Avvantaggiandosi del vacuum di potere venutosi a creare, il 17 agosto 1945, soltanto tre giorni dopo la resa del Giappone, il leader nazionalista Sukarno dichiarava la nascita dell’indipendente Repubblica di Indonesia, sulle ceneri delle Indie Orientali Olandesi. Certamente, come sovente accade in questi casi, la dichiarazione di indipendenza non fu che il principio della Rivoluzione; nondimeno, nelle sei settimane che intercorsero tra la capitolazione giapponese e l’arrivo dei primi contingenti Alleati nell’arcipelago, Sukarno ebbe il tempo di gettare le basi del nuovo Stato indipendente: una nuova Costituzione federale ispirata ai cinque principi della Pancasila, <10 l’insediamento di un governo provvisorio, la formazione di un corpo di polizia ed un embrionale apparato amministrativo. <11
A differenza della Gran Bretagna, che riuscì ed eseguire una transizione relativamente morbida verso la decolonizzazione, mantenendo i propri ex domìni nell’orbita del Commonwealth, Francia e Olanda non esitarono a ricorrere all’intervento militare per riconquistare le proprie colonie, nonostante le perplessità americane. L’atteggiamento dell’amministrazione Truman al riguardo fu inizialmente una silente neutralità, che evidenziava il dilemma innanzi a cui si trovava. Da un lato, infatti, gli Stati Uniti dovevano preservare la relazione con gli strategici alleati europei, che considerava indispensabili; dall’altro, rimaneva sempre presente il rischio per gli USA che il favorire apertamente le screditate potenze coloniali potesse aizzare i movimenti nazionalisti, provocando sentimenti anti-americani, con il rischio di spingere quei Paesi tra le braccia dei sovietici. <12
Con il passare del tempo, tuttavia, i destini di Indocina ed Indonesia si separarono. In Indocina, dove la minaccia dei movimenti di ispirazione comunista - quello dei Viet Minh tra tutti - sarebbe stata via via più pressante, gli Stati Uniti decisero di appoggiare i francesi, inaugurando il celebre coinvolgimento americano nella regione che non si sarebbe risolto fino al 1975. In Indonesia, al contrario, dopo aver invano tentato la mediazione con Amsterdam - anche con l’ausilio dell’ONU - gli Stati Uniti finirono col promuovere la causa della decolonizzazione, piegando le rimostranze degli olandesi, i quali riconobbero finalmente l’indipendenza all’Indonesia il 27 dicembre 1949. <13 Due principali considerazioni pesarono sulla decisione americana. Per ciò che riguardava l’Olanda, essa si era dimostrata incapace di giungere militarmente ad una vittoria netta in Indonesia, facendo presagire un futuro di incertezza ed instabilità per il Paese. <14
I nazionalisti indonesiani di Sukarno, al contrario, specialmente dopo l’episodio di Madiun del 1948 - in cui una rivolta comunista fomentata dal PKI (Partai Komunis Indonesia, partito comunista indonesiano) venne repressa nel sangue – erano emersi come la vera forza unificatrice, dimostrando, elemento di fondamentale importanza, di possedere sufficienti credenziali anti-comuniste. <15
Per Washington, l’indipendenza indonesiana sarebbe quindi stata funzionale allo sviluppo di “an effective counterforce to communism in the Far East leading eventually to the emergence of SEA [Sudest Asiatico] an integral part of the free world”, ribadendo l’importanza di assicurare l’integrazione del Giappone al Sudest asiatico, col fine ultimo di garantire l’accesso occidentale alle sue risorse.16 Il ruolo che gli USA avevano avuto nell’indipendenza indonesiana, dimostrava come ormai “the future direction of the Third World was becoming an American responsability, not a European one”. <17 L’investitura dei nazionalisti indonesiani sarebbe cioè servita a dirigere l’inevitabile processo di decolonizzazione seguendo linee compatibili con gli interessi occidentali.18 Il 1949, annus horribilis della Guerra Fredda statunitense in Asia (fu infatti l’anno della definitiva affermazione della Repubblica Popolare