Considerato come un personaggio eccezionale dai suoi amici e dai monselicensi meno retrivi, Monticelli aveva iniziato a scrivere giovanissimo. La prima pubblicazione è quella de “La Rocca rossa”, il volantino stampato e affisso in città nel 1874, ma poco tempo dopo era già corrispondente teatrale per il quotidiano padovano “Il Bacchiglione”. Un ruolo che gli consentiva, a dispetto del commissario locale che provava ad ostacolarlo in tutti i modi, di entrare a piacimento in teatro <13. I lusinghieri giudizi che elargiva alle compagnie locali, e su quelle di giro, e che a sua firma comparivano pubblicati sul giornale gli valevano la considerazione e il riguardo degli attori con i quali acquistò così familiarità iniziando una fitta frequentazione <14.
Il suo impegno da giornalista prese da subito, al crescere del coinvolgimento politico, un più spiccato carattere di propaganda e critica sociale. Con lo pseudonimo “Carolus” firmò, tra l’altro, numerose corrispondenze sull’attività della Società di ginnastica monselicense di cui la sua famiglia era tra i promotori e sostenitori, ma già nel 1878, mentre maturava l’idea della convocazione di un congresso regionale veneto dell’Internazionale, Monticelli faceva notare in una sua corrispondenza da Albignasego su “L’Avvenire” di Modena che “le plebi” non erano ancora a conoscenza delle idee dell’Internazionale e che le popolazioni venete erano “sfortunatamente” fra quelle che, meno di tutti, conoscevano gli “araldi delle nuove idee” <15.
La capacità della stampa di diffondere idee e politiche era ben presente al giovane anarchico che aveva tentato in tutti i modi di dare con il periodico “Il Diritto” una voce ufficiale al movimento monselicense. Tramite i suoi interventi sulle colonne dei vari giornali della Sinistra mantenne in seguito accesa la critica sociale sulla situazione del proletariato e aperto il dibattito con le varie sezioni del movimento. I vari articoli sono anche testimonianza dell’evoluzione delle sue idee.
L’attentato Passanante diede alle autorità il pretesto per sbarazzarsi del gruppo internazionalista arrestando per il reato di stampa Carlo Monticelli con tutto il gruppo dirigente monselicense. Mentre con i capi in prigione, la sezione anarchica andava allo sbando, in carcere a Este per quattro mesi, il giovane scriveva le sue "Schioppettate poetiche" e rifletteva sulla tattica politica e rivoluzionaria del movimento <16.
E’ dell’agosto 1879 un suo intervento su “La Plebe” in cui risponde alla lettera “Ai miei amici di Romagna” nella quale Andrea Costa prospettava apertamente una possibile alternativa legalitaria alla tradizionale strategia rivoluzionaria degli anarchici <17. “Siamo tutti rivoluzionari e tutti dobbiamo essere rivoluzionari” scrisse spostandosi su posizioni meno radicali “ma essere rivoluzionari non vuol dire però volere la rivoluzione a tutti i costi. La rivoluzione è una cosa seria e tale non potrà essere se non quando si effettuerà percorrendo una lunga strada e sotto l’impulso di una potente necessità popolare” <18.
La politica diventerà il suo unico lavoro solo l’anno successivo quando, vistosi negare un impiego da segretario comunale per cui aveva conseguito regolarmente la patente, decise di diventare un rivoluzionario di professione accettando l’incarico di ricostituire la Federazione veneta dell’anarchia. Carcere e pubblicazioni, così come i viaggi all’estero per sfuggire alla polizia, divennero una costante della sua esperienza <19. Nel 1882 elaborò l’idea di fondare a Padova il “Tito Vezio” “giornale degli schiavi bianchi”, un giornale che avrebbe dovuto sostenere le candidature socialiste di protesta alle elezioni. Il giornale sarebbe poi uscito a Milano sotto la sua direzione, per chiudere solo un anno dopo a causa dei frequentissimi sequestri (quindici) e Monticelli, condannato a 28 mesi di carcere e a 6102 lire di multa fuggì in Francia dove rimase fino al 1887 facendo il sarto. Da lì continuò a mandare articoli ai giornali socialisti e documenti agli amici tra cui "Del modo di costituire una società tra le Romagne e il Veneto" <20.
