Tra tutti coloro che hanno combattuto nelle fila partigiane Domenico Lanza occupa senza dubbio una posizione di primo piano, non soltanto per l’eroico e altruistico modo in cui accettò la morte durante un durissimo combattimento col nemico ma anche per il carisma e l’enorme personalità che sempre lo contraddistinse.
Nacque a Savona il 16 aprile 1909 (da G.B. e Pasqualetto Emma) e dopo aver conseguito il diploma di ragioniere si dedicò all’attività giornalistica. Chiamato al servizio militare nel gennaio 1929 e ammesso alla Scuola Allievi Ufficiali di Campobasso, terminato il Corso fu nominato Sottotenente e assegnato al 38° Reggimento Alpini. Quando venne congedato, nel gennaio 1930, riprese la sua attività professionale.
Venne richiamato alle armi alla vigilia della seconda Guerra Mondiale e con il grado di Tenente fu assegnato al settore di copertura di Taggia (Imperia).
Nel giugno 1940 partecipò alle operazioni belliche sul fronte occidentale e il 19 gennaio 1942 fu trasferito al 41° Reggimento Alpini che operava in Dalmazia e Montenegro per reprimere la locale guerriglia partigiana.
In seguito a malattia venne rimpatriato e, dopo una breve convalescenza, riprese servizio a Genova nel mese di novembre 1942, assegnato prima al deposito reggimentale e poi al proiettilificio. Nel giugno 1943 divenne Capitano e fu assegnato al deposito del 21° Reggimento Fanteria del 34° Battaglione Autieri.
L’8 Settembre abbandonò l’esercito e convinse i militari della sua Compagnia a fare altrettanto e a tornare a casa raccomandando loro di non obbedire mai ai successivi bandi di richiamo.
Nei giorni seguenti l’armistizio, appostato da solo sulle alture del Passo del Turchino, sparò sulle truppe tedesche in movimento. <53 Alla fine del mese di novembre fu arrestato dai tedeschi a Fabbriche e in seguito rilasciato. Venne poi di nuovo arrestato a Palo (Savona), ma ai primi di maggio riuscì a evadere e a rifugiarsi in una cascina situata tra Montichiaro e Denice.
Da lì entrò in contatto con elementi del CLN ligure e andò a far parte di un piccolo gruppo di ragazzi disertori attestati sulle alture tra San Luca e Pian Castagna.
Assunse il nome di battaglia di “Mingo” (come diminutivo di Domenico) e insieme a quei ragazzi diede vita al “Gruppo Celere Autonomo Mingo”.
Moltissime furono le azioni che la sezione “Volante” intraprese ai danni delle forze nazifasciste.
Il Capitano godeva della stima e del rispetto non solo degli uomini cui era a capo ma di tutti quelli che lo conoscevano: basti pensare che dava del “tu” a tutti (Commissari Politici compresi) mentre da tutti riceveva del “lei” <54.
Nella sua formazione, sia quando contava meno di una decina di elementi sia quando, nel settembre 1944, era arrivata a circa 70 uomini, vigeva una disciplina di stampo prettamente militare.
Il rispetto verso la sua persona non derivava certamente soltanto dall’età (era di circa una quindicina d’anni più anziano degli uomini che comandava) o dal suo ruolo di Comandante, ma dall’evidenza di essere un uomo coraggioso con idee molto chiare. Non affrontò mai discussioni politiche anche se, dovendo probabilmente accettare la situazione, permetteva che tra i suoi uomini si parlasse delle idee di Mazzini. Riteneva infatti che non la politica ma la preparazione militare dovesse essere il pane quotidiano di uomini impegnati nella guerriglia antifascista e antitedesca.
Anche grazie all’esperienza che il Capitano aveva accumulato nel periodo in cui prestò servizio nell’esercito a repressione dei partigiani Jugoslavi, egli riteneva che la guerriglia partigiana dovesse basarsi esclusivamente su attacchi improvvisi e veloci ripiegamenti.
Soprattutto dall’estate ’44 la zona compresa tra la statale Ovada-Passo del Turchino e quella Acqui-Sassello-Colle del Giovo era sotto il controllo delle formazioni partigiane che quasi ogni giorno compivano azioni di guerriglia contro i mezzi nemici in transito sulle linee ferroviarie e su quelle stradali.
