Borsa dirigerà il «Corriere» dall’aprile 1945 all’agosto 1946, un periodo breve ma intenso per le questioni che il paese si trovò ad affrontare in quei mesi - su tutte il referendum istituzionale e le elezioni per la Costituente -, che Borsa affrontò in piena coerenza con il “programma” che aveva enunciato nella polemica con Baldacci ospitata nel ’44 sulle pagine di «Stato moderno», a cui si è fatto riferimento in un paragrafo precedente.
Coerentemente con la linea politica espressa dal Partito d’Azione, che Borsa condivideva in larga misura, per il settantacinquenne direttore del «Corriere» occorreva prestare attenzione alla «grande massa della gente apolitica che va sempre dietro alla corrente senza molto capire», e per questa ragione era opportuno dare spazio ai giornali d’informazione - e segnatamente al «Corriere della Sera» -, più che ai quotidiani di partito, perché solo essi erano in grado di orientare in senso democratico la maggioranza della popolazione del paese, generalmente conformista e che «pensa solo ai suoi affari».
Il 25 aprile ’45 Borsa fu chiamato a dirigere il principale quotidiano milanese dal CLN aziendale del «Corriere della Sera», in virtù dei suoi precedenti antifascisti e dell’enorme prestigio accumulato nel corso di una lunga carriera.
Dopo il numero del 26 aprile, interdetto dal prefetto Lombardi, il giornale riprese le pubblicazioni il 22 maggio con la testata «Corriere d’Informazione», e soltanto il 7 maggio 1946 assunse la testata «Nuovo Corriere della Sera».
Nel corso dei primi mesi Borsa è attento ad ammonire che la destituzione di Mussolini non significava automaticamente il ritorno alla normalità: le colpe della dittatura non erano ascrivibili al solo Mussolini, ma anche alla «nostra borghesia che, presa nel 1919 da panico pecuniario per i disordini del dopoguerra, né gravi in sé né irrefrenabili, credette di vedere la propria salvezza sociale nei manganelli degli squadristi» <28. L’interlocutore che Borsa sceglie è quindi quella borghesia, nelle sue stratificazioni, che aveva storicamente rappresentato il principale bacino di lettori del «Corriere» e che era stata al centro dell’elaborazione politica del Partito d’Azione. Borsa, di fatto, chiede alla classe media una nuova consapevolezza dei compiti che è chiamata a realizzare nella nuova fase politica, un’assunzione di responsabilità di fronte alle numerose tensioni sociali esistenti nel paese e alla necessità di smantellare le vecchie strutture fasciste.
L’appoggio dato al governo Parri fu incondizionato, ed in questa fase è importante l’opera pedagogica di persuasione fatta da Borsa al fine di legittimare il metodo parlamentare e i partiti politici di massa, visti come strumenti essenziali della partecipazione popolare e della formazione della volontà politica. Per questi motivi Borsa criticò aspramente la caduta dell’esecutivo guidato dal leader azionista, e salutò con scarso calore il primo governo di De Gasperi, proprio perché intravedeva in questa manovra i prodromi della dissoluzione dell’unità d’azione del CLN e l’avvento della supremazia dei tre partiti di massa, ciascuno impegnato nella difesa dei propri interessi di partito.
Se nei primi sei mesi successivi alla liberazione Borsa si era impegnato a dissipare le diffuse paure per le numerose novità politiche, nella prima parte del ’46 si impegna per smentire quanti parlavano del probabile avvento della repubblica come di un “salto nel buio”. Con piglio pedagogico rovescia i molti luoghi comuni accreditati anche dalla stampa e li trasforma in efficaci slogan a favore della scelta repubblicana. Per controbilanciare la pubblicazione delle memorie del generale Badoglio avviata dalla «Stampa» di Filippo Burzio, Borsa pubblica le memorie del generale Zanussi, vice del ministro della guerra Roatta, decisamente critiche verso l’atteggiamento della monarchia nella fase successiva al 25 luglio. L’appello è ancora una volta alla borghesia, chiamata ad assumere un comportamento coraggioso e responsabile di fronte al paese. Nell’editoriale del 3 maggio 1946, significativamente intitolato Paura della repubblica, Borsa arringava la borghesia italiana con le seguenti parole: «Se in questo momento della storia d’Italia, tutti, uomini e donne, individui e partiti, devono sentire una grande responsabilità, a tanto maggior ragione deve sentirla la nostra borghesia. Molto, tutto forse può dipendere da lei. Essa non deve fuggire, non deve invocare la monarchia solo per mettersi al riparo nell’illusione che la monarchia, per se stessa, saprà energicamente affrontare e debellare le correnti di sinistra». A una borghesia pavida e reazionaria il peggio potrà invece capitare si, ignorando gli indirizzi repubblicani prevalenti nella popolazione, «invece di entrare anche essa apertamente nell’arena politica, pronta a cooperare perché non si commettano imprudenze, a discutere, a moderare e a frenare le tendenze estremiste […] fuggirà, come è sempre stato suo costume, da questa arena per gettarsi paurosamente ancora sotto i piedi della monarchia di ieri; un brutto ieri, un tragico ieri, un imperdonabile ieri, un ieri indimenticabile».