Ritornato in Italia nell’87 grazie a un’amnistia, si avvalse di nuovo della stampa e dei giornali socialisti per riprendere le fila del movimento. Collaborò prima a fondare “L’Ottantanove” con Emilio Castellani e, una volta chiuso il giornale per difficoltà economiche, accettò con lo stesso un posto di redattore a “Il Piccolo”, un giornale di indirizzo eclettico diretto da Giuseppe Alburno, anarchico più volte sospettato di essere una spia, e probabilmente sovvenzionato dal potere <21. Nel frattempo Monticelli modificava il proprio pensiero rivoluzionario ed approdava al più schietto legalitarismo. E’ di fine agosto l’articolo in cui, diventato direttore, ipotizza per la prima volta la possibilità di un passaggio incruento al socialismo. “La Rivoluzione sociale potrebbe effettuarsi anche senza colpo ferire, senza guerre civili, senza ombra di barricate (non bisogna confondere) l’insurrezione violenta delle classi lavoratrici (con) la rivoluzione sociale” <22.
Costante della sua esperienza è il tentativo di fondare e dirigere un giornale che si faccia voce del movimento. Negli ultimi numeri de “Il Piccolo” comparve almeno una decina di volte il programma di un nuovo giornale “La boie”, giornale “di lotta e di demolizione... per l’affermazione e la vittoria del socialismo”, che avrebbe dovuto uscire come organo di tutte le scuole socialiste venete ai primi di settembre 1888 con Castellani e Monticelli quali responsabili, e con Cipriani, Costa e Valeri come collaboratori, ma che non venne mai alla luce <23. Dopo la chiusura de “Il Piccolo” e il fallimento del progetto “La boie”, Monticelli fonda la rivista “Socialismo popolare”; la dirigerà dal 1890 a 1892 facendone la voce del socialismo eclettico veneto prima della sua adesione al legalitarismo.
In quegli anni non smette di collaborare con altre testate tenendo vivo il dibattito sulle questioni socialiste. “Gli anni passano e si rassomigliano” scrive su “L’Operaio” nell’agosto 1892 “la miseria d’una gran parte delle popolazioni non accenna a diminuire col tempo - anzi avviene il contrario. [...] E’ ridicolo dire che la proprietà è il frutto del lavoro. Guardatevi intorno buoni e laboriosi operai e vedrete che ciò è una menzogna. [...] Ora tale ordine di cose non è giusto e non deve sussistere, e se sussiste, è doveroso combatterlo” <24.
Nei dieci anni successivi fu giornalista per “Il Gazzettino” dove curò la critica teatrale guadagnandosi una certa considerazione. Lasciò il giornale per accettare, dopo aver vinto un concorso, il posto da segretario alla Camera del lavoro di Monselice facendo gridare allo scandalo la stampa moderata che lo accusava di aver accettato sussidi dalla Camera stessa per sostenere il suo giornale socialista “La nuova Idea”. Lasciata poco dopo la guida del periodico, il doppio ruolo di segretario della Camera e di rappresentante del Fascio dei lavoratori lo vide al centro di continue polemiche a attacchi politici che culminarono in un nuovo arresto per reato di stampa e in quindici giorni di carcere <25. Rimase alla Camera del lavoro, nonostante le accuse di averne fatto un covo di socialisti, sino al 1896 quando rassegnò le dimissioni ritornando a fare il giornalista al “Gazzettino” assieme al figlio Vezio, ma senza disdegnare di occuparsi di politica collaborando al giornale “Uniamoci”.
Nel 1903 viene chiamato a Roma dal direttore del “L’Avanti!” Enrico Ferri per assumere il ruolo di caporedattore, ma accusato di presunte irregolarità amministrative fu licenziato e quindi espulso dal partito. Per protesta contro la sospensione pubblicò a sue spese “Un errore giudiziario della direzione del partito socialista. La condotta di Ferri nella questione dei catastali”, un opuscolo in duemila copie che chiariva il suo punto di vista sulla vicenda che gli era costata il posto di lavoro <26.
