Decine di poeti del Novecento hanno scritto versi su Genova; e poeti assai importanti e tra loro assai diversi: da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi a Dino Campana, da Camillo Sbarbaro a Giorgio Caproni, da Nicola Ghiglione a Giuseppe Conte, in un elenco assai lungo nel quale figura poco presente proprio Eugenio Montale, che ha preferito raffigurare le Cinque Terre piuttosto che la sua poco amata città. A questo ricco campionario, dal quale non mancano neppure nomi stranieri, soprattutto francesi, come Valéry, Rimbaud e Frénaud, ma anche lo svizzero Heinrich Leuthold, ora si aggiunge l’inglese Julian Stannard, che ben si distingue da chi lo ha preceduto. Intanto la sua Genova è vista con gli occhi di un ventiduenne che vi capita (nel 1984) per farvi il lettore d’inglese, ovviamente con pochi quattrini in tasca e perciò accasato nel centro storico (“cercavo la zona più miserabile / della città, sicché affittai una stanza / a Sottoripa”), dove, vedi le coincidenze, andò a vivere circa un secolo prima un altro giovane venuto a Genova per frequentare l’Università: Filippo Tomaso Marinetti. Ma nulla di futurista in Stannard, semmai qualcosa di scapigliato e di irriverente, tanto da parodiare il poeta di Genova per eccellenza, Caproni, sia scrivendo con 'Città di angeli malefici' una sua versione della celebre 'Litania', sia ironizzando sul caproniano Ascensore (“Quando mi sarò deciso / d’andarci, in paradiso, / ci andrò con l’ascensore / di Castelletto”): “Quando andrò all’inferno / prenderò la funicolare di Sant’Anna. / Starà ferma ad aspettarmi nel semibuio di una sera” (La funicolare di Sant’Anna).
La città raccontata da Stannard nelle sue cinque sillogi inglesi (2001-2016), e nell’elegante (e finemente illustrato) volumetto bilingue 'Sottoripa. Poesie genovesi' a cura di Massimo Bacigalupo, è prevalentemente circoscritta ai “carruggi” (“I cani dormivano nei carruggi / e nessuno li avrebbe svegliati / con un bacio”), nei suoi ambienti emblematici come quel Caffè degli Specchi già ritratto da Campana o in vico Casana o in via Mascherona o in vico Angeli, ma anche con il piacere di una passeggiata in via Balbi “tra palazzi di gloria e virtù eterna”, con un salto “all’ultimo piano di una casa altissima”, verso villa Gruber, dove “a volte i pappagalli più improbabili si posavano sui davanzali”, per ridiscendere al mare, a San Giuliano (che pure all’inizio del Novecento aveva ispirato Guido Gozzano), dove “c’è un vecchio bar e una baracca / e qualche tavolo e poco altro / di elegante sulla spiaggia”.
Genova presentata in piccoli episodi autobiografici, in un intreccio costante di vicende pubbliche e private, con il tono minimalista (“Un piattino di fritto misto. / Me ne dai un po’?) e scanzonato, di chi dichiara sin troppo esplicitamente che i suoi versi non hanno pretese: “Ero il tuo anglosassone sbronzo / nel tuo bel labirinto italiano / e quando stavo seduto sulla tua soglia di marmo / mi hai dato un ceffone e un bacio” (Stucco).
Epperò “scanzonato” ha la sua origine da “canto” e allora se mettiamo insieme questi testi ci accorgiamo di avere sotto gli occhi un vivace e articolato canzoniere, ravvivato da ironia e paradossi con un abilissimo tocco nel trasformare luoghi senza storia in luoghi fondamentali della propria storia, che è la storia di un giovane che alterna un divertito tono quasi goliardico (“Tu eri scesa al mercato del pesce / a prendere un polpo, / poi lo raschiavi e cucinavi. / Dovevo mangiare, / il polpo mi gocciolava dal mento”) con le grandi gioie (“E più tardi dopo il trasloco in un altro quartiere / ci trovammo a camminare tra mucchi di arance, / che erano qua, erano là, chissà, / e mi hai detto: Sai, avrò un baby”) e con la disperazione delle delusioni più nere, come quella per un matrimonio naufragato: “Dopo anni di silenzio / la mia ex moglie mi manda / un salame per posta”.
