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mercoledì 13 luglio 2022

Mussolini dovette rassegnarsi a lasciare spazio e potere anche a quei gruppi autonomi invisi ai prefetti

A destra, Pavolini. Fonte: ANPI Lissone art. cit. infra

La soluzione, per Mussolini, consiste nella militarizzazione del Partito. Si tratta del tentativo estremo del fascismo di Salò, in continuità con la propria storia <630. Il 21 giugno 1944, il Duce emana la seguente disposizione: “Data la situazione che è dominata da un solo, decisivo, supremo fattore: quello delle armi e del combattimento, davanti al quale tutti gli altri sono di assai minore importanza, decido che, a datare dal 1° luglio, la struttura politico-militare del Partito si trasformi in un organismo di tipo esclusivamente militare” <631.
Nasce così il Corpo ausiliario delle Squadre d'azione delle Camicie Nere composto dagli iscritti al Partito fascista repubblicano di età fra i 18 e i 60 anni, non appartenenti alle Forze Armate. La Direzione del Partito è trasformata in Stato Maggiore del Corpo e le Federazioni in “Brigate” il cui comando è affidato ai capi politici locali. Il Comandante delle “Brigate nere” è il Segretario del Partito, Alessandro Pavolini. Il compito del Corpo “è quello del combattimento per la difesa dell'ordine della Repubblica Sociale Italiana, per la lotta contro i banditi e i fuori-legge e per la liquidazione degli eventuali nuclei di paracadutisti nemici […]” <632.
L'attenzione maggiore viene dunque rivolta alla repressione dei “ribelli” che, grazie a una struttura sempre più capillare e ramificata, insidiano l'esistenza stessa della RSI.
Il nemico interno, però, non è costituito solo dai “ribelli” ma anche dai “traditori” e “di traditori ce ne sono ancora, in tutti i campi, in tutti gli ambienti, in tutti i ranghi. Mentre la Patria agonizza è traditore chi non crede nella rinascita, chi non lavora, chi attende […]” <633. I fascisti sono convinti che “contro i ribelli che pugnalano la Patria nell'agonia bisogna essere decisi. Bisogna scovarli e annientarli, senza perdonare, soprattutto ai loro complici morali […] Infatti negli Appennini toscani, i centri rurali che avevano alimentato o protetto il banditismo, hanno pagato a caro prezzo il loro favoreggiamento […] anche i tiepidi e i pavidi possono essere puniti” <634.
Non tutti, però, condividono la nascita del nuovo Corpo. Il commissario capo di PS di Alessandria vede, nella Brigata nera di quella provincia, “il risorgere dello Squadrismo, con i suoi risentimenti, col suo spirito di rappresaglia, con i suoi rancori, con i suoi sfoghi di violenza e prepotenza, nonostante l'Idea per la quale si può combattere e si può morire […] Si sono visti nella Brigata Nera vecchi e frusti squalificati elementi dello squadrismo alessandrino, della gente nuova non si sa da dove e come raccolta, individui che portano in giro per le vie d'una città civile, nel torbido degli occhi e nella violenza del gesto, il segno della prepotenza dispettosa e dell'odio” <635.
Nelle Brigate nere confluiscono i vecchi squadristi di prima generazione, che rimpiangono il passato glorioso, e i giovanissimi, anche di quattordici, quindici o sedici anni, che con la leggerezza dell'età e la gravosità del dovere, pur senza ricercare la gloria, vanno incontro alla morte. Confluiscono anche, in un misto di volontarismo e coscrizione obbligatoria, fascisti di varia provenienza e di dubbia fede. E' previsto anche l'impiego di personale tratto dal Servizio Ausiliario Femminile <636. Alla data del 20 settembre 1944, i fascisti iscritti al Partito che hanno chiesto di essere arruolati nelle Brigate nere sono 29.627 mentre quelli effettivamente mobilitati e armati sono 11.620. Questi ultimi diventeranno 16.000 alla fine del mese di ottobre <637.
[NOTE]
630 “Riemergono antichi problemi e insanate contraddizioni, e non come farsa dopo la tragedia, bensì come cruenta accentuazione della tragedia di un popolo sul quale vanamente si affanna un gruppo dirigente autoreferenziale, microcosmo fossilizzato incapace di trovare i punti di riferimento fuori di se stesso. Giustamente l'autrice parla al riguardo di “solitudine”. Rapporto fra movimento, partito, regime e Stato, fra forze armate dello Stato e forze armate del partito, fra estremismi e compromessi, fra violenza e quieto vivere, fra spirito di avventura e vischiosità burocratiche, fra progetti e realtà che deve esservi piegata con la forza: questi e altrettali tratti dell'intera storia del fascismo ricompaiono nella Rsi, in una situazione di emergenza”, Claudio Pavone, Prefazione a Dianella Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. XII.
