In Romagna Ernesto De Martino visse gli stravolgimenti della guerra e dalla Romagna fu osservatore e partecipe del disorientamento politico del paese, dato non solo dall’effettiva caduta del regime fascista, ma anche e soprattutto dalla presa di coscienza della degenerazione civile e morale che tale regime aveva rappresentato.
Proprio a Cotignola, De Martino fece esperienza o fu testimone di manifestazioni inedite e sorprendenti di solidarietà sociale e impegno civile: nel quadro della guerra di Liberazione contro l’occupazione, nel paese romagnolo si sviluppò un’interessante rete di lotta partigiana, di propaganda politica e intellettuale e di solidarietà per la protezione di rifugiati, clandestini ed ebrei. Guerra, fascismo e occupazione da una parte e Resistenza dall’altra apparivano dunque come manifestazioni, rispettivamente, di crisi e riscatto.
In questo articolo non si tratterà di stabilire un rapporto di causalità tra l’esperienza romagnola durante la guerra e il contenuto de "Il mondo magico". Si tratterà, tuttavia, di insistere sulla contemporaneità dell’esperienza della guerra e della stesura effettiva di tali riflessioni sulla crisi della presenza e la capacità di farvi fronte - di riscattarsi culturalmente. Si propone così di offrire elementi di discussione di un’ipotesi che si sottopone alla disanima della comunità accademica: se, all’origine, l’idea della “crisi della presenza” proposta ne "Il mondo magico" fu pensata come esperienza specifica delle società “primitive”, il dramma esistenziale collettivo di cui egli fu partecipe durante la guerra ha potuto suggerire la possibilità di pensare alla società “occidentale” negli stessi termini, inaugurando quel tentativo di tradurre l’etnologia delle società “primitive” in antropologia della società contemporanea che solo più tardi sfocerà nell’etnocentrismo critico dell’antropologia demartiniana più matura.
Il periodo romagnolo - particolarmente prolifico, nonostante le condizioni difficilissime, sul piano della scrittura sia scientifica che politica e ideologica - ha rappresentato, in maniera analoga, un momento chiave nella riflessione demartiniana sul rapporto tra intellettuale e masse.
Il riscatto di cui De Martino era testimone - e in maniera relativa, come vedremo, anche “partecipe” - appariva, forse un po’ romanticamente, ai suoi occhi, condotto da un nuovo soggetto storico e politico autonomo: il “popolo”.
È infatti nel periodo romagnolo e nella testimonianza della Resistenza, come si cercherà di dimostrare, che De Martino cominciò a pensare al lavoro dell’intellettuale come indissociabile dall’impegno civile e dalla ricerca di un legame, che Gramsci avrebbe chiamato “organico”, con il “popolo” in quanto questi ormai soggetto della propria storia.
De Martino affrontò la questione di tale connessione - e quindi del contributo della lotta culturale alla guerra di Liberazione e al riscatto del paese - sul piano soprattutto ideologico e teorico, nell’attività di scrittura e propaganda attraverso pamphlet e articoli teorico-politici sulla stampa clandestina. Tale riflessione però si scontrava con l’evidenza di una debole presa dei suoi scritti e della sua incapacità o impossibilità ad attivarsi concretamente sul piano politico. Di fronte all’agire autonomo delle forze popolari, il “Professore” - com’era chiamato in zona - sentiva una certa frustrazione nel tentativo di farsi interprete e rappresentante delle masse a cui, nei suoi scritti, si appellava in modi che potrebbero sembrare spesso idealisti e perfino demagogici.
È solo in questo quadro di riflessione sull’altalena della storia tra crisi e riscatto, della scoperta del “popolo” come attore autonomo della storia e di ricerca di un legame con esso di un intellettuale attivo sul fronte culturale nella rigenerazione civile che si può comprendere l’avvicinamento di De Martino al socialismo, sul piano politico, e al marxismo, sul piano teorico, durante il suo soggiorno romagnolo. In effetti, come dimostrato nelle pagine che seguono, è in Romagna, tra il ’44 e il ’45, che De Martino decise di confluire, a partire da posizioni azioniste, in un fronte di partiti socialisti; ed è in quel periodo romagnolo, secondo quanto si desume dagli scritti del periodo a lui riconducibili che citano per la prima volta Marx, che egli cominciò a pensare la storia e la libertà all’interno di un quadro marxista. Mettendo in luce questi nuovi orientamenti, il presente saggio non intende dare al periodo romagnolo i caratteri del momento fondante. Esso tenta, cionondimeno, di gettare nuova luce, nella direzione già intrapresa da Giordana Charuty nella pagine riguardanti Cotignola della sua biografia del giovane De Martino <9, a una fase altrimenti considerata come semplice parentesi tra le due fasi baresi: tale fase costituisce, al pari di altre, una tappa decisiva, per quanto intermedia - e che possiamo definire “populista” -, nella transizione verso un tentativo di sintesi tra la sua “religione della libertà” e il marxismo che si dispiegherà pienamente nel dopoguerra, periodo quest’ultimo già descritto e discusso, in maniera esemplare, da Riccardo Di Donato e Valerio S. Severino <10.
