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martedì 28 giugno 2022

Nel dicembre del 1943 nei pressi dell'isola de La Maddalena, in Sardegna, vennero arrestati alcuni civili e militari i quali stavano cercando di raggiungere il continente per arruolarsi nella fila della RSI


Contemporaneamente ai primi vagiti di ripresa del fascismo in Sicilia, secondo una informativa rinvenuta nell'archivio del Servizio informazioni speciali del Ministero dell'Interno, «Nel mese di ottobre del 1943 per ordine di Mussolini, Alessandro Pavolini formò dei gruppi di elementi fascisti di provata fede per creare un movimento di rinascita del fascismo nell'Italia meridionale» <31. A dirigere tale ufficio fu chiamato Puccio Pucci, identificato come «ex ufficiale dei moschettieri di Mussolini e Capo di stato maggiore generale delle Brigate Nere» <32. L'organizzazione, tuttavia, indicata nelle carte del controspionaggio alleato con il nome di Servizio Informativo Fascista Repubblicano, non svolse attività particolari, come si vedrà, fino all'arrivo dello scrittore Aniceto del Massa, il quale affiancherà Pucci nella direzione del Servizio a partire dagli ultimi mesi del 1944 <33. L'organizzazione prese pertanto il nome di «Ufficio PdM» dalle iniziali dei cognomi dei due direttori. Non era d'altronde la prima e sola iniziativa che provasse a creare ''dall'alto'' una resistenza fascista. Secondo Alfredo Cucco, tra i membri fondatori del Movimento Sociale Italiano ed ex vice segretario del Partito Nazionale Fascista, Carlo Scorza, ultimo segretario del PNF, aveva incaricato il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, nella primavera del 1943, di dare vita a una organizzazione di volontari che avrebbero dovuto agire alle spalle degli invasori con azioni di guerriglia e sabotaggi <34. Le cosiddette Guardie ai Labari, questo il nome del gruppo, sarebbero state tuttavia liquidate dallo stesso Mussolini nella fase embrionale del progetto <35. Dell'effettiva esistenza dell'organizzazione in questione non ci sono prove documentali se non un memoriale scritto dallo stesso Pignatelli nel l'immediato dopoguerra, nel quale accenna alla tentata costituzione dei gruppi di resistenza con l'aiuto di Francesco Maria Barracu <36. Se l'incarico fosse stato ricevuto direttamente dai vertici del fascismo, addirittura prima del 25 luglio, certamente avrebbe nobilitato ancora di più l'azione che il Principe intraprenderà in seguito nel Sud Italia. Sembra strano tuttavia che per un compito così delicato fosse stata scelta una persona non certamente di 'provata fede' e ortodossia fascista come era Pignatelli, anche se di lunga militanza. Di certo è che lo ritroveremo nell'anno successivo a capo dei fascisti calabresi e campani.
Le reazioni spontanee di coloro i quali nel Sud Italia si riconoscevano nella neonata Repubblica e ritenevano intollerabile il tradimento di Badoglio e del Re, nel corso del 1943 furono le sole di cui si hanno effettivamente dei riscontri documentali. Ad esempio, un'iniziativa importante fu quella del gruppo capitanato dall'ex Console generale della Milizia Giovanni Martini. Nel dicembre del 1943 nei pressi dell'isola de La Maddalena, in Sardegna, vennero arrestati alcuni civili e militari i quali stavano cercando di raggiungere il continente per arruolarsi nella fila della RSI <37. Il gruppo si era costituito già il 18 settembre 1943 a Sassari con il nome di «Comitato d'azione del Partito fascista repubblicano della Sardegna» e aveva stabilito, vista «l'impossibilità materiale di comunicare con il Continente, […] di attenersi nel limite del possibile, alle istruzioni che di volta in volta verranno trasmesse dagli organi centrali attraverso la radio» <38. Il Comitato si proponeva di «agire segretamente con l'obiettivo di riorganizzare le file del fascismo facendo appello ai camerati di provata fede e di indubbia moralità», di prendere contatto con le unità militari «che vogliano salvare a tutti i costi la Patria così ignominiosamente tradita» e di prepararsi per «eventuali ordini che il Duce potrebbe impartire» <39. Per realizzare questi propositi, il gruppo aveva proceduto ad assegnare i diversi obiettivi ai camerati e ad iniziare immediatamente l'attività che per il momento doveva essere limitata alla «propaganda tra la popolazione dell'isola e i ranghi dell'esercito, all'assistenza ai camerati perseguitati ed oppressi dalla coalizione antifascista e a raccogliere tutte le informazioni utili per il trionfo della causa» <40. Il compito di Martini sarebbe stato dunque quello di rendere nota al governo del Nord l'esistenza del suo gruppo e tentare quindi di coordinare l'azione del suo movimento con le disposizioni di Mussolini. L'intervento della Marina italiana che stroncò il tentativo dell'ex Console, non segnò, tuttavia, la fine del Comitato regionale fascista che, come si vedrà, nel corso del 1944 riproverà a mettersi in contatto con la RSI e in particolare con il corregionale Francesco Barracu, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri <41.
