L’altro scenario fondamentale per il partigianato alessandrino era quello appenninico, dove qualche mese dopo la disfatta della Benedicta si trovavano raccolti nelle valli circa mille partigiani distribuiti principalmente in tre formazioni: la VIII divisione GL Paolo Braccini fra la val d’Erro e la valle Orba; la II divisione Ligure-Alessandrina nell’alta valle Orba e il battaglione Garibaldi Casalini, aggregato alla III divisione Garibaldi Pinan Cichero. Nonostante i duri rastrellamenti di agosto durante l’autunno del 1944 si realizzò la tappa significativa dell’autogoverno: l’occupazione di alcune valli appenniniche aveva infatti imposto ai comandanti partigiani di provvedere all’amministrazione delle popolazioni locali, consistenti in circa ventimila persone, affrontando celermente una serie di problemi economici che rischiavano di avere serie ripercussioni anche sulle attività militari. Così spettava ai partigiani dimostrare che gli uomini della Resistenza erano in grado di organizzare la vita civile nelle zone liberate con criteri completamente diversi da quelli dei fascisti: nelle vallate del Tortonese vennero elette, dopo un adeguato lavoro di educazione alla democrazia, le Giunte popolari comunali che avrebbero dovuto occuparsi del riassestamento delle finanze comunali, delle prestazioni veterinarie, dell’adeguamento dei salari e di tutti quei servizi essenziali che prima erano competenza dei funzionari fascisti.
L’entusiasmo che caratterizzava la vita partigiana sull’Appennino non rifletteva invece sull’attività del CLN, in cui non si riuscì mai a completare la fusione tra le diverse anime politiche per sottoporle a un indirizzo comune: se da una parte i partiti moderati, non avendo la forza di proporsi come guida del movimento di resistenza alessandrino, tendevano a procrastinare l’azione più decisa del Comitato ai giorni della Liberazione, momento in cui si sarebbe dovuta garantire la «legalità» del potere del CLN, i partiti di sinistra, nonostante la maggiore consistenza numerica, tendevano ad occuparsi dell’esclusivo potenziamento delle proprie organizzazioni. A ciò si deve poi aggiungere che l’azione era esposta alla obiettiva difficoltà che in un piccolo centro come Alessandria questi uomini erano conosciuti e controllati da anni per la loro avversione al fascismo. Anche i tentativi intrapresi nei piccoli centri della provincia incontrarono notevoli difficoltà: dove si tentò di organizzare dei Comitati Militari (nei centri più vicini ai gruppi armati come Casale, Novi e Tortona) furono spesso ostacolati dall’atteggiamento stesso dei comandi partigiani, restii ad accettare direttive, suggerimenti e controlli da parte di organismi civili. Le formazioni si erano infatti ormai affermate prepotentemente come un secondo centro di potere rispetto ai CLN, e anzi, sotto un certo profilo la loro libertà di azione era anche superiore: si era giunti così alla costituzione di un Comitato Militare provinciale (di cui faceva parte anche Edoardo Martino, inizialmente in rappresentanza degli Autonomi, poi della DC) che avrebbe avuto il compito di coordinare l’azione militare delle diverse formazioni. Tuttavia la mancanza di accordo e di indirizzi comuni tra i partiti ostacolò anche l’azione di coordinamento militare tra le varie formazioni.
Nonostante le speranze seguite ai successi alleati di giugno e all’estate appena trascorsa, la prospettiva della Resistenza alessandrina era quella di un altro duro inverno di guerra, annunciato da una dura campagna di rastrellamenti e di eccidi: le forze della val Cerrina vennero sottoposte a una serie di attacchi, si moltiplicarono le rappresaglie che coinvolsero la popolazione e le razzie, prima con tre morti a Villadeati, cui se ne aggiunsero altri nove, tra cui il parroco don Ernesto Camurati.
Le brigate partigiane della zona furono impegnate in quei giorni tanto a sfuggire ai rastrellamenti quanto nella difesa della popolazione, in modo particolare dalle razzie che minacciavano la sopravvivenza durante l’inverno seguente. Il primo di novembre ebbe luogo il duro scontro noto come «battaglia di Cantavenna», cui seguì un combattimento con quattordici morti repubblichini e la cattura di un gruppo di tedeschi per la cui liberazione fu mediatore anche il vescovo di Casale mons. Angrisani.