Cinese, dello scoppio del primo ordigno atomico sovietico, ma anche della momentanea crisi nel piano di recupero industriale del Giappone), rese poi ancor più prioritaria l’esigenza di salvaguardare l’Indonesia e l’intero continente: “With the Communist threat to the Asian mainland increasing, the importance of keeping Indonesia in the anti-Communist camp is of greater and greater importance. The loss of Indonesia to the Communists would deprive the United States of an area of the highest political, economic and strategic importance”. <19 Tale stabilità, infine, fu perseguita anche attraverso un maggior interventismo degli Stati Uniti, decretato con il celebre documento del National Security Council intitolato “United States Objectives and Programs for National Security” dell’aprile 1950, noto come NSC-68. <20
1.3 Il periodo della democrazia parlamentare in Indonesia
Ottenuta finalmente l’indipendenza, da subito l’Indonesia dovette fronteggiare numerose problematiche, che affondavano le proprie radici nella natura dello Stato stesso, e che avrebbero caratterizzato per gli anni a venire l’arcipelago. L’economia era a pezzi: l’inflazione galoppava a livelli insostenibili, mentre la produzione industriale e agricola erano state messe a dura prova dall’occupazione giapponese e dalla Rivoluzione. La produzione e l’esportazione di materie prime, pur garantendo un importante afflusso di valuta estera, erano tuttavia ancora saldamente nelle mani di potenti multinazionali straniere, che operavano senza quasi alcun legame con l’economia indonesiana circostante. <21 L’esempio più rilevante in tal senso era quello del petrolio, appannaggio delle americane Caltex e Stanvac, e della anglo-olandese Royal Dutch Shell. Analogamente, i collegamenti commerciali tra le isole rimanevano prerogativa di compagnie navali straniere, come l’olandese KPM, mentre il settore bancario era ancora dominato da interessi olandesi, inglesi e cinesi. <22 Ad impedire una completa emancipazione da Amsterdam, infine, contribuiva la disputa riguardo il territorio della Nuova Guinea occidentale (West New Guinea, che gli indonesiani chiamavano West Irian). In epoca coloniale, esso era stato parte integrante delle Indie Orientali Olandesi; tuttavia, nell’accordo che riconosceva l’indipendenza indonesiana del 1949, la sovranità sulla Nuova Guinea occidentale non era stata trasferita a Giacarta, rimanendo pertanto sotto controllo olandese. Data l’incapacità di giungere ad una soluzione condivisa, la questione della WNG innescò ben presto un confronto internazionale tra i due Stati che fu fonte continua di fibrillazioni, tensioni ed instabilità, e che non si risolse fino ai primi anni ’60.
La popolazione soffriva uno dei tassi di povertà più alti al mondo, con una considerevole disparità di condizioni tra città e campagna, a netto sfavore di quest’ultima. La popolosa isola di Giava, e la capitale Giacarta soprattutto, rappresentavano il centro dello Stato, il nucleo ove risiedevano le élite di governo, cui faceva da contraltare la scarsa considerazione di cui godevano Sumatra (pur molto popolata e ricca di petrolio, specialmente nel suo settore centrale), Kalimantan (il Borneo indonesiano), Sulawesi e Bali, insieme alle altre Piccole Isole della Sonda e alle sperdute isole Molucche. La mancanza di adeguati sistemi di infrastrutture, comunicazione e telecomunicazione tra le isole, peraltro, non consentiva uno stretto controllo del centro sulla periferia, che veniva lasciata dunque all’amministrazione dei politici locali e dei comandanti a capo delle varie divisioni regionali dell’esercito nazionale indonesiano (Tentara Nasional Indonesia, TNI). Essi potevano godere di considerevole autonomia, che sovente si traduceva nel dilagare della corruzione e persino del contrabbando ad opera degli stessi militari, vere piaghe del neonato Stato indonesiano. <23
