«Nella seconda quindicina di settembre 1943, tre giovani siciliani si arrampicavano a Favale: Severino, Rizzo e Giuseppe. Il Comitato di Chiavari li aveva indirizzati lassù perché vi si stava costituendo nientedimeno che “un esercito per liberare l’Italia”». Così inizia, tratto da un manoscritto che riporta diverse puntate di una trasmissione radiofonica del dopoguerra, il racconto della costituzione delle prime formazioni partigiane dell’Appennino Ligure <1.
Tra l’autunno del ’43 e l’inverno del ’44, a seguito dell’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre precedente, in tanti salirono sulle montagne per combattere il nazifascismo che intanto aveva ripreso vigore con la costituzione della Repubblica di Salò. Tra questi, c’erano anche molti giovani di leva che, a seguito della decisione del nuovo governo Mussolini di ricostituzione dell’esercito, dovettero scegliere da che parte stare. Le cartoline precetto raggiunsero e turbarono la coscienza di molti giovani. Chi scelse di presentarsi per non incappare nelle conseguenze del Bando Graziani che prevedeva la pena di morte mediante fucilazione per chi non avesse aderito alla chiamata alle armi <2, e chi invece preferì diventare renitente e rifugiarsi sui monti entrando a far parte del movimento partigiano. Furono 20 mesi difficili, drammatici. Mesi trascorsi al freddo, mangiando solo polenta e castagne, castagne e polenta.
Luigi Giovanni Gandolfo, di Mezzanego (Ge), classe 1925, era tra questi ultimi. All’epoca, faceva il barista. Come migliaia di giovani della sua stessa età - aveva 18 anni - si trovò di fronte a un bivio, a una scelta difficile. E piuttosto che andare con i repubblichini di Salò, salì come tanti sulle montagne sopra Cichero, una frazione di San Colombano Certenoli sulle pendici del Monte Ramaceto, nell’entroterra genovese.
Rammenta Gandolfo: «Quando sono arrivato su, le testuali parole sono state queste: “Guarda, qui devi decidere, perché qui niente può renderti gradevole la vita: c’è da rischiare, da fare della fame, prendere del freddo, tutti insieme per combattere questo nemico. Se vuoi rimanere, se no sei libero di andare dove vuoi”. Così sono rimasto su con gli altri» <3.
Il gruppo al quale Gandolfo si unì era guidato da Aldo Gastaldi, il comandante Bisagno <4, il primo Partigiano d’Italia come lo definì con enfasi Giovanni Serbandini, nome di battaglia Bini <5, e dal commissario Giovanni Battista Canepa, detto «Marzo» <6.
[...] I primi mesi da partigiano sono caratterizzati da piccole azioni per reperire armi. Man mano che s’ingrossano le fila dei ribelli, e cresce anche la loro forza politico-militare, tedeschi e fascisti cominciano a temerli. Il massacro della Benedicta (7-11 aprile ’44), in cui si contarono 145 vittime, e la morte del primo caduto della Cichero, il siciliano «Severino» <7 nel corso del rastrellamento a Favale, nel maggio ’44, e quello successivo del 16 luglio in cui morirono alcuni partigiani e il paese di Cichero <8 (in seguito insignito della croce di guerra al valor militare) che fu incendiato per rappresaglia da SS tedesche e milizie italiane <9, furono colpi duri per il movimento che si contrapponeva ai nazifascisti. Ma il motto «Suttu a chi tucca» della divisione garibaldina - «che anche a giudizio degli alleati fu forse la migliore formazione partigiana d’Italia, per combattività ed insieme rigore morale e politico» <10, oltre che «palestra di quotidiana democrazia in cui ogni decisione passa al vaglio della riunione serale e in cui lo stesso comando è inteso come servizio e assunzione di responsabilità» <11 - la diceva lunga sulla tenacia e lo spirito di sacrificio nel lottare il nemico.
