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venerdì 13 maggio 2022

Con l’innalzarsi della febbre razzista gli ebrei diventano giudei...


Che cosa ci raccontano, dei loro autori, questi libri sulla Palestina dei tempi del Mandato? Per rispondere possiamo dividere il “gruzzolo” editoriale fin qui messo insieme in tre filoni: quelli dei pochi autori ebrei (italiani e stranieri), forse troppo benevoli, con l’eccezione di Faragó; quelli dei due autori cattolici filoebrei e filosionisti, entrambi giornalisti: il francese Albert Londres e il triestino Mario Nordio, che scrive per un giornale fondato e posseduto da un ebreo (Nordio è certamente un più convinto simpatizzante sionista di Londres e la sua critica a una certa prosopopea degli ebrei dell’yishuv è blanda, soprattutto rispetto a quella di altri suoi colleghi); e infine gli altri, cioè quasi tutti: gli antiebrei e/o antisionisti, diventati, dopo il 1938, antisemiti, sui quali è bene soffermarsi più a lungo.
A questo proposito M. Sarfatti <163 scrive, citando R. Bonavita, che “fin dalla prima metà degli anni Trenta la narrativa di consumo più attenta alle necessità della propaganda attesta la presenza di una mentalità razzista”: <164 lo stesso appunto lo si può fare per i testi più dichiaratamente politici. Va detto onestamente che invece, nel campo della saggistica, veri e propri attacchi di stile razzista non ce ne sono almeno fino alla fine del 1937, <165 anche se un accenno al tema della razza - nonché l’uso di questa parola - affiora in moltissime pagine, a volte con una notevole acrimonia, senza peraltro che sottintenda un’inferiorità genetica. Un esempio su tutti: che cosa avrà voluto dire Troni quando scriveva: “[…] mercanti ebrei vi offrono, guardandovi con gli occhi cetacei, delle magnifiche perle orientali… di fabbricazione americana”? <166
Diverso il discorso sul versante dei religiosi perché, come scrive la Matard-Bonucci, “all’interno del clero negli anni Venti e Trenta non mancavano gli avversari dichiarati degli ebrei” <167 (lo vedremo analizzando i singoli titoli). Ci sono dunque frasi decisamente ingiuriose uscite non solo, e “comprensibilmente”, dalla penna di frati dei vari ordini presenti o no in Terra Santa, <168 ma anche da quella di alcuni cosiddetti laici, come Paribeni, il quale si lascia andare a frasi di questo genere: “E invano i vittoriosi Cristiani fecero per secoli pesare tutta la loro abominazione sui maledetti uccisori di Cristo […]”. <169
Da sottolineare, tuttavia, la non celata simpatia venata di compassione di alcuni autori, soprattutto quelli dichiaratamente osservanti, per gli arabi palestinesi. In tal modo i pellegrinaggi “religiosi” finiscono col diventare, in un certo senso e involontariamente, anche “politici”.
Molti scrittori fanno poi cenno, parlando della visita alla città di Gerusalemme, alla questione del Cenacolo, edificio conteso da tutte e tre le popolazioni residenti: gli ebrei e i musulmani perché affermavano essere stato costruito sulla tomba di David, i cristiani perché è il luogo dove si svolse l’ultima cena di Gesù; i musulmani, alla fine, l’avevano trasformata in moschea, modificandola anche dal punto di vista architettonico. A questi si aggiungono “i diritti dei re d’Italia sul Cenacolo”, come suona appunto il titolo dell’articolo dell’ambasciatore W. Maccotta. <170 Solo Vercesi, Monasterolo e Besozzi si soffermano, con una malcelata punta di polemica, sulla visita “da pellegrino” (ma non solo!) di Umberto di Savoia nel 1928. <171
Altro motivo di meraviglia, quando non di sdegno o sgomento o esplicito ribrezzo, sono gli ebrei dell’Europa orientale che, fuggendo a migliaia dalle persecuzioni polacche, russe e tedesche, si accalcano nei locali di infima classe di navi - in genere quelle del Lloyd Triestino, le più economiche <172 - che man mano che si avvicinano alla fine degli anni Trenta hanno la prima classe sempre più deserta <173 e l’ultima sempre più affollata.