631 Partito fascista repubblicano - Corpo ausiliario delle Squadre d'azione di CC.NN., Norme fondamentali delle Brigate nere, in Dianella Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 373.
632 Decreto legislativo del Duce 30 giugno 1944-XII, n. 446, art. 7. “La formulazione definitiva dell'art. 7, che fissava i compiti delle Bn, rappresentava una indubbia vittoria di Buffarini, che otteneva l'esclusione delle Bn da qualsiasi incarico di polizia e la loro sottomissione, per le attività in ambito provinciale, ai capi delle province, anziché ai commissari federali trasformati ora in comandanti di brigata nera”, ivi, pp. 110-111.
633 E. d'Elia, Riscossa, in “La Repubblica Fascista”, 30 giugno 1944, in ivi, p.122.
634 Roberto Farinacci, La parola all'evidenza, in “Il Regime Fascista”, 14 luglio 1944, in ivi, pp.123-124.
635 Citato in ivi, p.125
636 Il 18 aprile 1944 è istituito il Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane. “[…] Potranno presentare domanda di arruolamento donne di nazionalità italiana, di razza ariana che diano serie garanzie circa la capacità al servizio cui chiedono di essere adibite e che sian di età compresa fra i diciotto e i quarantacinque anni. In casi eccezionali e per determinati lavori da indicarsi di volta in volta, il limite massimo di età potrà essere superato. […]”, Decreto Ministeriale 18 aprile 1944, art. 8. Il comando del Corpo è affidato a Piera Gatteschi Fondelli, equiparata a Generale di Brigata. Le volontarie saranno circa 6.000. Sulle donne inquadrate nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, sulle loro scelte e motivazioni vedi: Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini. Con il memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli, generale delle ausiliarie della RSI, Mursia, Milano 1995; Marino Viganò, Donne in grigioverde. Il Comando generale del Servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale italiana nei documenti e nelle testimonianze (Venezia/Como 1944-1945), Settimo Sigillo, Roma 1995; Anna Lisa Carlotti, La memorialistica della RSI. Il caso delle ausiliarie, in Italia 1939-1945. Storia e memoria, a cura di Anna Lisa Carlotti, Vita e Pensiero, Milano 1996; Ulderico Munzi, Donne di Salò, Sperling & Kupfer, Milano 1999. Più in generale, vedi: Marina Addis Saba, La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio fascista, Vallecchi, Firenze 1988; Victoria De Grazia, Le donne nel regime fascista, Marsilio, Venezia 1993. Vedi anche: Marina Addis Saba: La scelta. Ragazze partigiane, ragazze di Salò, Editori Riuniti, Roma 2005.
637 Vedi la Tabella 1 con i dati suddivisi per provincia riportata in Dianella Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, cit. p. 165.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

Data l’incapacità della Rsi, a tutti i livelli, di riportare legge ed ordine e di stroncare la Resistenza, Mussolini dovette rassegnarsi a lasciare spazio e potere anche a quei gruppi autonomi invisi ai prefetti, che ricordavano molto da vicino le compagnie di ventura rinascimentali, anche se tentava di stringere la disciplina cercando di ricostituire il sistema delle reti locali di potere attorno ai capi provincia, che assursero ad un ruolo non più solo eminentemente di cinghia di trasmissione del potere centrale, ma di veri e propri rappresentanti quasi personali di Mussolini nelle province. Tuttavia queste contraddizioni nella politica mussoliniana, che da una parte si affidava ai capi provincia e dall’altra ne minava l’autorità dando potere alle unità militari e polizie autonome o semi autonome, creò non pochi problemi.
L’incessante girandola di capi provincia era anche il sintomo dell’ingovernabilità di alcune zone, dove chi comandava erano in realtà i tedeschi (nelle città e nelle zone pianeggianti), appoggiati dalle varie milizie speciali e dalle Brigate nere (a partire dall’estate del 1944), con risultati estremamente negativi per quanto riguarda il prestigio del potere centrale. Nelle montagne, invece, erano i partigiani a fare “il bello e cattivo tempo” mentre la Guardia nazionale repubblicana (G.N.R.), sempre in piena crisi per la mancanza di armi, equipaggiamento e personale addestrato e motivato, ritirava i propri presidi per non finire nelle mani della Resistenza. I rapporti di un ispettore generale di Pubblica sicurezza, dell’estate del 1944 relativi al Piemonte, restituiscono con particolare chiarezza il tracollo dell’autorità statuale in questo periodo.