Tra giugno e luglio del ’44, le azioni partigiane s’infittirono. A giugno ci fu l’epica azione di Bisagno con l’attacco alla caserma di Ferriere di Lumarzo; a luglio le forze partigiane liberano la Val Trebbia; segue la costituzione della cosiddetta repubblica di Torriglia. Qui, nei territori controllati dalla «Cichero» e amministrati dai locali Cnl, «le popolazioni hanno liberamente eletto le Giunte che ora reggono le Amministrazioni Comunali; non solo, ma le scuole hanno riaperto i battenti, adottando nuovi programmi. Inoltre funziona un’intendenza che controlla severamente gli ammassi del grano e le requisizioni del bestiame destinato ad assicurare il regolare vettovagliamento dei partigiani e della popolazione, mentre la carta moneta battuta dal Comando della Cichero riscuote la fiducia delle popolazioni e i contadini già la preferiscono in pagamento» <12. Non tarda, tuttavia, ad arrivare la reazione dei nazifascisti che preparano con due divisioni: la Monterosa e la Littoria, la controffensiva con il rastrellamento di agosto del ’44, «ma - racconta ancora Canepa - il nostro Comando, che aveva fatto saltare la galleria di Boasi e vari ponti sul Trebbia, abbandonate le borgate di fondo valle, contrae rapidamente il fronte ritirando le varie formazioni sulle pendici più alte dei monti (…)», «finché il Comando tedesco è costretto a desistere da una azione che richiederebbe un enorme impiego di forze, e finisce con l’accontentarsi del controllo della statale del Trebbia …». Frequenti, in questo periodo, le incursioni partigiane, che rioccupano il territorio che avevano abbandonato.
Un episodio da non tralasciare, in questa fase, è il passaggio - grazie all’opera di propaganda di «Bisagno» e «Marzo» - di un intero battaglione di alpini nelle fila partigiane. «È il 4 novembre: ecco l’ordine del giorno della Divisione Cichero: “stamane, nell’anniversario dell’armistizio che l’Italia ha imposto all’esercito austro-ungarico e tedesco, nella grande guerra; il battaglione alpino “Vestone” è passato al completo nelle file della Terza Divisione Garibaldina Cichero. Gli alpini hanno così ritrovato la vera Italia, quella Italia nostra e onesta che combatte sui monti per la sua libertà …» <14.
Le minacce comunque non sono finite. Incombe il feroce rastrellamento dell’inverno ’44-45, il periodo più tragico della lotta di liberazione, con l’impiego da parte tedesca di un’intera divisione di mongoli (divisione Turkestan, formata da soldati di origine russo-asiatica). Il rastrellamento prosegue per tutto il mese. Ma oramai tutto sta volgendo all’epilogo. Il «campo tedesco puzza di morto, ormai. Lo si sente benissimo. Infatti, il comando regionale parla già di piani per la scesa a valle mentre il comando di zona comincia a disporre il dislocamento delle forze e stabilire che ormai più non si distrugga ma si disponga per la difesa e dei ponti e delle strade, delle centrali elettriche» <15. La Cichero si scinde in un’altra divisione, la Pinan Cichero, che si richiama alla formazione madre e al caduto comandante partigiano Pinan, comandata da Scrivia e Moro commissario, e formata dalle brigate Arzani ed Oreste. Sono i primi di aprile, si respira aria di Genova. E ben presto sarà il giorno della Liberazione. Attraverso queste vicende passa l’esperienza dei partigiani liguri. Gandolfo-Garibaldi nell’arco della lotta ne ha viste e subìte di sofferenze. «Noi - ricorda - abbiamo combattuto contro due nemici, non uno, perché il termine nazifascisti è impreciso: c’erano sia i fascisti (brigate nere) sia i tedeschi!» <16. Ricopriva, in particolare, il ruolo di staffetta, con il compito di collegamento tra il comando di zona e le formazioni che operavano nelle vallate. Dalla brigata iniziale comandata da Bisagno, era passato con Scrivia, al secolo Aurelio Ferrando <17.