La composizione dell’esercito, poi, rispecchiava la natura estremamente eterogenea del Paese. Al suo interno trovavano infatti spazio elementi dell’ex esercito coloniale olandese, così come la gran parte dell’esercito repubblicano rivoluzionario (addestrato in maggioranza dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale). Quest’ultimo, a sua volta, non era stato che un blando coordinamento tra le diverse milizie repubblicane sparse lungo l’arcipelago. <24 Tutto ciò contribuiva a mantenere inalterate le fortissime identità regionali presenti in Indonesia, che trovavano giustificazione anche nella differente composizione etnica del Paese. <25
L’Islam era la religione più diffusa, ma con profonde divisioni tra musulmani integralisti e moderati (in primis, riguardo al ruolo che doveva ricoprire la religione islamica nell’assetto istituzionale del nuovo Stato), mentre non erano infrequenti vere e proprie rivolte islamiste nei confronti dello Stato indonesiano.26 Non trascurabili, poi, erano le comunità cristiane diffuse a macchia di leopardo in tutto il Paese, specialmente in Giava, mentre l’isola di Bali era prevalentemente di religione indù. <27
Data la sconcertante frammentazione dello Stato, l’unico elemento che riusciva ad accomunare l’intero arcipelago era la totale repulsione per qualsiasi forma di dominazione straniera, e questo sentimento, ben espresso dal nazionalismo, si incarnava nella figura di Sukarno. Fervente nazionalista ed abile arringatore di folle, nonché personaggio eccentrico ed imprevedibile, Sukarno (talvolta scritto “Soekarno”, in ossequio all’ortografia olandese) era insieme eroe della Rivoluzione, padre fondatore, ideologo e leader carismatico della nuova Indonesia, di cui sarebbe rimasto Presidente sino al 1967. <28
Sul piano dell’organizzazione politica, da un lato venne perseguita la centralizzazione burocratica, anche mediante l’adozione di una nuova Costituzione provvisoria (al posto della Costituzione federale del 1945), dall’altro il nuovo Stato assunse la forma di una democrazia parlamentare di stampo occidentale, che, considerata la frammentazione della società indonesiana, contribuì soltanto a mantenere il Paese in uno stato di cronica instabilità.
Durante il periodo democratico, infatti, si susseguirono una serie di governi molto fragili, anche a causa delle mutevoli alleanze che interessarono i principali partiti indonesiani del tempo. Tra questi, una sempre maggior rilevanza avrebbe ricoperto il PKI. Pur decimato e sconfitto dopo la rivolta fallita di Madiun del 1948, infatti, il partito comunista indonesiano non era stato bandito, e con l’ascesa di un nuovo gruppo dirigente, guidato dal giovane leader Dipa Nusantara Aidit, il PKI fu capace di riorganizzarsi ed affermarsi sulla scena politica interna. Il nuovo pragmatismo di Aidit - il quale sosteneva che il marxismo doveva essere una guida all’azione, piuttosto che un dogma inflessibile - fece guadagnare al partito crescenti consensi, dapprima tra i ceti urbani più poveri e i proletari delle campagne (organizzati in un sindacato, il SOBSI, interamente controllato dal PKI),29 e successivamente tra i piccoli proprietari terrieri. Sul piano politico interno, infine, la lotta invocata dal PKI ai “rimasugli del colonialismo” e la contrapposizione tra partiti islamici (tra cui spiccava Masjumi, o Masyumi) e secolarizzati, finì con l’avvicinare le posizioni del Partito Nazionalista - di cui Sukarno rimaneva l’ispiratore - ed il partito comunista. Questa alleanza, pur discontinua ed instabile, e più dettata dalla contingenza che dall’ideologia, consentì al PKI di fare entrare nel gabinetto di governo un numero variabile di suoi esponenti, o almeno di personalità ad esso riconducibili. <30
Comprensibilmente, la presenza di elementi filo-comunisti al governo - insieme alla relazione che la Repubblica Popolare Cinese in quegli anni stava cercando di intessere direttamente con il PKI - costituiva la principale fonte di preoccupazione per gli Stati Uniti riguardo l’Indonesia. <31
[NOTE]