Attività come il sabotaggio e la guerriglia, nonché la creazione di gruppi di resistenza clandestini e il loro coordinamento avrebbero dovuto essere prerogativa dei servizi segreti, avendo a disposizione, solitamente, personale adeguato per tali delicati compiti. Perché dunque non affidarsi a loro e creare o tentare di creare degli organismi ad hoc? Innanzitutto per il gran numero di personale del Servizio Informazioni Militare (SIM) che rimase fedele al Re e non aderì alla Repubblica Sociale Italiana e quindi la conseguente difficoltà di avere un sufficiente numero di agenti a disposizione <42.
[...] Ben presto l'appoggio del SIM si rivelò particolarmente utile per gli Alleati perché i servizi segreti tedeschi, l'Abwehr dell'esercito e il Sicherheistdienst delle SS, si avvalsero nel nostro Paese di agenti autoctoni da inviare nel Sud Italia come spie e sabotatori.
L'organizzazione dei due servizi del Reich in Italia fu inevitabilmente collegata con l'evoluzione della presenza militare tedesca. Fino al 1943 il SD era presente a Roma solamente tramite la sezione dedicata allo spionaggio estero (Ausland-SD) mentre l'Abwehr si occupava principalmente di controspionaggio (Terzo Abwehr o Abwehr III) oltre che del reclutamento di agenti da inviare in missioni in Grecia o nel Medio Oriente <48. Già nell'agosto del 1943, tuttavia, il generale Karl Wolff era stato designato come 'Comandante supremo della polizia e delle SS in Italia' il quale da Monaco aveva iniziato ad organizzare la futura struttura delle SS in Italia <49. A sua volta il generale Wilhelm Harster, giurista bavarese, venne designato come comandante della Sicherheitspolizei (Sipo, Polizia di sicurezza) e del SD in Italia con sede a Verona, ovvero l'organismo che coordinava l'attività della Gestapo, della Kripo (Polizia criminale) e del SD (al quale veniva aggiunta la sezione Inland) <50. Pertanto, anche le altre due polizie iniziarono ad operare nel territorio italiano e, secondo i Servizi italiani, erano dirette inizialmente da Eugen Dollmann e Herbert Kappler <51. Anche l'Abwehr, il servizio dell'esercito, non esitò ad inviare personale che potesse organizzare anche in Italia la Prima e la Seconda sezione, rispettivamente avente compiti di spionaggio e sabotaggio. L'Ausland-SD, diretto da Karl Hass, prima a Roma e poi a Verona, iniziò ad interessarsi anche all'attività di sabotaggio sia materiale che morale, la cosiddetta attività di ''quinta colonna'', andando a scontrarsi e intralciarsi con il Secondo Abwehr <52. Entrambi i servizi disponevano inoltre di proprie scuole per addestrare potenziali spie e sabotatori, anche in questo caso spesso non lavorando in sinergia ma cercando ognuno di accaparrarsi il maggior numero possibile di agenti.
Per complicare ulteriormente la situazione, oltre al già citato Ufficio PdM, organizzazione più ufficiosa che ufficiale, nell'ottobre 1943 veniva creato il nuovo servizio informativo della Repubblica Sociale, il Servizio Informazioni Difensivo (SID), il quale avrebbe dovuto rappresentare il contraltare del SIM. L'organismo era stato posto sotto la guida di Vittorio Foschini, giornalista ma anche ex agente del cosiddetto servizio 6x, un servizio informativo attivato verso la fine del 1942 su iniziativa dello stesso Foschini, approvato prima dal Ministro della Cultura Popolare Buffarini Guidi e in seguito dal Duce stesso al quale venivano indirizzate le "veline" <53. Come si può intuire dal nome, l'organizzazione contemplava esclusivamente attività di controspionaggio e non di spionaggio, la quale era demandata ai servizi informativi tedeschi <54.