Un canzoniere, appunto, godibile e del tutto unico, nelle cui pieghe, tra surreale e normale, tra vicoli e spazi aperti verso il mare (nelle felici escursioni verso levante, dalla Rapallo montaliana, dove “prenderò un caffè con Eusebio”, a Bogliasco sulla cui spiaggia il poeta trova “tappi, tappi, tappi, / sassi grigi e anche rossi più piccoli / alghe secche, pattume soprattutto e / qualcosa che una volta stava appeso a un albero / Ah sì, anche un paio di labbra”), Stannard ritrae tutto il mondo interiore di una giovane generazione senza confini che vuole vivere con passione il suo tempo, viaggiare e amare, vuole conoscere e riflettere, vuole sbagliare e rinascere, e di tutta questa vitalità Genova è lo scenario perfetto: “Amore, hanno sparso luci d’oro sulla nostra piazza… Noi li spiavamo, nudi e infoiati. / Torna a letto, hai detto. / Allora mi accorsi che non avevamo un letto” (Piazza della Posta Vecchia).
Francesco De Nicola, La Genova scanzonata di Julian Stannard. Con una poesia inedita in Viaggio in Liguria. Studi e testimonianze - Atti del Convegno di Studi Accademia Ligure di Scienze e Lettere - Palazzo Ducale Genova, 19 novembre 2019 - a cura di Massimo Bacigalupo e Stefano Verdino, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova, 2020
La città raccontata da Stannard nelle sue cinque sillogi inglesi (2001-2016), e nell’elegante (e finemente illustrato) volumetto bilingue 'Sottoripa. Poesie genovesi' a cura di Massimo Bacigalupo, è prevalentemente circoscritta ai “carruggi” (“I cani dormivano nei carruggi / e nessuno li avrebbe svegliati / con un bacio”), nei suoi ambienti emblematici come quel Caffè degli Specchi già ritratto da Campana o in vico Casana o in via Mascherona o in vico Angeli, ma anche con il piacere di una passeggiata in via Balbi “tra palazzi di gloria e virtù eterna”, con un salto “all’ultimo piano di una casa altissima”, verso villa Gruber, dove “a volte i pappagalli più improbabili si posavano sui davanzali”, per ridiscendere al mare, a San Giuliano (che pure all’inizio del Novecento aveva ispirato Guido Gozzano), dove “c’è un vecchio bar e una baracca / e qualche tavolo e poco altro / di elegante sulla spiaggia”.
Genova presentata in piccoli episodi autobiografici, in un intreccio costante di vicende pubbliche e private, con il tono minimalista (“Un piattino di fritto misto. / Me ne dai un po’?) e scanzonato, di chi dichiara sin troppo esplicitamente che i suoi versi non hanno pretese: “Ero il tuo anglosassone sbronzo / nel tuo bel labirinto italiano / e quando stavo seduto sulla tua soglia di marmo / mi hai dato un ceffone e un bacio” (Stucco).
Epperò “scanzonato” ha la sua origine da “canto” e allora se mettiamo insieme questi testi ci accorgiamo di avere sotto gli occhi un vivace e articolato canzoniere, ravvivato da ironia e paradossi con un abilissimo tocco nel trasformare luoghi senza storia in luoghi fondamentali della propria storia, che è la storia di un giovane che alterna un divertito tono quasi goliardico (“Tu eri scesa al mercato del pesce / a prendere un polpo, / poi lo raschiavi e cucinavi. / Dovevo mangiare, / il polpo mi gocciolava dal mento”) con le grandi gioie (“E più tardi dopo il trasloco in un altro quartiere / ci trovammo a camminare tra mucchi di arance, / che erano qua, erano là, chissà, / e mi hai detto: Sai, avrò un baby”) e con la disperazione delle delusioni più nere, come quella per un matrimonio naufragato: “Dopo anni di silenzio / la mia ex moglie mi manda / un salame per posta”.