9 McCormick, America’s Half-Century, pp. 114-118. McMahon, The Limits of Empire, p. 70.
10 La Pancasila è la principale enunciazione dei valori su cui si fonda tuttora la Repubblica indonesiana. Formulata da Sukarno stesso nel 1945, aveva lo scopo di fornire all’Indonesia una piattaforma ideologica condivisa in tutto l’arcipelago. Essa comprende cinque principi fondamentali: unità nazionale, giustizia sociale, credo in Dio (non esplicitamente Allah, dovendo includere anche le consistenti comunità cristiane ed induiste), umanitarismo e democrazia.
11 McMahon, The Limits of Empire, p. 22.
12 McMahon, The Limits of Empire, p. 26.
Kolko, Confronting the Third World, p. 54.
13 Per un approfondimento in merito, vedi: Evelyn Colbert, “The Road Not Taken: Decolonization and Independence in Indonesia and Indochina”, Foreign Affairs 51 (April, 1973): 608-28.
14 Westad, The Global Cold War, pp. 113-114.
15 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, pp. 280-82. McMahon, The Limits of Empire, pp. 33, 49.
16 NSC 51, U.S. Policy toward Southeast Asia, March 29, 1949, NSC Records, RG 273, NA, citato in: McMahon, The Limits of Empire, p. 33, e Simpson, Economists With Guns, p. 16.
Borden, The Pacific Alliance, pp. 137-42.
17 Westad, The Global Cold War, p. 27.
18 Simpson, Economists With Guns, p. 13.
19 FRUS 1950 VI: 964-966, Acheson to Truman, January 9, 1950, citato in: McMahon, The Limits of Empire, p. 49.
20 FRUS 1950 I: 85, Note by the Executive Secretary to the NSC on US Objectives and Programs for National Security, NSC 68, Washington, April 14, 1950.
Gaddis, John Lewis, Strategies of Containment: A Critical Appraisal of Postwar American National Security Policy, New York: Oxford University Press, 2005, pp. 87-124.
21 A questo proposito, è indicativo come fossero le royalties ed i diritti di importazione a costituire il nerbo delle entrate per lo Stato indonesiano, anziché l’imposizione fiscale sui contribuenti. (Simpson, Economists With Guns, p. 26).
22 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 291. de Bouter, Kyle C., Curbing Communism: American motivations for intervening militarily in Indonesia and Dutch newspaper representations, 1953-1957, Erasmus University Rotterdam, 2013, p. 16.
23 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, pp. 289-291.
24 de Bouter, Curbing Communism, p. 43.
25 Da menzionare l’influente minoranza etnica cinese, la quale deteneva un ruolo di primaria importanza nel settore del commercio, generando sovente il risentimento tra il resto della popolazione.
26 E’ il caso della regione di Aceh (Sumatra nord), che tutt’oggi conserva una notevole autonomia, e soprattutto del movimento Darul Islam, un gruppo di separatisti islamici sviluppatosi in Giava occidentale, su cui Giacarta riuscì ad avere la meglio soltanto nel 1962.
27 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 291.
28 Definito anche come: “mercurial” (Westad, The Global Cold War, p. 129), “sybaritic” (McMahon, The Limits of Empire, p. 22), ed il cui “seemingly infallible sense of political tactics reinforced his power and enormous ego” (Kolko, Confronting the Third World, p. 174). Per un approfondimento, vedi: Legge, J. D., Sukarno: A Political Biography, 2nd ed., Singapore: Stamford Press, 2003.
29 Sentral Organisasi Buruh Seleruh Indonesia (Organizazzione Centrale dei Lavoratori di tutta l’Indonesia).
30 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 293.