Avocando a sé queste due importanti prerogative, Abwehr e SD poterono costituire delle reti di spionaggio e sabotaggio nel territorio occupato dagli Alleati. Tra la seconda metà del 1943 e i primi mesi del 1944 vennero arruolati principalmente tedeschi e sudtirolesi che conoscessero la lingua italiana, in modo tale da permettere loro di operare più facilmente alle spalle della linea del fronte. Verso la fine del 1944 tuttavia, come ci informa il contro-spionaggio italiano, la situazione era molto differente. Tra gli agenti nemici arrestati sia dal SIM che dagli Alleati nel corso di quell'anno infatti, più dell'85% erano italiani <55. Lo stesso report ci illustra che tra costoro figuravano disertori, persone ricercate per crimini comuni, ma la maggior parte erano fascisti fanatici <56. L'iniziale difficoltà per i Servizi tedeschi di arruolare personale in loco, aveva portato ad ingaggiare persone poco affidabili che avevano accettato di diventare agenti solamente per la generosa remunerazione che veniva loro garantita <57. Tuttavia, nel corso del 1944, la situazione cambiò quando i Servizi tedeschi riuscirono ad arruolare agenti provenienti da organizzazioni fasciste che potessero essere più affidabili come per esempio la Decima MAS di Junio Valerio Borghese, la Guardia nazionale repubblicana o la banda Koch <58. La Decima MAS in particolare svolse un ruolo fondamentale per quanto riguardava la messa a disposizione di uomini per l'Abwehr e il Sicherheitsdienst. Già reparto speciale della Regia Marina, nonostante appartenesse formalmente alla Marina della Repubblica Sociale Italiana, era un'unità militare indipendente e direttamente alleata ai nazisti tramite un accordo siglato dal suo Comandante, Junio Valerio Borghese con il capitano di vascello della Kriegsmarine Max Berninghaus <59. Scrive Ganapini che «Tra tutte, la Decima Mas è la formazione più nettamente connotata e che forse meglio di ogni altra esemplifica le caratteristiche proposte a modello per la struttura militare volontaria fascista repubblicana» <60. L'alone eroico e di leggenda che circonda la formazione è stato alimentato soprattutto dalla figura dello stesso Borghese. Nato da famiglia nobile romana, fu ufficiale della Regia Marina e in seguito della Decima Flottiglia Mas, della quale divenne Comandante. Fu anch'egli, così come altri che troveremo nel corso di questo lavoro, un fascista non ortodosso. «Dai miei atteggiamenti politici, dalla mia attività, dalla mia ammirazione per Mussolini, potrei essere definito fascista - scriveva lo stesso Borghese - . Dalla mia indipendenza rispetto alle costrizioni del partito, dal mio rifuggire le forme esteriori del fascismo, i suoi orpelli, la sua retorica, fui considerato un non allineato» <61.
[NOTE]
31 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Servizio informazioni speciali-Sezione II (d'ora in avanti ACS, DGPS, SIS-II), b. 38, f. HP40 Penne stilografiche esplosive, s.o., s.d., p. 1.
32 Ibidem. Di famiglia nobile fiorentina, Puccio Pucci fu dapprima segretario del CONI dal 1939 al 1943 e in seguito capo di gabinetto di Alessandro Pavolini, oltre che capo del Servizio Informativo Fascista Repubblicano o Ufficio PdM. Al contrario di quanto citato nella nota informativa, non risulta invece che abbia ricoperto l'incarico di Capo di stato maggiore delle Brigate nere, affidato in primo luogo a Giovan Battista Riggio e in seguito a Edoardo Facdouelle. Vedi D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 154.
33 TNA, WO 204/12441 Republican fascist intelligence organisation in Italy, Report Allied Force Headquarters counter espionage and counter sabotage summary for April 1945, Appendix A - The republican fascist intelligence service, 1 maggio 1945, p. 2. Aniceto Del Massa, fascista della prima ora, fu uno scrittore amico e collaboratore di Julius Evola. Nel dopoguerra diresse le pagine culturali del quotidiano del Movimento Sociale Italiano «Il Secolo d'Italia». Per i cenni biografici vedi A. Pannullo, Aniceto Del Massa, il meta-fascista esoterico che aderì alla RSI, ''Il Secolo d'Italia'', 7 dicembre 2015.
34 A. Cucco, Non volevamo perdere, Cappelli, Bologna, 1950, pp. 117-118, cit. in Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata dal settembre 1943 all'aprile 1945, p. 954. Valerio Pignatelli di Cerchiara (Chieti 1886-Sellia Marina 1965), era stato comandante degli Arditi nella Grande Guerra, aveva combattuto in Russia, Etiopia e Spagna, aveva aderito al fascismo ma era stato espulso fino a che nel 1943 Carlo Scorza lo nominò ispettore dei Fasci. Vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 39.
35 A. Cucco, Non volevamo perdere, pp. 117-118,
36 V. Pignatelli, Il caso «Pace» oppure il caso «Dirigenti del MSI», Catanzaro, La Tipo Meccanica, 1948, pp. 30.
37 TNA, WO 204/12600 P.F. Gen. Martini, Sardinia - Political Movements - Gen. Martini, 28 marzo 1944.
38 TNA, WO 204/12600 P.F. Gen. Martini, Sardinia - Political Movements - Gen. Martini, Appendix D Minutes of meeting, 28 marzo 1944, p. 2.
39 Ibidem.
40 Ibidem.
41 Come avverrà per molte altre sentenze che giudicheranno i ''cospiratori'' fascisti, anche in questo caso il Tribunale militare assolse gli imputati per quanto riguardava i reati più gravi («cospirazione politica mediante associazione per alto tradimento» e «associazione antinazionale») e, tranne per Martini (condannato a 14 anni di reclusione), inflisse pene che variavano dai 3 ai 10 anni. Vedi G. Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata dal settembre 1943 all'aprile 1945, p. 945; ma anche ACS, DGPS, Divisione Affari Generali (d'ora in avanti DAG), 1944-1946, b. 47, f. Partito fascista repubblicano Sassari, Sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Guerra della Sardegna, 17 novembre 1944.
