Il Sudtirolo rappresenta per Alexander Langer il punto di partenza, le radici dalle quali trarre la forza e l’esperienza per affrontare il resto del mondo. La regione del giovane pacifista è divisa da un profondo senso di identità etnica, ma proprio il doversi confrontare, sin da giovanissimo, con tale realtà, lo porta ad avere una profonda consapevolezza dei meccanismi della convivenza plurietnica. Dalle vicende in Sudtirolo, nesce la sua dote di mediatore super partes e la sua determinazione a difendere i diritti delle minoranze. Da Vipiteno parte il suo cammino di “costruttore di ponti”.
“Da decenni, ormai, mi sento impegnato nello sforzo di "spiegare il Sudtirolo"; di coinvolgere l'attenzione e l'apporto di amici democratici alla causa dell'autonomia e della convivenza nella mia terra. Al di là della necessità di evitare l'isolamento ed il piano inclinato dei revanscismi, c'è anche una forte convinzione che mi sorregge: leggo nella situazione sudtirolese una quantità di insegnamenti ed esperienze generalizzabili ben oltre un piccolo "caso" provinciale. Essere minoranza, senza per questo chiudersi in lamentele e nostalgie; coltivare le proprie peculiarità, senza per questo scegliere il "ghetto" e finire nel razzismo; sperimentare le potenzialità di una convivenza pluri-culturale e pluri-etnica; partecipare a movimenti etno-nazionali, senza assolutizzare il dato etnico; lavorare per la comunicazione inter-comunitaria... a volte penso che tanti aspetti del futuro europeo potrebbero essere sperimentati e verificati in corpore vili, con grande profitto. Peccato che la politica dominante vada in direzione opposta (piuttosto verso Cipro, il Libano, ecc.) e che così pochi al di là dei nostri confini provinciali se ne accorgano.” <11
Il conflitto etnico trova le sue origini nei trascorsi di una regione da sempre contesa tra Austria ed Italia. La storia dei territori alpini ci insegna come, nel corso dei secoli (a partire dai primi insediamenti precristiani fino all’epoca moderna), i diversi poteri - che si sono succeduti nella zona settentrionale del nostro paese -siano stai capaci di ottimizzare le caratteristiche delle minoranze etniche residenti. Ripercorrendo le tradizioni alpine, si evince come i diversi popoli, che hanno dominato le regioni dell’arco montano, abbiano compreso la tempra degli abitanti locali, valorizzandone la tempra e il senso civico (esemplificati in “regole” e “congregazioni. Nelle zone alpestri, il contadino, fin dalle prime forme di insediamento, condivideva con i vicini l’utilizzo di pascoli ed attrezzatura, in un clima di reciproca cooperazione ed assistenza. Gran parte dei terreni era di comune proprietà e tutti avevano uguale diritto di accesso alle aeree, senza privilegi legati ad estrazione sociale o ricchezza. I terreni affidati ad una famiglia venivano ceduti alla primogenitura, senza la possibilità di parcellizzare il territorio e nessuna entità esterna poteva assicurarsi lotti e proprietà all’interno della regione. La convivenza civile era assicurata dalle “regole”, corpus di leggi che, come ad esempio nell’Ampezzano o nel Sudtirolo, sono state tramandate fino al 1927, anno in cui il fascismo ha deciso di abolire le autonomie del nord Italia, e tutte le leggi civiche locali in vigore. <12
“Non si deve dimenticare, infatti, che tutta la storia delle relazioni tra i sudtirolesi e l'Italia è la storia di rapporti di forza. Dall'annessione forzata, in seguito alla prima guerra mondiale, alla snazionalizzazione tentata ed in parte realizzata dal regime fascista, agli accordi tra Mussolini e Hitler per spartirsi il territorio (che doveva rimanere in Italia) e la gente (che doveva diventare carne da cannone per le conquiste hitleriane), fino alla nuova fase apertasi col secondo dopoguerra. E va detto che, anche dopo la caduta delle dittature fasciste, il codice dei rapporti rimase segnato dalla forza: l'Italia in un primo momento si dimostrò assai disponibile, pur di vedersi riconfermata la propria sovranità sul Sudtirolo, e firmò patti favorevoli alla comunità tirolese (l'accordo De Gasperi - Gruber); patti che - appena chiusa la fase dell'internazionale della controversia - cominciò a svuotare sistematicamente.” <13
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, le popolazioni alpine si sono battute affinché le “regole”, così come le identità locali, venissero tutelate ed riconosciute. Benché a legittimità di queste istituzioni sia stata stabilita nel 1972, la loro effettiva applicazione risale al 1992.