Gli ultimi anni lo videro dedicarsi al giornalismo collaborando a diversi giornali di sinistra e scrivendo per il “Capitan Fracassa”, “La Favilla” e “Il Risveglio”. Fu corrispondente parlamentare per “L’Adriatico” e suoi articoli uscirono su “Pagine libere” e “Il Corriere”. In ultimo riprese a scrivere anche per “L’Avanti!” inviando numerose corrispondenze. Su “L’azione cooperativa”, nel luglio del 1912, ribadiva l’idea del socialismo legalitario ed evoluzionista cui era approdato nel 1893 <27.
[NOTE]
13 Essendo Monticelli appassionato di teatro ed egli stesso autore, il commissario arrivò a diffidare il capocomico di una filodrammatica di giro di ricevere l’anarchico in palcoscenico con la “minaccia di far sospendere il corso delle rappresentazioni”, in “Il Bacchiglione”, 3 gennaio 1882.
14 MERLIN, Storia di Monselice, p. 47.
15 “L’Avvenire”, Mantova, 1 giugno 1878, n. 5.
16 MERLIN, Carlo Monticelli. Poeta e drammaturgo, p. 5.
17 MERLIN, Angelo Galeno e il socialismo veneto (1875-1918), “Terra d’Este”, anno XI n. 22, Este 2001, p. 12.
18 MERLIN, Carlo Monticelli. Poeta e drammaturgo, p. 6.
19 “Fui sei volte arrestato, ebbi ammonizioni, fui in procinto di essere mandato a domicilio coatto, soffersi l’esilio e la miseria e, all’estero, per vivere feci il fattorino e l’operaio”, in C. MONTICELLI, “Un errore giudiziario nella direzione del partito socialista. La condotta di Ferri nella questione dei catastali”, Roma 1905, p. 29.
20 Il Tito Vezio propugnava l’anarco-comunismo e non polemizzava tanto contro il collettivismo grazie al quale l’individuo non avrebbe avuto “scopo di accumulazione” né ragione di preoccuparsi del suo avvenire, ma contro il comunismo autoritario dove lo Stato era unico possessore delle ricchezze impedendo ai Comuni di federarsi tra loro e provvedere, con scambi reciproci di prodotti, alle necessità della vita. BRIGUGLIO, Il partito operaio italiano e gli anarchici, p. 90.
21 Castellani e Monticelli si attirarono critiche feroci dai compagni che li accusavano di tradimento. In realtà è probabile che essi puntassero ad appropriarsi del giornale portando così maggiore sviluppo e utilità alla propaganda dei principi socialisti. Nel giro di un mese, infatti, in periodico si metteva a criticare la gestione Alburno e le autorità decisero di chiuderlo. MERLIN, Gli anarchici, la piazza e la campagna, p. 248.
22 La Rivoluzione sociale, in “Il Piccolo”, 28 agosto 1888.
23 La polizia fece in modo di costringere Castellani a fuggire all’estero condannando così il progetto. Per il programma de “La boie”, cr. MERLIN, Gli anarchici, la piazza e la campagna, p. 249.
24 La miseria dei lavoratori, in “L’Operaio”, 20 agosto 1892.
Nicoletta Canazza, Carlo Monticelli: tra giornalismo e impegno civile (1857-1913), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2002
Il suo impegno da giornalista prese da subito, al crescere del coinvolgimento politico, un più spiccato carattere di propaganda e critica sociale. Con lo pseudonimo “Carolus” firmò, tra l’altro, numerose corrispondenze sull’attività della Società di ginnastica monselicense di cui la sua famiglia era tra i promotori e sostenitori, ma già nel 1878, mentre maturava l’idea della convocazione di un congresso regionale veneto dell’Internazionale, Monticelli faceva notare in una sua corrispondenza da Albignasego su “L’Avvenire” di Modena che “le plebi” non erano ancora a conoscenza delle idee dell’Internazionale e che le popolazioni venete erano “sfortunatamente” fra quelle che, meno di tutti, conoscevano gli “araldi delle nuove idee” <15.
La capacità della stampa di diffondere idee e politiche era ben presente al giovane anarchico che aveva tentato in tutti i modi di dare con il periodico “Il Diritto” una voce ufficiale al movimento monselicense. Tramite i suoi interventi sulle colonne dei vari giornali della Sinistra mantenne in seguito accesa la critica sociale sulla situazione del proletariato e aperto il dibattito con le varie sezioni del movimento. I vari articoli sono anche testimonianza dell’evoluzione delle sue idee.
