Opera di Giuseppe (Pinot) Gallizio - Fonte: Archivio Gallizio |
Opera di Giuseppe (Pinot) Gallizio - Fonte: Archivio Gallizio |
Opera di Asger Jorn - Fonte: albissola.com |
PG - Allora, dicevo, mio padre ha conosciuto Jorn nel '55 o nel '56, adesso esattamente la data non la ricordo… l'ha conosciuto ad Albisola. Perché mio padre era andato giù, era stato invitato da dei ceramisti di Albisola. Questi ceramisti erano venuti ad Alba a fare una mostra… Adesso non faccio tutta la storia di mio padre che ha conosciuto Simondo, perché se no … comunque mio padre Simondo l'aveva conosciuto a Milano, poi Simondo è venuto ad abitare qui, Simondo dipinge, mio padre guarda, cominciano a discutere, a mio padre viene questa voglia, stimolato da Simondo il quale teorizzava che l'arte era alla portata di tutti, che bastava dare gli strumenti per esprimersi… quindi mio padre, anche in polemica con certi ambienti di Alba, ha cominciato a dipingere, poi la storia - diciamo così - è degenerata… Allora: nel periodo in cui mio padre e Simondo cominciavano a lavorare assieme, capita ad Alba un gruppo di ceramisti di Albisola, per una mostra al Circolo Sociale. Fanno amicizia e per l'estate organizzano una mostra di Simondo e mio padre in una pizzeria che c'era laggiù. . Mio padre e Jorn si sono conosciuti in quell'occasione, in modo abbastanza provocatorio perché… il "Florian" di Albisola, il locale dove esponevano gli artisti bravi, quotati, era il Bar Testa, tutti gli altri nei caffè minori… Mio padre aveva sentito parlare di Jorn e la cosa lo eccitava abbastanza, solo che Jorn si teneva un po' sulle sue e così una sera che lo ha visto, che gli hanno detto "quello è Jorn", mio padre, che era un tipo piuttosto aggressivo, è andato a sederglisi di fianco e gli ha detto: "Sei Jorn?" - "Sì" - "Io sono Gallizio". Intanto Jorn continuava a suonare il violino e allora mio padre ha avuto, non so, l'astuzia di prenderlo sull'archeologia, hanno cominciato a discorrere di quello e di lì hanno… si sono sciolti, c'è stato questo che penso sia stato addirittura un amore a prima vista perché dopo tre giorni Jorn lo ha invitato in studio, sopo una settimana era già qui ad Alba… penso che nel giro di due o tre mesi sia nata l'idea di questo movimento intorno al Laboratorio… non so se esistesse già a quei tempi il Movimento per una Bauhaus Immaginista o se sia stato creato allora…
SR - Per la verità risulterebbe che il M.I.B.I. sia stato fondato da Jorn già nel 1953, quindi due anni prima dell'incontro con Gallizio.
PG - Sì, nella mia memoria queste cose si accavallano un po'. E, niente, hanno costituito questo laboratorio. Jorn aveva già organizzato gli incontri Internazionali della Ceramica, come seconda manifestazione del M.I.B.I. si è tenuto nel '56, qui ad Alba, il Congresso Mondiale degli Artisti Liberi. Anche in questo caso l'organizzatore principale è stato Jorn (l'organizzazione locale, logistica, la disponibilità degli spazi, i soldi, a questo avevano pensato Simondo e mio padre. Gli inviti però sono stati fatti da Jorn). Annessa al congresso c'era una mostra di ceramiche futuriste, esisteva questa stima, da parte loro, del movimento futurista… era una specie di recupero. Poi c'era una mostra dei pittori che avrebbero dovuto collaborare alle attività del laboratorio. Era, fra l'altro, la prima volta che venivano degli artisti dall'Est, due cecoslovacchi, arrivati non so come, con dei pasticci tremendi… il capitano dei Carabinieri riceveva dei fonogrammi dal Ministero dell'Interno. Eravamo nel clima della guerra fredda, due che