42 Per una storia dei servizi segreti italiani nel secondo conflitto mondiale (anche se il biennio 1943-1945 è poco trattato) vedi G. Conti, Una guerra segreta. Il SIM nel secondo conflitto mondiale, Il Mulino, Bologna, 2009. Maggiori informazioni sulla struttura e sull'attività del SIM nel periodo preso in considerazione si possono trovare in M. G. Pasqualini, Carte segrete dell'intelligence italiana 1919-1949, Tipografia del R.U.D., Roma, 2007, pp. 240-267.
48 AUSSME, SIM, b. 66, f. 1-1-1 1943 Organizzazione informativa tedesca in Italia, Appunti sull'organizzazione informativa tedesca in Italia e su alcune persone maggiormente in vista, 19 ottobre 1943, pp. 1-2. L'unico lavoro che ha analizzato la struttura informativa tedesca in Italia è quello di C. Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia 1943-1945, in P. Ferrari, A. Massignani (a cura di), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano, Franco Angeli, 2010. Alcune informazioni sul SD in Italia si trovano in E. Collotti, Documenti sull’attività del Sicherheitsdienst nell’Italia occupata, in Il Movimento di liberazione in Italia, a. 1963, vol. 71, n. 2, pp. 38-77
49 L. Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia (1943-1945), pp. 84-86.
50 Wilhelm Harster aveva ricoperto lo stesso incarico in Olanda, dove nel dopoguerra venne processato e condannato per la sua attività in quel paese, in particolare per quanto riguardava la deportazione degli ebrei. Fu anche un alto funzionario ministeriale bavarese fino agli anni Sessanta. C. Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia 1943-1945, p. 468.
51 TNA, WO 204/12293, History of German intelligence organization in Italy 1943-1945, Appunti sull'organizzazione informativa tedesca in Italia, s.d., p. 24. Per quanto riguarda il ruolo di Dollmann in Italia, secondo Gentile, tuttavia, egli non fu altro che un «esperto di pubbliche relazioni delle SS in Italia», dove era presente già dal 1937. Vedi C. Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia 1943-1945, p. 465.
52 TNA, WO 204/12293, History of German intelligence organization in Italy 1943-1945, Appunti sull'organizzazione informativa tedesca in Italia, s.d., p. 25. Si tratta del noto Karl Hass, tra i responsabili, assieme a Kappler ed Erich Priebke dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
53 Scarne notizie sull'operato del servizio 6x si possono trovare in G. Leto, Polizia segreta in Italia, Roma, Vito Bianco editore, 1961 p. 42, cit. in R. Canosa, I servizi segreti del Duce. I persecutori e le vittime, Milano, Mondadori, 2000, p. 415; ma anche Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito, Servizio Informazioni Militare (d'ora in avanti AUSSME, SIM), b. 186, f. 1-1-7 Organizzazione e attività del SID, sottof. Documenti riguardanti il SID, lettera di Vittorio Foschini a Benito Mussolini, 24 marzo 1943. Foschini venne però molto presto sostituito (gennaio 1944) dal colonnello dei Carabinieri Candeloro De Leo e addirittura internato dai tedeschi. Vedi E. Pala, Il Servizio Informazioni Difesa della Repubblica sociale italiana. Il caso del nucleo di controspionaggio di Brescia, in Annale dell'Archivio della Resistenza bresciana e dell'età contemporanea, n.5, 2009, p. 162.
54 AUSSME, SIM, b. 68, fasc. 1-1-7 Organizzazione e attività del SID, Servizio informazioni difesa, s.d., p.1. In realtà esisteva una sezione Alfa addetta allo spionaggio ma come si evince dallo stesso documento la sua attività al di fuori dalla Repubblica è sempre stata impedita dai tedeschi. Vedi ivi, p. 4.
55 AUSSME, SIM, b. 150, f. 1-18-85 Relazione annuale sull'attività di C.S., Relazione sull'attività svolta dai Centri e Sezioni C.S. nell'anno 1944, 17 dicembre 1944, p. 3.
56 Ibidem.
57 Ivi, p. 2, ma anche TNA WO 204/12987 German intelligence service vol.1, Enemy intelligence service in Italy, 15 aprile 1944, pp. 3-4.
58 La Guardia Nazionale Repubblicana, erede nella RSI della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, era nata come corpo di polizia militare che accorpava ex Carabinieri, uomini della Miliza, ufficiali di Polizia e membri della Polizia Africa Italiana (PAI). La banda Koch era invece uno corpo speciale di Polizia con a capo Pietro Koch incaricata di dare la caccia ai partigiani sotto la protezione di Kappler. Per approfondire vedi L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, pp. 30-46; M. Griner, La «Banda Koch».