31 FRUS 1952-1954 XII (Part 2): 253, SE-51, The Significance Of The New Indonesian Government, Washington, September 18, 1953. FRUS 1952-1954 XII (Part 2): 254, Memo of Discussion at the 171st Meeting of the NSC, Washington, November 19, 1953. McMahon, The Limits of Empire, p. 47.
Carlo Martinelli, Un successo insperato: gli Stati Uniti e l'Indonesia, dall'indipendenza al colpo di stato del 1965, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2015
A differenza della Gran Bretagna, che riuscì ed eseguire una transizione relativamente morbida verso la decolonizzazione, mantenendo i propri ex domìni nell’orbita del Commonwealth, Francia e Olanda non esitarono a ricorrere all’intervento militare per riconquistare le proprie colonie, nonostante le perplessità americane. L’atteggiamento dell’amministrazione Truman al riguardo fu inizialmente una silente neutralità, che evidenziava il dilemma innanzi a cui si trovava. Da un lato, infatti, gli Stati Uniti dovevano preservare la relazione con gli strategici alleati europei, che considerava indispensabili; dall’altro, rimaneva sempre presente il rischio per gli USA che il favorire apertamente le screditate potenze coloniali potesse aizzare i movimenti nazionalisti, provocando sentimenti anti-americani, con il rischio di spingere quei Paesi tra le braccia dei sovietici. <12
Con il passare del tempo, tuttavia, i destini di Indocina ed Indonesia si separarono. In Indocina, dove la minaccia dei movimenti di ispirazione comunista - quello dei Viet Minh tra tutti - sarebbe stata via via più pressante, gli Stati Uniti decisero di appoggiare i francesi, inaugurando il celebre coinvolgimento americano nella regione che non si sarebbe risolto fino al 1975. In Indonesia, al contrario, dopo aver invano tentato la mediazione con Amsterdam - anche con l’ausilio dell’ONU - gli Stati Uniti finirono col promuovere la causa della decolonizzazione, piegando le rimostranze degli olandesi, i quali riconobbero finalmente l’indipendenza all’Indonesia il 27 dicembre 1949. <13 Due principali considerazioni pesarono sulla decisione americana. Per ciò che riguardava l’Olanda, essa si era dimostrata incapace di giungere militarmente ad una vittoria netta in Indonesia, facendo presagire un futuro di incertezza ed instabilità per il Paese. <14
I nazionalisti indonesiani di Sukarno, al contrario, specialmente dopo l’episodio di Madiun del 1948 - in cui una rivolta comunista fomentata dal PKI (Partai Komunis Indonesia, partito comunista indonesiano) venne repressa nel sangue – erano emersi come la vera forza unificatrice, dimostrando, elemento di fondamentale importanza, di possedere sufficienti credenziali anti-comuniste. <15
Per Washington, l’indipendenza indonesiana sarebbe quindi stata funzionale allo sviluppo di “an effective counterforce to communism in the Far East leading eventually to the emergence of SEA [Sudest Asiatico] an integral part of the free world”, ribadendo l’importanza di assicurare l’integrazione del Giappone al Sudest asiatico, col fine ultimo di garantire l’accesso occidentale alle sue risorse.16 Il ruolo che gli USA avevano avuto nell’indipendenza indonesiana, dimostrava come ormai “the future direction of the Third World was becoming an American responsability, not a European one”. <17 L’investitura dei nazionalisti indonesiani sarebbe cioè servita a dirigere l’inevitabile processo di decolonizzazione seguendo linee compatibili con gli interessi occidentali.18 Il 1949, annus horribilis della Guerra Fredda statunitense in Asia (fu infatti l’anno della definitiva affermazione della Repubblica Popolare Cinese, dello scoppio del primo ordigno atomico sovietico, ma anche della momentanea crisi nel piano di recupero industriale del Giappone), rese poi ancor più prioritaria l’esigenza di salvaguardare l’Indonesia e l’intero continente: “With the Communist threat to the Asian mainland increasing, the importance of keeping Indonesia in the anti-Communist camp is of greater and greater importance. The loss of Indonesia to the Communists would deprive the United States of an area of the highest political, economic and strategic importance”. <19 Tale stabilità, infine, fu perseguita anche attraverso un maggior interventismo degli Stati Uniti, decretato con il celebre documento del National Security Council intitolato “United States Objectives and Programs for National Security” dell’aprile 1950, noto come NSC-68. <20