arrivavano qui ad Alba dalla Cecoslovacchia, i Carabinieri chissà cosa potevano pensare. Questi due si chiamavano Rada e Kotik. Dalla Francia era venuto Wolman che rappresentava l'Internazionale Lettrista, dal Belgio Calonne, poi c'erano i tedeschi, Fischer, ma c'è tutto nei libri della Bandini… E poi il bello è stato che siamo andati lì, a vederli inaugurare questo laboratorio che, se proprio vogliamo storicizzare ha funzionato prima come laboratorio di esperienze immaginiste, poi come laboratorio sperimentale dell'Internazionale Situazionista, ma in pratica ha funzionato soprattutto come studio di mio padre. Sì, sì, arrivavano… capitava qui qualcuno, si fermava due o tre giorni, lavoravano insieme, ma era più un fiore all'occhiello dell'I.S. che una struttura effettivamente funzionante. Questo qui lo dico e qui lo nego… Sì, non so, Jorn veniva, stava due, tre giorni, ma era più per venire ad Alba, per parlare con mio padre… Jorn avrà fatto, in tutto, una ventina di quadri qui ad Alba, non molti, quindi. Chi si è fermato parecchio (cinque o sei mesi, mi pare) è stato Constant. Si era trovato un alloggio… però non è che lavorasse molto. Probabilmente aveva voglia di farsi un po' di vacanze in Italia. Poi con mio padre legava abbastanza e quindi… avevano ideato questa costruzione ipotetica, no?, della casa degli zingari… Mio padre aveva fatto una battaglia in Consiglio Comunale in favore del diritto di sosta dei nomadi. Alba è lungo una delle direttrici principali di transito degli zingari e mio padre ne aveva preso le parti un po' come fatto antropologico, come fato culturale, come potrebbe fare adesso Pannella per il Terzo Mondo. Così era venuta fuori quell'idea e Constant aveva fatto qualche maquette, qualche piccolo progetto su questa cosa. Jorn magari mandava un telegramma: "Arrivo". Poi a volte non arrivava, oppure veniva su con tutta la famiglia… per lui Alba funzionava anche come punto d'appoggio. Era un impulsivo, come mio padre. Fra loro ad un certo punto c'è stata una rottura… una rottura molto strana perché non hanno mai litigato. Mi pare, dopo che mio padre aveva esposto la "Caverna dell'Anti-Materia" o qualcosa del genere, che tornando indietro in treno Jorn gli abbia detto una cosa del tipo: "Ormai puoi fare la tua strada da solo, sei arrivato a un punto in cui puoi camminare con le tue gambe" eccetera. E non si sono più visti. Mia madre ha una teoria al riguardo, che Jorn fosse per qualche verso geloso di mio padre. Io non so, a quel tempo stavo a Roma, venivo per Natale, Ferragosto, avevo con la mia famiglia contatti estremamente sporadici. Ma ricordo che mio padre mi raccontava che Jorn gli aveva preannunciato più volte che lo avrebbe aiutato, instradato (no, non è la parola giusta), lo avrebbe avviato, sino a che si sarebbe accorto che lui poteva andare avanti da solo. Anche quando mio padre è morto Jorn non si è fatto vivo. E' stata proprio una rottura netta. Ma mentre con Debord mio padre aveva litigato, con Simondo aveva litigato, con Jorn c'è stata una specie di divorzio unilaterale, di cui mio padre soffriva perché per lui Jorn era un punto di riferimento fondamentale, lo citava di continuo.. negli appunti che scriveva lo nomina centinaia di volte. Probabilmente questa vicenda è coincisa con la nostra espulsione dall'Internazionale Situazionista. Jorn forse ci credeva ancora, so che continuava a finanziarla perché ne è uscito ufficialmente ma è rientrto sotto pseudonimo. E uscito come Asger Jorn ed è rientrato come George Killer.
SR - Me ne parlava, quest'estate, Maurice Wyckaert.