59 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, p. 61.
60 Ivi, p. 60.
61 Cit. in M. Bordogna (a cura di), Junio Valerio Borghese e la Xª Flottiglia MAS, Milano, Mursia, 1995, p. 39.

Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017

lunedì 27 giugno 2022

La Democrazia Cristiana nacque tra il 1942 e il 1943 come partito clandestino


Per quanto concerne la Democrazia Cristiana, occorre soffermarsi maggiormente.
Infatti, per comprendere le ragioni che portarono il partito a diventare protagonista dello scenario politico italiano per circa quarantacinque anni, è necessario partire da un’analisi del contesto in cui nacque e da uno studio delle dinamiche che portarono alla sua formazione.
Iniziando dal contesto socio-politico all’interno del quale la Dc iniziò a intrecciare le sue radici, è necessario soffermarsi sul ruolo che la Chiesa svolse durante la seconda guerra mondiale. Durante l’occupazione tedesca, l’Italia era stata attanagliata da un clima di insicurezza e bisogno. In questo instabile contesto, la Chiesa aveva rappresentato per gli italiani un punto di riferimento, soprattutto grazie ai concreti interventi dei vescovi e dei parroci per aiutare le vittime di guerra e i perseguitati politici. Partendo da questa considerazione, si può ben capire come i cattolici, soprattutto a partire dal 1943, avessero costantemente sottolineato il ruolo da essi svolto nell’opposizione al regime e, poi, nella lotta contro il fascismo. Infatti, solo da questa rivendicazione poteva emergere una piena legittimazione democratica dei cattolici e dunque il loro diritto a partecipare, con le altre forze antifasciste, alla ricostruzione democratica del paese.
Tuttavia, dopo la caduta del fascismo e la conseguente ondata di instabilità politica, i cattolici rappresentavano un punto di riferimento non solo per gli italiani, ma anche per le grandi potenze. Infatti, la Chiesa era emersa da un orizzonte di distruzione e di disfacimento come unica forza reale ancora in piedi, come un centro efficace di aggregazione e di consenso. Più semplicemente, il Vaticano veniva inquadrato dalle potenze straniere e in particolare dagli Stati Uniti d’America, come l’unica istituzione in grado di poter definire il futuro dell’Italia.
La presenza di un grande “vuoto” istituzionale causato dal venir meno dei tradizionali riferimenti socio-politici e l’importante ruolo svolto dalla Chiesa, imposero lo sforzo di coordinare le azioni di diversi gruppi cattolici attivi sul territorio, al fine di rappresentare una guida concreta per un paese senza più un’identità. La nascita del grande partito cattolico può essere infatti inquadrata come la convergenza di gruppi profondamente diversi che convenivano su una comune esigenza: la necessità di elaborare una proposta di successione cattolica al regime. Il loro obiettivo era quella di comprendere il ruolo che i cattolici avrebbero dovuto, e potuto, svolgere nella difficile transizione dal fascismo alla costruzione di un ordine nuovo ed elaborare programmi capaci di rispondere alle sfide della nuova fase politica.
La Democrazia Cristiana nacque tra il 1942 e il 1943 come partito clandestino e fu il risultato dell’aggregazione di diverse anime politiche. Poco prima della fine del conflitto mondiale, a Roma, si succedevano riunioni di ex-popolari - fra i quali Cingolani, Gonella, Grandi, Gronchi, Scelba, Spataro - intorno alla figura di De Gasperi per discutere sul futuro assetto politico italiano e per elaborare un’azione cattolica coesa. Incontri analoghi si svolgevano a Milano per iniziativa degli esponenti del Movimento guelfo d’Azione, un’organizzazione cattolica antifascista i cui esponenti di maggior rilievo erano Piero Malvestiti e Giuseppe Malavasi. I primi incontri tra i due differenti gruppi si svolsero a Borgo Valsugana, nell’estate 1942, e poi a Milano, nell’autunno dello stesso anno, con la partecipazione del sindacato dei lavoratori italiani, la Cil. In queste riunioni si sarebbe deciso il nome «Democrazia Cristiana» e si sarebbero approvate le linee del programma e dell’azione politica del partito. In definitiva, la Dc «finiva dunque per nascere dalla convergenza di due orientamenti forti: da un lato il significato della guerra partigiana antifascista rispetto alla legittimazione del nuovo ordine istituzionale; dall’altro la capacità di una generazione politica, quella popolare, di smussare le velleità più marcatamente rivoluzionarie del movimento resistenziale» <18.
Tutti i differenti gruppi cattolici proponevano diverse soluzioni attraverso cui colmare il “vuoto” politico-istituzionale formatosi dopo la fine del fascismo. Il lungo dibattito può essere tradotto, secondo l’interpretazione di Renato Moro, in tre differenti approcci <19.