L’attentato Passanante diede alle autorità il pretesto per sbarazzarsi del gruppo internazionalista arrestando per il reato di stampa Carlo Monticelli con tutto il gruppo dirigente monselicense. Mentre con i capi in prigione, la sezione anarchica andava allo sbando, in carcere a Este per quattro mesi, il giovane scriveva le sue "Schioppettate poetiche" e rifletteva sulla tattica politica e rivoluzionaria del movimento <16.
E’ dell’agosto 1879 un suo intervento su “La Plebe” in cui risponde alla lettera “Ai miei amici di Romagna” nella quale Andrea Costa prospettava apertamente una possibile alternativa legalitaria alla tradizionale strategia rivoluzionaria degli anarchici <17. “Siamo tutti rivoluzionari e tutti dobbiamo essere rivoluzionari” scrisse spostandosi su posizioni meno radicali “ma essere rivoluzionari non vuol dire però volere la rivoluzione a tutti i costi. La rivoluzione è una cosa seria e tale non potrà essere se non quando si effettuerà percorrendo una lunga strada e sotto l’impulso di una potente necessità popolare” <18.
La politica diventerà il suo unico lavoro solo l’anno successivo quando, vistosi negare un impiego da segretario comunale per cui aveva conseguito regolarmente la patente, decise di diventare un rivoluzionario di professione accettando l’incarico di ricostituire la Federazione veneta dell’anarchia. Carcere e pubblicazioni, così come i viaggi all’estero per sfuggire alla polizia, divennero una costante della sua esperienza <19. Nel 1882 elaborò l’idea di fondare a Padova il “Tito Vezio” “giornale degli schiavi bianchi”, un giornale che avrebbe dovuto sostenere le candidature socialiste di protesta alle elezioni. Il giornale sarebbe poi uscito a Milano sotto la sua direzione, per chiudere solo un anno dopo a causa dei frequentissimi sequestri (quindici) e Monticelli, condannato a 28 mesi di carcere e a 6102 lire di multa fuggì in Francia dove rimase fino al 1887 facendo il sarto. Da lì continuò a mandare articoli ai giornali socialisti e documenti agli amici tra cui "Del modo di costituire una società tra le Romagne e il Veneto" <20.
Ritornato in Italia nell’87 grazie a un’amnistia, si avvalse di nuovo della stampa e dei giornali socialisti per riprendere le fila del movimento. Collaborò prima a fondare “L’Ottantanove” con Emilio Castellani e, una volta chiuso il giornale per difficoltà economiche, accettò con lo stesso un posto di redattore a “Il Piccolo”, un giornale di indirizzo eclettico diretto da Giuseppe Alburno, anarchico più volte sospettato di essere una spia, e probabilmente sovvenzionato dal potere <21. Nel frattempo Monticelli modificava il proprio pensiero rivoluzionario ed approdava al più schietto legalitarismo. E’ di fine agosto l’articolo in cui, diventato direttore, ipotizza per la prima volta la possibilità di un passaggio incruento al socialismo. “La Rivoluzione sociale potrebbe effettuarsi anche senza colpo ferire, senza guerre civili, senza ombra di barricate (non bisogna confondere) l’insurrezione violenta delle classi lavoratrici (con) la rivoluzione sociale” <22.
Costante della sua esperienza è il tentativo di fondare e dirigere un giornale che si faccia voce del movimento. Negli ultimi numeri de “Il Piccolo” comparve almeno una decina di volte il programma di un nuovo giornale “La boie”, giornale “di lotta e di demolizione... per l’affermazione e la vittoria del socialismo”, che avrebbe dovuto uscire come organo di tutte le scuole socialiste venete ai primi di settembre 1888 con Castellani e Monticelli quali responsabili, e con Cipriani, Costa e Valeri come collaboratori, ma che non venne mai alla luce <23. Dopo la chiusura de “Il Piccolo” e il fallimento del progetto “La boie”, Monticelli fonda la rivista “Socialismo popolare”; la dirigerà dal 1890 a 1892 facendone la voce del socialismo eclettico veneto prima della sua adesione al legalitarismo.