I tedeschi si spinsero più volte nella zona in questione devastando e distruggendo le cascine dei contadini che aiutavano i partigiani, ma ciò non garantì mai la sicurezza per i mezzi in transito che continuarono sempre a subire perdite di uomini e materiali. <55
Fu allora che i tedeschi prepararono un piano volto alla completa distruzione delle formazioni partigiane dislocate sulle alture e cominciarono il 7 ottobre a Bandita.
In occasione della riunione (avvenuta l’8 ottobre in località Garrone) tra i comandanti dei vari distaccamenti Mingo ribadì ancora una volta il suo pensiero. Secondo la sua opinione troppo grande era la differenza tra le forze tedesche e quelle partigiane per quanto concerneva l’armamento, l’organizzazione e il numero degli uomini, per poter pensare di affrontare apertamente i tedeschi con qualche possibilità di vittoria. Certo dell’imminente azione tedesca, nella serata del 9 ottobre Mingo lasciò il Comando di Olbicella (nella neonata Divisione Unificata Ligure-Alessandrina aveva assunto il grado di Capo di Stato Maggiore, da alcune documentazioni Vice Comandante) per raggiungere i “suoi” uomini dislocati a Pian Castagna e, pur non essendo assolutamente d’accordo con la linea adottata dal Comandante Doria (deciso a respingere il nemico) riuscì a bloccare i tedeschi.
Lo scontro cominciò verso le ore 6.30 e dopo pochi minuti il Capitano Mingo si espose allo scoperto; mentre lanciava bombe a mano contro l’autoblindo in testa alla colonna nemica, pur bloccando il mezzo, venne colpito al torace dai colpi sparati da una delle mitragliere di bordo.
Domenico Lanza morì verso mezzogiorno, ma lo scontro terminò solo verso le ore 16 per il sopraggiungere dell’oscurità, che costrinse i nazifascisti a rientrare alle proprie basi.
A battaglia ancora in corso, qualche tedesco si avvicinò a Mingo con l’intenzione di finirlo, ma il Comandante tedesco lo impedì e, nel rendergli gli onori delle armi mentre spirava, sembra che abbia detto: “È un ribelle, ma è un ragazzo coraggioso”.
Il suo corpo fu trasportato dai tedeschi nella chiesetta di Pian Castagna.
Questa la motivazione della Medaglia d’oro al valor militare che gli venne conferita:
“Ufficiale fiero e deciso, si distingueva nel corso della lotta di liberazione per alte doti organizzative, valore di combattente, capacità di animatore e di capo. Uso ad agire con estremo ardimento, attaccava la testa di una colonna motocarrata tedesca, incendiando il primo autocarro con lancio di bombe a mano. Ferito a morte dalla violenta reazione di fuoco, trovava ancora la forza per impugnare la sua pistola ed uccidere due nemici prima di esalare l’ultimo respiro. Questa estrema, coraggiosa decisione si imponeva all’ammirazione degli stessi tedeschi che rispettavano ed anzi trasportavano e componevano il corpo del caduto.
Olbicella (Alessandria), 10 Ottobre 1944”. <56
[NOTE]
53 G. FRANZOSI - L. IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, p. 73
54 Testimonianza di ALDO IVALDI "DICk", raccolta dall'autore in VHS.
55 G. FRANZOSI - L. IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, pp. 73-76
56 G. FRANZOSI-L.IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, pp. 73-76
Andrea Barba, Il Capitano Mingo e la Resistenza nella Valle dell’Orba, ANPI Molare (AL) - Memorie dell'Accademia Urbense (nuova serie) n. 47, Ovada, 2001
Nacque a Savona il 16 aprile 1909 (da G.B. e Pasqualetto Emma) e dopo aver conseguito il diploma di ragioniere si dedicò all’attività giornalistica. Chiamato al servizio militare nel gennaio 1929 e ammesso alla Scuola Allievi Ufficiali di Campobasso, terminato il Corso fu nominato Sottotenente e assegnato al 38° Reggimento Alpini. Quando venne congedato, nel gennaio 1930, riprese la sua attività professionale.
Venne richiamato alle armi alla vigilia della seconda Guerra Mondiale e con il grado di Tenente fu assegnato al settore di copertura di Taggia (Imperia).