[NOTE]
9 G. Charuty, Ernesto De Martino: les vies antérieures d’un anthropologue, Parenthèses, Marsiglia 2009, pp. 268-78.
10 R. Di Donato, «Un contributo su De Martino politico», in R. Di Donato (a cura di), Compagni e amici. Lettere di Ernesto De Martino a Pietro Secchia, La nuova Italia, Scandicci 1993; V.S. Severino, «Ernesto De Martino nel PCI degli anni ’50, tra religione e politica culturale», in Studi storici, 2003, anno 44, n. 2, pp. 527-553.
Riccardo Ciavolella, L’intellettuale e il popolo dalla crisi morale al riscatto socialista. Ernesto De Martino in Romagna durante la guerra (1943-1945), nostos n° 1, dicembre 2016
Proprio a Cotignola, De Martino fece esperienza o fu testimone di manifestazioni inedite e sorprendenti di solidarietà sociale e impegno civile: nel quadro della guerra di Liberazione contro l’occupazione, nel paese romagnolo si sviluppò un’interessante rete di lotta partigiana, di propaganda politica e intellettuale e di solidarietà per la protezione di rifugiati, clandestini ed ebrei. Guerra, fascismo e occupazione da una parte e Resistenza dall’altra apparivano dunque come manifestazioni, rispettivamente, di crisi e riscatto.
In questo articolo non si tratterà di stabilire un rapporto di causalità tra l’esperienza romagnola durante la guerra e il contenuto de "Il mondo magico". Si tratterà, tuttavia, di insistere sulla contemporaneità dell’esperienza della guerra e della stesura effettiva di tali riflessioni sulla crisi della presenza e la capacità di farvi fronte - di riscattarsi culturalmente. Si propone così di offrire elementi di discussione di un’ipotesi che si sottopone alla disanima della comunità accademica: se, all’origine, l’idea della “crisi della presenza” proposta ne "Il mondo magico" fu pensata come esperienza specifica delle società “primitive”, il dramma esistenziale collettivo di cui egli fu partecipe durante la guerra ha potuto suggerire la possibilità di pensare alla società “occidentale” negli stessi termini, inaugurando quel tentativo di tradurre l’etnologia delle società “primitive” in antropologia della società contemporanea che solo più tardi sfocerà nell’etnocentrismo critico dell’antropologia demartiniana più matura.
Il periodo romagnolo - particolarmente prolifico, nonostante le condizioni difficilissime, sul piano della scrittura sia scientifica che politica e ideologica - ha rappresentato, in maniera analoga, un momento chiave nella riflessione demartiniana sul rapporto tra intellettuale e masse.
Il riscatto di cui De Martino era testimone - e in maniera relativa, come vedremo, anche “partecipe” - appariva, forse un po’ romanticamente, ai suoi occhi, condotto da un nuovo soggetto storico e politico autonomo: il “popolo”.
È infatti nel periodo romagnolo e nella testimonianza della Resistenza, come si cercherà di dimostrare, che De Martino cominciò a pensare al lavoro dell’intellettuale come indissociabile dall’impegno civile e dalla ricerca di un legame, che Gramsci avrebbe chiamato “organico”, con il “popolo” in quanto questi ormai soggetto della propria storia.
De Martino affrontò la questione di tale connessione - e quindi del contributo della lotta culturale alla guerra di Liberazione e al riscatto del paese - sul piano soprattutto ideologico e teorico, nell’attività di scrittura e propaganda attraverso pamphlet e articoli teorico-politici sulla stampa clandestina. Tale riflessione però si scontrava con l’evidenza di una debole presa dei suoi scritti e della sua incapacità o impossibilità ad attivarsi concretamente sul piano politico. Di fronte all’agire autonomo delle forze popolari, il “Professore” - com’era chiamato in zona - sentiva una certa frustrazione nel tentativo di farsi interprete e rappresentante delle masse a cui, nei suoi scritti, si appellava in modi che potrebbero sembrare spesso idealisti e perfino demagogici.