[...] Se a Torino era la X Mas a rendersi particolarmente odiosa, a Milano erano la Brigata nera e la Legione autonoma Ettore Muti a rendersi tristemente famose per l’indisciplina e la violenza gratuite. Il capo provincia Mario Bassi, il 16 aprile 1945, era costretto a chiedere chiarimenti a Enzo Costa (Federale e comandante della Brigata nera), perché in provincia da un camion della Brigata nera erano partiti colpi di fucile, che sparati senza alcun motivo apparente avevano causato la morte di una bambina di due anni [29].
La totale anarchia che vigeva nelle provincie venne invano contrastata prima da Tullio Tamburini, e poi da Renzo Montagna, i capi della Polizia repubblicana, che tentarono di unificare le forze di polizia e soprattutto di stroncare il fenomeno dei vari reparti speciali o delle legioni autonome. Tamburini, nel novembre del 1944, scrisse a Buffarini Guidi sottolineando proprio i danni di questa frammentazione delle forze che si arrogavano i poteri di polizia giudiziaria: "Gli inconvenienti di avere troppi organismi di polizia che arrestano, perquisiscono, fucilano etc. sono noti ed altrettanto noti sono i danni causati da servizi di informazione non controllati ed in genere poco seri". [30]
La poliarchia che si era instaurata nelle provincie costrinse le autorità centrali a tentare di intervenire per ridare prestigio alle figure istituzionali dei capi provincia. Nel febbraio del 1944, in una riunione dei capi provincia di Piemonte, Emilia, Lombardia e Veneto, tutti i presenti lamentarono «lo stato di incertezza e di confusione che si verifica nel campo della polizia» [31] [Ganapini 1999, 282]. Un anno dopo, nel febbraio del 1945 Zerbino, allora ministro degli interni, emanò una circolare a tutti gli uffici dipendenti nella quale si leggeva: "Il Capo della Provincia è il solo responsabile politico dell’ordine pubblico nell’ambito provinciale. Il Questore è il solo responsabile tecnico dell’ordine pubblico nell’ambito provinciale. La Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) con l’annesso servizio UPI, per quanto attiene ad operazioni di polizia, dipende perifericamente dal Capo della Provincia e dal Questore. Nessun reparto armato può compiere operazioni di polizia quando non vi sia autorizzato e per ragioni di carattere eccezionale dagli organi competente dal governo" [Ganapini 1999, 295] [32].
Un ultimo tentativo per accentrare il potere a livello regionale venne fatto nel 1945, con la creazione della figura del “Commissario straordinario” per alcune regioni. Ad esempio l’ex prefetto di Torino, Emilio Grazioli, venne nominato Commissario straordinario per il Piemonte, con risultati che, alla luce delle poche fonti disponibili, è decisamente difficile stabilire. Dato l’avanzato stato di disfacimento della Repubblica, nei suoi ultimi mesi di agonia è comunque possibile ipotizzare che questa ultima misura abbia segnato più la disperazione di Mussolini, che un provvedimento realmente efficace. Bande, reparti speciali e gruppi autonomi, infatti, continueranno a infestare le più importanti città del Nord fino alla fine della Repubblica.
Il quadro della situazione delineato in queste pagine è piuttosto chiaro. Da una parte, il potere centrale, e quindi Mussolini, che tentava invano di imporre un minimo di controllo sulle autorità locali attraverso i prefetti, di alcuni dei quali però evidentemente non si fidava e sostituiva o faceva ruotare nelle varie sedi, minandone così il potere e il prestigio; dall’altra, una serie infinita di ras e capi locali che minavano a loro volta il potere dei capi provincia, arrogandosi ruoli e poteri che non spettavano loro [33]. Un altro problema proveniva nuovamente dalle iniziative dello stesso Mussolini che, contraddicendosi, dava lustro e prestigio alle varie bande ricevendo i loro dirigenti a Gargnano o andando in visita ai loro quartieri generali, come fece a Milano nel dicembre 1944 quando si recò in visita alla sede della Legione autonoma Ettore Muti. A tutto questo si aggiungeva l’ambiguo comportamento del ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi, che spesso si appoggiava alle varie “polizie speciali”, come ad esempio la “Banda Koch”, che entravano direttamente in contrasto con la polizia “tradizionale” [34].