In quegli anni non smette di collaborare con altre testate tenendo vivo il dibattito sulle questioni socialiste. “Gli anni passano e si rassomigliano” scrive su “L’Operaio” nell’agosto 1892 “la miseria d’una gran parte delle popolazioni non accenna a diminuire col tempo - anzi avviene il contrario. [...] E’ ridicolo dire che la proprietà è il frutto del lavoro. Guardatevi intorno buoni e laboriosi operai e vedrete che ciò è una menzogna. [...] Ora tale ordine di cose non è giusto e non deve sussistere, e se sussiste, è doveroso combatterlo” <24.
Nei dieci anni successivi fu giornalista per “Il Gazzettino” dove curò la critica teatrale guadagnandosi una certa considerazione. Lasciò il giornale per accettare, dopo aver vinto un concorso, il posto da segretario alla Camera del lavoro di Monselice facendo gridare allo scandalo la stampa moderata che lo accusava di aver accettato sussidi dalla Camera stessa per sostenere il suo giornale socialista “La nuova Idea”. Lasciata poco dopo la guida del periodico, il doppio ruolo di segretario della Camera e di rappresentante del Fascio dei lavoratori lo vide al centro di continue polemiche a attacchi politici che culminarono in un nuovo arresto per reato di stampa e in quindici giorni di carcere <25. Rimase alla Camera del lavoro, nonostante le accuse di averne fatto un covo di socialisti, sino al 1896 quando rassegnò le dimissioni ritornando a fare il giornalista al “Gazzettino” assieme al figlio Vezio, ma senza disdegnare di occuparsi di politica collaborando al giornale “Uniamoci”.
Nel 1903 viene chiamato a Roma dal direttore del “L’Avanti!” Enrico Ferri per assumere il ruolo di caporedattore, ma accusato di presunte irregolarità amministrative fu licenziato e quindi espulso dal partito. Per protesta contro la sospensione pubblicò a sue spese “Un errore giudiziario della direzione del partito socialista. La condotta di Ferri nella questione dei catastali”, un opuscolo in duemila copie che chiariva il suo punto di vista sulla vicenda che gli era costata il posto di lavoro <26.
Gli ultimi anni lo videro dedicarsi al giornalismo collaborando a diversi giornali di sinistra e scrivendo per il “Capitan Fracassa”, “La Favilla” e “Il Risveglio”. Fu corrispondente parlamentare per “L’Adriatico” e suoi articoli uscirono su “Pagine libere” e “Il Corriere”. In ultimo riprese a scrivere anche per “L’Avanti!” inviando numerose corrispondenze. Su “L’azione cooperativa”, nel luglio del 1912, ribadiva l’idea del socialismo legalitario ed evoluzionista cui era approdato nel 1893 <27.
[NOTE]
13 Essendo Monticelli appassionato di teatro ed egli stesso autore, il commissario arrivò a diffidare il capocomico di una filodrammatica di giro di ricevere l’anarchico in palcoscenico con la “minaccia di far sospendere il corso delle rappresentazioni”, in “Il Bacchiglione”, 3 gennaio 1882.
14 MERLIN, Storia di Monselice, p. 47.
15 “L’Avvenire”, Mantova, 1 giugno 1878, n. 5.
16 MERLIN, Carlo Monticelli. Poeta e drammaturgo, p. 5.
17 MERLIN, Angelo Galeno e il socialismo veneto (1875-1918), “Terra d’Este”, anno XI n. 22, Este 2001, p. 12.
18 MERLIN, Carlo Monticelli. Poeta e drammaturgo, p. 6.
19 “Fui sei volte arrestato, ebbi ammonizioni, fui in procinto di essere mandato a domicilio coatto, soffersi l’esilio e la miseria e, all’estero, per vivere feci il fattorino e l’operaio”, in C. MONTICELLI, “Un errore giudiziario nella direzione del partito socialista. La condotta di Ferri nella questione dei catastali”, Roma 1905, p. 29.
20 Il Tito Vezio propugnava l’anarco-comunismo e non polemizzava tanto contro il collettivismo grazie al quale l’individuo non avrebbe avuto “scopo di accumulazione” né ragione di preoccuparsi del suo avvenire, ma contro il comunismo autoritario dove lo Stato era unico possessore delle ricchezze impedendo ai Comuni di federarsi tra loro e provvedere, con scambi reciproci di prodotti, alle necessità della vita. BRIGUGLIO, Il partito operaio italiano e gli anarchici, p. 90.