Nel giugno 1940 partecipò alle operazioni belliche sul fronte occidentale e il 19 gennaio 1942 fu trasferito al 41° Reggimento Alpini che operava in Dalmazia e Montenegro per reprimere la locale guerriglia partigiana.
In seguito a malattia venne rimpatriato e, dopo una breve convalescenza, riprese servizio a Genova nel mese di novembre 1942, assegnato prima al deposito reggimentale e poi al proiettilificio. Nel giugno 1943 divenne Capitano e fu assegnato al deposito del 21° Reggimento Fanteria del 34° Battaglione Autieri.
L’8 Settembre abbandonò l’esercito e convinse i militari della sua Compagnia a fare altrettanto e a tornare a casa raccomandando loro di non obbedire mai ai successivi bandi di richiamo.
Nei giorni seguenti l’armistizio, appostato da solo sulle alture del Passo del Turchino, sparò sulle truppe tedesche in movimento. <53 Alla fine del mese di novembre fu arrestato dai tedeschi a Fabbriche e in seguito rilasciato. Venne poi di nuovo arrestato a Palo (Savona), ma ai primi di maggio riuscì a evadere e a rifugiarsi in una cascina situata tra Montichiaro e Denice.
Da lì entrò in contatto con elementi del CLN ligure e andò a far parte di un piccolo gruppo di ragazzi disertori attestati sulle alture tra San Luca e Pian Castagna.
Assunse il nome di battaglia di “Mingo” (come diminutivo di Domenico) e insieme a quei ragazzi diede vita al “Gruppo Celere Autonomo Mingo”.
Moltissime furono le azioni che la sezione “Volante” intraprese ai danni delle forze nazifasciste.
Il Capitano godeva della stima e del rispetto non solo degli uomini cui era a capo ma di tutti quelli che lo conoscevano: basti pensare che dava del “tu” a tutti (Commissari Politici compresi) mentre da tutti riceveva del “lei” <54.
Nella sua formazione, sia quando contava meno di una decina di elementi sia quando, nel settembre 1944, era arrivata a circa 70 uomini, vigeva una disciplina di stampo prettamente militare.
Il rispetto verso la sua persona non derivava certamente soltanto dall’età (era di circa una quindicina d’anni più anziano degli uomini che comandava) o dal suo ruolo di Comandante, ma dall’evidenza di essere un uomo coraggioso con idee molto chiare. Non affrontò mai discussioni politiche anche se, dovendo probabilmente accettare la situazione, permetteva che tra i suoi uomini si parlasse delle idee di Mazzini. Riteneva infatti che non la politica ma la preparazione militare dovesse essere il pane quotidiano di uomini impegnati nella guerriglia antifascista e antitedesca.
Anche grazie all’esperienza che il Capitano aveva accumulato nel periodo in cui prestò servizio nell’esercito a repressione dei partigiani Jugoslavi, egli riteneva che la guerriglia partigiana dovesse basarsi esclusivamente su attacchi improvvisi e veloci ripiegamenti.
Soprattutto dall’estate ’44 la zona compresa tra la statale Ovada-Passo del Turchino e quella Acqui-Sassello-Colle del Giovo era sotto il controllo delle formazioni partigiane che quasi ogni giorno compivano azioni di guerriglia contro i mezzi nemici in transito sulle linee ferroviarie e su quelle stradali.
I tedeschi si spinsero più volte nella zona in questione devastando e distruggendo le cascine dei contadini che aiutavano i partigiani, ma ciò non garantì mai la sicurezza per i mezzi in transito che continuarono sempre a subire perdite di uomini e materiali. <55
Fu allora che i tedeschi prepararono un piano volto alla completa distruzione delle formazioni partigiane dislocate sulle alture e cominciarono il 7 ottobre a Bandita.
In occasione della riunione (avvenuta l’8 ottobre in località Garrone) tra i comandanti dei vari distaccamenti Mingo ribadì ancora una volta il suo pensiero. Secondo la sua opinione troppo grande era la differenza tra le forze tedesche e quelle partigiane per quanto concerneva l’armamento, l’organizzazione e il numero degli uomini, per poter pensare di affrontare apertamente i tedeschi con qualche possibilità di vittoria. Certo dell’imminente azione tedesca, nella serata del 9 ottobre Mingo lasciò il Comando di Olbicella (nella neonata Divisione Unificata Ligure-Alessandrina aveva assunto il grado di Capo di Stato Maggiore, da alcune documentazioni Vice Comandante) per raggiungere i “suoi” uomini dislocati a Pian Castagna e, pur non essendo assolutamente d’accordo con la linea adottata dal Comandante Doria (deciso a respingere il nemico) riuscì a bloccare i tedeschi.