PG - Anche lui è stato qui ad Alba. Lo ricordo come una persona molto simpatica, espansiva. Lo rivedrei volentieri. E' stato comunque un bel sodalizio, quello fra Jorn e mio padre. Penso che sia giusto che sia terminato (o forse che sia finito nel momento giusto) perché avevano entrambi una personalità molto forte. Mio padre, anche lui, non pensiamo, era una bella lenza… era una specie di carro armato, dotato di un egoismo, mascherato da una generosità incredibile, che però lo rendeva capace di passar sopra a qualsiasi cosa per raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva. Io penso che Jorn abbia intuito inteligentemente che era meglio lasciarsi con un bel ricordo piuttosto che litigando. E' una mia supposizione, comunque. I ricordi miei di Jorn sono splendidi. Avevo ventitre, ventiquattro anni, per me Jorn arrivava da un altro pianeta, era l'artista, l'estroso, era l'imprevedibile… una personalità che bene o male ti affascinava. Adesso, forse, che ho cinquant'anni mi affascinerebbe forse meno anche per quella parte, per così dire, un po' infantile che hanno i nordici. Mi stupivano, allora, per come riuscivano a divertirsi con delle cose che a noi sembrerebbero di una banalità incredibile. Bastava un violino o una canzone, erano capaci di star su tutta una notte, impazzivano. Noi italiani siamo un pochino più scafati, in questo (naturalmente si tratta di nuovo di un'opinione del tutto personale). Comunque Jorn e mio padre hanno fatto, qui ad Alba, due o tre sedute, specie agli inizi del laboratorio, con questi dipinti, con queste resine che erano effimere in modo estremo, bastava metterle al sole perché si sciogliessero... era proprio il materiale così. Però il gioco lo facevano volentieri, in cortile, con i calderoni, la pece… Diverse volte ho assistito a questi giochi collettivi. Poi mio padre è stato un po' più preso dalla pittura e i rapporti con Jorn hanno assunto un carattere diverso, più organizzativo. C'era da preparare la Conferenza di Monaco, poi un'esposizione ad Amsterdam…
SR - Quella famosa del labirinto.
PG - Sì, che poi è andata a monte. E' stato allora che è stato espulso mio padre perché aveva accettato di esporre la "Caverna dell'Anti-Materia". Ma l'espulsione sarebbe comunque avvenuta lo stesso, perché a quel punto ormai mio padre era ormai ammalato di pittura, la rivoluzione l'aveva per così dire già superata, cioè era attaccato a quel che faceva. Mentre due anni prima tirava la pittura industriale e la faceva a pezzi, la strappava, a quel punto se avesse dovuto incendiare la "Caverna dell'Anti-Materia", così, per fare un gesto, probabilmente non gli sarebbe più piaciuto, non sarebbe più riuscito. Era entrato nel meccanismo dell'artista, del pittore, in un ambito - se vogliamo - più tranquillo. Non so, posso raccontare ancora qualcuna delle provocazioni che facevano, come quando in treno da Monaco a Parigi (a Monaco c'era stata la Conferenza e mio padre aveva esposto da Van de Loo) passando da Ulm avevano deciso di lasciare un messaggio a Max Bill, un messaggio nello stile del naufrago, un messaggio d'insulti che poi, infilato in una bottiglia, hanno gettato sul marciapiede della stazione, ridendo come matti. A proposito di Debord, mi ricordo di una conferenza che avevamo fatto qui, alla "Famiglia Albese", un organismo tradizionale, che si occupava della tutela del dialetto e via dicendo. Ci siamo presentati davanti a un centinaio di persone con un registratore su cui per tutto il pomeriggio avevamo registrato la conferenza, l'abbiamo posato, l'abbiamo messo in funzione e siamo rimasti fermi per due ore e mezza mentre l'apparecchio parlava dicendo cose che probabilmente per il pubblico erano completamente incomprensibili, non so, la deriva situazionista… C'era un'atmosfera di gelo, anch'io mi sentivo a disagio. Mio padre probabilmente si divertiva, Debord si divertiva al massimo perché questo era il suo stile e Simondo anche, abbastanza. Nessuno osava dir niente. Oggi qualcuno si alzerebbe a gridare "scemo, scemo!", invece stavano lì, passivi, senza reazioni. Alla fine ci sono stati anche degli applausi…
Sandro Ricaldone, Intervista a Piergiorgio Gallizio su Pinot Gallizio, OCRA, n. 11, ottobre 1986, numero dedicato a Dotremont, Jorn, Gallizio
SR - Per la verità risulterebbe che il M.I.B.I. sia stato fondato da Jorn già nel 1953, quindi due anni prima dell'incontro con Gallizio.
