Hirsch ebbe modo di lamentarsi del fatto che la sua quota, del valore di 918.500 lire fosse stata venduta per 800.000 lire, dalle quali era necessario detrarre oltre 600.000 lire di debiti, facendo perdere a Renato Hirsch la gran parte del proprio patrimonio. L’azienda fu poi distrutta dai bombardamenti alleati.
796 La piazza di Ferrara si riempì di manifestanti fin dalle prime ore del 9 settembre ma l’arrivo dell’esercito mise fine alle dimostrazioni non senza qualche tensione, dato che i militari erano stati autorizzati a sparare sulla folla, ma non fu necessario. Cfr. A.M. Quarzi, D. Tromboni, La resistenza a Ferrara 1943-1945, cit.
797 Cfr. R. Parisini, La ricostruzione dei gruppi dirigenti a Ferrara dopo la Liberazione, in «Italia Contemporanea», n.192 settembre 1993, pp. 445-447.
798 Anche la difficile situazione economica, in cui restava invariata la centralità degli agrari e la contrapposizione con i braccianti mentre il già piccolo comparto industriale uscì indebolito o addirittura smantellato dalla guerra. Ibidem.
799 ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59. Nella descrizione dell’operato di Hirsch lo si accusa di non aver saputo gestire la difficile situazione del dopoguerra, fra scontri e tensioni, ma anzi di averla favorita “per dar sfogo al profondo livore, che per le persecuzioni subite, nutriva contro il fascismo e i suoi uomini”.
Giulia Dodi, La spoliazione dei beni ebraici e l'attività dell'Egeli a Bologna e Ferrara, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2021
La famiglia Hirsch era molto legata alle proprie radici ebraiche e non fece mai mistero della propria appartenenza religiosa, il fratello di Renato, Giacomo, fu attivo anche all’interno del movimento sionista e si trasferì in Palestina nel 1930; non è possibile dire con certezza se anche Renato fosse vicino a posizioni sioniste, ma effettuò numerosi viaggi in Palestina prima della guerra e, considerata anche la scelta di trasferirsi lì dopo il 1945, non si può dire che non guardasse con interesse alle idee sioniste.
Hirsch si mostrò fin da subito apertamente ostile al fascismo, rifiutò di iscriversi al partito e di inquadrare la propria azienda nei sistemi assistenziali e corporativi predisposti dal regime, <787 un atteggiamento per il quale subì campagne diffamatorie da parte del fascismo ferrarese, che non accettava che a guidare una delle più importanti realtà economiche del territorio fosse un ebreo antifascista.
In conseguenza delle sue posizioni la sua azienda fu immediatamente oggetto dei provvedimenti relativi alle proprietà: poiché rientrava tra le attività con più di cento dipendenti, quelle del “gruppo b”, fu immediatamente nominato un liquidatore. <788 Alla volontà del regime di impossessarsi di un’attività industriale di grande valore si opponeva la volontà dello stesso Hirsch di non perdere l’attività di famiglia e per ben due volte fece richiesta per ottenere la discriminazione. La partecipazione alla Prima guerra mondiale, che gli era valsa la medaglia d’argento al valor militare e tre croci al merito di guerra era di per sé un titolo di merito sufficiente a permettergli di ottenere una risposta positiva alla sua richiesta, ma nelle memorie presentate dal suo avvocato si faceva riferimento anche ai risultati economici e all’impegno sociale di Hirsch, in cui si era distinto “più di qualsiasi cittadino ebraico di Ferrara”.