[NOTE]
29. Asmi, Prefettura, Gabinetto, b. 364, Lettera di Mario Bassi al comandante della Brigata nera del 16 aprile 1945.
30. Acs, Ministero dell’Interno, Segreteria particolare del Capo della polizia Rsi, b. 33, Lettera di Tamburini a Buffarini Guidi del 14 settembre 1944.
31. Acs, Segreteria particolare del Duce Rsi, Carteggio riservato, b. 79.
32. Tassative disposizioni del Ministero degli Interni, 2 marzo 1945, in Acs, GNR, b. 19. La circolare venne pubblicata anche sul “Corriere della Sera”. Sul caos dovuto al proliferare delle polizie, si veda: Ganapini 1999, 275-295.
33. Sul ruolo centrale dei capi provincia nei rapporti di forza tra le varie istanze statali e parastatali nella Rsi, e in particolare in Emilia Romagna, si veda: Preti 1993, 305-316.
34. La bibliografia sulle bande, seppure ormai abbastanza ampia, non si può dire completa. Tra i libri più significativi: Griner 2000; Griner 2004; Caporale 2005; Antonini 2007.

Amedeo Osti Guerrazzi, Mussolini e i capi provincia della RSI, "E-Review", 6, 2018 

Fonte: ANPI Lissone art. cit. infra

Nell'estate del 1944 mancavano circa dieci mesi alla conclu­sione della seconda guerra mondiale. Americani, inglesi, canadesi e francesi erano sbarcati, con superiorità schiacciante, in Normandia, i russi si trovavano ai confini della Prussia Orientale e dell'Ungheria e, in Italia, Winston Churchill, seduto su una panca accanto al gen. Ale­xander, osservava il territorio ancora da conquistare al di là della Linea Gotica, che correva da La Spezia a Pesaro.
La superiorità alleata era schiacciante, soprattutto in morale. Quegli uomini lanciati contro il colosso nazista erano soldati giovani, preparati e intelligenti, eguagliavano i tedeschi per carattere e capacità.
Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, dopo aver convinto il Duce, si accinse a militarizzare il partito. I volonta­ri che accolsero il suo appello di formare un corpo ideologizzato furono, invece, salvo eccezioni, gruppi raccogliticci, con ragazzi di tredici anni e vecchietti di settanta, che credevano ancora in un mitico squadrismo da Anni Venti, quando la semplice massa, alcuni autocarri, i manganelli e un po' di bottiglie d'olio di ricino poterono decidere il destino d'uno Stato. Ecco: l'ultimo fascismo nacque così, all'insegna di un'incredibile illusione, e storica­mente era già battuto.
Pavolini vuole solo elementi di fede indiscussa, che vadano a combattere i partigiani, che stanino i traditori, che facciano i cani da guardia del fascismo con la massima intransigenza. Il 26 giugno 1944, il duce firma un decreto: con esso si istituisce il Corpo ausiliario delle squadre d'azione delle Camicie nere, il segretario del partito ne prenderà il comando. Le federazioni fasciste assumeranno il nome di Brigate nere del Corpo ausiliario, dandosi il nome di un caduto per la causa fascista e i commissari federali la carica di comandanti di brigata. Ne faranno parte i volontari iscritti al partito con età compresa fra i 18 e i 60 anni. Nel testo del decreto, si dice che il corpo sarà impiegato per la difesa dell'ordine nella Repubblica Sociale Italiana sia per la lotta contro i ribelli, mentre non sarà impiegato per requisizioni, arresti o altri compiti di polizia. Questa disposizione fu presto disattesa, perché le brigate nere compiranno tanti di quei furti e di quegli arresti, da provocare a volte perfino l'intervento dei tedeschi che ne chiederanno lo scioglimento.
La funzione delle Brigate nere rimane allora la funzione territoriale, poliziesca nelle città, dove diventano il bersaglio dell'odio popolare, perché sono loro che nei luoghi pubblici e nelle abitazioni rastrellano i renitenti, i disertori e i parenti dei partigiani trasferitisi in montagna. Sono loro che s'impadroniscono nei negozi, nei magazzini e nelle fabbriche di tanta merce con la scusa di combattere il mercato nero e gli imboscamenti. Molti sono noti sfaccendati, piccoli criminali o ex-impiegati delle federazioni che non rinunciano così ai propri privilegi.
[...] Un'altra delle numerose polizie, nate durante la RSI con il fine di sorreggere il fascismo più intransigente, ma anche con lo scopo di guadagnare potere e soldi, fu la Legione Muti.