PG - Sì, nella mia memoria queste cose si accavallano un po'. E, niente, hanno costituito questo laboratorio. Jorn aveva già organizzato gli incontri Internazionali della Ceramica, come seconda manifestazione del M.I.B.I. si è tenuto nel '56, qui ad Alba, il Congresso Mondiale degli Artisti Liberi. Anche in questo caso l'organizzatore principale è stato Jorn (l'organizzazione locale, logistica, la disponibilità degli spazi, i soldi, a questo avevano pensato Simondo e mio padre. Gli inviti però sono stati fatti da Jorn). Annessa al congresso c'era una mostra di ceramiche futuriste, esisteva questa stima, da parte loro, del movimento futurista… era una specie di recupero. Poi c'era una mostra dei pittori che avrebbero dovuto collaborare alle attività del laboratorio. Era, fra l'altro, la prima volta che venivano degli artisti dall'Est, due cecoslovacchi, arrivati non so come, con dei pasticci tremendi… il capitano dei Carabinieri riceveva dei fonogrammi dal Ministero dell'Interno. Eravamo nel clima della guerra fredda, due che arrivavano qui ad Alba dalla Cecoslovacchia, i Carabinieri chissà cosa potevano pensare. Questi due si chiamavano Rada e Kotik. Dalla Francia era venuto Wolman che rappresentava l'Internazionale Lettrista, dal Belgio Calonne, poi c'erano i tedeschi, Fischer, ma c'è tutto nei libri della Bandini… E poi il bello è stato che siamo andati lì, a vederli inaugurare questo laboratorio che, se proprio vogliamo storicizzare ha funzionato prima come laboratorio di esperienze immaginiste, poi come laboratorio sperimentale dell'Internazionale Situazionista, ma in pratica ha funzionato soprattutto come studio di mio padre. Sì, sì, arrivavano… capitava qui qualcuno, si fermava due o tre giorni, lavoravano insieme, ma era più un fiore all'occhiello dell'I.S. che una struttura effettivamente funzionante. Questo qui lo dico e qui lo nego… Sì, non so, Jorn veniva, stava due, tre giorni, ma era più per venire ad Alba, per parlare con mio padre… Jorn avrà fatto, in tutto, una ventina di quadri qui ad Alba, non molti, quindi. Chi si è fermato parecchio (cinque o sei mesi, mi pare) è stato Constant. Si era trovato un alloggio… però non è che lavorasse molto. Probabilmente aveva voglia di farsi un po' di vacanze in Italia. Poi con mio padre legava abbastanza e quindi… avevano ideato questa costruzione ipotetica, no?, della casa degli zingari… Mio padre aveva fatto una battaglia in Consiglio Comunale in favore del diritto di sosta dei nomadi. Alba è lungo una delle direttrici principali di transito degli zingari e mio padre ne aveva preso le parti un po' come fatto antropologico, come fato culturale, come potrebbe fare adesso Pannella per il Terzo Mondo. Così era venuta fuori quell'idea e Constant aveva fatto qualche maquette, qualche piccolo progetto su questa cosa. Jorn magari mandava un telegramma: "Arrivo". Poi a volte non arrivava, oppure veniva su con tutta la famiglia… per lui Alba funzionava anche come punto d'appoggio. Era un impulsivo, come mio padre. Fra loro ad un certo punto c'è stata una rottura… una rottura molto strana perché non hanno mai litigato. Mi pare, dopo che mio padre aveva esposto la "Caverna dell'Anti-Materia" o qualcosa del genere, che tornando indietro in treno Jorn gli abbia detto una cosa del tipo: "Ormai puoi fare la tua strada da solo, sei arrivato a un punto in cui puoi camminare con le tue gambe" eccetera. E non si sono più visti. Mia madre ha una teoria al riguardo, che Jorn fosse per qualche verso geloso di mio padre. Io non so, a quel tempo stavo a Roma, venivo per Natale, Ferragosto, avevo con la mia famiglia contatti estremamente sporadici. Ma ricordo che mio padre mi raccontava che Jorn gli aveva preannunciato più volte che lo avrebbe aiutato, instradato (no, non è la parola giusta), lo avrebbe avviato, sino a che si sarebbe accorto che lui poteva andare avanti da solo. Anche quando mio padre è morto Jorn non si è fatto vivo. E' stata proprio una rottura netta. Ma mentre con Debord mio padre aveva litigato, con Simondo aveva litigato, con Jorn c'è stata una specie di divorzio unilaterale, di cui mio padre soffriva perché per lui Jorn era un punto di riferimento fondamentale, lo citava di continuo.. negli appunti che scriveva lo nomina centinaia di volte. Probabilmente questa vicenda è coincisa con la nostra espulsione dall'Internazionale Situazionista. Jorn forse ci credeva ancora, so che continuava a finanziarla perché ne è uscito ufficialmente ma è rientrto sotto pseudonimo. E uscito come Asger Jorn ed è rientrato come George Killer.