Sul dizionario della Resistenza ligure <18 sono elencate in breve le sue principali azioni. «Partecipa all’attacco al municipio di Ferriere di Lumarzo, insieme a Bisagno e Scrivia, che porta alla cattura di Decio, il braccio destro di
Vito Spiotta, e all’azione di sabotaggio della galleria di Boasi». Nell’agosto del ’44, come membro del distaccamento «Peter», in Val Borbera, partecipa alla battaglia di Pertuso. «Dopo il rastrellamento di dicembre - è ricordato ancora sul Dizionario - si sposta in valle Aveto prendendo contatto con il distaccamento mortaisti della Divisione Cichero e organizzando un gruppo di civili nel paese di Mezzanego a supporto delle formazioni partigiane. Il 24 aprile 1945 scende a Bargagli e partecipa alla Liberazione di Genova. Dopo il 25 aprile entra a far parte della polizia partigiana, operante al fianco della polizia alleata». In Calabria è venuto la prima volta nell’estate del ’52 [...]
Tra l’autunno del ’43 e l’inverno del ’44, a seguito dell’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre precedente, in tanti salirono sulle montagne per combattere il nazifascismo che intanto aveva ripreso vigore con la costituzione della Repubblica di Salò. Tra questi, c’erano anche molti giovani di leva che, a seguito della decisione del nuovo governo Mussolini di ricostituzione dell’esercito, dovettero scegliere da che parte stare. Le cartoline precetto raggiunsero e turbarono la coscienza di molti giovani. Chi scelse di presentarsi per non incappare nelle conseguenze del Bando Graziani che prevedeva la pena di morte mediante fucilazione per chi non avesse aderito alla chiamata alle armi <2, e chi invece preferì diventare renitente e rifugiarsi sui monti entrando a far parte del movimento partigiano. Furono 20 mesi difficili, drammatici. Mesi trascorsi al freddo, mangiando solo polenta e castagne, castagne e polenta.
Luigi Giovanni Gandolfo, di Mezzanego (Ge), classe 1925, era tra questi ultimi. All’epoca, faceva il barista. Come migliaia di giovani della sua stessa età - aveva 18 anni - si trovò di fronte a un bivio, a una scelta difficile. E piuttosto che andare con i repubblichini di Salò, salì come tanti sulle montagne sopra Cichero, una frazione di San Colombano Certenoli sulle pendici del Monte Ramaceto, nell’entroterra genovese.
Rammenta Gandolfo: «Quando sono arrivato su, le testuali parole sono state queste: “Guarda, qui devi decidere, perché qui niente può renderti gradevole la vita: c’è da rischiare, da fare della fame, prendere del freddo, tutti insieme per combattere questo nemico. Se vuoi rimanere, se no sei libero di andare dove vuoi”. Così sono rimasto su con gli altri» <3.
Il gruppo al quale Gandolfo si unì era guidato da Aldo Gastaldi, il comandante Bisagno <4, il primo Partigiano d’Italia come lo definì con enfasi Giovanni Serbandini, nome di battaglia Bini <5, e dal commissario Giovanni Battista Canepa, detto «Marzo» <6.
[...] I primi mesi da partigiano sono caratterizzati da piccole azioni per reperire armi. Man mano che s’ingrossano le fila dei ribelli, e cresce anche la loro forza politico-militare, tedeschi e fascisti cominciano a temerli. Il massacro della Benedicta (7-11 aprile ’44), in cui si contarono 145 vittime, e la morte del primo caduto della Cichero, il siciliano «Severino» <7 nel corso del rastrellamento a Favale, nel maggio ’44, e quello successivo del 16 luglio in cui morirono alcuni partigiani e il paese di Cichero <8 (in seguito insignito della croce di guerra al valor militare) che fu incendiato per rappresaglia da SS tedesche e milizie italiane <9, furono colpi duri per il movimento che si contrapponeva ai nazifascisti. Ma il motto «Suttu a chi tucca» della divisione garibaldina - «che anche a giudizio degli alleati fu forse la migliore formazione partigiana d’Italia, per combattività ed insieme rigore morale e politico» <10, oltre che «palestra di quotidiana democrazia in cui ogni decisione passa al vaglio della riunione serale e in cui lo stesso comando è inteso come servizio e assunzione di responsabilità» <11 - la diceva lunga sulla tenacia e lo spirito di sacrificio nel lottare il nemico.