L'ex-caporale del regio esercito Franco Colombo, radunò attorno a sé, dopo l'8 settembre, un aggregato di fanatici e pregiudicati, che presto ottenne il favore dei tedeschi, appoggi altolocati nella RSI e il timore e il disprezzo della gente. Pose la base in via Rovello a Milano, negli edifici ora riscattati al genere umano dal Piccolo Teatro. Agirono con tale spregio di ogni regola che lo stesso federale di Milano, Aldo Resega, che di lì a poco sarà abbattuto dai partigiani, tentò invano di far sciogliere il malfamato reparto. Il comando della Muti appare però inattaccabile; riesce ad ottenere dal Ministero degli interni nella primavera del '44 la trasformazione formale in Legione autonoma Ettore Muti. Quel termine autonoma, i mutini lo interpreteranno a modo loro, cioè come possibilità di fare quello che vogliono.
Compiti affidati alla Legione:
1.    Lotta anti-partigiana.
2.    Repressione di ogni tentativo di movimento antinazionale o comun­que diretto a sabotare l'opera del Governo repubblicano (scioperi, at­tentati, propaganda sovversiva, ecc.).
3.    Impiego immediato contro eventuali nuclei di paracadutisti.
4.    Impiego immediato per fronteggiare eventuali sommosse popolari.
5.    Eventuali compiti a seconda dell'emergenza del momento e sempre dietro ordine del Capo della Provincia (sorveglianza conferimento ammassi, protezione lavori di trebbiatura, servizio di presidio ad enti statali, scorta convogli di carattere militare).
Forza della Legione (permanenti):
Ufficiali 69; sottufficiali 89; graduati 44; arditi 1306. Totale 1.508.
Ufficiali superiori:
colonnello Franco Colombo, comandante, ten.col. Ampelio Spadoni, di Romano Lombardo (Bergamo), vice-comandante ten. col. "Luciano Folli, di Lodi,
maggiore" Alessandro Bongi, di Milano,
maggiore Bruno DeStefani, di Milano
Dal libro di Ricciotti Lazzero “Le brigate nere” Rizzoli 1983
Fonte: Archivio di Stato - Como - Prefettura 122. L'elenco venne preparato, assieme a quello di tutti gli organi di polizie speciali della RSI in servizio al 25 aprile 1945, dalla Presidenza del Consiglio e trasmesso in plico sigillato, nell'agosto 1945, ai Prefetti ed ai Questori, in copie strettamente personali.
Poco prima della fine, il 9 marzo 1945, la "Muti" effettuò un rastrellamento in Val Cannobina, lungo la strada che da Cannobio (Lago Maggiore) porta a Domodossola. Nove partigiani garibaldini dell’85.ma Brigata furono costretti ad ingoiare ricci di castagne, poi evirati e sventrati a baionettate. L'11 marzo la "Muti" continuò il rastrellamento ad Armeno. (Guerriglia dell’'Ossola, Feltrinelli, Milano, pag.101).
SS italiane
In quasi tutti i paesi da loro occupati, i tedeschi avevano formato con i residenti dei reparti militari che avevano inserito a vario titolo nel proprio esercito; fra questi, spiccavano i battaglioni delle SS. Anche in Italia, ormai paese satellite, si percorse questa strada, anzi lo stesso Mussolini, sempre preoccupato di non perdere considerazione presso il Fuhrer, chiese la formazione di reparti di SS italiane già il 24 settembre 1943. Gli arruolati vengono addestrati a Munsingen, credono di andare a combattere inglesi e americani al fronte, ma Himmler e Wolff hanno stabilito che questi reparti debbano essere utilizzati per compiti di polizia, di ordine pubblico e di lotta antipartigiana. Gli vengono fornite le divise rabberciate dell'ex-esercito italiano ma, cosa determinante, con le mostrine rosse come le vere SS. A novembre avviene il rimpatrio, con la prima emorragia di soldati che scappano verso le loro case o la macchia. Malgrado ciò si costituiscono tredici battaglioni, sistemati nell'alta Italia, al comando di un generale tedesco alle dipendenze dirette di Wolff. Né Mussolini e né Graziani avranno mai potere su questi reparti, che giureranno non a loro ma a Hitler.
I componenti delle SS italiane copiano i loro maestri tedeschi e vogliono superarli, nei paesi dove eseguono i rastrellamenti dilaga il terrore.
Redazione, Brigate nere e SS italiane, 1 marzo 2008, ANPI Lissone