È solo in questo quadro di riflessione sull’altalena della storia tra crisi e riscatto, della scoperta del “popolo” come attore autonomo della storia e di ricerca di un legame con esso di un intellettuale attivo sul fronte culturale nella rigenerazione civile che si può comprendere l’avvicinamento di De Martino al socialismo, sul piano politico, e al marxismo, sul piano teorico, durante il suo soggiorno romagnolo. In effetti, come dimostrato nelle pagine che seguono, è in Romagna, tra il ’44 e il ’45, che De Martino decise di confluire, a partire da posizioni azioniste, in un fronte di partiti socialisti; ed è in quel periodo romagnolo, secondo quanto si desume dagli scritti del periodo a lui riconducibili che citano per la prima volta Marx, che egli cominciò a pensare la storia e la libertà all’interno di un quadro marxista. Mettendo in luce questi nuovi orientamenti, il presente saggio non intende dare al periodo romagnolo i caratteri del momento fondante. Esso tenta, cionondimeno, di gettare nuova luce, nella direzione già intrapresa da Giordana Charuty nella pagine riguardanti Cotignola della sua biografia del giovane De Martino <9, a una fase altrimenti considerata come semplice parentesi tra le due fasi baresi: tale fase costituisce, al pari di altre, una tappa decisiva, per quanto intermedia - e che possiamo definire “populista” -, nella transizione verso un tentativo di sintesi tra la sua “religione della libertà” e il marxismo che si dispiegherà pienamente nel dopoguerra, periodo quest’ultimo già descritto e discusso, in maniera esemplare, da Riccardo Di Donato e Valerio S. Severino <10.
[NOTE]
9 G. Charuty, Ernesto De Martino: les vies antérieures d’un anthropologue, Parenthèses, Marsiglia 2009, pp. 268-78.
10 R. Di Donato, «Un contributo su De Martino politico», in R. Di Donato (a cura di), Compagni e amici. Lettere di Ernesto De Martino a Pietro Secchia, La nuova Italia, Scandicci 1993; V.S. Severino, «Ernesto De Martino nel PCI degli anni ’50, tra religione e politica culturale», in Studi storici, 2003, anno 44, n. 2, pp. 527-553.
Riccardo Ciavolella, L’intellettuale e il popolo dalla crisi morale al riscatto socialista. Ernesto De Martino in Romagna durante la guerra (1943-1945), nostos n° 1, dicembre 2016
Bisogna inoltre considerare che questo meticoloso lavoro di ricerca viene svolto fra mille difficoltà causate non solo dallo scoppio della guerra, ma anche dall’attività di resistenza clandestina che, come vedremo, a partire dal 1941 porrà De Martino al centro della poco gradevole attenzione della polizia segreta fascista (OVRA). Come si vedrà in seguito più nel dettaglio, nell’autunno del 1941 il circolo di giovani liberali, di cui Ernesto fa parte, si organizza in senso più specificamente politico, dando vita, dietro solenne giuramento <2, a un nucleo attivo di resistenza antifascista. Il 25 marzo del 1942 viene perquisita la Laterza e le case delle famiglie dei componenti dell’azienda e il 2
aprile De Martino, insieme ad altri, è denunciato come membro del movimento antifascista barese capeggiato da Tommaso Fiore <3. Dopo alcuni interrogatori agli altri componenti del gruppo, non solo i Laterza, ma anche Fabrizio Canfora e Domenico Loizzi, il 18 aprile è il turno di Ernesto, che giustifica la sua presenza in casa Fiore con motivi intellettuali, dichiarandosi assolutamente fedele all’idea fascista. L’autodifesa, tuttavia, non basta a scongiurare i provvedimenti dell’OVRA che il 28 aprile indica De Martino fra i professori che devono essere allontanati dalla regione pugliese. Il giovane, tentando di farsi togliere la diffida, scrive al Ministero dell’Educazione Nazionale
rilevando che un allontanamento da Bari avrebbe causato un danno gravissimo alle sue ricerche. Siamo infatti negli anni cruciali in cui Ernesto sta elaborando con maggiore precisione il problema della realtà dei poteri magici. Alla fine sarà solo l’intervento di Croce, con una lettera il 22 luglio 1922 al Ministero dell’Interno, che farà commutare la diffida in avvertimento <4. In questa situazione di pericolo costante, De Martino continua ad intessere una fitta trama di relazioni accademiche che lo possano aiutare nel suo lavoro di ricerca, soprattutto nell’acquisizione di nuovi testi stranieri, resa ancora più difficile dallo scoppio della guerra. Il contatto con intellettuali provenienti da ambienti diversi, servirà a Ernesto, che comincia a soffrire le rigidità di un crocianesimo ortodosso, anche a conseguire una maggiore libertà teorica.