Gli alleati, nel 1945, vollero assicurassi che nessun conflitto si potesse verificare a ridosso della cortina di ferro, decisero pertanto di fare pressioni affinché, l’Alto Adige, terra di tensioni etniche e causa di scontri con l’Austria, passasse sotto la sovranità dello stato italiano. Il 5 settembre del 1946 De Gasperi e Gruber, si accordarono: i diritti della minoranza tedesca in loco sarebbero stati preservati, ed il territorio altoatesino sarebbe passato sotto il controllo del governo italiano. <14
Nel 1960 e nel 1961, a fronte di costanti abusi perpetrati dalle autorità italiane sulla minoranza tedesca, l’Austria denuncia la situazione all’Onu:
“Nel 1960 e nel 1961 l'Assemblea generale dell'ONU si occupò della vertenza e invitò l'Italia e l'Austria a negoziare per trovare una soluzione soddisfacente. Da allora, l'aspetto internazionale della vertenza […] si è rivelato un elemento di grande forza per gli interessi sudtirolesi; e così si è venuto prospettando, lungo gli anni Sessanta, quella soluzione della vertenza che è nota col nome di "pacchetto per l'Alto Adige". […] Nel 1972 si arriverà poi all’entrata in vigore del secondo Statuto di autonomia con legge di rango costituzionale, per la difesa delle minoranze etniche. Il nuovo ordinamento vede il passaggio di gran parte dei poteri locali, dalla Regione Trentino Alto Adige, alle due province autonome di Trento e Bolzano. […] Viene pertanto ufficializzato il bilinguismo del Sudtirolo, introducendo nelle scuole secondarie la seconda lingua obbligatoria.” <15
Finalmente il 26 luglio 1976 viene applicato l’articolo 1 dell’accordo De Gasperi-Gruber sull’“uguaglianza dei diritti per l’ammissione agli uffici pubblici”, che prevede la distribuzione degli incarichi tra i diversi gruppi etnici e sancisce un’inversione di rotta della politica locale. Ricorda Langer:
“Il risultato ha comportato un consistente spostamento di poteri da Roma (e da Trento, capoluogo di una regione inventata per mettere in minoranza i tirolesi) a Bolzano, e dal gruppo italiano a quello tedesco e ladino - se, infatti, gli italiani hanno beneficiato dell'esito della prima e della seconda guerra mondiale, i sudtirolesi di quello della "guerra dei tralicci" e il nuovo compromesso ha dovuto tener conto dei mutati rapporti di forza - ma, ancora una volta, si è conclusa una pace tra potenze, non tra la gente. E affinché quest'ultima venisse integrata meglio nel nuovo sistema "concordatario", sono stati accentuati ed istituzionalizzati i criteri di appartenenza alle diverse corporazioni etniche riconosciute.” <16
I provvedimenti di autonomia modificano la struttura sociale e l’economia regionale. La tutela verso il cittadino italiano - che fino a quel momento garantiva lavoro, assistenza ed alloggio - viene improvvisamente a mancare, mentre, la comunità tedesca, esclusa dall’industrializzazione degli anni ’60 e ’70, entra a far parte della sfera economica e pubblica. Il gruppo italiano che negli anni ’60 e ’70 aveva ricoperto ruoli chiave <17, non mostra alcun legame “con il territorio, non conosce(va) la storia, non conosce(va) le leggende. Senza parlare dell'assoluta impreparazione ad imparare il tedesco” <18. Dall’applicazione del “pacchetto” si insedia un nuovo ceto impiegatizio e dirigente tedesco, che con diverse priorità e politiche ed economiche:
“Poi, con l'autonomia si è avuto un flusso di finanziamento verso settori prima non considerati, il risanamento dei masi, il turismo, il che ha permesso un recupero di benessere e di potere, economico e sociale, da parte delle categorie interessate, ossia i contadini, prevalentemente appartenenti al gruppo tedesco.” <19
La crisi industriale, che a ridosso degli anni ‘70 coinvolge la cittadinanza bolzanina, contribuisce al “ribaltamento di ruoli nell'economia” ed aggrava “una delle cause del malessere del gruppo italiano” <20. Mentre la componente tedesca sale la scala sociale, per contro, la classe italiana vive un indebolimento di reddito e prestigio che sfocia in una collettiva sensazione di delusione e di risentimento:
“Esisteva una volontà di restituire al territorio le proprie caratteristiche tirolesi, il che portava a considerare la presenza degli italiani come uno spiacevole incidente della storia, che doveva essere circoscritto piuttosto che elaborato positivamente. Di qui la tendenza a isolare i gruppi, a vedere le garanzie della propria identità soltanto nella separazione dagli altri.” <21
L’appartenenza etnica tedesca trova il suo rappresentante istituzionale nel Sudtirol Volkspartei (SVP), potente apparto di controllo territoriale, che sfrutta il conflitto etnico come strumento di controllo sociale (pur arginandolo entro limiti governabili):
'Sino a quando la SVP (il partito popolare sudtirolese) rappresentava come principale rivendicazione della popolazione sudtirolese l'istanza autonomistica, la sua conflittualità era tutta indirizzata contro la Stato centrale italiano. […]Da quando tuttavia l'obiettivo autonomistico è in gran parte raggiunto, l'ex partito di raccolta etnica si è progressivamente trasformato in un apparato di potere e di governo, che è sottoposto alle normali tensioni ed ipoteche che risultano dal composito giuoco degli interessi ed intenti economici, sociali, culturali e politici'. <22
L’SVP agisce in modo da “postulare il “partito etnico” come elemento immanente del sistema” e “fondare il suo potere essenzialmente sul conflitto etnico” <23.