21 Castellani e Monticelli si attirarono critiche feroci dai compagni che li accusavano di tradimento. In realtà è probabile che essi puntassero ad appropriarsi del giornale portando così maggiore sviluppo e utilità alla propaganda dei principi socialisti. Nel giro di un mese, infatti, in periodico si metteva a criticare la gestione Alburno e le autorità decisero di chiuderlo. MERLIN, Gli anarchici, la piazza e la campagna, p. 248.
22 La Rivoluzione sociale, in “Il Piccolo”, 28 agosto 1888.
23 La polizia fece in modo di costringere Castellani a fuggire all’estero condannando così il progetto. Per il programma de “La boie”, cr. MERLIN, Gli anarchici, la piazza e la campagna, p. 249.
24 La miseria dei lavoratori, in “L’Operaio”, 20 agosto 1892.
Nicoletta Canazza, Carlo Monticelli: tra giornalismo e impegno civile (1857-1913), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2002
Anche il ravennate Giovanni Zirardini era a Parigi in questo periodo, dopo aver abbandonato l’Italia in seguito al suo arresto al congresso del PSRR di Ravenna. Il suo soggiorno parigino, comunque, non fu stabile e rientrò in Italia diverse volte. Di fatto, gran parte del 1884, se non tutto, lo passò a Ravenna. Nel gennaio fu in carcere per alcuni giorni insieme a altri dieci redattori de «Il Sole dell’Avvenire», condannati per reato di stampa. Nell’aprile Andrea Costa gli inviò una busta attraverso il fratello Claudio e nel maggio quest'ultimo comunicava a Costa che «Gianetto» aveva confermato che la circolare anarchica "L’Urlo della Canaglia" - che attaccava Costa e che era stata distribuita a Ravenna - veniva da Forlì. Infine, Giovanni partecipò anche al II Congresso del PSRR che si tenne a Forlì nel luglio. Nel febbraio 1885 però era già a Parigi e partecipò ai funerali dello scrittore anarchico ed ex comunardo Jules Vallès assieme a Carlo Monticelli. Fu proprio in questi anni che Giovanni Zirardini ritornò a militare fra le file anarchiche, anche se qualche anno dopo si riavvicinerà ai socialisti rivoluzionari, mantenendo però una forte simpatia per l’anarchismo. <405
[...] Il 14 agosto 1892 s’iniziava a Genova, nella sala Sivori di via Roma, il congresso socialista italiano, con circa trecento delegati che rappresentavano associazioni operaie e gruppi socialisti di tutta l’Italia e che appartenevano a tutta l’ampia gamma di tendenze: operaisti, repubblicani collettivisti, evoluzionisti, socialisti rivoluzionari, democratici-sociali e anarchici. Ci furono Andrea Costa, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Camillo Prampolini,
l’operaista Alfredo Casati e gli anarchici Pietro Gori e Luigi Galleani, tra gli altri. Gli anarchici, anche se parteciparono con poche forze, si erano proposti di fare prevalere la loro linea tentando d’impedire l’affermazione di un socialismo politico di tipo parlamentarista. Galleani, che già prima dell’evento aveva concordato con Gori la tattica degli anarchici per contrastare i legalitari, s'impegnò per impedire l'approvazione dell'ordine del giorno dei socialisti. Durante la prima giornata di lavori, di fatto, Turati accusò gli anarchici di ostacolare la discussione, dopodiché Prampolini propose la separazione fra anarchici e socialisti, soluzione che fu avversata da Gori. Questo scontro portò alla scissione del congresso, con i socialisti che, dal giorno successivo, spostarono la loro sede nel locale della Società dei Carabinieri Genovesi in via della Pace. Questa rottura convinse Costa e Carlo Monticelli, fra gli altri, di abbandonare entrambi le adunanze, in disaccordo con il metodo promosso da Turati per compiere la separazione. Gli anarchici, che il giorno precedente si erano opposti ai socialisti insieme agli operaisti di Casati, deliberarono unitamente nella sala Sivori la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani - mentre i socialisti fondavano il proprio Partito dei Lavoratori. Questo partito «anarchico-operaista» non doveva prendere parte alle lotte politiche, ma solo a quelle economiche e potevano appartenervi soltanto operai salariati. Con l’opposizione degli individualisti, Gori aveva condiviso quest’idea come mezzo per contrattaccare i socialisti e assicurare che gli operaisti non si sarebbero ulteriormente schierati con Turati. Questo partito, però, non avrà il supporto degli anarchici e morirà sul nascere. Ad ogni modo, l’anarchismo risentirà della scissione, sia perché saranno privi della coscienza organizzativa dei socialisti, sia perché, principalmente, perderanno contatto con il movimento operaio reale. <451