Con l’affermazione della repubblica, sempre più nettamente si profilava la fine della cooperazione fra i partiti antifascisti, e sempre più difficilmente governabile e instabile si presentava il quadro politico nazionale. Per questa ragione il 20 luglio Borsa, in un fondo intitolato Tendere al centro, si spinse a lanciare l’ipotesi della formazione di un partito di centro, di cui il «Corriere» avrebbe dovuto essere il promotore, nel quale avrebbero dovuto confluire «certi dissidenti democristiani e liberali, la destra socialista, i repubblicani, gli azionisti e gli altri partiti minori e mettere la sua base nella media borghesia, nei ceti medi professionisti e in quella parte di lavoratori specializzati che non vogliono essere dei semplici gregari tesserati». Tale partito avrebbe dovuto dotarsi di un programma riformista ma anche radicale, e rivolgersi non ad una specifica classe sociale, bensì all’intero popolo italiano.
Si trattava evidentemente di un’opzione politica irrealistica, emblematica del disagio che alcuni settori della cultura liberaldemocratica avvertivano per il mutato clima politico e di cui il «Corriere» di Borsa si fece portavoce. Conseguentemente le riserve per il secondo governo De Gasperi non tardarono a manifestarsi, accusato, insieme ai comunisti, di muoversi con ambiguità e di lasciare impregiudicati i problemi più scottanti del paese. Nel suo ultimo fondo, pubblicato il 4 agosto ’46, esprimeva alcune riserve sulla politica estera degasperiana: il 6, due giorni dopo, apparve sul quotidiano milanese una breve nota con il quale Borsa salutava i suoi lettori. I Crespi, infatti - che si erano opposti alla campagna repubblicana di Borsa e avevano criticato le riserve espresse verso la DC -, reintegrati pienamente nella proprietà del giornale anche grazie all’aiuto del leader democristiano, ritennero giunto il momento di sostituire Borsa con il conservatore Guglielmo Emanuel, per più attento alla linea del segretario della DC.
28 W. TOBAGI, Mario Borsa giornalista liberale. Il «Corriere della Sera» e la svolta dell’agosto 1946, in «Problemi dell’informazione», 3, 1976, pp. 457-486: 472.
Guido Ferrini, La stampa italiana dal dopoguerra alla seconda Repubblica. Dalle concentrazioni editoriali alla finanziarizzazione dell'editoria, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2014-2015
Coerentemente con la linea politica espressa dal Partito d’Azione, che Borsa condivideva in larga misura, per il settantacinquenne direttore del «Corriere» occorreva prestare attenzione alla «grande massa della gente apolitica che va sempre dietro alla corrente senza molto capire», e per questa ragione era opportuno dare spazio ai giornali d’informazione - e segnatamente al «Corriere della Sera» -, più che ai quotidiani di partito, perché solo essi erano in grado di orientare in senso democratico la maggioranza della popolazione del paese, generalmente conformista e che «pensa solo ai suoi affari».
Il 25 aprile ’45 Borsa fu chiamato a dirigere il principale quotidiano milanese dal CLN aziendale del «Corriere della Sera», in virtù dei suoi precedenti antifascisti e dell’enorme prestigio accumulato nel corso di una lunga carriera.
Dopo il numero del 26 aprile, interdetto dal prefetto Lombardi, il giornale riprese le pubblicazioni il 22 maggio con la testata «Corriere d’Informazione», e soltanto il 7 maggio 1946 assunse la testata «Nuovo Corriere della Sera».
Nel corso dei primi mesi Borsa è attento ad ammonire che la destituzione di Mussolini non significava automaticamente il ritorno alla normalità: le colpe della dittatura non erano ascrivibili al solo Mussolini, ma anche alla «nostra borghesia che, presa nel 1919 da panico pecuniario per i disordini del dopoguerra, né gravi in sé né irrefrenabili, credette di vedere la propria salvezza sociale nei manganelli degli squadristi» <28. L’interlocutore che Borsa sceglie è quindi quella borghesia, nelle sue stratificazioni, che aveva storicamente rappresentato il principale bacino di lettori del «Corriere» e che era stata al centro dell’elaborazione politica del Partito d’Azione. Borsa, di fatto, chiede alla classe media una nuova consapevolezza dei compiti che è chiamata a realizzare nella nuova fase politica, un’assunzione di responsabilità di fronte alle numerose tensioni sociali esistenti nel paese e alla necessità di smantellare le vecchie strutture fasciste.