Il primo traeva ispirazione dalla posizione assunta da Pio XII a fronte della transizione istituzionale. In questa prospettiva, lo Stato, necessariamente a carattere democratico, doveva edificarsi sulla difesa dei principi della religione cristiana: la tutela della famiglia, della scuola e del ruolo del cristianesimo nella vita quotidiana. Più semplicemente, si trattava di formulare «un progetto di ricostruzione ispirato all’insegnamento cristiano ma privato dei tratti speculativi» <20. Questa prospettiva era stata sintetizzata all’interno di un documento redatto tra il settembre 1943 e il maggio 1944 dalla Direzione generale dell’Azione cattolica e dall’Istituto cattolico di attività sociali, diretto dal segretario del Movimento dei laureati cattolici, Veronese. Lo scritto era stato diffuso soltanto nel 1945 con il titolo “Per la comunità cristiana. Principii dell’ordinamento sociale a cura di studiosi amici di Camaldoli”, meglio noto come “Codice Camaldoli”. Il testo condannava sia il materialismo ateo-marxista che il capitalismo e proponeva una forma di economia «mista», lontana dal modello corporativista legato inesorabilmente all’esistenza di una dittatura a partito unico <21.
Il secondo approccio risentiva dell’esperienza e delle sensibilità di cui si facevano portatori gli esponenti del mondo cattolico che avevano militato nelle file del Ppi di Sturzo dopo la prima guerra mondiale. La loro proposta veniva costruita intorno alla convinzione che le istituzioni dovessero essere concepite come strumenti al servizio del popolo e che il ruolo dello lo Stato dovesse essere orientato a tutelare l’individuo nella sua sfera privata.
Infine, l’ultimo approccio era espressione di quelle idee maturate e difese dalla componente più progressista e antifascista del movimento cattolico italiano, la sinistra cristiana, convinta della importanza di segnare una discontinuità con il fascismo e costruire un ordine nuovo basato sulla centralità della lotta partigiana, sul riferimento ai valori cristiani e sul contributo determinante dei partiti politici.
Sebbene esistessero delle forti differenze in merito alla definizione dei presupposti ideali sui quali il nuovo sistema si sarebbe dovuto edificare, le differenti visioni convergevano su un alcuni denominatori comuni: il riconoscimento della libertà politica come premessa indispensabile per garantire la libertà civile e la tutela dei diritti inviolabili, l’affermazione della giustizia sociale e l’intervento statale atto a correggere gli squilibri del capitalismo e a limitare i rischi del collettivismo.
Il partito che nasceva nel ’42, dunque, era un partito nuovo, diverso dal Partito Popolare. Dopo averne assunto la guida, De Gasperi intendeva sottolineare fin dal principio il distacco dall’esperienza popolare partendo dalla scelta di un nuovo nome. Questa decisione non rispondeva soltanto alla visione degasperiana del nuovo corso dell’impegno politico dei cattolici, ma rispondeva alla necessità di dare, soprattutto alle generazioni più giovani, che poco o nulla avevano a che fare con la precedente storia del movimento politico cattolico, la percezione di una forte discontinuità con il passato.
In effetti, dopo la fine del ventennio fascista, la parola popolarismo appariva ormai logora: una formula legata alle polemiche che avevano accompagnato l’esperienza politica di Sturzo, segnato i rapporti tra Stato e Chiesa, indirizzato il sistema liberale verso la deriva totalitaria. Con la scelta del nome Democrazia Cristiana si voleva, al contrario, affermare la volontà, come avrebbe scritto lo stesso De Gasperi, di «non ripetere gli errori del passato», evitando «anche l’impressione di invitare i giovani ad un’assemblea ove odio e poltrone fossero già occupati in forza dei meriti passati e in base all’anzianità del servizio» <22.
Dagli incontri e dai colloqui preparatori nacquero, dunque, i primi documenti programmatici del partito: le "Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana", redatte da De Gasperi stesso e "Il programma di Milano", in cui sarebbe stata più forte l’influenza del gruppo guelfo.
Le "Idee ricostruttive" furono elaborate nella primavera del 1943 ed ebbero una limitata diffusione attraverso contatti prettamente personali: stampate nel luglio, decine di migliaia di copie furono inviate a tutti i popolari, a tutti gli esponenti del mondo cattolico e a circa ventimila parroci. Questo singolare documento costituiva la base originaria del programma della Democrazia Cristiana. Il testo prevedeva, come premessa indispensabile a qualsiasi altro punto programmatico, la libertà politica, unita ad un regime democratico che prevedesse una forma di governo decentrata e la presenza di una Corte Suprema di garanzia avente il compito di tutelare la Costituzione. Il nuovo Stato avrebbe dovuto fondarsi su saldi valori morali. In particolare, lo spirito cristiano doveva «fermentare in tutta la vita sociale» <23 e proteggere l’integrità della famiglia, coadiuvando i genitori nella loro missione di educare cristianamente le nuove generazioni. Il testo prevedeva poi la presenza di una giustizia sociale che assicurasse alla popolazione un lavoro e l’accesso alla proprietà privata, nonché l’istituzione di una nuova comunità internazionale.