Il prefetto impose indagini molto accurate sul suo conto e tutti gli apparati del fascismo ferrarese poterono dare libero corso alla loro ostilità. Il segretario dell’Unione fascista dei lavoratori industriali specificava che per il suo comportamento “non ha certo meritato di beneficiare delle discriminazioni”, sottolineando che a tutto il 1936 aveva ospitato nelle sue proprietà alcune decine di ebrei provenienti dalla Germania, mentre l’Ispettorato Corporativo segnalava che l’azienda era stata condotta secondo una mentalità “tipicamente ebraica con tutti i difetti di tale razza”. Il federale Lino Balbo motivò il suo parere contrario per via degli “indubbi sentimenti antifascisti” e il prefetto confermò il parere sfavorevole “per non aver voluto aderire al regime” e per aver “dimostrato manifestamente assoluto spirito di incomprensione delle direttive del regime nel campo sindacale”. <789
La richiesta di Hirsch fu respinta una prima volta nel 1939 e, nonostante un secondo tentativo fatto l’anno successivo, con queste referenze anche nel 1940 non gli fu concessa la discriminazione. <790
Per le sue posizioni antifasciste le autorità ferraresi non esitarono a farlo rientrare tra i soggetti pericolosi e a richiedere per lui l’internamento nei campi appositi: il 24 aprile 1940 la questura emanò un verbale di fermo in conseguenza del quale Hirsch fu rinchiuso a Campagna, in provincia di Salerno, e poi a Gioia del Colle (Bari), negli anni successivi fu poi trasferito a Isola del Gran Sasso (Teramo) e a Urbisaglia (Macerata), e infine fu sottoposto alla residenza coatta in provincia di Varese fino al 7 agosto 1943. Più volte Hirsch chiese di poter ottenere il permesso per poter fare ritorno a Ferrara e vendere definitivamente le quote della propria azienda, ottenendo però la possibilità di allontanarsi dai campi in cui era internato solo in un’occasione. <791 L’essere ebreo e l’essere antifascista si rincorrono costantemente nelle carte delle autorità per giustificare i provvedimenti nei suoi confronti, un’argomentazione serviva a corroborare l’altra e viceversa.
Nel frattempo, visto che l’evidente ostilità delle autorità fasciste non lasciava presagire un miglioramento delle condizioni nei mesi futuri, la gran parte dei beni di famiglia era stata alienata per tentare di mettersi in salvo, e l’azienda aveva attraverso molte difficoltà. Nel dicembre 1939 l’avvocato di Hirsch aveva chiesto al prefetto di agevolare la liquidazione alla società anonima Industrie Maglierie & Affini (IMA) di Ferrara, composta dai soci ariani della ditta Hirsch e che avrebbe dovuto provvedere alla vendita dei filati prodotti negli stessi stabilimenti. <792 La richiesta faceva leva sulle prospettive di maggiore efficienza dell’azienda e di sicurezza per i tanti dipendenti:
“Un’azienda industriale come la Industrie Riunite non può accontentarsi di un puro e semplice andamento amministrativo; in essa si deve invece prevedere un anno per l’altro e di conseguenza avviare l’opera dell’anno in corso per il successivo (…). Nelle maestranze poi si constata insinuarsi un notevole turbamento, perché queste cominciano a temere che possa verificarsi col crollo della loro fabbrica, la dispersione di ogni loro possibilità di lavoro e di sostentamento. La domanda dei soci ariani = alla quale ci riferiamo = rappresenta quindi un modo che osiamo qualificare, opportuno, serio, giudizioso (…). La presentata sistemazione non contraddirebbe in nulla = si noti in nulla = alle leggi razziali e peraltro salverebbe la fabbrica e quindi il lavoro di numerosi operai, e toglierebbe dalle cause di malcontento o per lo meno di grave e ansiosa incertezza, normalizzerebbe la fabbrica più importante di Ferrara a carattere continuativo, e tale sistemazione, ci pare, avverrebbe non nell’interesse di un singolo, ma proprio per il bene e per l’interesse di larghi strati delle masse lavorative della nostra città e indubbiamente, in misura cospicua anche = così ci pare = dell’interesse della Nazione.” <793