[NOTE]
405 Cfr. Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; Monticelli Carlo, in DBAI, vol. II, p. 213; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 413; Cose locali, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 12 (23-24 gennaio) e n. 13 (26-27 gennaio 1884); lettera di Andrea Costa a Claudio Zirardini, Roma, 7 aprile 1884, e lettera di Claudio Zirardini a Costa, [Ravenna] 13 maggio 1884, entrambe pubblicate in Carteggio C. Zirardini - A. Costa, cit., pp. 630-632. Secondo Cardellini, Giovanni raggiungerà suo fratello Gaetano a Parigi, che vi si era stabilito alla fine di gennaio 1884, «con la speranza di un buon lavoro». Gaetano fece riferimento a suo fratello Giovanni in una lettera del 1885 scritta da Parigi a Costa. Vd. F. CARDELLINI, op. cit., pp. 47.
451 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 314-329; P. C. MASINI, op. cit., 268-271; N. PERNICONE, op. cit., pp. 278-281. Vd. anche Il congresso operaio di Genova, in «L’Ordine», Torino, a. I, n. 3, 20 agosto 1892. Secondo quest’articolo, mentre in via della Pace si riunirono centocinquanta delegati circa, lo stesso numero si sarebbe radunato in via Roma. Secondo Manacorda, Andrea Costa, che aveva criticato entrambe le adunanze ma riconoscendo le risoluzioni di quella guidata da Turati e Kuliscioff, sarà un altro degli sconfitti del congresso: il suo compagno Alessandro Balducci partecipò all’adunanza in via della Pace seppur Costa avesse protestato, e nei mesi successivi diversi circoli romagnoli, malgrado Gaetano Zirardini, aderiranno al partito turatiano. Così, l’indirizzo del socialismo italiano rimarrà definitivamente a Milano, con a capo Turati. Vd. G. MANACORDA, op. cit., p. 326.
Jorge Ariel Canales Urriola, Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2016
[...] Il 14 agosto 1892 s’iniziava a Genova, nella sala Sivori di via Roma, il congresso socialista italiano, con circa trecento delegati che rappresentavano associazioni operaie e gruppi socialisti di tutta l’Italia e che appartenevano a tutta l’ampia gamma di tendenze: operaisti, repubblicani collettivisti, evoluzionisti, socialisti rivoluzionari, democratici-sociali e anarchici. Ci furono Andrea Costa, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Camillo Prampolini,
l’operaista Alfredo Casati e gli anarchici Pietro Gori e Luigi Galleani, tra gli altri. Gli anarchici, anche se parteciparono con poche forze, si erano proposti di fare prevalere la loro linea tentando d’impedire l’affermazione di un socialismo politico di tipo parlamentarista. Galleani, che già prima dell’evento aveva concordato con Gori la tattica degli anarchici per contrastare i legalitari, s'impegnò per impedire l'approvazione dell'ordine del giorno dei socialisti. Durante la prima giornata di lavori, di fatto, Turati accusò gli anarchici di ostacolare la discussione, dopodiché Prampolini propose la separazione fra anarchici e socialisti, soluzione che fu avversata da Gori. Questo scontro portò alla scissione del congresso, con i socialisti che, dal giorno successivo, spostarono la loro sede nel locale della Società dei Carabinieri Genovesi in via della Pace. Questa rottura convinse Costa e Carlo Monticelli, fra gli altri, di abbandonare entrambi le adunanze, in disaccordo con il metodo promosso da Turati per compiere la separazione. Gli anarchici, che il giorno precedente si erano opposti ai socialisti insieme agli operaisti di