Chi, come accennato, non arriva a Haifa o a Giaffa direttamente in nave vi arriva dall’Egitto grazie alla ferrovia che i tedeschi hanno iniziato a costruire tra la fine dell’Ottocento e il 1917 partendo da Alessandria e che l’Inghilterra completa nei primi anni Venti. <174 Su questi convogli, invece, di immigrati ebrei ce ne sono pochissimi. Un unicum è il viaggio in idrovolante da Brindisi a Haifa di p. Bacci.
Vi è poi una caratteristica comune a quasi tutti gli autori: senza distinzione alcuna, ebreo è sempre sinonimo di sionista, <175 e i due termini sono appunto intercambiabili anche quando si parla degli ebrei che sono rimasti in Europa o in America. E nemmeno nell’ambito degli ebrei sionisti si fa una pur vaga distinzione tra le varie realtà: in primis quelli che emigravano spinti dalle persecuzioni (prima dall’Europa orientale e poi, dai primi anni ‘30, anche dalla Germania), poi quelli che, a parole o con denaro, aiutavano a far conoscere e praticare il sionismo restando nel proprio Paese. <176 Né si fa cenno agli ebrei dichiaratamente antisionisti, tali per sano realismo o, soprattutto, per fedeltà alla nazione di cui sono cittadini da secoli (come, per esempio, gli ultraortodossi palestinesi, leali sudditi ottomani <177), o a quelli semplicemente indifferenti, i non-sionisti.
Con l’innalzarsi della febbre razzista gli ebrei diventano, con un termine dal sapore decisamente spregiativo, “giudei”.
È comunque opinione di tutti che gli ebrei non riusciranno mai nell’intento di costruire un proprio Stato, sia per l’opposizione violenta degli arabi, di cui si era visto l’effetto nel corso delle rivolte del 1920-22, 1929-30 e 1936, <178 sia per quella, meno violenta ma ormai visibile, degli inglesi. <179 Come scrive Vercesi, “la potenza mandataria infatti ha mille mezzi a sua disposizione per frustare [sic: voleva dire frustrare, il lapsus è più che freudiano…] il successo sionista nonostante tutti gli appoggi dei correligionari esteri”. <180
Da rimarcare infine che la maggior parte degli autori scrive un solo libro sulla Palestina. Fanno eccezione Tritonj, Giannini, Ambrosini e p. Baldi. È pur vero che Almagià era tornato più volte sul tema della Palestina, e solo da un punto di vista scientifico, anche se di monografia vera e propria c’è solo quella del 1930 edita da Morpurgo, essendo, gli altri scritti, volumi tratti da corposi articoli scritti per riviste geografiche. I motivi sono sostanzialmente due: il fatto di essere ebreo, anche se, a quanto sembra, poco o punto sionista, <181 e quello di essere un valente geografo, per di più specialista proprio del Levante mediterraneo.
Quanto agli altri autori, Giannini e Ambrosini trattano più volte, spesso autocitandosi, il tema palestinese, soprattutto in quanto giuristi e docenti universitari interessati ad aumentare, per motivi di prestigio e concorsuali, la loro lista di pubblicazioni; il terzo, p. Baldi, decisamente antiebreo, con le sue martellanti opere rivela di avere finalità politiche oltre che religiose, e si sa: gutta cavat lapidem… <182
Degli autori presenti in questo elenco, ben 8 figurano tra i firmatari del “Manifestodella razza”, pubblicato su “Il popolo d’Italia” il 14 luglio 1938: Acito, Barduzzi, Cecchelli, Cipolla, Misciattelli, Paribeni, Sottochiesa, Tritonj. C’è forse da stupirsene?