Lo scontro cominciò verso le ore 6.30 e dopo pochi minuti il Capitano Mingo si espose allo scoperto; mentre lanciava bombe a mano contro l’autoblindo in testa alla colonna nemica, pur bloccando il mezzo, venne colpito al torace dai colpi sparati da una delle mitragliere di bordo.
Domenico Lanza morì verso mezzogiorno, ma lo scontro terminò solo verso le ore 16 per il sopraggiungere dell’oscurità, che costrinse i nazifascisti a rientrare alle proprie basi.
A battaglia ancora in corso, qualche tedesco si avvicinò a Mingo con l’intenzione di finirlo, ma il Comandante tedesco lo impedì e, nel rendergli gli onori delle armi mentre spirava, sembra che abbia detto: “È un ribelle, ma è un ragazzo coraggioso”.
Il suo corpo fu trasportato dai tedeschi nella chiesetta di Pian Castagna.
Questa la motivazione della Medaglia d’oro al valor militare che gli venne conferita:
“Ufficiale fiero e deciso, si distingueva nel corso della lotta di liberazione per alte doti organizzative, valore di combattente, capacità di animatore e di capo. Uso ad agire con estremo ardimento, attaccava la testa di una colonna motocarrata tedesca, incendiando il primo autocarro con lancio di bombe a mano. Ferito a morte dalla violenta reazione di fuoco, trovava ancora la forza per impugnare la sua pistola ed uccidere due nemici prima di esalare l’ultimo respiro. Questa estrema, coraggiosa decisione si imponeva all’ammirazione degli stessi tedeschi che rispettavano ed anzi trasportavano e componevano il corpo del caduto.
Olbicella (Alessandria), 10 Ottobre 1944”. <56
[NOTE]
53 G. FRANZOSI - L. IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, p. 73
54 Testimonianza di ALDO IVALDI "DICk", raccolta dall'autore in VHS.
55 G. FRANZOSI - L. IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, pp. 73-76
56 G. FRANZOSI-L.IVALDI, Sulle strade dal nemico assediate - Le medaglie d'oro della Resistenza Alessandrina, Il Quadrante, Alessandria, 1983, pp. 73-76
Andrea Barba, Il Capitano Mingo e la Resistenza nella Valle dell’Orba, ANPI Molare (AL) - Memorie dell'Accademia Urbense (nuova serie) n. 47, Ovada, 2001
“L'operazione di rastrellamento venne condotta dalle milizie tedesche attraverso due direttrici: la prima dalla strada Molare - Olbicella e l'altra dalle strada Acqui Terme - Piancastagna - Sassello. Il 10 ottobre 1944 alle cinque del mattino le vedette appostate sulle alture di Madonna delle Rocche diedero l'allarme: una ventina di automezzi, all'interno di ognuno dei quali circa una trentina di soldati armati sino ai denti, stava attraversando la frazione”. Dopo i combattimenti del 10 ottobre la Divisione unificata “Ligure-Alessandrina”, dispersa dalla ferocia nazifascista, era ridotta a poco più di un centinaio di uomini, un terzo degli effettivi del settembre 1944, mentre delle quattro brigate attive, solo la “Buranello” si mostrava minimamente efficiente [...]
Redazione, Olbicella e Piancastagna: si ricorda la battaglia simbolo della Resistenza, ovadaonline, 5 ottobre 2016
Redazione, Olbicella e Piancastagna: si ricorda la battaglia simbolo della Resistenza, ovadaonline, 5 ottobre 2016
[...] Il 10 ottobre 1944 alle cinque del mattino le vedette appostate sulle alture di Madonna delle Rocche diedero l'allarme: una ventina di automezzi, all'interno di ognuno dei quali c'era circa una trentina di soldati armati sino ai denti, stava attraversando la frazione.