L’appoggio dato al governo Parri fu incondizionato, ed in questa fase è importante l’opera pedagogica di persuasione fatta da Borsa al fine di legittimare il metodo parlamentare e i partiti politici di massa, visti come strumenti essenziali della partecipazione popolare e della formazione della volontà politica. Per questi motivi Borsa criticò aspramente la caduta dell’esecutivo guidato dal leader azionista, e salutò con scarso calore il primo governo di De Gasperi, proprio perché intravedeva in questa manovra i prodromi della dissoluzione dell’unità d’azione del CLN e l’avvento della supremazia dei tre partiti di massa, ciascuno impegnato nella difesa dei propri interessi di partito.
Se nei primi sei mesi successivi alla liberazione Borsa si era impegnato a dissipare le diffuse paure per le numerose novità politiche, nella prima parte del ’46 si impegna per smentire quanti parlavano del probabile avvento della repubblica come di un “salto nel buio”. Con piglio pedagogico rovescia i molti luoghi comuni accreditati anche dalla stampa e li trasforma in efficaci slogan a favore della scelta repubblicana. Per controbilanciare la pubblicazione delle memorie del generale Badoglio avviata dalla «Stampa» di Filippo Burzio, Borsa pubblica le memorie del generale Zanussi, vice del ministro della guerra Roatta, decisamente critiche verso l’atteggiamento della monarchia nella fase successiva al 25 luglio. L’appello è ancora una volta alla borghesia, chiamata ad assumere un comportamento coraggioso e responsabile di fronte al paese. Nell’editoriale del 3 maggio 1946, significativamente intitolato Paura della repubblica, Borsa arringava la borghesia italiana con le seguenti parole: «Se in questo momento della storia d’Italia, tutti, uomini e donne, individui e partiti, devono sentire una grande responsabilità, a tanto maggior ragione deve sentirla la nostra borghesia. Molto, tutto forse può dipendere da lei. Essa non deve fuggire, non deve invocare la monarchia solo per mettersi al riparo nell’illusione che la monarchia, per se stessa, saprà energicamente affrontare e debellare le correnti di sinistra». A una borghesia pavida e reazionaria il peggio potrà invece capitare si, ignorando gli indirizzi repubblicani prevalenti nella popolazione, «invece di entrare anche essa apertamente nell’arena politica, pronta a cooperare perché non si commettano imprudenze, a discutere, a moderare e a frenare le tendenze estremiste […] fuggirà, come è sempre stato suo costume, da questa arena per gettarsi paurosamente ancora sotto i piedi della monarchia di ieri; un brutto ieri, un tragico ieri, un imperdonabile ieri, un ieri indimenticabile».
Con l’affermazione della repubblica, sempre più nettamente si profilava la fine della cooperazione fra i partiti antifascisti, e sempre più difficilmente governabile e instabile si presentava il quadro politico nazionale. Per questa ragione il 20 luglio Borsa, in un fondo intitolato Tendere al centro, si spinse a lanciare l’ipotesi della formazione di un partito di centro, di cui il «Corriere» avrebbe dovuto essere il promotore, nel quale avrebbero dovuto confluire «certi dissidenti democristiani e liberali, la destra socialista, i repubblicani, gli azionisti e gli altri partiti minori e mettere la sua base nella media borghesia, nei ceti medi professionisti e in quella parte di lavoratori specializzati che non vogliono essere dei semplici gregari tesserati». Tale partito avrebbe dovuto dotarsi di un programma riformista ma anche radicale, e rivolgersi non ad una specifica classe sociale, bensì all’intero popolo italiano.
Si trattava evidentemente di un’opzione politica irrealistica, emblematica del disagio che alcuni settori della cultura liberaldemocratica avvertivano per il mutato clima politico e di cui il «Corriere» di Borsa si fece portavoce. Conseguentemente le riserve per il secondo governo De Gasperi non tardarono a manifestarsi, accusato, insieme ai comunisti, di muoversi con ambiguità e di lasciare impregiudicati i problemi più scottanti del paese. Nel suo ultimo fondo, pubblicato il 4 agosto ’46, esprimeva alcune riserve sulla politica estera degasperiana: il 6, due giorni dopo, apparve sul quotidiano milanese una breve nota con il quale Borsa salutava i suoi lettori. I Crespi, infatti - che si erano opposti alla campagna repubblicana di Borsa e avevano criticato le riserve espresse verso la DC -, reintegrati pienamente nella proprietà del giornale anche grazie all’aiuto del leader democristiano, ritennero giunto il momento di sostituire Borsa con il conservatore Guglielmo Emanuel, per più attento alla linea del segretario della DC.
28 W. TOBAGI, Mario Borsa giornalista liberale. Il «Corriere della Sera» e la svolta dell’agosto 1946, in «Problemi dell’informazione», 3, 1976, pp. 457-486: 472.
Guido Ferrini, La stampa italiana dal dopoguerra alla seconda Repubblica. Dalle concentrazioni editoriali alla finanziarizzazione dell'editoria, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2014-2015