Tra giugno e luglio del ’44, le azioni partigiane s’infittirono. A giugno ci fu l’epica azione di Bisagno con l’attacco alla caserma di Ferriere di Lumarzo; a luglio le forze partigiane liberano la Val Trebbia; segue la costituzione della cosiddetta repubblica di Torriglia. Qui, nei territori controllati dalla «Cichero» e amministrati dai locali Cnl, «le popolazioni hanno liberamente eletto le Giunte che ora reggono le Amministrazioni Comunali; non solo, ma le scuole hanno riaperto i battenti, adottando nuovi programmi. Inoltre funziona un’intendenza che controlla severamente gli ammassi del grano e le requisizioni del bestiame destinato ad assicurare il regolare vettovagliamento dei partigiani e della popolazione, mentre la carta moneta battuta dal Comando della Cichero riscuote la fiducia delle popolazioni e i contadini già la preferiscono in pagamento» <12. Non tarda, tuttavia, ad arrivare la reazione dei nazifascisti che preparano con due divisioni: la Monterosa e la Littoria, la controffensiva con il rastrellamento di agosto del ’44, «ma - racconta ancora Canepa - il nostro Comando, che aveva fatto saltare la galleria di Boasi e vari ponti sul Trebbia, abbandonate le borgate di fondo valle, contrae rapidamente il fronte ritirando le varie formazioni sulle pendici più alte dei monti (…)», «finché il Comando tedesco è costretto a desistere da una azione che richiederebbe un enorme impiego di forze, e finisce con l’accontentarsi del controllo della statale del Trebbia …». Frequenti, in questo periodo, le incursioni partigiane, che rioccupano il territorio che avevano abbandonato.
Un episodio da non tralasciare, in questa fase, è il passaggio - grazie all’opera di propaganda di «Bisagno» e «Marzo» - di un intero battaglione di alpini nelle fila partigiane. «È il 4 novembre: ecco l’ordine del giorno della Divisione Cichero: “stamane, nell’anniversario dell’armistizio che l’Italia ha imposto all’esercito austro-ungarico e tedesco, nella grande guerra; il battaglione alpino “Vestone” è passato al completo nelle file della Terza Divisione Garibaldina Cichero. Gli alpini hanno così ritrovato la vera Italia, quella Italia nostra e onesta che combatte sui monti per la sua libertà …» <14.
Le minacce comunque non sono finite. Incombe il feroce rastrellamento dell’inverno ’44-45, il periodo più tragico della lotta di liberazione, con l’impiego da parte tedesca di un’intera divisione di mongoli (divisione Turkestan, formata da soldati di origine russo-asiatica). Il rastrellamento prosegue per tutto il mese. Ma oramai tutto sta volgendo all’epilogo. Il «campo tedesco puzza di morto, ormai. Lo si sente benissimo. Infatti, il comando regionale parla già di piani per la scesa a valle mentre il comando di zona comincia a disporre il dislocamento delle forze e stabilire che ormai più non si distrugga ma si disponga per la difesa e dei ponti e delle strade, delle centrali elettriche» <15. La Cichero si scinde in un’altra divisione, la Pinan Cichero, che si richiama alla formazione madre e al caduto comandante partigiano Pinan, comandata da Scrivia e Moro commissario, e formata dalle brigate Arzani ed Oreste. Sono i primi di aprile, si respira aria di Genova. E ben presto sarà il giorno della Liberazione. Attraverso queste vicende passa l’esperienza dei partigiani liguri. Gandolfo-Garibaldi nell’arco della lotta ne ha viste e subìte di sofferenze. «Noi - ricorda - abbiamo combattuto contro due nemici, non uno, perché il termine nazifascisti è impreciso: c’erano sia i fascisti (brigate nere) sia i tedeschi!» <16. Ricopriva, in particolare, il ruolo di staffetta, con il compito di collegamento tra il comando di zona e le formazioni che operavano nelle vallate. Dalla brigata iniziale comandata da Bisagno, era passato con Scrivia, al secolo Aurelio Ferrando <17.