Naturalmente non è questo il luogo per discutere sui meriti letterari di tali pubblicazioni, ma mi si permetta di segnalare almeno la sciatta e roboante retorica di quasi tutti, <183 condita da un sovrano disprezzo per la grammatica e la sintassi. Senza parlare poi delle infinite storpiature dei nomi di luogo e di persona: per esempio, il povero generale Allenby, il conquistatore di Gerusalemme, si trova spesso immortalato come Allemby, per analogia con la regola tutta italiana che davanti a /m/, /b/ e /p/ non va mai la /n/… E da generale si trasforma spesso in maresciallo, quando non addirittura in colonnello. Pochi, in proporzione, i veri e propri refusi.
Ricordo poi che in questa sede non ho preso in considerazione numerosi libri, alcuni anche per le scuole, che trattano da vari punti di vista (storico, scientifico ecc.) il mondo degli ebrei, italiani e non, così come quelli puramente narrativi. <184
[NOTE]
163 M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista - Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2000, p. 149. La tesi di Bonavita è parzialmente in contrasto con quanto afferma lo stesso Sarfatti poche pagine prima.
164 Per esempio, nel 1932 le altrimenti ignote Edizioni «Sbaraglio» editano il romanzo di un non meglio identificato M.M. Sala intitolato Russia & Israel - Tra le spire della Sacerdotessa, di ben 552 pagine fitte fitte, onestamente illeggibile. Il libro è ampiamente commentato da V. Pinto in La terra ritrovata. Ebreo e nazione nel romanzo italiano del Novecento, La Giuntina, Firenze 2012, pp. 56-58.
165 Come scrive M. Sarfatti, cit., p. 129, “L’equazione ebrei = razza aveva iniziato a diffondersi nella dirigenza del partito e del paese” appena nel 1937. Le descrizioni degli arabi, seppur guardati un po’ dall’alto a causa della loro arretratezza culturale, economica e morale, non sono venate di razzismo, quanto piuttosto di compatimento.
166 A. Troni, Palestina, Palermo 1937, p. 27. Il corsivo è mio. Potrebbe ipotizzarsi un macroerrore di stampa, anche se non si riesce a risalire all’aggettivo originale.
167 M.A. Matard-Bonucci, cit., p. 47.
168 Quasi tutti i libri sulla Palestina firmati da frati e sacerdoti portano ben visibile l’imprimatur del rispettivo Superiore, segno che le gerarchie religiose ed ecclesiastiche non trovavano nulla di strano in frasi come queste di Ciuti: “Intelligenti, calcolatori, attivi, animati dal sentimento naturalmente egoistico, di non usare scrupoli nelle relazioni con tutte le genti […] gli ebrei sono arrivati dall’epoca della Rivoluzione ad oggi a possedere magnifiche Sinagoghe in tutte le Metropoli del mondo, a dominare la finanza internazionale, a conquistare nelle società odierne, una posizione materiale tanto invidiabile quanto miseranda era prima.” “[…] L’oro di cui scarseggiano [i musulmani] è somministrato a quelli dai ricchi ebrei della plutocrazia internazionale, per l’amore ai loro correligionari, per solidarietà di nazione o, se meglio vi piaccia, di stirpe […]” (pp. 154-155). Manca solo l’accusa di essere tutti massoni… Il libro è del 1925, dieci anni prima che Mussolini introducesse la triplice censura - prefettura, polizia, ufficio stampa del duce - anche se siamo certi che questa non avrebbe avuto niente da eccepire su simili affermazioni, anzi. Cfr. M. Sarfatti, cit., p. 95. Scrive Molinari, cit.: “[…] i sentimenti antiebraici in Italia erano perlopiù fatti propri dalle pagine di Civiltà Cattolica [la rivista ufficiale dei Gesuiti, nda], la cui presa sull’opinione pubblica non era all’epoca delle maggiori” (p. 103). Quest’ultima osservazione è forse un po’ troppo ottimistica, a mio parere.