La gestione poco attenta della ditta, unita alla guerra e al blocco delle lane e dei filati, aveva notevolmente ridotto il lavoro e creato una difficile situazione economica per la quale il prefetto Di Suni chiese l’aiuto del Ministero delle Corporazioni per fare ottenere alla ditta delle commesse per le forniture militari, così da salvare il lavoro di centinaia di operai. Oltre alle necessità produttive al prefetto stava particolarmente a cuore che non sopraggiungesse la chiusura per evitare che la colpa della cessazione dell’attività ricadesse sulle leggi razziali più che sulla generale situazione economica, con la possibilità quindi di creare malumore verso il regime. Le commesse furono effettivamente assegnate al maglificio <794 e l’azienda poté proseguire la sua attività fino alla vendita, avvenuta nel 1942. <795
Hirsch fu uno dei pochi ebrei che dopo l’8 settembre 1943 non fuggì da Ferrara e già il 9 settembre si fece promotore di uno sciopero generale, sostenuto da alcune commissioni sindacali e da militari, ma che fu facilmente placato dai tedeschi arrivati a prendere il comando della città. <796
Nei mesi successivi scelse di unirsi alle formazioni partigiane fino a diventare dirigente del Comitato di Liberazione provinciale e al termine del conflitto fu nominato prefetto, incarico che ricoprì per solo pochi mesi, anche per le critiche che il suo operato attirò. Le forze moderate che gravitavano intorno alla Democrazia Cristiana non avevano apprezzato la sua nomina, che peraltro era avvenuta dopo che altri candidati avevano rifiutato; qualche perplessità sembrò levarsi anche nella popolazione, che ne criticava i modi con cui esercitò il suo mandato, giudicati troppo duri e violenti, secondo quanto scrisse l’arma dei carabinieri al Ministero dell’Interno: “A Ferrara la nomina di Renato Hirsch, ricco industriale israelita, a reggente la provincia non ha riscosso unanime consenso; la popolazione non gli riconosce le doti necessarie per risolvere i numerosi, difficili problemi di ordine sociale e economico che interessano attualmente la provincia”. <797
La sua vicinanza agli ambienti di sinistra, al Partito Comunista in particolare, unitamente all’intransigenza del suo agire, lo spinsero ai margini del potere politico cittadino, con il benestare delle forze alleate che non vedevano di buon occhio un prefetto vicino agli ambienti comunisti.
D’altronde la formazione dei nuovi gruppi dirigenti nel dopoguerra non fu affatto semplice, le continuità socio-economiche e di potere con gli anni precedenti prevalsero sulla volontà di cambiamento. Vecchie conflittualità sociali unite all’instabilità ed alla frammentazione politica favorirono l’isolamento di Hirsch e la fine del Cln provinciale, mentre le forze più conservatrici rafforzarono il proprio potere. <798 Hirsch fu rapidamente rimosso a favore di un prefetto di carriera, Socrate Forni, e divenne presidente della Delegazione Provinciale per le sanzioni contro il fascismo, ma lo slancio epurativo, di cui Hirsch era un convinto sostenitore, si affievolì molto rapidamente e in un clima politico e sociale in veloce cambiamento Hirsch scelse di abbandonare le cariche e trasferirsi definitivamente in Palestina con la famiglia.
Il ricordo dei mesi convulsi e difficili che seguirono la Liberazione accompagnò la figura di Renato Hirsch anche per gli anni a seguire, tanto che nel 1954 l’allora prefetto di Ferrara si disse contrario all’assegnazione di un riconoscimento “per il cattivo ricordo lasciato durante il periodo in cui ricoprì la carica di prefetto”. <799
[NOTE]
786 Nei primi anni Venti la ditta creò una “cassa malattia operai interna”, finanziò corsi di elettrotecnica all’interno della scuola industriale di Ferrara e nel 1925 creò un asilo interno, in cui le lavoratrici potevano lasciare i figli fino al terzo anni di età, ed era permesso di allontanarsi dal lavoro negli orari di allattamento, cfr. Istituto di storia contemporanea di Ferrara, Renato Hirsch. Prefetto della Liberazione, Interbooks, Padova, 1992.