Sul dizionario della Resistenza ligure <18 sono elencate in breve le sue principali azioni. «Partecipa all’attacco al municipio di Ferriere di Lumarzo, insieme a Bisagno e Scrivia, che porta alla cattura di Decio, il braccio destro di
Vito Spiotta, e all’azione di sabotaggio della galleria di Boasi». Nell’agosto del ’44, come membro del distaccamento «Peter», in Val Borbera, partecipa alla battaglia di Pertuso. «Dopo il rastrellamento di dicembre - è ricordato ancora sul Dizionario - si sposta in valle Aveto prendendo contatto con il distaccamento mortaisti della Divisione Cichero e organizzando un gruppo di civili nel paese di Mezzanego a supporto delle formazioni partigiane. Il 24 aprile 1945 scende a Bargagli e partecipa alla Liberazione di Genova. Dopo il 25 aprile entra a far parte della polizia partigiana, operante al fianco della polizia alleata». In Calabria è venuto la prima volta nell’estate del ’52 [...]
San Colombano Certenoli. Fonte: Wikipedia |
[NOTE]
1 Claudio Floris (Bill) e Carla Casagrande Maschio, Testimonianze partigiane: Divisione Cichero, Bruzzese Arti Grafiche, Genova 2005, pag. 169. Si ringrazia l’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza, Biblioteca Giorgio Gimelli, per averci fornito in copia materiale documentale sul movimento partigiano ligure.
2 Il cosiddetto Bando Graziani, del 18 febbraio 1944, tuttavia, prevedeva che, una volta arrestati e processati, i renitenti potevano salvarsi la vita facendo domanda di grazia o chiedendo di arruolarsi come «volontari».
3 Testimonianza di Luigi Gandolfo «Garibaldi» in Daniele Borioli e Roberto Botta, I giorni della montagna: otto saggi sui partigiani della Pinan-Cichero, WR- Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, Alessandria 1990, pag. 68.
4 Aldo Gastaldi, nome di battaglia «Bisagno», fu uno dei maggiori esponenti della Resistenza ligure che a 22 anni, già sottotenente del Genio, addetto a funzioni di marconista a Chiavari, forma sulle alture di Cichero la più famosa e più temuta divisione operante nella zona, conosciuta appunto come Divisione Cichero. Cfr. anche: Elena Bono, Per Aldo Gastaldi Bisagno. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani-Microart’s, Recco 2003; Veneruso, Danilo, Il partigiano genovese Aldo Gastaldi (Bisagno). Una lezione di democrazia, Roma, Studium, 1997; e ancora Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria: Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Roma, Carocci, 2005, 2 vol., pag. 164.
5 Angelo Daneri (a cura di), Bini, in collaborazione con l’Ilsrec, Tipografia della Provincia di Genova, Genova 2004. Il nome di battaglia Bini «fu aggiunto al cognome originario con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1970». Giovanni Serbandini, dal mese di luglio del ’44 divenne responsabile del «Partigiano», organo della III Divisione Garibaldina Cichero del Comando della VI zona, il cui numero 1 uscì il primo di agosto. Il periodico ebbe all’inizio una diffusione di 4 mila copie, che aumentarono a 5-6 mila. Bini, poeta, in seguito diresse l’edizione genovese dell’Unità, il cui primo numero fu pubblicato proprio la mattina del 25 aprile 45 e, infine, fu anche deputato del PCI.
6 «Verso la metà dell’ottobre venne indetto un primo convegno di quadri sul monte Antola. E fu appunto lassù che ci ribattezzarono: ognuno di noi a seconda della zona cui era preposto, assume un nome di mese: gennaio, febbraio, marzo, aprile… otto eravamo e tutte vecchie conoscenze della guerra di Spagna, del lavoro clandestino in Francia», in C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 172.