SR - Me ne parlava, quest'estate, Maurice Wyckaert.
PG - Anche lui è stato qui ad Alba. Lo ricordo come una persona molto simpatica, espansiva. Lo rivedrei volentieri. E' stato comunque un bel sodalizio, quello fra Jorn e mio padre. Penso che sia giusto che sia terminato (o forse che sia finito nel momento giusto) perché avevano entrambi una personalità molto forte. Mio padre, anche lui, non pensiamo, era una bella lenza… era una specie di carro armato, dotato di un egoismo, mascherato da una generosità incredibile, che però lo rendeva capace di passar sopra a qualsiasi cosa per raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva. Io penso che Jorn abbia intuito inteligentemente che era meglio lasciarsi con un bel ricordo piuttosto che litigando. E' una mia supposizione, comunque. I ricordi miei di Jorn sono splendidi. Avevo ventitre, ventiquattro anni, per me Jorn arrivava da un altro pianeta, era l'artista, l'estroso, era l'imprevedibile… una personalità che bene o male ti affascinava. Adesso, forse, che ho cinquant'anni mi affascinerebbe forse meno anche per quella parte, per così dire, un po' infantile che hanno i nordici. Mi stupivano, allora, per come riuscivano a divertirsi con delle cose che a noi sembrerebbero di una banalità incredibile. Bastava un violino o una canzone, erano capaci di star su tutta una notte, impazzivano. Noi italiani siamo un pochino più scafati, in questo (naturalmente si tratta di nuovo di un'opinione del tutto personale). Comunque Jorn e mio padre hanno fatto, qui ad Alba, due o tre sedute, specie agli inizi del laboratorio, con questi dipinti, con queste resine che erano effimere in modo estremo, bastava metterle al sole perché si sciogliessero... era proprio il materiale così. Però il gioco lo facevano volentieri, in cortile, con i calderoni, la pece… Diverse volte ho assistito a questi giochi collettivi. Poi mio padre è stato un po' più preso dalla pittura e i rapporti con Jorn hanno assunto un carattere diverso, più organizzativo. C'era da preparare la Conferenza di Monaco, poi un'esposizione ad Amsterdam…
SR - Quella famosa del labirinto.
PG - Sì, che poi è andata a monte. E' stato allora che è stato espulso mio padre perché aveva accettato di esporre la "Caverna dell'Anti-Materia". Ma l'espulsione sarebbe comunque avvenuta lo stesso, perché a quel punto ormai mio padre era ormai ammalato di pittura, la rivoluzione l'aveva per così dire già superata, cioè era attaccato a quel che faceva. Mentre due anni prima tirava la pittura industriale e la faceva a pezzi, la strappava, a quel punto se avesse dovuto incendiare la "Caverna dell'Anti-Materia", così, per fare un gesto, probabilmente non gli sarebbe più piaciuto, non sarebbe più riuscito. Era entrato nel meccanismo dell'artista, del pittore, in un ambito - se vogliamo - più tranquillo. Non so, posso raccontare ancora qualcuna delle provocazioni che facevano, come quando in treno da Monaco a Parigi (a Monaco c'era stata la Conferenza e mio padre aveva esposto da Van de Loo) passando da Ulm avevano deciso di lasciare un messaggio a Max Bill, un messaggio nello stile del naufrago, un messaggio d'insulti che poi, infilato in una bottiglia, hanno gettato sul marciapiede della stazione, ridendo come matti. A proposito di Debord, mi ricordo di una conferenza che avevamo fatto qui, alla "Famiglia Albese", un organismo tradizionale, che si occupava della tutela del dialetto e via dicendo. Ci siamo presentati davanti a un centinaio di persone con un registratore su cui per tutto il pomeriggio avevamo registrato la conferenza, l'abbiamo posato, l'abbiamo messo in funzione e siamo rimasti fermi per due ore e mezza mentre l'apparecchio parlava dicendo cose che probabilmente per il pubblico erano completamente incomprensibili, non so, la deriva situazionista… C'era un'atmosfera di gelo, anch'io mi sentivo a disagio. Mio padre probabilmente si divertiva, Debord si divertiva al massimo perché questo era il suo stile e Simondo anche, abbastanza. Nessuno osava dir niente. Oggi qualcuno si alzerebbe a gridare "scemo, scemo!", invece stavano lì, passivi, senza reazioni. Alla fine ci sono stati anche degli applausi…