"Il programma di Milano" redatto dai guelfi aveva molti punti in comune con i principi e le linee fissati nelle "Idee ricostruttive": la costruzione di una nuova comunità internazionale, l’indipendenza della Chiesa e dello Stato, il decentramento, l’ispirazione cristiana nell’attività dello Stato. In più, proponeva riferimenti più specifici in merito all’introduzione di un sistema elettorale proporzionale e dei sindacati di categoria.
Dall’analisi di questi documenti si evince come il primato del fattore religioso venisse continuamente affermato a discapito di una chiara definizione del programma politico. Questo continuo richiamo ad un sistema di valori morali era finalizzato al raggiungimento di due obiettivi: da un lato, impediva il definirsi di scelte vincolanti e definitive, dall’altro agevolava l’identificazione tra l’identità cattolica della nazione italiana e il partito che, di quella identità, ambiva ad essere l’unico referente politico.
2.2 La transizione dal Cln al governo Parri
La leadership di De Gasperi si impose senza difficoltà al nuovo partito che risultava essere veramente una creazione del leader trentino. Proprio per questo motivo, come sottolineato dallo studioso Gianni Baget-Bozzo, «la Dc avrebbe portato così intimamente impressa nella sua storia le qualità ed i difetti di De Gasperi: l’empirismo, la capacità di strumentalizzazione, l’uso accorto degli espedienti come soluzioni permanenti nel quadro di una fedeltà senza discussione al metodo democratico sarebbero trapassati da De Gasperi nel partito, attraverso la classe dirigente da lui formata con il suo comportamento ed il suo esempio. Egli sarebbe stato per la Dc un eroe eponimo, una personalità individuale che dava forma ad una figura collettiva» <24.
Nel periodo che andava dalla liberazione di Roma a quella del Nord, De Gasperi preparò il proprio avvento e quello del suo partito al potere. All’interno del Cln egli evitò di restare isolato a destra o emarginato all’opposizione. A questo proposito, egli poté contare sulla collaborazione dei comunisti, i quali miravano ad inserire i democristiani all’interno del Cln al fine di legittimare il nuovo potere anche mediante l’autorità della Chiesa. Non a caso, dopo la liberazione di Roma, l’interlocutore principale di De Gasperi divenne proprio Togliatti, con il quale condivideva l’idea di costruire un ordinamento democratico e di valutare i rapporti tra le forze politiche in termini elettorali, sociali ed internazionali [...]
[NOTE]
18 V. Capperucci, Il partito dei cattolici, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2010.
19 R. Moro, Il contributo culturale e politico dei cattolici nella fase costituente, in M. C. Giuntella, R. Moro, Dalla FUCI degli anni ’30 verso la nuova democrazia, Editrice A.V.E, Roma 1991, pp. 31-89.
20 V. Capperucci, Il partito dei cattolici, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2010, pag. 32.
21 E. A. Rossi, Dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana, Cappelli, 1969, pp. 320-330.
22 P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 65.
23 E. A. Rossi, Dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana, Cappelli, 1969, pag. 337.
24 G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, Vallecchi editore, Firenze 1974, pag. 68.
Veronica Murgia, La politica come missione. Alcide De Gasperi, uomo e politico, Tesi di laurea, Università LUISS "Guido Carli", Anno accademico 2014/2015

sabato 25 giugno 2022

Il capitano Marceglia si reca anche a Trieste

Pagina n° 1 della relazione del capitano Antonio Marceglia circa la missione presso Borghese cit. infra - documento CIA desecretato

Tra le forze armate della R.S.I., la Decima Mas risulta particolarmente attiva in una serie di operazioni volte ad assicurare la presenza di truppe italiane in Venezia Giulia ed in Istria al momento della fuga dei tedeschi: avrebbe tale significato la visita compiuta in queste terre dal comandante della Decima, Junio Valerio Borghese, nel dicembre del 1944, visita tra l'altro ostacolata dal Supremo Commissario, così come la presenza della Divisione Decima, impegnata a combattere in Carnia e nel Goriziano. Nel capoluogo giuliano si trova il Comando dei Mezzi d'Assalto dell'Alto Adriatico, agli ordini del triestino Aldo Lenzi, che, secondo le direttive di Borghese, è impegnato nel raccogliere informazioni riguardanti la Zona di operazioni Litorale Adriatico e la possibilità di organizzare un intervento italiano.
Questo servizio segreto della Decima Mas, che si occupa di stilare documenti sull'attività nella Venezia Giulia di tedeschi, austriaci, sloveni, croati, serbi e russi <42, si serve della collaborazione di un'organizzazione chiamata "Movimento Giuliano", diretta, secondo una fonte, da Italo Sauro <43, secondo altre invece da Nino Sauro <44. Il "Movimento Giuliano" si occupa della diffusione nella Venezia Giulia di giornali clandestini aventi carattere nazionale e fonda a Venezia un Istituto per gli Studi sulla Venezia Giulia, che ha il compito di tener sveglio l'interesse dell'opinione pubblica italiana sulla situazione della Venezia Giulia, pubblicando articoli informativi e di propaganda su questo tema sui giornali della R.S.I. <45.