1.3 Il periodo della democrazia parlamentare in Indonesia
Ottenuta finalmente l’indipendenza, da subito l’Indonesia dovette fronteggiare numerose problematiche, che affondavano le proprie radici nella natura dello Stato stesso, e che avrebbero caratterizzato per gli anni a venire l’arcipelago. L’economia era a pezzi: l’inflazione galoppava a livelli insostenibili, mentre la produzione industriale e agricola erano state messe a dura prova dall’occupazione giapponese e dalla Rivoluzione. La produzione e l’esportazione di materie prime, pur garantendo un importante afflusso di valuta estera, erano tuttavia ancora saldamente nelle mani di potenti multinazionali straniere, che operavano senza quasi alcun legame con l’economia indonesiana circostante. <21 L’esempio più rilevante in tal senso era quello del petrolio, appannaggio delle americane Caltex e Stanvac, e della anglo-olandese Royal Dutch Shell. Analogamente, i collegamenti commerciali tra le isole rimanevano prerogativa di compagnie navali straniere, come l’olandese KPM, mentre il settore bancario era ancora dominato da interessi olandesi, inglesi e cinesi. <22 Ad impedire una completa emancipazione da Amsterdam, infine, contribuiva la disputa riguardo il territorio della Nuova Guinea occidentale (West New Guinea, che gli indonesiani chiamavano West Irian). In epoca coloniale, esso era stato parte integrante delle Indie Orientali Olandesi; tuttavia, nell’accordo che riconosceva l’indipendenza indonesiana del 1949, la sovranità sulla Nuova Guinea occidentale non era stata trasferita a Giacarta, rimanendo pertanto sotto controllo olandese. Data l’incapacità di giungere ad una soluzione condivisa, la questione della WNG innescò ben presto un confronto internazionale tra i due Stati che fu fonte continua di fibrillazioni, tensioni ed instabilità, e che non si risolse fino ai primi anni ’60.
La popolazione soffriva uno dei tassi di povertà più alti al mondo, con una considerevole disparità di condizioni tra città e campagna, a netto sfavore di quest’ultima. La popolosa isola di Giava, e la capitale Giacarta soprattutto, rappresentavano il centro dello Stato, il nucleo ove risiedevano le élite di governo, cui faceva da contraltare la scarsa considerazione di cui godevano Sumatra (pur molto popolata e ricca di petrolio, specialmente nel suo settore centrale), Kalimantan (il Borneo indonesiano), Sulawesi e Bali, insieme alle altre Piccole Isole della Sonda e alle sperdute isole Molucche. La mancanza di adeguati sistemi di infrastrutture, comunicazione e telecomunicazione tra le isole, peraltro, non consentiva uno stretto controllo del centro sulla periferia, che veniva lasciata dunque all’amministrazione dei politici locali e dei comandanti a capo delle varie divisioni regionali dell’esercito nazionale indonesiano (Tentara Nasional Indonesia, TNI). Essi potevano godere di considerevole autonomia, che sovente si traduceva nel dilagare della corruzione e persino del contrabbando ad opera degli stessi militari, vere piaghe del neonato Stato indonesiano. <23
La composizione dell’esercito, poi, rispecchiava la natura estremamente eterogenea del Paese. Al suo interno trovavano infatti spazio elementi dell’ex esercito coloniale olandese, così come la gran parte dell’esercito repubblicano rivoluzionario (addestrato in maggioranza dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale). Quest’ultimo, a sua volta, non era stato che un blando coordinamento tra le diverse milizie repubblicane sparse lungo l’arcipelago. <24 Tutto ciò contribuiva a mantenere inalterate le fortissime identità regionali presenti in Indonesia, che trovavano giustificazione anche nella differente composizione etnica del Paese. <25