Sandro Ricaldone, Intervista a Piergiorgio Gallizio su Pinot Gallizio, OCRA, n. 11, ottobre 1986, numero dedicato a Dotremont, Jorn, Gallizio
In una direzione analogamente sprovincializzante, seppure alimentata da uno spirito del tutto diverso e "reticolare", è da inquadrare il contributo anticonformista di Giuseppe Pinot Gallizio (chimico, farmacista, studioso di botanica officinale e di cultura popolare, archeologo, partigiano oltreché artista) alacremente impegnato nel Laboratorio Sperimentale d'Alba del Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista (1955-57) e, successivamente, nelle attività dell'Internazionale Situazionista dal 1957 da cui viene espulso nel 1960. Non sorprendono le dichiarazioni di stima e riconoscenza di Gilardi e Pistoletto verso questo artista atipico scomparso troppo presto nel 1964. A ben guardare la sua opera si possono scorgere alcuni dei temi intorno ai quali anche i due artisti svilupperanno le loro ricerche: la centralità dell'elaborazione teorica, dimentica dell'intermediazione critica e tesa ad una «ridefinizione fondamentale dell'arte» <222, lo sforzo strenuo di conciliazione tra l'arte e la vita e, non ultima, la riconosciuta capacità di costruire il lavoro in una «forma comunitaria e collettiva».
222 M. Bandini, Pinot Gallizio: "Il 'Primo Laboratorio di Esperienze Immaginiste del Movimento per una Bauhaus Immaginista' (Alba 55-57} e il 'Laboratorio Sperimentale d'Alba dell'Internazionale Situazionista' (1957-60)", in «DATA»,# 9, autunno 1973, p. 17.
Maria De Vivo, La «smaterializzazione» dell'opera e la questione dell'arte relazionale. Il dibattito critico in Italia e le esperienze artistiche di Piero Gilardi e Michelangelo Pistoletto, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2011-2012
222 M. Bandini, Pinot Gallizio: "Il 'Primo Laboratorio di Esperienze Immaginiste del Movimento per una Bauhaus Immaginista' (Alba 55-57} e il 'Laboratorio Sperimentale d'Alba dell'Internazionale Situazionista' (1957-60)", in «DATA»,# 9, autunno 1973, p. 17.
Maria De Vivo, La «smaterializzazione» dell'opera e la questione dell'arte relazionale. Il dibattito critico in Italia e le esperienze artistiche di Piero Gilardi e Michelangelo Pistoletto, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2011-2012
Tra il 1959 e il 1961, in collaborazione con Sandberg, Marinotti organizzò una trilogia di esposizioni ovvero “Vitalità nell’Arte” (1959), “Dalla natura all’arte” (1960) e “Arte e Contemplazione” (1961). <95 La seconda mostra del ciclo, “Dalla natura all’arte”, allestita tra l’estate e l’inizio dell’autunno del 1960, riuniva un nucleo eterogeneo di artisti internazionali - Jean Dubuffet, Lucio Fontana, Henry Heerup, Enzo Mari, Etienne Martin, Bruno Munari, Pinot Gallizio, Germaine Richier, Sofu Teshigahara - intorno al tema dell’espressività spontanea delle forme naturali come motivo ispiratore dell’arte. <96
Curata da Marinotti, la mostra aveva un comitato scientifico composto da Sandberg e da Michel Tapié. <97 Il primo testo in catalogo, a firma di Marinotti in qualità curatore della mostra, trasponeva all’arte contemporanea l’idea delle forme in arte quale metafora dell’universo propria de "La vie des formes" di Henry Focillon. <98