La figlia di Abele de Guz (il custode della Diga di Molare) prese la bicicletta e si precipitò in Loc. Binelle ad avvertire la squadra di partigiani appostata con la mitragliatrice Breda 37. Vennero accese le micce delle mine posizionate sul selciato stradale poco a monte di Loc. Marciazza. Non esplosero perché “Gabriele”, capitano del Genio ed incaricato di predisporre l'esplosivo, era in realtà un S.S. tedesco, infiltrato tra i Partigiani. Le truppe tedesche arrivarono indisturbate al passo delle Binelle. Qui la mitragliatrice Breda 37 aprì il fuoco sulla colonna in avvicinamento che ebbe numerose perdite. Dopo pochi minuti di fuoco serrato la mitragliatrice fu danneggiata e i tre Partigiani appostati fuggirono guadando il fiume. La colonna tedesca proseguì lentamente verso Olbicella dove risiedeva il comando operativo dei partigiani. Poco dopo l'agguato delle Binelle i tedeschi si scontrarono frontalmente con una corriera proveniente da Olbicella piena di partigiani (una quarantina). La sorpresa fu reciproca: i partigiani si aspettavano infatti una colonna tedesca decimata dalle mine e dalla mitragliatrice mentre i tedeschi erano ancora provati dalla precedente imboscata ma non certo decimati. Purtroppo i numeri giocarono un ruolo fondamentale nello scontro ove perirono sei partigiani. Giovanni Villa detto “Pancho” medaglia d'argento, riuscì correndo per i boschi a precedere l'arrivo dei tedeschi ad Olbicella e ad avvertire i compagni che si appostarono concitatamente per la battaglia. “Pino” fu il primo ad Olbicella ad aprire il fuoco contro le truppe. Una seconda colonna di tedeschi era in arrivo da Tiglieto e fu attaccata all'altezza del Rio Olbicella (Pian del Fo') da due partigiani: “D'Artagnan” e “Piccolo”. Quest'ultimi furono colpiti mortalmente dopo alcuni minuti di furiosa lotta.
Frattanto “Pancho”, “Oscar”, “Ruggero”, “Febo”, “Pulce”, “Piccio”, “Aria” ed un soldato disertore della San Marco unitosi da poco ai partigiani, ripiegarono sulle alture di Olbicella. Dopo un'ora di appostamento i tedeschi iniziarono a battere con il fuoco tutta l'area. “Oscar”, “Ruggero” e “Febo” riuscirono miracolosamente a fuggire, ma per altri sette non ci fu nulla da fare: furono presi e condotti alla chiesa di Olbicella. Qui la località molarese visse le ore più cupe della storia conosciuta. Molte case furono bruciate come ritorsione verso i contadini colpevoli di aver aiutato i partigiani. Alle 17 i sette prigionieri furono messi al muro nella piccola piazzetta tra la chiesa e l'Albergo Talin. Il plotone ormai pronto al fuoco fu fermato dall'arrivo di una vettura di un alto ufficiale tedesco. I compagni di riebbero quasi sperando nella deportazione nei campi di prigionia. Ma quando da un camion un soldato tedesco uscì con in mano una serie di corde il pensiero più atroce affiorò prepotente nelle menti dei poveretti. “Aria”, il più giovane (soli 16 anni), fu preso da parte, condotto dietro la chiesa, e barbaramente pestato a sangue. Poi, sanguinante, e non in grado di reggersi in piedi, fu condotto di peso alla piazzetta e fu costretto ad assistere all'esecuzione. I tedeschi obbligarono i sei partigiani a mettersi il cappio al collo. “Pancho” si rifiutò e sputò in faccia al suo boia mentre questi gli metteva la corda al collo. Il tedesco furente diede un calcio allo sgabello, poi col calcio del fucile vibrò un tremendo colpo sul volto del giustiziato staccandogli la mascella. L'indomani il padre di “Pancho” riconobbe il figlio dalla divisa. Si racconta che una donna, colpevole di aver soccorso un partigiano, fu costretta a dare un calcio ad uno degli sgabelli che sorreggeva la vita del partigiano.
Alla sera l'autocolonna tedesca lasciò il paese in fiamme con i sei corpi ancora appesi agli alberi. Sulla strada del ritorno i tedeschi registrarono ancora vittime a causa di una mitragliatrice appostata sulle alture. “Aria” (alias Mario Ghiglione) fu condotto più morto che vivo nella prigione di Silvano d'Orba.