L’Islam era la religione più diffusa, ma con profonde divisioni tra musulmani integralisti e moderati (in primis, riguardo al ruolo che doveva ricoprire la religione islamica nell’assetto istituzionale del nuovo Stato), mentre non erano infrequenti vere e proprie rivolte islamiste nei confronti dello Stato indonesiano.26 Non trascurabili, poi, erano le comunità cristiane diffuse a macchia di leopardo in tutto il Paese, specialmente in Giava, mentre l’isola di Bali era prevalentemente di religione indù. <27
Data la sconcertante frammentazione dello Stato, l’unico elemento che riusciva ad accomunare l’intero arcipelago era la totale repulsione per qualsiasi forma di dominazione straniera, e questo sentimento, ben espresso dal nazionalismo, si incarnava nella figura di Sukarno. Fervente nazionalista ed abile arringatore di folle, nonché personaggio eccentrico ed imprevedibile, Sukarno (talvolta scritto “Soekarno”, in ossequio all’ortografia olandese) era insieme eroe della Rivoluzione, padre fondatore, ideologo e leader carismatico della nuova Indonesia, di cui sarebbe rimasto Presidente sino al 1967. <28
Sul piano dell’organizzazione politica, da un lato venne perseguita la centralizzazione burocratica, anche mediante l’adozione di una nuova Costituzione provvisoria (al posto della Costituzione federale del 1945), dall’altro il nuovo Stato assunse la forma di una democrazia parlamentare di stampo occidentale, che, considerata la frammentazione della società indonesiana, contribuì soltanto a mantenere il Paese in uno stato di cronica instabilità.
Durante il periodo democratico, infatti, si susseguirono una serie di governi molto fragili, anche a causa delle mutevoli alleanze che interessarono i principali partiti indonesiani del tempo. Tra questi, una sempre maggior rilevanza avrebbe ricoperto il PKI. Pur decimato e sconfitto dopo la rivolta fallita di Madiun del 1948, infatti, il partito comunista indonesiano non era stato bandito, e con l’ascesa di un nuovo gruppo dirigente, guidato dal giovane leader Dipa Nusantara Aidit, il PKI fu capace di riorganizzarsi ed affermarsi sulla scena politica interna. Il nuovo pragmatismo di Aidit - il quale sosteneva che il marxismo doveva essere una guida all’azione, piuttosto che un dogma inflessibile - fece guadagnare al partito crescenti consensi, dapprima tra i ceti urbani più poveri e i proletari delle campagne (organizzati in un sindacato, il SOBSI, interamente controllato dal PKI),29 e successivamente tra i piccoli proprietari terrieri. Sul piano politico interno, infine, la lotta invocata dal PKI ai “rimasugli del colonialismo” e la contrapposizione tra partiti islamici (tra cui spiccava Masjumi, o Masyumi) e secolarizzati, finì con l’avvicinare le posizioni del Partito Nazionalista - di cui Sukarno rimaneva l’ispiratore - ed il partito comunista. Questa alleanza, pur discontinua ed instabile, e più dettata dalla contingenza che dall’ideologia, consentì al PKI di fare entrare nel gabinetto di governo un numero variabile di suoi esponenti, o almeno di personalità ad esso riconducibili. <30
Comprensibilmente, la presenza di elementi filo-comunisti al governo - insieme alla relazione che la Repubblica Popolare Cinese in quegli anni stava cercando di intessere direttamente con il PKI - costituiva la principale fonte di preoccupazione per gli Stati Uniti riguardo l’Indonesia. <31
[NOTE]
9 McCormick, America’s Half-Century, pp. 114-118. McMahon, The Limits of Empire, p. 70.
10 La Pancasila è la principale enunciazione dei valori su cui si fonda tuttora la Repubblica indonesiana. Formulata da Sukarno stesso nel 1945, aveva lo scopo di fornire all’Indonesia una piattaforma ideologica condivisa in tutto l’arcipelago. Essa comprende cinque principi fondamentali: unità nazionale, giustizia sociale, credo in Dio (non esplicitamente Allah, dovendo includere anche le consistenti comunità cristiane ed induiste), umanitarismo e democrazia.