[...] In chiusura, la parte più innovativa della mostra era costituita da due opere ambientali di Pinot Gallizio ovvero "Lo spazio incredulo dei dissimetrici" (1959), una grande tela allestita con un baldacchino di fronte e la "Caverna dell’Antimateria" (1958-59), una grotta praticabile di quasi centocinquanta metri di tela dipinta a ricoprire pavimento, pareti e soffitto dello spazio, realizzata l’anno prima per la Galleria Druin di Parigi. <110
[...] La recensione di Paul Davay fornisce ulteriori dettagli nella descrizione dell’opera: “Eravamo quindi colpiti, a mò di apoteosi dalle sale che vi proponevano colpo su colpo, allestito come l’altare di un culto il gigantesco dipinto di Gallizio (2,05x10 metri) intitolato “Elemento spaziale del tempio dei miscredenti”, quindi in un’oscurità solforosa i concetti spaziali dipinti e scolpiti da Lucio Fontana, per tuffarsi quindi nell’ultimo secondo in una esplosione lirica, una grotta decorata di satin rosa sbuffante, da colonne trasparenti fatte di tessuti tesi sensualmente come una pelle, da bande annodate diagonalmente. Uscendo da un angosciante inferno di forme in gestazione, Fontana realizza con questo incantesimo luminoso l’“Esaltazione di una forma” e mi sembra un decoro che sia scappato alla notte caligaresca per diventare il boudoir di una principessa eterea”.
[NOTE]
95 La prima mostra della trilogia, “Vitalità nell’arte”, si proponeva di mostrare lo slancio vitale dell’arte astratta del secondo dopoguerra. Allestita da Carlo Scarpa e dotata di un comitato scientifico di prim’ordine che annoverava oltre ai curatori Marinotti e Sandberg, James Johnson Sweeney, direttore del Guggenheim di New York, Thomas Grochowiak, direttore della Kunsthalle di Recklinghausen, il critico Marco Valsecchi e Rodolfo Pallucchini, già direttore artistico del settore Arti Visive della Biennale di Venezia; dopo la tappa veneziana venne allestita a Recklinghausen e quindi a Amsterdam.Tra gli artisti in mostra, Karel Appel, Pierre Alechinsky, Alberto Burri, César, Willem De Koonig, Jean Dubuffet, Asger Jorn, Marino Marini, Mattia Moreni, Etienne Martin, Edoardo Paolozzi, Jackson Pollock, Arnaldo e Giò Pomodoro e Emilio Vedova. Vitalità nell'arte, catalogo mostra, Palazzo Grassi Venezia, agosto-ottobre 1959, Recklinghausen Kunsthalle, ottobre-dicembre 1959, Stedelijk Museum Amsterdam, dicembre gennaio 59-60, Centro Internazionale delle Arti e del Costume, Venezia 1959.
96 Anche “Dalla natura all’arte” dopo Venezia venne allestita a Amsterdam dal 16 dicembre 1960 al 16 gennaio 1961. Il catalogo italiano non riporta testimonianza della seconda tappa né le date di inizio e fine della mostra. In base alle recensioni sulla stampa si evince che sia stata allestita in luglio, mentre una lettera conservata negli archivi dello Stedelijk Museum e inviata da Marinotti a Sandberg il 23 settembre 1960 attesta che la mostra venne prorogata fino al 9 ottobre 1960.
97 Dalla lettera conservata negli archivi dello Stedelijk Museum e inviata da Londra il 25 aprile 1960 da Marinotti a Sandberg, si evince che il titolo della mostra venne ideato del direttore museale. Lettera del 25/4/1960 di Paolo Marinotti a Willem Sandberg, Archivi Stedelijk Museum. Regesto dei documenti, lettere inedite, n. 19.
98 H. Focillon, La vita delle forme (1934), Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1972.
110 L’opera venne acquisita da Marinotti per Palazzo Grassi dove fu però allestita in modo parziale. Colicelli Cagol, Venezia e la vitalità.., cit., p. 68.