La notte calò finalmente su quella terribile giornata. Ma la battaglia di Olbicella fu solo la metà di ciò che quel medesimo giorno accadde nell'alta Valle Orba. Pochi chilometri ad Ovest infatti, a Piancastagna, si consumò il tragico ed eroico epilogo del “Capitano Mingo”. [...]
Redazione, La Valle Orba. Parte 7. Il rastrellamento di Olbicella ed il Capitano Mingo, www.molare.net
La figlia di Abele de Guz (il custode della Diga di Molare) prese la bicicletta e si precipitò in Loc. Binelle ad avvertire la squadra di partigiani appostata con la mitragliatrice Breda 37. Vennero accese le micce delle mine posizionate sul selciato stradale poco a monte di Loc. Marciazza. Non esplosero perché “Gabriele”, capitano del Genio ed incaricato di predisporre l'esplosivo, era in realtà un S.S. tedesco, infiltrato tra i Partigiani. Le truppe tedesche arrivarono indisturbate al passo delle Binelle. Qui la mitragliatrice Breda 37 aprì il fuoco sulla colonna in avvicinamento che ebbe numerose perdite. Dopo pochi minuti di fuoco serrato la mitragliatrice fu danneggiata e i tre Partigiani appostati fuggirono guadando il fiume. La colonna tedesca proseguì lentamente verso Olbicella dove risiedeva il comando operativo dei partigiani. Poco dopo l'agguato delle Binelle i tedeschi si scontrarono frontalmente con una corriera proveniente da Olbicella piena di partigiani (una quarantina). La sorpresa fu reciproca: i partigiani si aspettavano infatti una colonna tedesca decimata dalle mine e dalla mitragliatrice mentre i tedeschi erano ancora provati dalla precedente imboscata ma non certo decimati. Purtroppo i numeri giocarono un ruolo fondamentale nello scontro ove perirono sei partigiani. Giovanni Villa detto “Pancho” medaglia d'argento, riuscì correndo per i boschi a precedere l'arrivo dei tedeschi ad Olbicella e ad avvertire i compagni che si appostarono concitatamente per la battaglia. “Pino” fu il primo ad Olbicella ad aprire il fuoco contro le truppe. Una seconda colonna di tedeschi era in arrivo da Tiglieto e fu attaccata all'altezza del Rio Olbicella (Pian del Fo') da due partigiani: “D'Artagnan” e “Piccolo”. Quest'ultimi furono colpiti mortalmente dopo alcuni minuti di furiosa lotta.
Frattanto “Pancho”, “Oscar”, “Ruggero”, “Febo”, “Pulce”, “Piccio”, “Aria” ed un soldato disertore della San Marco unitosi da poco ai partigiani, ripiegarono sulle alture di Olbicella. Dopo un'ora di appostamento i tedeschi iniziarono a battere con il fuoco tutta l'area. “Oscar”, “Ruggero” e “Febo” riuscirono miracolosamente a fuggire, ma per altri sette non ci fu nulla da fare: furono presi e condotti alla chiesa di Olbicella. Qui la località molarese visse le ore più cupe della storia conosciuta. Molte case furono bruciate come ritorsione verso i contadini colpevoli di aver aiutato i partigiani. Alle 17 i sette prigionieri furono messi al muro nella piccola piazzetta tra la chiesa e l'Albergo Talin. Il plotone ormai pronto al fuoco fu fermato dall'arrivo di una vettura di un alto ufficiale tedesco. I compagni di riebbero quasi sperando nella deportazione nei campi di prigionia. Ma quando da un camion un soldato tedesco uscì con in mano una serie di corde il pensiero più atroce affiorò prepotente nelle menti dei poveretti. “Aria”, il più giovane (soli 16 anni), fu preso da parte, condotto dietro la chiesa, e barbaramente pestato a sangue. Poi, sanguinante, e non in grado di reggersi in piedi, fu condotto di peso alla piazzetta e fu costretto ad assistere all'esecuzione. I tedeschi obbligarono i sei partigiani a mettersi il cappio al collo. “Pancho” si rifiutò e sputò in faccia al suo boia mentre questi gli metteva la corda al collo. Il tedesco furente diede un calcio allo sgabello, poi col calcio del fucile vibrò un tremendo colpo sul volto del giustiziato staccandogli la mascella. L'indomani il padre di “Pancho” riconobbe il figlio dalla divisa. Si racconta che una donna, colpevole di aver soccorso un partigiano, fu costretta a dare un calcio ad uno degli sgabelli che sorreggeva la vita del partigiano.