“L’attuale ordinamento autonomistico […] comporta che le forze dominanti debbano essere interessate al mantenimento del conflitto etnico che non deve né perdere la sua importanza, né uscire dal controllo di queste forze.” <24
La “proporzionale etnica” da mezzo transitorio di tutela della minoranza ladina o tedesca, si trasforma in strumento istituzionalizzato e perenne:
Visto in astratto, tale principio serve a riparare ai torti precedenti (in danno della comunità di lingua tedesca) e dovrebbe garantire un sistema di giustizia distributiva assoluta (a prescindere agli attriti della fase transitoria). In realtà però tale principio tende soprattutto - per sua natura - a consolidare e perpetuare la conflittualità etnica, quando non addirittura a crearla dove precedentemente non esisteva e non si manifestava. <25
Gli italiani sperimentano un senso di precarietà, di insicurezza sociale ed economica che li porta a schierarsi contro le rivendicazioni autonomiste sudtirolesi. Il 12/5/1985 l’MSI ottiene la maggioranza relativa alle elezioni comunali, seguiranno una serie di posizioni di irrigidimento etnico. I missini portano, in Commissione Affari Costituzionali della Camera, una petizione contro lo statuto speciale del Tirolo. In tale petizione si chiede: l’abolizione del bilinguismo; la fine della riserva proporzionale dei posti nel pubblico impiego; la fine delle commissioni paritetiche. <26
Esiste poi un’altra realtà in Sud Tirolo, in “contro-tendenza”, come la definisce Langer, che si schiera contro la permanente contrapposizione etnica, e che tenta di “superare il senso di reciproca minaccia e pressione tra gruppi etnici”, ponendosi “obiettivi comuni” ed instaurando dinamiche che vadano al di là della semplice identità razziale. “Quell’”altro Sudtirolo” che […] si batte per l’affermazione positiva di un modello di convivenza plurietnica e pluri-culturale, pur mantenendo l’identità delle tre comunità linguistiche esistenti.” <27
Il “pacchetto” approvato dallo Stato Italiano rappresenta, secondo Langer, un’occasione mancata nel raggiungimento della pace sociale. Nel periodo di maggiore disponibilità da parte delle due comunità, il ventennio da metà anni ’70 a inizio anni ’80, sul versante italiano, “molte persone avrebbero accettato di buon grado il ridimensionamento” a favore di “una buona convivenza” <28 (“pensate al movimento per il bilinguismo precoce” <29). In un articolo del 1988, riflette sull’opportunità sprecata:
“La SVP, non ha capito l’importanza di una convivenza collaborativa ed è andata avanti con una politica di divisione: affossando il bilinguismo appoggiando il “catasto etnico” e supportando una logica di scontro etnico che ha portato al consolidamento del MSI.” <30
Il difetto maggiore dell’accordo è il non aver coinvolto direttamente la popolazione. L’attivista verde, senza mezzi termini, rimarca le mancanze dei partiti e delle istituzioni locali, evidenziando ciò che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto:
“Bisognava lavorare perché questa nuova situazione fosse accettata dalla società. Si sarebbe dovuto valorizzare, e non esorcizzare, quelle componenti minoritarie della popolazione che erano disposte a scommettere sulla convivenza. Soprattutto nei primi anni ’70 sarebbe stato meglio assecondare quelle esperienze d’incontro, di cooperazione, di intreccio reciproco. Nel Medioevo, quando due signori firmavano un trattato di pace, mandavano i loro figli alla corte dell’altro perché vi fossero educati. Era una garanzia per la pace.” <31
Oggi è necessario fare leva sull’esperienza diretta e personale che i cittadini altoatesini fanno quotidianamente della convivenza:
“Bisogna trovare delle soluzioni per uscire da questi vicoli ciechi. Penso che sia necessario riproporre un nuovo fatto sociale, e recuperare il terreno perduto. Però è tutto diventato molto più difficile: una volta che sono scattati i meccanismi della frustrazione e della diffidenza è molto faticoso venirne a capo. Ma l'orizzonte non è del tutto oscuro, esistono anche lati positivi: oggi esiste una quantità di persone relativamente grande che ha un'esperienza diretta e personale di convivenza. Pensate a quanta gente lavora con gente dell'altra lingua, alla quantità di occasioni sociali, alla gita domenicale, al pendolarismo sul treno, in cui c'è, specie tra i giovani, una larga e reciproca compenetrazione.” <32
Alex, come sempre, dopo aver analizzato dettagliatamente il contesto, propone le sue soluzioni e incita alla svolta. La sua “ricetta” per la convivenza pacifica si fonda su alcuni ingredienti basilari: facilitare lo scambio culturale, senza “obbligare all’incontro chi non vuole” <33; cessare “l’aberrante abitudine di dividere anche fisicamente le scuole” <34 evitando la ghettizzazione etnica; “ridimensionare la proporzionale, togliendola senz’altro dal settore dell’edilizia popolare” <35; istituire scuole ed asili sperimentali mistilingue. Critico, obiettivo, ma sempre possibilista, egli crede nel futuro del Sud Tirolo ed afferma: “I tempi sono maturi per molte di queste cose.” <36
[NOTE]
11 A. Langer, Minima Personalia, cit., p. 11.
12 F. Bartaletti, Geografia e cultura delle Alpi, cit., pp. 44-83.
13 A. Langer, La maledizione del pendolo, cit., p. 116.
14 “Il primo assetto autonomistico del 1948 fu sentito dai sudtirolesi come gravemente insufficiente, una lunga lotta (a tratti anche violenta) - organizzata dalla S.V.P. (partito popolare sudtirolese) - portò una ampia riforma dell'autonomia che venne territorialmente circoscritta al Sudtirolo ed arricchita di molte nuove competenze. Il c.d. "pacchetto per l'Alto Adige" fu varato dal Parlamento italiano alla fine del 1971, si trova tuttora in fase di lenta attuazione, prevede (anche in virtù di due risoluzioni ONU) una certa compartecipazione dell'Austria alla composizione della controversia e vede all'opera - ormai da anni - delle Commissioni paritetiche italo-sudtirolesi che, al riparo di ogni controllo parlamentare, elaborano i decreti con i quali si attuano le misure speciali concernenti l'autonomia sudtirolese.” Id., Il conflitti etnico “ben temprato”, cit., p. 183. Alter fonti sull’argomento: S. Bauer, G. Mezzalira, W. Pichler, La lingua degli altri, cit., pp. 34-39; C. Bassi, S. Benvenuti, G. Faustini, Tracce di storia., cit., pp. 7-15; F. Bartaletti, Geografia e cultura delle Alpi, cit., pp. 44-83 e 89-104.
15 Id., Il conflitti etnico “ben temprato”, cit., p. 183.
16 Id., La maledizione del pendolo, cit., p. 117.
17 “I liberi professionisti, specialmente avvocati, commercialisti, ingegneri, medici, erano in maggioranza italiani, perché chi prendeva parte all'economia moderna era il comparto italiano della società. Gli italiani come gruppo gestivano lo sviluppo, fino ad esserne materialmente i concessionari: italiane erano le banche, gestiti da italiani i servizi.” Id., Italiani sul binario morto, cit., p. 137.
18 Ibidem.
19 Ibidem, p. 138.
20 Ibidem.
21 Ibidem., p. 137.
22 Id., Il conflitto etnico ben temprato, cit, p. 185.
23 Ibidem, p. 187.
24 Ibidem, p. 188.
25 Ibidem, p. 185.
26Id., Italiani sul binario morto, cit., pp. 135-144; Id., Terapia d’urto, cit., pp. 189-198.
27 Id., Il conflitto etnico ben temprato, cit, p. 188.
28 Id., Italiani sul binario morto, cit., p. 141.
29 Ibidem, p. 142.
30 “In fondo bisogna dire che è stato il voto all'MSI a produrre il Parliamoci" (il bollettino SVP in lingua italiana). Finalmente la SVP ha capito che la politica del muso duro con gli italiani puó produrre piú danni che vantaggi. Magnago negli anni scorsi amava dire: “Noi non ci facciamo quando non vogliamo noi". Oggi purtroppo non c'è più nessuno che voglia abbracciare.” Ibidem.