Un canzoniere, appunto, godibile e del tutto unico, nelle cui pieghe, tra surreale e normale, tra vicoli e spazi aperti verso il mare (nelle felici escursioni verso levante, dalla Rapallo montaliana, dove “prenderò un caffè con Eusebio”, a Bogliasco sulla cui spiaggia il poeta trova “tappi, tappi, tappi, / sassi grigi e anche rossi più piccoli / alghe secche, pattume soprattutto e / qualcosa che una volta stava appeso a un albero / Ah sì, anche un paio di labbra”), Stannard ritrae tutto il mondo interiore di una giovane generazione senza confini che vuole vivere con passione il suo tempo, viaggiare e amare, vuole conoscere e riflettere, vuole sbagliare e rinascere, e di tutta questa vitalità Genova è lo scenario perfetto: “Amore, hanno sparso luci d’oro sulla nostra piazza… Noi li spiavamo, nudi e infoiati. / Torna a letto, hai detto. / Allora mi accorsi che non avevamo un letto” (Piazza della Posta Vecchia).
Francesco De Nicola, La Genova scanzonata di Julian Stannard. Con una poesia inedita in Viaggio in Liguria. Studi e testimonianze - Atti del Convegno di Studi Accademia Ligure di Scienze e Lettere - Palazzo Ducale Genova, 19 novembre 2019 - a cura di Massimo Bacigalupo e Stefano Verdino, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova, 2020
Sottoripa è un luogo da poeti. O meglio, lo è tutta Genova, visto che il poeta e docente inglese Julian Stannard, che all'ateneo genovese ha lavorato ed ora insegna scrittura creativa a Winchester, ha scelto la città come fonte di ispirazione. E il risultato è la raccolta "Sottoripa. Poesie genovesi" edita da Il Canneto (112 pagine, 13 euro, testo inglese a fronte) a cura di Massimo Bacigalupo. Un dialogo con la città e con quel mondo particolare che è il centro storico in forma di poesia, che si articola anche negli incontri con le persone che quel mondo vivono. Non a caso Stannard, rientrato in Inghilterra, pubblica nel 2001 Rina's war, in cui si trovano questi versi: "Cercavo la zona più miserabile / della città, sicché affittai una stanza/a Sottoripa e vissi con/un iraniano per sei mesi pazzi". Scrive Bacigalupo: "Julian Stannard aveva scoperto la sua voce disincantata e umorale, blandamente retrospettiva, e il suo argomento, Genova, un luogo in bianco e nero, cadente, sfatto, con accensioni e rivelazioni, la vita della piccola criminalità, la solidarietà fra sopravvissuti in un mondo senza pietà, forse senza niente, salvo l'insopprimibile stranezza del reale. Che è vita".
Ma ci sono anche ritratti veloci come Vico Casana: "Che bello/ vedere la tripperia,/un'eredità della gastronomia medievale/.
Soziglia era infatti una volta/ il macello della città/. Che nausea mi veniva/ quelle fredde mattine prima dell'alba/. Ci passo davanti in fretta,/ rallento un po',/ uno strano piacere, improvviso e inodore" [...]
d.al., Un inno d'amore a Sottoripa e ai vicoli nelle rime di Stannard, la Repubblica, 5 settembre 2018
Ma ci sono anche ritratti veloci come Vico Casana: "Che bello/ vedere la tripperia,/un'eredità della gastronomia medievale/.
Soziglia era infatti una volta/ il macello della città/. Che nausea mi veniva/ quelle fredde mattine prima dell'alba/. Ci passo davanti in fretta,/ rallento un po',/ uno strano piacere, improvviso e inodore" [...]
d.al., Un inno d'amore a Sottoripa e ai vicoli nelle rime di Stannard, la Repubblica, 5 settembre 2018