Alla sera l'autocolonna tedesca lasciò il paese in fiamme con i sei corpi ancora appesi agli alberi. Sulla strada del ritorno i tedeschi registrarono ancora vittime a causa di una mitragliatrice appostata sulle alture. “Aria” (alias Mario Ghiglione) fu condotto più morto che vivo nella prigione di Silvano d'Orba.
La notte calò finalmente su quella terribile giornata. Ma la battaglia di Olbicella fu solo la metà di ciò che quel medesimo giorno accadde nell'alta Valle Orba. Pochi chilometri ad Ovest infatti, a Piancastagna, si consumò il tragico ed eroico epilogo del “Capitano Mingo”. [...]
Redazione, La Valle Orba. Parte 7. Il rastrellamento di Olbicella ed il Capitano Mingo, www.molare.net
Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 1944, un migliaio di tedeschi e repubblichini mosse da Ovada sulla direttrice Molare - Cassinelle, con obiettivo Bandita. L’avanguardia (otto camion carichi di truppe, due autoblindo con lancia fiamma, mitragliere e mortai), arrivata al crocevia, uccise il partigiano di guardia. Superò il posto di blocco, la postazione della formazione GL e catturò sei partigiani, i quali resistettero per consentire ai compagni di allontanarsi e ripiegare verso Bric dei Gorrei. Intorno alle sette, divisi in due colonne, i tedeschi entrarono in Bandita; incendiarono più di quaranta case abitate, stalle, fienili e concentrarono gli abitanti sulla piazza. I partigiani catturati e due civili, tra cui una donna, furono uccisi uno per volta con un colpo di pistola alla nuca. Il Comando della Divisione Ligure - Alessandrina, assestato nella zona compresa tra San Luca di Molare - le Garonne - Olbicella, venne a trovarsi direttamente esposto all’azione nemica. Fu stabilita una linea di difesa sistemando, in contrasto con i principi di dinamicità e mobilità della lotta partigiana, i distaccamenti a difesa dei vari settori. Lungo il tratto nord della rotabile di Olbicella fu predisposto il minamento della strada e dislocato un distaccamento con il compito di precludere l’accesso al paese. Nel settore ovest, un contingente di un centinaio di effettivi, comandati da Domenico Lanza “Mingo”, venne posto nella zona del bricco di Pian Castagna con l’obiettivo di fermare gli attaccanti al bivio delle rotabili provenienti da Sassello e da Acqui. A levante dell’Orba, nella zona delle Garonne, fu piazzato un distaccamento per impedire il transito delle truppe sulla rotabile che dalla strada Rossiglione - Tiglieto portava alle Garonne e, sul versante opposto, a Olbicella. La zona sud fu posta sotto il controllo di un distaccamento di circa cinquanta uomini con il compito di pattugliare la zona di Tiglieto e segnalare eventuali movimenti nemici. Le truppe tedesche e repubblichine si mossero da quattro direzioni per convergere su Olbicella. Una colonna partì da Ovada diretta a Molare - San Luca. Due colonne partirono da Acqui: una in direzione Visone - Grognardo - Morbello con lo scopo di rimuovere dalla zona le bande della divisione GL “Braccini”, reduci dal rastrellamento di Bandita; l’altra verso Ponzone, Cimaferle, Toleto, Abbassi con lo scopo di eliminare le formazioni partigiane poste sulla rotabile Acqui - Sassello. Da Sassello partì una colonna con lo stesso obiettivo.
L’attacco nazifascista scattò intorno alle cinque del 10 ottobre, sviluppandosi su due principali direzioni: da nord sulla strada che da Molare portava a Olbicella; da ovest sulla rotabile che da Acqui raggiungeva Pian Castagna e sulla strada che da Sassello, attraverso la Croce del Grino, portava alla stessa località.