11 McMahon, The Limits of Empire, p. 22.
12 McMahon, The Limits of Empire, p. 26.
Kolko, Confronting the Third World, p. 54.
13 Per un approfondimento in merito, vedi: Evelyn Colbert, “The Road Not Taken: Decolonization and Independence in Indonesia and Indochina”, Foreign Affairs 51 (April, 1973): 608-28.
14 Westad, The Global Cold War, pp. 113-114.
15 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, pp. 280-82. McMahon, The Limits of Empire, pp. 33, 49.
16 NSC 51, U.S. Policy toward Southeast Asia, March 29, 1949, NSC Records, RG 273, NA, citato in: McMahon, The Limits of Empire, p. 33, e Simpson, Economists With Guns, p. 16.
Borden, The Pacific Alliance, pp. 137-42.
17 Westad, The Global Cold War, p. 27.
18 Simpson, Economists With Guns, p. 13.
19 FRUS 1950 VI: 964-966, Acheson to Truman, January 9, 1950, citato in: McMahon, The Limits of Empire, p. 49.
20 FRUS 1950 I: 85, Note by the Executive Secretary to the NSC on US Objectives and Programs for National Security, NSC 68, Washington, April 14, 1950.
Gaddis, John Lewis, Strategies of Containment: A Critical Appraisal of Postwar American National Security Policy, New York: Oxford University Press, 2005, pp. 87-124.
21 A questo proposito, è indicativo come fossero le royalties ed i diritti di importazione a costituire il nerbo delle entrate per lo Stato indonesiano, anziché l’imposizione fiscale sui contribuenti. (Simpson, Economists With Guns, p. 26).
22 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 291. de Bouter, Kyle C., Curbing Communism: American motivations for intervening militarily in Indonesia and Dutch newspaper representations, 1953-1957, Erasmus University Rotterdam, 2013, p. 16.
23 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, pp. 289-291.
24 de Bouter, Curbing Communism, p. 43.
25 Da menzionare l’influente minoranza etnica cinese, la quale deteneva un ruolo di primaria importanza nel settore del commercio, generando sovente il risentimento tra il resto della popolazione.
26 E’ il caso della regione di Aceh (Sumatra nord), che tutt’oggi conserva una notevole autonomia, e soprattutto del movimento Darul Islam, un gruppo di separatisti islamici sviluppatosi in Giava occidentale, su cui Giacarta riuscì ad avere la meglio soltanto nel 1962.
27 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 291.
28 Definito anche come: “mercurial” (Westad, The Global Cold War, p. 129), “sybaritic” (McMahon, The Limits of Empire, p. 22), ed il cui “seemingly infallible sense of political tactics reinforced his power and enormous ego” (Kolko, Confronting the Third World, p. 174). Per un approfondimento, vedi: Legge, J. D., Sukarno: A Political Biography, 2nd ed., Singapore: Stamford Press, 2003.
29 Sentral Organisasi Buruh Seleruh Indonesia (Organizazzione Centrale dei Lavoratori di tutta l’Indonesia).
30 Ricklefs, A History of Modern Indonesia, p. 293.
31 FRUS 1952-1954 XII (Part 2): 253, SE-51, The Significance Of The New Indonesian Government, Washington, September 18, 1953. FRUS 1952-1954 XII (Part 2): 254, Memo of Discussion at the 171st Meeting of the NSC, Washington, November 19, 1953. McMahon, The Limits of Empire, p. 47.
Carlo Martinelli, Un successo insperato: gli Stati Uniti e l'Indonesia, dall'indipendenza al colpo di stato del 1965, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2015