169 A p. 71. Curiosa coincidenza che i più famosi cultori dell’archeologia cristiana e della storia del Cristianesimo di quel tempo, Carlo Cecchelli e, appunto, Paribeni, fossero entrambi antiebrei e poi antisemiti. Sull’attività politica di Paribeni “dal 1923 consulente del ministero degli Esteri per le missioni scientifiche in Levante e convinto sostenitore dell’espansionismo italiano nel Mediterraneo orientale”, si veda L. Rostagno, cit., passim. È curioso che a Roma il Nostro avesse scavato e poi pubblicato la catacomba ebraica di via Nomentana e le iscrizioni del cimitero ebraico di Monteverde.
170 La storia e i motivi della controversia sono ben riassunti da Vercesi nel suo libro, ma si veda soprattutto il saggio di G.W. Maccotta, “I diritti dei re d’Italia sul Cenacolo”, pubblicato nel 1938 nella rivista “FERT”.
171 Il primo intervento sulla questione del Cenacolo, apparso subito dopo la fine della guerra, è stato quello di C. A. Nallino, Sull’infondata leggenda della “Tomba di Davide” sottostante al San tuario del Cenacolo in Gerusalemme, Bocca, Torino 1919, citato da S.I. Minerbi in L’Italie, cit., pp. 194, 195 e 275; Vercesi, cit., pp. 154-55. Anche Besozzi ne parla, per gli stessi motivi e gli stessi fini: cfr. A. Besozzi, Italia e Palestina, Milano 1930, p. 94, e L. Rostagno, cit., p. 83. Si veda inoltre il commento a questa visita, che si era cercato di “trasformare in una manifestazione di propaganda nazionale” in A. Giovannelli, cit., pp. 133-134 e in L. Rostagno, cit., pp. 130 e 132. Sulla “questione dei Luoghi Santi” si veda D. Fabrizio, cit. Nella bibliografia del De Mori si cita un libro a firma J. De Blasi, I Savoia dalle origini al 1900, Sansoni, Firenze 1940, un capitolo del quale, “I Savoia e la Terra Santa”, è di O. Pedrazzi (v. più avanti). Scrive la Rostagno (cit., p. 82) che “Proprio dalla sensibilità al problema dei Luoghi Santi da parte di alcuni giornalisti del «Corriere d’Italia» nacque la rivista «Palestina»”. G. De Mori, cit., pp. 131 ss.
172 Era per i francesi motivo di stupore, quando non di rabbia, scoprire che se il fiume di profughi non partiva dal porto di Marsiglia ma da quello più disagevole di Trieste era perché sia il Lloyd Triestino sia le ferrovie italiane praticavano prezzi scontati dal 20 al 50% ai profughi che volevano recarsi in Palestina. Tali agevolazioni avvenivano per volontà espressa di Mussolini che nel 1933 era ancora “dichiaratamente ostile ai concetti e ai metodi del nuovo credo nazista, tanto che egli aprì le porte a circa duemila fuggiaschi ebrei della Germania e facilitò il transito per l’Italia, e particolarmente attraverso il porto di Trieste [sede appunto del Lloyd Triestino, nda], alle decine di migliaia di Ebrei dell’Europa centrale che si avviavano verso la Palestina” (A. Milano, cit., p. 395). Lo evidenziava, già nel 1920, l’inviato militare A. Levi Bianchini in un rapporto al Ministero degli esteri: “Si ritiene che ci siano grandi possibilità di monopolizzare per i nostri vapori il trasporto di emigranti per la Palestina e di aprire traffici con essa e con l’Oriente” (in S.I. Minerbi, Angelo Levi-Bianchini, cit., p.79). Cfr. anche L. Rostagno, cit., p. 240, n. 133. Si veda per esempio, sul versante francese, Cette année à Jérusalem - A travers la Palestine juive di Emile Schreiber, Parigi 1933, p. 12. Ebreo, giornalista e fondatore del giornale “Les Echos”, E. Schreiber è il padre del noto politico socialista dell’epoca di De Gaulle Jean-Jacques Servan Schreiber.