Intanto l’inverno e la necessità dei tedeschi di rendere sicure le vie necessarie alla ritirata delle truppe che risalivano dal centro Italia rendeva tutto molto più problematico
Lodovico Como, Dall’Italia all’Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009/2010
Nell'area intorno ad Alessandria, gruppi di varie tendenze stabiliscono, intorno alla metà di febbraio, di costituire un comando unico per il triangolo compreso tra Asti, Casale Monferrato e Alessandria. Quest'area, molto piccola, vive in una certa autonomia, considerata la sua distanza dai comandi delle Langhe e le difficoltà di raggiungere Torino. Tra queste, la 9ª brigata Matteotti è rimasta all'oscuro persino del piano E. 27 per l'insurrezione generale. <850
Oltre alle comunicazioni con il centro, diventano difficoltosi i rifornimenti di armi, soprattutto in seguito alla decisione del CG di destinare ai soli comandi di zona il compito di distribuire il materiale aviolanciato.
Anche in conseguenza di questa sfavorevole condizione sul piano materiale, a partire dall'inverno i vari gruppi della zona, garibaldini, GL, Matteotti e Autonomi avevano lasciato da parte eventuali rancori e avevano raggiunto accordi per procurarsi armi e munizioni. <851
[...] La situazione della VII zona è molto complessa. Legata alle formazioni liguri, in particolare alla Divisione Garibaldi “Mingo”, per i contatti che questa stringe con le brigate “Patria” e “Martiri della Benedicta”, la provincia di Alessandria è zona vasta e contesa. A inizio febbraio si costituisce un primo Comando unico, con Pietro Minetti “Mancini” (Garibaldi) comandante e Ernesto Pasquarelli “Barbero” (com.te VIII divisione GL, in sostituzione di Ferdinando Cioffi “Ivan”, arrestato nel gennaio) come vice (accordi di Carpeneto). Questo primo accordo però presenta dei limiti: la mancanza nel comando di un rappresentante delle Matteotti e la difficoltà di esercitare un vero e proprio comando su tutto il territorio. A ciò si aggiungono i contrasti con i liguri, che a fine '44 avevano unilateralmente ufficializzato l'appartenenza della zona tra lo Scrivia e il Sassello, tra il mare e Tortona-Novi-Predosa e sud di Acqui alla VI zona ligure. Alcune brigate entrano operativamente a far parte della VI zona, <860 sollevando le proteste di “Barbero”, il quale tenta in ogni modo di far annullare gli accordi tra garibaldini e Merlo, comandante della brigata GL “Martiri della Benedicta”. Solo verso la fine di marzo si giunge a un accordo tra liguri e alessandrini, ma che non scioglie il nodo dei confini.
[NOTE]
850 “Relazione dalla zona della 45/a Brigt.”, Comando VIII Divisione Garibaldi - Asti, Il commissario politico alla Delegazione, 18.2.45 in AISRP, MAT/ac 14 b
851 “Relazione dalla zona della 45/a Brigt.”, Comando VIII Divisione Garibaldi - Asti, Il commissario politico alla Delegazione, 18.2.45 in AISRP, MAT/ac 14 b; si vedano disposizioni in “Ordinamento e funzionamento del Comando delle formazioni dei Patrioti nella regione piemontese”, CLN - CMRP ai Comandanti delle formazioni e al CG Italia occupata, [a matita 6.7.1944] 21.8.44 in AISRP, B AUT/mb 4 e
860 Giorgio Agosti, all'incirca nello stesso periodo, esprimeva «l'intendimento [...] [di] addivenire ad una più stretta collaborazione fra le formazioni alessandrine e quelle liguri; e questo non solo per ragioni militari (controllo dei valichi appenninici), ma anche per gravitare politicamente su Genova e rafforzare col peso delle GL la nostra situazione in quella città», “Relazione del commissario politico del Comando piemontese delle formazioni Giustizia e Libertà”, 31.12.44, in G. De Luna et alii (a cura di), Le formazioni GL, cit., doc. 104, p. 270
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013