31 Ibidem, p. 135.
32 Ibidem, p. 143.
33 Ibidem,144.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
36 Ibidem.
Cristina Pongiluppi, Il giornalismo militante di Alexander Langer, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2012/2013
“Da decenni, ormai, mi sento impegnato nello sforzo di "spiegare il Sudtirolo"; di coinvolgere l'attenzione e l'apporto di amici democratici alla causa dell'autonomia e della convivenza nella mia terra. Al di là della necessità di evitare l'isolamento ed il piano inclinato dei revanscismi, c'è anche una forte convinzione che mi sorregge: leggo nella situazione sudtirolese una quantità di insegnamenti ed esperienze generalizzabili ben oltre un piccolo "caso" provinciale. Essere minoranza, senza per questo chiudersi in lamentele e nostalgie; coltivare le proprie peculiarità, senza per questo scegliere il "ghetto" e finire nel razzismo; sperimentare le potenzialità di una convivenza pluri-culturale e pluri-etnica; partecipare a movimenti etno-nazionali, senza assolutizzare il dato etnico; lavorare per la comunicazione inter-comunitaria... a volte penso che tanti aspetti del futuro europeo potrebbero essere sperimentati e verificati in corpore vili, con grande profitto. Peccato che la politica dominante vada in direzione opposta (piuttosto verso Cipro, il Libano, ecc.) e che così pochi al di là dei nostri confini provinciali se ne accorgano.” <11
Il conflitto etnico trova le sue origini nei trascorsi di una regione da sempre contesa tra Austria ed Italia. La storia dei territori alpini ci insegna come, nel corso dei secoli (a partire dai primi insediamenti precristiani fino all’epoca moderna), i diversi poteri - che si sono succeduti nella zona settentrionale del nostro paese -siano stai capaci di ottimizzare le caratteristiche delle minoranze etniche residenti. Ripercorrendo le tradizioni alpine, si evince come i diversi popoli, che hanno dominato le regioni dell’arco montano, abbiano compreso la tempra degli abitanti locali, valorizzandone la tempra e il senso civico (esemplificati in “regole” e “congregazioni. Nelle zone alpestri, il contadino, fin dalle prime forme di insediamento, condivideva con i vicini l’utilizzo di pascoli ed attrezzatura, in un clima di reciproca cooperazione ed assistenza. Gran parte dei terreni era di comune proprietà e tutti avevano uguale diritto di accesso alle aeree, senza privilegi legati ad estrazione sociale o ricchezza. I terreni affidati ad una famiglia venivano ceduti alla primogenitura, senza la possibilità di parcellizzare il territorio e nessuna entità esterna poteva assicurarsi lotti e proprietà all’interno della regione. La convivenza civile era assicurata dalle “regole”, corpus di leggi che, come ad esempio nell’Ampezzano o nel Sudtirolo, sono state tramandate fino al 1927, anno in cui il fascismo ha deciso di abolire le autonomie del nord Italia, e tutte le leggi civiche locali in vigore. <12
“Non si deve dimenticare, infatti, che tutta la storia delle relazioni tra i sudtirolesi e l'Italia è la storia di rapporti di forza. Dall'annessione forzata, in seguito alla prima guerra mondiale, alla snazionalizzazione tentata ed in parte realizzata dal regime fascista, agli accordi tra Mussolini e Hitler per spartirsi il territorio (che doveva rimanere in Italia) e la gente (che doveva diventare carne da cannone per le conquiste hitleriane), fino alla nuova fase apertasi col secondo dopoguerra. E va detto che, anche dopo la caduta delle dittature fasciste, il codice dei rapporti rimase segnato dalla forza: l'Italia in un primo momento si dimostrò assai disponibile, pur di vedersi riconfermata la propria sovranità sul Sudtirolo, e firmò patti favorevoli alla comunità tirolese (l'accordo De Gasperi - Gruber); patti che - appena chiusa la fase dell'internazionale della controversia - cominciò a svuotare sistematicamente.” <13
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, le popolazioni alpine si sono battute affinché le “regole”, così come le identità locali, venissero tutelate ed riconosciute. Benché a legittimità di queste istituzioni sia stata stabilita nel 1972, la loro effettiva applicazione risale al 1992.