Casati, deliberarono unitamente nella sala Sivori la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani - mentre i socialisti fondavano il proprio Partito dei Lavoratori. Questo partito «anarchico-operaista» non doveva prendere parte alle lotte politiche, ma solo a quelle economiche e potevano appartenervi soltanto operai salariati. Con l’opposizione degli individualisti, Gori aveva condiviso quest’idea come mezzo per contrattaccare i socialisti e assicurare che gli operaisti non si sarebbero ulteriormente schierati con Turati. Questo partito, però, non avrà il supporto degli anarchici e morirà sul nascere. Ad ogni modo, l’anarchismo risentirà della scissione, sia perché saranno privi della coscienza organizzativa dei socialisti, sia perché, principalmente, perderanno contatto con il movimento operaio reale. <451
[NOTE]
405 Cfr. Zirardini Giovanni, in DBAI, vol. II, p. 723; Monticelli Carlo, in DBAI, vol. II, p. 213; E. GIANNI, La parabola del partito intermedio, cit., p. 413; Cose locali, in «Il Comune», Ravenna, a. II, n. 12 (23-24 gennaio) e n. 13 (26-27 gennaio 1884); lettera di Andrea Costa a Claudio Zirardini, Roma, 7 aprile 1884, e lettera di Claudio Zirardini a Costa, [Ravenna] 13 maggio 1884, entrambe pubblicate in Carteggio C. Zirardini - A. Costa, cit., pp. 630-632. Secondo Cardellini, Giovanni raggiungerà suo fratello Gaetano a Parigi, che vi si era stabilito alla fine di gennaio 1884, «con la speranza di un buon lavoro». Gaetano fece riferimento a suo fratello Giovanni in una lettera del 1885 scritta da Parigi a Costa. Vd. F. CARDELLINI, op. cit., pp. 47.
451 Cfr. G. MANACORDA, op. cit., pp. 314-329; P. C. MASINI, op. cit., 268-271; N. PERNICONE, op. cit., pp. 278-281. Vd. anche Il congresso operaio di Genova, in «L’Ordine», Torino, a. I, n. 3, 20 agosto 1892. Secondo quest’articolo, mentre in via della Pace si riunirono centocinquanta delegati circa, lo stesso numero si sarebbe radunato in via Roma. Secondo Manacorda, Andrea Costa, che aveva criticato entrambe le adunanze ma riconoscendo le risoluzioni di quella guidata da Turati e Kuliscioff, sarà un altro degli sconfitti del congresso: il suo compagno Alessandro Balducci partecipò all’adunanza in via della Pace seppur Costa avesse protestato, e nei mesi successivi diversi circoli romagnoli, malgrado Gaetano Zirardini, aderiranno al partito turatiano. Così, l’indirizzo del socialismo italiano rimarrà definitivamente a Milano, con a capo Turati. Vd. G. MANACORDA, op. cit., p. 326.
Jorge Ariel Canales Urriola, Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2016
Carlo Monticelli, nato a Monselice (Padova) il 25 ottobre 1857 da Martino e da Elisabetta Oliveti. Il padre, dirigente delle locali cave di pietra, fu attivo internazionalista. Giornalista. Nel marzo 1877 invita Andrea Costa nella città natale per fondarvi una sezione dell’Internazionale; con lui collaborano il padre ed il fratello Antonio. Si schiera subito con la corrente anarco-rivoluzionaria contro la fazione di orientamento legalitario. Nel 1878 collabora all’ “Avvenire” di Modena, diretto da Arturo Ceretti. Nel gennaio 1879 è arrestato con il padre ed altri, sotto l’accusa di eccitamento alla guerra civile e offese al re; è condannato dal Tribunale di Padova a tre mesi di carcere e a 50 lire di multa. In conseguenza di ciò il suo nome figurerà negli elenchi della Questura tra i possibili attentatori alla vita del sovrano. Rimane legato al Costa e firma la lettera programmatica Ai miei amici di Romagna, forse senza individuarne l’indirizzo possibilista. Nel 1880 partecipa al congresso di Chiasso come delegato del Veneto, aderendo alla linea favorevole all’astensionismo politico e ad una soluzione rivoluzionaria della prospettiva socialista. Sottoscrive con Amilcare Cipriani, Lodovico Nabruzzi ed altri il manifesto Agli oppressi d’ltalia (1880)
Gustavo Buratti, Un elenco di “sovversivi” del 1891, SocialismoItaliano1892
Gustavo Buratti, Un elenco di “sovversivi” del 1891, SocialismoItaliano1892