787 Hirsch non ebbe mai paura di esprimere il proprio dissenso verso le autorità locali e di rifiutare di assecondare le logiche fasciste, quando il federale Lino Balbo gli scrisse per raccomandare l’assunzione di alcuni lavoratori a lui molto vicini, Hirsch oppose un netto rifiuto motivandolo con un momento di difficoltà dell’azienda. ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
788 Immediatamente fu fatto modificare anche il marchio dell’azienda che conteneva le lettere ZVI, il cognome Hirsch in caratteri ebraici, che era presente anche nel materiale promozionale e nella carta intestata della ditta. Cfr. M. Coccagna, Casa Hirsch. Un uomo, una famiglia, un palazzo, Bollettino della Ferrariae Decus 2009-2010, p. 17.
789 ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
790 Come ebbe modo di far notare il prefetto: “nei riguardi degli ebrei è stato notato che l’istituto della discriminazione è stato concesso a tutti gli abbienti […] meno uno, Hirsch”; ibidem.
791 Sulla richiesta per recarsi a Ferrara o almeno essere internato in un luogo più vicino alla città estense, presentata l’8 settembre 1940 al Ministero dell’Interno, vi è un appunto perentorio in matita rossa: “Né l’una né l’altra cosa”. Nelle settimane successive anche la prefettura di Milano negò il permesso di recarsi in città, dal momento che la vendita delle quote era gestita da un mandatario e non era necessaria la presenza di Hirsch. Dalla documentazione risulta comunque che abbia potuto ottenere almeno una licenza per seguire in prima persona le trattative. In ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59.
792 La nuova società si era costituita nel novembre 1938 con un primo capitale piuttosto modesto, che permetteva di seguire solo la vendita dei filati, ma con l’intenzione di aumentare il capitale e acquisire successivamente anche la gestione della produzione. Ibidem.
793 ASFe, Prefettura, cat.30, b. 149, fasc. 8337.
794 Il Ministero delle Corporazioni assegnò la produzione di 300 maglioni per sciatori e 8.600 paia di mutande di lana. Ibidem.
795 ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59. Lo stesso Hirsch ebbe modo di lamentarsi del fatto che la sua quota, del valore di 918.500 lire fosse stata venduta per 800.000 lire, dalle quali era necessario detrarre oltre 600.000 lire di debiti, facendo perdere a Renato Hirsch la gran parte del proprio patrimonio. L’azienda fu poi distrutta dai bombardamenti alleati.
796 La piazza di Ferrara si riempì di manifestanti fin dalle prime ore del 9 settembre ma l’arrivo dell’esercito mise fine alle dimostrazioni non senza qualche tensione, dato che i militari erano stati autorizzati a sparare sulla folla, ma non fu necessario. Cfr. A.M. Quarzi, D. Tromboni, La resistenza a Ferrara 1943-1945, cit.
797 Cfr. R. Parisini, La ricostruzione dei gruppi dirigenti a Ferrara dopo la Liberazione, in «Italia Contemporanea», n.192 settembre 1993, pp. 445-447.
798 Anche la difficile situazione economica, in cui restava invariata la centralità degli agrari e la contrapposizione con i braccianti mentre il già piccolo comparto industriale uscì indebolito o addirittura smantellato dalla guerra. Ibidem.
799 ASFe, Questura, Gabinetto, cat. A8, b. 3, fasc. 59. Nella descrizione dell’operato di Hirsch lo si accusa di non aver saputo gestire la difficile situazione del dopoguerra, fra scontri e tensioni, ma anzi di averla favorita “per dar sfogo al profondo livore, che per le persecuzioni subite, nutriva contro il fascismo e i suoi uomini”.
Giulia Dodi, La spoliazione dei beni ebraici e l'attività dell'Egeli a Bologna e Ferrara, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2021