7 Raimondo Saverino, nacque a Licata (Agrigento) nel 1923. Dopo che il generale Badoglio firmò l’armistizio, raggiunse, sulle alture di Genova, la brigata partigiana «Cichero», assumendo il nome di battaglia «Severino». Il 21 maggio 1944, fu catturato, torturato e fucilato nella piazza principale di Borzonasca. Aveva 21 anni 8 In seguito a questo episodio, la III brigata Garibaldi assume il nome di Cichero, divenendo una Divisione composta dalle Brigate Arzani, Berto, Oreste e Jori, e dai distaccamenti volanti Severino e Balilla. Cfr. Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria cit. Come è noto, nel giugno 1944 fu istituito, militarizzando le bande partigiane, con il riconoscimento dei comandi militari alleati e dal governo nazionale il Corpo volontari della libertà. A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l’esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d’Azione Ferruccio Parri.
9 Il 27 giugno, c’era stato il Proclama Kesserling che inaspriva la repressione dei ribelli.
10 C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 168. Alto fu il contributo della formazione. Come riporta a pag. 108 il Dizionario della Resistenza ligure a cura di Franco Gimelli e Paolo Battifora (De Ferrari, Genova 2008), la Cichero ebbe oltre 100 caduti, e 13 medaglie al valor militare.
11 Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, Einaudi, Torino, 2000, voll. 1 e 2, pag. 185
12 Giovanni Battista Canepa («Marzo»), La Repubblica di Torriglia, Tip. Pesce, Genova, 1955, pagg. 53 e 54.
13 Ivi, pag. 54 e 55.
14 Ivi, pag. 189.
15 C. Floris, Testimonianze partigiane cit., pag. 195.
16 Pietro Pero, Piacevole incontro con due partigiani, in «Gazzettino Sampierdarenese», 26 Novembre 2007.
17 Aurelio Ferrando detto «Scrivia» (Novi Ligure, 29 luglio 1921 - Novi Ligure, 30 aprile 1985). Comandante del distaccamento Peter da maggio ad agosto 1944, e della 58a brigata Garibaldi Oreste dal settembre 1944; poi vice comandante della divisione Garibaldi Cichero nel gennaio 1945 e da marzo, comandante della divisione Pinan-Cichero.
18 F. Gimelli e P. Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza ligure cit., pagg. 161 e 162.
Bruno Pino, Luigi Gandolfo, il partigiano «Garibaldi», dall’Appennino ligure alla Calabria in Rivista Calabrese di Storia del ‘900 - 1, 2011, pp. 67-74
1 Claudio Floris (Bill) e Carla Casagrande Maschio, Testimonianze partigiane: Divisione Cichero, Bruzzese Arti Grafiche, Genova 2005, pag. 169. Si ringrazia l’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza, Biblioteca Giorgio Gimelli, per averci fornito in copia materiale documentale sul movimento partigiano ligure.
2 Il cosiddetto Bando Graziani, del 18 febbraio 1944, tuttavia, prevedeva che, una volta arrestati e processati, i renitenti potevano salvarsi la vita facendo domanda di grazia o chiedendo di arruolarsi come «volontari».
3 Testimonianza di Luigi Gandolfo «Garibaldi» in Daniele Borioli e Roberto Botta, I giorni della montagna: otto saggi sui partigiani della Pinan-Cichero, WR- Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, Alessandria 1990, pag. 68.
4 Aldo Gastaldi, nome di battaglia «Bisagno», fu uno dei maggiori esponenti della Resistenza ligure che a 22 anni, già sottotenente del Genio, addetto a funzioni di marconista a Chiavari, forma sulle alture di Cichero la più famosa e più temuta divisione operante nella zona, conosciuta appunto come Divisione Cichero. Cfr. anche: Elena Bono, Per Aldo Gastaldi Bisagno. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani-Microart’s, Recco 2003; Veneruso, Danilo, Il partigiano genovese Aldo Gastaldi (Bisagno). Una lezione di democrazia, Roma, Studium, 1997; e ancora Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria: Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Roma, Carocci, 2005, 2 vol., pag. 164.