Gli alleati, nel 1945, vollero assicurassi che nessun conflitto si potesse verificare a ridosso della cortina di ferro, decisero pertanto di fare pressioni affinché, l’Alto Adige, terra di tensioni etniche e causa di scontri con l’Austria, passasse sotto la sovranità dello stato italiano. Il 5 settembre del 1946 De Gasperi e Gruber, si accordarono: i diritti della minoranza tedesca in loco sarebbero stati preservati, ed il territorio altoatesino sarebbe passato sotto il controllo del governo italiano. <14
Nel 1960 e nel 1961, a fronte di costanti abusi perpetrati dalle autorità italiane sulla minoranza tedesca, l’Austria denuncia la situazione all’Onu:
“Nel 1960 e nel 1961 l'Assemblea generale dell'ONU si occupò della vertenza e invitò l'Italia e l'Austria a negoziare per trovare una soluzione soddisfacente. Da allora, l'aspetto internazionale della vertenza […] si è rivelato un elemento di grande forza per gli interessi sudtirolesi; e così si è venuto prospettando, lungo gli anni Sessanta, quella soluzione della vertenza che è nota col nome di "pacchetto per l'Alto Adige". […] Nel 1972 si arriverà poi all’entrata in vigore del secondo Statuto di autonomia con legge di rango costituzionale, per la difesa delle minoranze etniche. Il nuovo ordinamento vede il passaggio di gran parte dei poteri locali, dalla Regione Trentino Alto Adige, alle due province autonome di Trento e Bolzano. […] Viene pertanto ufficializzato il bilinguismo del Sudtirolo, introducendo nelle scuole secondarie la seconda lingua obbligatoria.” <15
Finalmente il 26 luglio 1976 viene applicato l’articolo 1 dell’accordo De Gasperi-Gruber sull’“uguaglianza dei diritti per l’ammissione agli uffici pubblici”, che prevede la distribuzione degli incarichi tra i diversi gruppi etnici e sancisce un’inversione di rotta della politica locale. Ricorda Langer:
“Il risultato ha comportato un consistente spostamento di poteri da Roma (e da Trento, capoluogo di una regione inventata per mettere in minoranza i tirolesi) a Bolzano, e dal gruppo italiano a quello tedesco e ladino - se, infatti, gli italiani hanno beneficiato dell'esito della prima e della seconda guerra mondiale, i sudtirolesi di quello della "guerra dei tralicci" e il nuovo compromesso ha dovuto tener conto dei mutati rapporti di forza - ma, ancora una volta, si è conclusa una pace tra potenze, non tra la gente. E affinché quest'ultima venisse integrata meglio nel nuovo sistema "concordatario", sono stati accentuati ed istituzionalizzati i criteri di appartenenza alle diverse corporazioni etniche riconosciute.” <16
I provvedimenti di autonomia modificano la struttura sociale e l’economia regionale. La tutela verso il cittadino italiano - che fino a quel momento garantiva lavoro, assistenza ed alloggio - viene improvvisamente a mancare, mentre, la comunità tedesca, esclusa dall’industrializzazione degli anni ’60 e ’70, entra a far parte della sfera economica e pubblica. Il gruppo italiano che negli anni ’60 e ’70 aveva ricoperto ruoli chiave <17, non mostra alcun legame “con il territorio, non conosce(va) la storia, non conosce(va) le leggende. Senza parlare dell'assoluta impreparazione ad imparare il tedesco” <18. Dall’applicazione del “pacchetto” si insedia un nuovo ceto impiegatizio e dirigente tedesco, che con diverse priorità e politiche ed economiche:
“Poi, con l'autonomia si è avuto un flusso di finanziamento verso settori prima non considerati, il risanamento dei masi, il turismo, il che ha permesso un recupero di benessere e di potere, economico e sociale, da parte delle categorie interessate, ossia i contadini, prevalentemente appartenenti al gruppo tedesco.” <19
La crisi industriale, che a ridosso degli anni ‘70 coinvolge la cittadinanza bolzanina, contribuisce al “ribaltamento di ruoli nell'economia” ed aggrava “una delle cause del malessere del gruppo italiano” <20. Mentre la componente tedesca sale la scala sociale, per contro, la classe italiana vive un indebolimento di reddito e prestigio che sfocia in una collettiva sensazione di delusione e di risentimento:
“Esisteva una volontà di restituire al territorio le proprie caratteristiche tirolesi, il che portava a considerare la presenza degli italiani come uno spiacevole incidente della storia, che doveva essere circoscritto piuttosto che elaborato positivamente. Di qui la tendenza a isolare i gruppi, a vedere le garanzie della propria identità soltanto nella separazione dagli altri.” <21
L’appartenenza etnica tedesca trova il suo rappresentante istituzionale nel Sudtirol Volkspartei (SVP), potente apparto di controllo territoriale, che sfrutta il conflitto etnico come strumento di controllo sociale (pur arginandolo entro limiti governabili):
'Sino a quando la SVP (il partito popolare sudtirolese) rappresentava come principale rivendicazione della popolazione sudtirolese l'istanza autonomistica, la sua conflittualità era tutta indirizzata contro la Stato centrale italiano. […]Da quando tuttavia l'obiettivo autonomistico è in gran parte raggiunto, l'ex partito di raccolta etnica si è progressivamente trasformato in un apparato di potere e di governo, che è sottoposto alle normali tensioni ed ipoteche che risultano dal composito giuoco degli interessi ed intenti economici, sociali, culturali e politici'. <22
L’SVP agisce in modo da “postulare il “partito etnico” come elemento immanente del sistema” e “fondare il suo potere essenzialmente sul conflitto etnico” <23.