Nel settore nord, il funzionamento del dispositivo per far saltare le mine poste sulla strada per San Luca non funzionò per il tradimento di un capitano del Genio (infiltratosi nelle file partigiane) che avrebbe dovuto predisporlo; di conseguenza la colonna partita da Ovada proseguì la marcia senza incontrare ostacoli di sorta.
Un giovane partigiano ovadese, Giovanni Villa “Pancio”, correndo attraverso i boschi, raggiunse Olbicella e informò il commissario dell’incombente pericolo, salvando, in tal modo, gli uomini del Comando divisionale e quelli preposti al servizio di Intendenza.
All’arrivo delle truppe, la sede del Comando fu devastata e “Pancio” catturato assieme a sei compagni. Dal paese i nazifascisti asportarono tutto ciò che ritennero utile, razziarono il bestiame, incendiarono buona parte delle case e cascinali e prelevarono decine di civili come ostaggi.
Intorno alle cinque del pomeriggio, i prigionieri, rinchiusi in Chiesa (dopo che i tedeschi fecero uscire i civili lì rifugiatisi), furono tradotti in piazza e impiccati.
Mentre a Olbicella il rastrellamento era in atto, una squadra della colonna proveniente da Acqui si staccò alla volta di Toleto, dove saccheggiò e incendiò abitazioni civili. Tornata al bivio, si affiancò ai reparti provenienti da Sassello e congiuntamente marciarono verso Pian Castagna.
I partigiani di “Mingo” disposti a piccoli nuclei sulle alture, bloccarono la colonna e resistettero sino all’esaurimento delle munizioni; quindi, coperti dal comandante Lanza, si disimpegnarono, mettendosi in salvo.
Nello scontro caddero otto partigiani, tra cui il savonese Domenico Lanza. I caduti del rastrellamento di ottobre furono in totale trentacinque
[...] A “Mingo” il 16 novembre 1944 fu intitolata la Divisione Ligure-Alessandrina.
Redazione, 7-10 Ottobre 1944..., ANPI Savona
L’attacco nazifascista scattò intorno alle cinque del 10 ottobre, sviluppandosi su due principali direzioni: da nord sulla strada che da Molare portava a Olbicella; da ovest sulla rotabile che da Acqui raggiungeva Pian Castagna e sulla strada che da Sassello, attraverso la Croce del Grino, portava alla stessa località.
Nel settore nord, il funzionamento del dispositivo per far saltare le mine poste sulla strada per San Luca non funzionò per il tradimento di un capitano del Genio (infiltratosi nelle file partigiane) che avrebbe dovuto predisporlo; di conseguenza la colonna partita da Ovada proseguì la marcia senza incontrare ostacoli di sorta.
Un giovane partigiano ovadese, Giovanni Villa “Pancio”, correndo attraverso i boschi, raggiunse Olbicella e informò il commissario dell’incombente pericolo, salvando, in tal modo, gli uomini del Comando divisionale e quelli preposti al servizio di Intendenza.
All’arrivo delle truppe, la sede del Comando fu devastata e “Pancio” catturato assieme a sei compagni. Dal paese i nazifascisti asportarono tutto ciò che ritennero utile, razziarono il bestiame, incendiarono buona parte delle case e cascinali e prelevarono decine di civili come ostaggi.
Intorno alle cinque del pomeriggio, i prigionieri, rinchiusi in Chiesa (dopo che i tedeschi fecero uscire i civili lì rifugiatisi), furono tradotti in piazza e impiccati.
Mentre a Olbicella il rastrellamento era in atto, una squadra della colonna proveniente da Acqui si staccò alla volta di Toleto, dove saccheggiò e incendiò abitazioni civili. Tornata al bivio, si affiancò ai reparti provenienti da Sassello e congiuntamente marciarono verso Pian Castagna.
I partigiani di “Mingo” disposti a piccoli nuclei sulle alture, bloccarono la colonna e resistettero sino all’esaurimento delle munizioni; quindi, coperti dal comandante Lanza, si disimpegnarono, mettendosi in salvo.
Nello scontro caddero otto partigiani, tra cui il savonese Domenico Lanza. I caduti del rastrellamento di ottobre furono in totale trentacinque
[...] A “Mingo” il 16 novembre 1944 fu intitolata la Divisione Ligure-Alessandrina.
Redazione, 7-10 Ottobre 1944..., ANPI Savona