173 Relativamente pochi sono ormai i tedeschi benestanti che riescono a dimostrare di avere le 1000 sterline necessarie per poter entrare in Palestina, dal momento che i nazisti permettono loro di emigrare soltanto dopo aver fatto depositare o vendere qualsiasi ricchezza mobile o immobile ancora possiedano. Ricordiamo però che questi benestanti possono ottenere il visto di emigrazione se convertono il loro denaro in attrezzature agricole o industriali fabbricate nel Terzo Reich; in tal modo i nazisti ci guadagnano tre volte: accumulando beni di valore, aumentando l’export industriale e liberandosi degli ebrei.
174 Cfr. n. 16.
175 Con la sola eccezione di Cipolla, per il quale solo gli ebrei ortodossi che si recano a pregare al Muro del Pianto non sono sionisti, come dichiara la didascalia della foto inserita nel suo Al sepolcro di Cristo a p. 160. Sionisti sono perfino gli ebrei che vanno a fare il bagno nelle acque del Mar Morto (“Da qualche tempo a questa parte il Mar Morto è diventato, durante l’estate, la meta di comitive di bagnanti sionisti…”, p. 185). Sull’equazione ebrei-sionisti, venuta in auge a partire dalla metà degli anni Trenta, si veda anche quanto scrive R. De Felice in Storia, cit., pp. 204-220.
176 Accusati comunque di essere persone dalla doppia (e quindi dubbia) fedeltà alla patria.
177 I ḥassidim erano e sono antisionisti soprattutto per motivazioni teologiche. In quegli anni lo erano ancora di più perché vedevano messo in pericolo l’equilibrio esistente tra le loro comunità, gli arabi e i cristiani.
178 Poiché la pubblicistica legata al nostro tema si esaurisce in pratica in conseguenza della promulgazione delle leggi razziali, nessuno poteva prevedere che questa rivolta sarebbe durata, tra alti e bassi, ancora un anno, fino allo scoppio della guerra mondiale.
179 Alcuni intellettuali si spingono oltre, fino a caldeggiare il progetto di “una Palestina governata dai musulmani” come afferma L. Rostagno, cit., p. 80, ricordando il libro di E. Insabato, medico ed ex agente segreto, L’Islam et la politique des alliés, Nancy-Paris-Strasbourg 1920, pp. 194-195. Insabato (1878-1963) era soprattutto un orientalista e fu deputato nel 1924 nelle file giolittiane. Numerose notizie sulla sua poliedrica attività culturale e politica si trovano on line, ad vocem.
180 E. Vercesi e G. Penco, cit., p. 114.
181 O quanto meno un sionista scettico… In tutto il libro non si trova la parola kibbutz, e rari sono i termini kevutzah e kevutzoth. Quasi un libro è poi la voce “Palestina” da lui curata e in parte redatta e pubblicata sull’Enciclopedia Treccani, vol. XXVI, pp. 73-93, arricchita da moltissime fotografie e cartine geografiche.
182 E. Insabato, cit. Di questo personaggio, “studioso del mondo arabo, agente di Giolitti in Egitto e in Libia nel primo decennio del secolo”, scrive la Rostagno che “aveva preso in considerazione l’unità dell’unione arabo-turca, e proprio in relazione alla Palestina” (cit., p. 80).
183 Scrive R. Ben-Ghiat: “Negli anni della dittatura, infatti, gli appelli «storici» alla creazione di una letteratura italiana moderna si legarono indissolubilmente alla campagna a favore della creazione di un corpus di opere riconoscibilmente fasciste”, cioè di stile dannunziano… (cit., p. 67).
184 Di questi ultimi scrive in particolare V. Pinto, La terra ritrovata, cit.
Marilì Cammarata, La Palestina del Mandato nell’editoria italiana 1918-1940, EUT Edizioni Università di Trieste, 2019