“L’attuale ordinamento autonomistico […] comporta che le forze dominanti debbano essere interessate al mantenimento del conflitto etnico che non deve né perdere la sua importanza, né uscire dal controllo di queste forze.” <24
La “proporzionale etnica” da mezzo transitorio di tutela della minoranza ladina o tedesca, si trasforma in strumento istituzionalizzato e perenne:
Visto in astratto, tale principio serve a riparare ai torti precedenti (in danno della comunità di lingua tedesca) e dovrebbe garantire un sistema di giustizia distributiva assoluta (a prescindere agli attriti della fase transitoria). In realtà però tale principio tende soprattutto - per sua natura - a consolidare e perpetuare la conflittualità etnica, quando non addirittura a crearla dove precedentemente non esisteva e non si manifestava. <25
Gli italiani sperimentano un senso di precarietà, di insicurezza sociale ed economica che li porta a schierarsi contro le rivendicazioni autonomiste sudtirolesi. Il 12/5/1985 l’MSI ottiene la maggioranza relativa alle elezioni comunali, seguiranno una serie di posizioni di irrigidimento etnico. I missini portano, in Commissione Affari Costituzionali della Camera, una petizione contro lo statuto speciale del Tirolo. In tale petizione si chiede: l’abolizione del bilinguismo; la fine della riserva proporzionale dei posti nel pubblico impiego; la fine delle commissioni paritetiche. <26
Esiste poi un’altra realtà in Sud Tirolo, in “contro-tendenza”, come la definisce Langer, che si schiera contro la permanente contrapposizione etnica, e che tenta di “superare il senso di reciproca minaccia e pressione tra gruppi etnici”, ponendosi “obiettivi comuni” ed instaurando dinamiche che vadano al di là della semplice identità razziale. “Quell’”altro Sudtirolo” che […] si batte per l’affermazione positiva di un modello di convivenza plurietnica e pluri-culturale, pur mantenendo l’identità delle tre comunità linguistiche esistenti.” <27
Il “pacchetto” approvato dallo Stato Italiano rappresenta, secondo Langer, un’occasione mancata nel raggiungimento della pace sociale. Nel periodo di maggiore disponibilità da parte delle due comunità, il ventennio da metà anni ’70 a inizio anni ’80, sul versante italiano, “molte persone avrebbero accettato di buon grado il ridimensionamento” a favore di “una buona convivenza” <28 (“pensate al movimento per il bilinguismo precoce” <29). In un articolo del 1988, riflette sull’opportunità sprecata:
“La SVP, non ha capito l’importanza di una convivenza collaborativa ed è andata avanti con una politica di divisione: affossando il bilinguismo appoggiando il “catasto etnico” e supportando una logica di scontro etnico che ha portato al consolidamento del MSI.” <30
Il difetto maggiore dell’accordo è il non aver coinvolto direttamente la popolazione. L’attivista verde, senza mezzi termini, rimarca le mancanze dei partiti e delle istituzioni locali, evidenziando ciò che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto:
“Bisognava lavorare perché questa nuova situazione fosse accettata dalla società. Si sarebbe dovuto valorizzare, e non esorcizzare, quelle componenti minoritarie della popolazione che erano disposte a scommettere sulla convivenza. Soprattutto nei primi anni ’70 sarebbe stato meglio assecondare quelle esperienze d’incontro, di cooperazione, di intreccio reciproco. Nel Medioevo, quando due signori firmavano un trattato di pace, mandavano i loro figli alla corte dell’altro perché vi fossero educati. Era una garanzia per la pace.” <31
Oggi è necessario fare leva sull’esperienza diretta e personale che i cittadini altoatesini fanno quotidianamente della convivenza:
“Bisogna trovare delle soluzioni per uscire da questi vicoli ciechi. Penso che sia necessario riproporre un nuovo fatto sociale, e recuperare il terreno perduto. Però è tutto diventato molto più difficile: una volta che sono scattati i meccanismi della frustrazione e della diffidenza è molto faticoso venirne a capo. Ma l'orizzonte non è del tutto oscuro, esistono anche lati positivi: oggi esiste una quantità di persone relativamente grande che ha un'esperienza diretta e personale di convivenza. Pensate a quanta gente lavora con gente dell'altra lingua, alla quantità di occasioni sociali, alla gita domenicale, al pendolarismo sul treno, in cui c'è, specie tra i giovani, una larga e reciproca compenetrazione.” <32
Alex, come sempre, dopo aver analizzato dettagliatamente il contesto, propone le sue soluzioni e incita alla svolta. La sua “ricetta” per la convivenza pacifica si fonda su alcuni ingredienti basilari: facilitare lo scambio culturale, senza “obbligare all’incontro chi non vuole” <33; cessare “l’aberrante abitudine di dividere anche fisicamente le scuole” <34 evitando la ghettizzazione etnica; “ridimensionare la proporzionale, togliendola senz’altro dal settore dell’edilizia popolare” <35; istituire scuole ed asili sperimentali mistilingue. Critico, obiettivo, ma sempre possibilista, egli crede nel futuro del Sud Tirolo ed afferma: “I tempi sono maturi per molte di queste cose.” <36
[NOTE]