5 Angelo Daneri (a cura di), Bini, in collaborazione con l’Ilsrec, Tipografia della Provincia di Genova, Genova 2004. Il nome di battaglia Bini «fu aggiunto al cognome originario con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1970». Giovanni Serbandini, dal mese di luglio del ’44 divenne responsabile del «Partigiano», organo della III Divisione Garibaldina Cichero del Comando della VI zona, il cui numero 1 uscì il primo di agosto. Il periodico ebbe all’inizio una diffusione di 4 mila copie, che aumentarono a 5-6 mila. Bini, poeta, in seguito diresse l’edizione genovese dell’Unità, il cui primo numero fu pubblicato proprio la mattina del 25 aprile 45 e, infine, fu anche deputato del PCI.
6 «Verso la metà dell’ottobre venne indetto un primo convegno di quadri sul monte Antola. E fu appunto lassù che ci ribattezzarono: ognuno di noi a seconda della zona cui era preposto, assume un nome di mese: gennaio, febbraio, marzo, aprile… otto eravamo e tutte vecchie conoscenze della guerra di Spagna, del lavoro clandestino in Francia», in C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 172.
7 Raimondo Saverino, nacque a Licata (Agrigento) nel 1923. Dopo che il generale Badoglio firmò l’armistizio, raggiunse, sulle alture di Genova, la brigata partigiana «Cichero», assumendo il nome di battaglia «Severino». Il 21 maggio 1944, fu catturato, torturato e fucilato nella piazza principale di Borzonasca. Aveva 21 anni 8 In seguito a questo episodio, la III brigata Garibaldi assume il nome di Cichero, divenendo una Divisione composta dalle Brigate Arzani, Berto, Oreste e Jori, e dai distaccamenti volanti Severino e Balilla. Cfr. Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria cit. Come è noto, nel giugno 1944 fu istituito, militarizzando le bande partigiane, con il riconoscimento dei comandi militari alleati e dal governo nazionale il Corpo volontari della libertà. A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l’esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d’Azione Ferruccio Parri.
9 Il 27 giugno, c’era stato il Proclama Kesserling che inaspriva la repressione dei ribelli.
10 C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 168. Alto fu il contributo della formazione. Come riporta a pag. 108 il Dizionario della Resistenza ligure a cura di Franco Gimelli e Paolo Battifora (De Ferrari, Genova 2008), la Cichero ebbe oltre 100 caduti, e 13 medaglie al valor militare.
11 Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, Einaudi, Torino, 2000, voll. 1 e 2, pag. 185
12 Giovanni Battista Canepa («Marzo»), La Repubblica di Torriglia, Tip. Pesce, Genova, 1955, pagg. 53 e 54.
13 Ivi, pag. 54 e 55.
14 Ivi, pag. 189.
15 C. Floris, Testimonianze partigiane cit., pag. 195.
16 Pietro Pero, Piacevole incontro con due partigiani, in «Gazzettino Sampierdarenese», 26 Novembre 2007.
17 Aurelio Ferrando detto «Scrivia» (Novi Ligure, 29 luglio 1921 - Novi Ligure, 30 aprile 1985). Comandante del distaccamento Peter da maggio ad agosto 1944, e della 58a brigata Garibaldi Oreste dal settembre 1944; poi vice comandante della divisione Garibaldi Cichero nel gennaio 1945 e da marzo, comandante della divisione Pinan-Cichero.
18 F. Gimelli e P. Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza ligure cit., pagg. 161 e 162.
Bruno Pino, Luigi Gandolfo, il partigiano «Garibaldi», dall’Appennino ligure alla Calabria in Rivista Calabrese di Storia del ‘900 - 1, 2011, pp. 67-74