Marina Pugliese, “Per la prima volta in Italia e nel mondo”. Gli ambienti di Lucio Fontana. Ricognizione storico documentaria, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno accademico 2013/2014
Curata da Marinotti, la mostra aveva un comitato scientifico composto da Sandberg e da Michel Tapié. <97 Il primo testo in catalogo, a firma di Marinotti in qualità curatore della mostra, trasponeva all’arte contemporanea l’idea delle forme in arte quale metafora dell’universo propria de "La vie des formes" di Henry Focillon. <98
[...] In chiusura, la parte più innovativa della mostra era costituita da due opere ambientali di Pinot Gallizio ovvero "Lo spazio incredulo dei dissimetrici" (1959), una grande tela allestita con un baldacchino di fronte e la "Caverna dell’Antimateria" (1958-59), una grotta praticabile di quasi centocinquanta metri di tela dipinta a ricoprire pavimento, pareti e soffitto dello spazio, realizzata l’anno prima per la Galleria Druin di Parigi. <110
[...] La recensione di Paul Davay fornisce ulteriori dettagli nella descrizione dell’opera: “Eravamo quindi colpiti, a mò di apoteosi dalle sale che vi proponevano colpo su colpo, allestito come l’altare di un culto il gigantesco dipinto di Gallizio (2,05x10 metri) intitolato “Elemento spaziale del tempio dei miscredenti”, quindi in un’oscurità solforosa i concetti spaziali dipinti e scolpiti da Lucio Fontana, per tuffarsi quindi nell’ultimo secondo in una esplosione lirica, una grotta decorata di satin rosa sbuffante, da colonne trasparenti fatte di tessuti tesi sensualmente come una pelle, da bande annodate diagonalmente. Uscendo da un angosciante inferno di forme in gestazione, Fontana realizza con questo incantesimo luminoso l’“Esaltazione di una forma” e mi sembra un decoro che sia scappato alla notte caligaresca per diventare il boudoir di una principessa eterea”.
[NOTE]
95 La prima mostra della trilogia, “Vitalità nell’arte”, si proponeva di mostrare lo slancio vitale dell’arte astratta del secondo dopoguerra. Allestita da Carlo Scarpa e dotata di un comitato scientifico di prim’ordine che annoverava oltre ai curatori Marinotti e Sandberg, James Johnson Sweeney, direttore del Guggenheim di New York, Thomas Grochowiak, direttore della Kunsthalle di Recklinghausen, il critico Marco Valsecchi e Rodolfo Pallucchini, già direttore artistico del settore Arti Visive della Biennale di Venezia; dopo la tappa veneziana venne allestita a Recklinghausen e quindi a Amsterdam.Tra gli artisti in mostra, Karel Appel, Pierre Alechinsky, Alberto Burri, César, Willem De Koonig, Jean Dubuffet, Asger Jorn, Marino Marini, Mattia Moreni, Etienne Martin, Edoardo Paolozzi, Jackson Pollock, Arnaldo e Giò Pomodoro e Emilio Vedova. Vitalità nell'arte, catalogo mostra, Palazzo Grassi Venezia, agosto-ottobre 1959, Recklinghausen Kunsthalle, ottobre-dicembre 1959, Stedelijk Museum Amsterdam, dicembre gennaio 59-60, Centro Internazionale delle Arti e del Costume, Venezia 1959.
96 Anche “Dalla natura all’arte” dopo Venezia venne allestita a Amsterdam dal 16 dicembre 1960 al 16 gennaio 1961. Il catalogo italiano non riporta testimonianza della seconda tappa né le date di inizio e fine della mostra. In base alle recensioni sulla stampa si evince che sia stata allestita in luglio, mentre una lettera conservata negli archivi dello Stedelijk Museum e inviata da Marinotti a Sandberg il 23 settembre 1960 attesta che la mostra venne prorogata fino al 9 ottobre 1960.
97 Dalla lettera conservata negli archivi dello Stedelijk Museum e inviata da Londra il 25 aprile 1960 da Marinotti a Sandberg, si evince che il titolo della mostra venne ideato del direttore museale. Lettera del 25/4/1960 di Paolo Marinotti a Willem Sandberg, Archivi Stedelijk Museum. Regesto dei documenti, lettere inedite, n. 19.
98 H. Focillon, La vita delle forme (1934), Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1972.
110 L’opera venne acquisita da Marinotti per Palazzo Grassi dove fu però allestita in modo parziale. Colicelli Cagol, Venezia e la vitalità.., cit., p. 68.
Marina Pugliese, “Per la prima volta in Italia e nel mondo”. Gli ambienti di Lucio Fontana. Ricognizione storico documentaria, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno accademico 2013/2014