11 A. Langer, Minima Personalia, cit., p. 11.
12 F. Bartaletti, Geografia e cultura delle Alpi, cit., pp. 44-83.
13 A. Langer, La maledizione del pendolo, cit., p. 116.
14 “Il primo assetto autonomistico del 1948 fu sentito dai sudtirolesi come gravemente insufficiente, una lunga lotta (a tratti anche violenta) - organizzata dalla S.V.P. (partito popolare sudtirolese) - portò una ampia riforma dell'autonomia che venne territorialmente circoscritta al Sudtirolo ed arricchita di molte nuove competenze. Il c.d. "pacchetto per l'Alto Adige" fu varato dal Parlamento italiano alla fine del 1971, si trova tuttora in fase di lenta attuazione, prevede (anche in virtù di due risoluzioni ONU) una certa compartecipazione dell'Austria alla composizione della controversia e vede all'opera - ormai da anni - delle Commissioni paritetiche italo-sudtirolesi che, al riparo di ogni controllo parlamentare, elaborano i decreti con i quali si attuano le misure speciali concernenti l'autonomia sudtirolese.” Id., Il conflitti etnico “ben temprato”, cit., p. 183. Alter fonti sull’argomento: S. Bauer, G. Mezzalira, W. Pichler, La lingua degli altri, cit., pp. 34-39; C. Bassi, S. Benvenuti, G. Faustini, Tracce di storia., cit., pp. 7-15; F. Bartaletti, Geografia e cultura delle Alpi, cit., pp. 44-83 e 89-104.
15 Id., Il conflitti etnico “ben temprato”, cit., p. 183.
16 Id., La maledizione del pendolo, cit., p. 117.
17 “I liberi professionisti, specialmente avvocati, commercialisti, ingegneri, medici, erano in maggioranza italiani, perché chi prendeva parte all'economia moderna era il comparto italiano della società. Gli italiani come gruppo gestivano lo sviluppo, fino ad esserne materialmente i concessionari: italiane erano le banche, gestiti da italiani i servizi.” Id., Italiani sul binario morto, cit., p. 137.
18 Ibidem.
19 Ibidem, p. 138.
20 Ibidem.
21 Ibidem., p. 137.
22 Id., Il conflitto etnico ben temprato, cit, p. 185.
23 Ibidem, p. 187.
24 Ibidem, p. 188.
25 Ibidem, p. 185.
26Id., Italiani sul binario morto, cit., pp. 135-144; Id., Terapia d’urto, cit., pp. 189-198.
27 Id., Il conflitto etnico ben temprato, cit, p. 188.
28 Id., Italiani sul binario morto, cit., p. 141.
29 Ibidem, p. 142.
30 “In fondo bisogna dire che è stato il voto all'MSI a produrre il Parliamoci" (il bollettino SVP in lingua italiana). Finalmente la SVP ha capito che la politica del muso duro con gli italiani puó produrre piú danni che vantaggi. Magnago negli anni scorsi amava dire: “Noi non ci facciamo quando non vogliamo noi". Oggi purtroppo non c'è più nessuno che voglia abbracciare.” Ibidem.
31 Ibidem, p. 135.
32 Ibidem, p. 143.
33 Ibidem,144.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
36 Ibidem.
Cristina Pongiluppi, Il giornalismo militante di Alexander Langer, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2012/2013