Infine, il nostro percorso si concluderà sull’analisi di "Percezione extrasensoriale e magismo etnologico", l’ultimo articolo concepito prima della stesura definitiva di "Il mondo magico", e che di quest’opera contiene la struttura fondamentale, fatta eccezione per la definitiva formulazione del concetto di “presenza”, avvenuta probabilmente nel 1944, quando De Martino, sfollato con la famiglia a Cotignola, in Romagna, partecipa attivamente alla Resistenza contro l’occupazione nazista. La nostra analisi, tuttavia, mostrerà come già in "Percezione extrasensoriale e magismo etnologico" siano presenti i fondamentali nuclei concettuali dell’opera del ’48, compreso il concetto di “presenza”, vero e proprio “precipitato” in cui si condensano gli studi filosofici, storici e psicologici, nonché l’intenso vissuto esperienziale di “assenza” o crisi di mediazioni, del giovane Ernesto.
[NOTE]
2 Scritto proprio da De Martino, come si vedrà.
3 Come si vedrà meglio, infatti, Croce non entra nel movimento.
4 Valerio Salvatore SEVERINO, Ernesto de Martino nel circolo crociano di Villa Laterza: 1937-1942, Contributo a una contestualizzazione politica de Il mondo magico, in “La Cultura”, a. XL, n. 1, aprile 2002, pp. 89-106.
Emilia Andri, Il giovane De Martino e le origini de "Il mondo magico" (1929-1944), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2009-2010
aprile De Martino, insieme ad altri, è denunciato come membro del movimento antifascista barese capeggiato da Tommaso Fiore <3. Dopo alcuni interrogatori agli altri componenti del gruppo, non solo i Laterza, ma anche Fabrizio Canfora e Domenico Loizzi, il 18 aprile è il turno di Ernesto, che giustifica la sua presenza in casa Fiore con motivi intellettuali, dichiarandosi assolutamente fedele all’idea fascista. L’autodifesa, tuttavia, non basta a scongiurare i provvedimenti dell’OVRA che il 28 aprile indica De Martino fra i professori che devono essere allontanati dalla regione pugliese. Il giovane, tentando di farsi togliere la diffida, scrive al Ministero dell’Educazione Nazionale
rilevando che un allontanamento da Bari avrebbe causato un danno gravissimo alle sue ricerche. Siamo infatti negli anni cruciali in cui Ernesto sta elaborando con maggiore precisione il problema della realtà dei poteri magici. Alla fine sarà solo l’intervento di Croce, con una lettera il 22 luglio 1922 al Ministero dell’Interno, che farà commutare la diffida in avvertimento <4. In questa situazione di pericolo costante, De Martino continua ad intessere una fitta trama di relazioni accademiche che lo possano aiutare nel suo lavoro di ricerca, soprattutto nell’acquisizione di nuovi testi stranieri, resa ancora più difficile dallo scoppio della guerra. Il contatto con intellettuali provenienti da ambienti diversi, servirà a Ernesto, che comincia a soffrire le rigidità di un crocianesimo ortodosso, anche a conseguire una maggiore libertà teorica.
Infine, il nostro percorso si concluderà sull’analisi di "Percezione extrasensoriale e magismo etnologico", l’ultimo articolo concepito prima della stesura definitiva di "Il mondo magico", e che di quest’opera contiene la struttura fondamentale, fatta eccezione per la definitiva formulazione del concetto di “presenza”, avvenuta probabilmente nel 1944, quando De Martino, sfollato con la famiglia a Cotignola, in Romagna, partecipa attivamente alla Resistenza contro l’occupazione nazista. La nostra analisi, tuttavia, mostrerà come già in "Percezione extrasensoriale e magismo etnologico" siano presenti i fondamentali nuclei concettuali dell’opera del ’48, compreso il concetto di “presenza”, vero e proprio “precipitato” in cui si condensano gli studi filosofici, storici e psicologici, nonché l’intenso vissuto esperienziale di “assenza” o crisi di mediazioni, del giovane Ernesto.
[NOTE]
2 Scritto proprio da De Martino, come si vedrà.
3 Come si vedrà meglio, infatti, Croce non entra nel movimento.
4 Valerio Salvatore SEVERINO, Ernesto de Martino nel circolo crociano di Villa Laterza: 1937-1942, Contributo a una contestualizzazione politica de Il mondo magico, in “La Cultura”, a. XL, n. 1, aprile 2002, pp. 89-106.
Emilia Andri, Il giovane De Martino e le origini de "Il mondo magico" (1929-1944), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2009-2010