Il comandante Lenzi è in contatto anche con il prefetto Coceani ed il federale Sambo, ma niente di concreto potrà essere realizzato, a causa dell'intransigente opposizione da parte dell'autorità tedesca alla presenza di reparti militari italiani nel Litorale Adriatico, opposizione che verrà mitigata quando ormai sarà troppo tardi. L'illusione di far rimanere la Divisione Decima sul territorio della Venezia Giulia è destinata ad infrangersi presto: alla fine della battaglia di Selva di Tarnova, nel gennaio 1945, il Supremo Commissario Rainer chiede ed ottiene dal generale Wolff, comandante delle forze armate tedesche in Italia, l'allontanamento della Divisione dal confine orientale. In Istria rimangono alcuni presidii della Decima Mas, che difenderanno le loro postazioni fino alla fine della guerra, mentre la Divisione Decima si attesta in Veneto, fra Thiene e Bassano, da dove Borghese spera di farla arrivare nella Venezia Giulia non appena se ne presenti l'occasione. Verso la fine del marzo del 1945 avvengono gli ultimi due, inconcludenti, incontri tra Borghese e gli emissari del ministro della Marina del governo italiano del Sud, l'ammiraglio de Courten; il capitano Marceglia si reca anche a Trieste e viene messo in contatto con Itala Sauro, solo per venire a sapere che non esiste nulla di organizzato.
[NOTE]
42 G. BONVICINI, Decima marinai! Decima comandante!, p. 227. S. NESI, Decima Flottiglia nostra, p. 133. M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 189.
43 R. LAZZERO, La Decima Mas. La compagnia di ventura del "principe nero", Rizzoli, Milano 1984, p. 147, riporta il fatto che Italo Sauro collabora, assieme a Maria Pasquinelli, con il servizio informazioni della Decima, ma l'organizzazione "Movimento giuliano" non viene però nominata. G. BONVICINI, Decima marinai! cit., p. 227, parla invece esplicitamente di Italo Sauro quale promotore e direttore del "Movimento giuliano".
44 S. NESI, Decima Flottiglia nostra cit., p. 133. L. GRASSI, Trieste cit., p. 127, dove si parla però di un "Movimento Istriano Clandestino". M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 143 e p. 189.
45 G. BONVICINI, Decima marinai! cit., p. 227. M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 189. E' possibile che di iniziative del "Movimento Giuliano" parli l'organo del P.F.R. di Trieste, l'"Italia Repubblicana", nel suo ultimo numero, che porta la data del 25 aprile 1945, riferendosi all'indirizzo di cittadini della Venezia Giulia e della Dalmazia residenti a Venezia e Milano e riguardante l'inviolabilità dei confini della regione. I due testi citati riferiscono anche che una parte del materiale raccolto dal "Movimento Giuliano", in particolare sul massacro degli italiani avvenuto in Istria dopo l' 8 settembre 1943, si trovava nell'Ufficio stampa del Comando della Decima, situato proprio a Milano.

Raffaella Scocchi, Il Partito Fascista Repubblicano a Trieste, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 1995-1996

martedì 21 giugno 2022

Il progetto di un esercito europeo integrato: il Piano Pleven


2.3.1. L’elaborazione del Piano
La reintegrazione della Germania all’interno di un contesto di cooperazione continentale non era una questione che interessava soltanto la sfera economica; molti, infatti, iniziavano a sentire la necessità di un sistema che permettesse un reinserimento tedesco nell’ambito militare. A rendere questa necessità più impellente fu lo scoppio della guerra di Corea nel giugno del 1950, che impresse una svolta nel confronto tra le due superpotenze, americana e sovietica, spingendo Washington a credere che la guerra fredda potesse rapidamente trasformarsi in una “guerra calda”, aggravata dal fatto che nel 1949 l’Unione Sovietica era entrata in possesso dell’arma nucleare. In quest’ottica di grande tensione, poi, lo scenario che si mostrava come l’arena di scontro più papabile era senza dubbio il continente europeo, e proprio in virtù di ciò la creazione di un dispositivo di difesa (che vedesse anche la partecipazione della Germania) sembrava sempre più impellente.
Delle proposte in tal senso vennero avanzate durante l’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, tenuta a Strasburgo nell’agosto 1950, la quale vide per la prima volta la partecipazione della Repubblica Federale Tedesca. In occasione di tale incontro venne auspicata la formazione di un esercito europeo da parte del socialista francese André Philip, mentre Adenauer chiedeva la possibilità per Bonn di arruolare una forza di polizia di 150.000 uomini. Anche l’Italia si mostrò a Strasburgo molto propositiva per quanto riguardava le prospettive di integrazione europea, Sforza propose infatti di rimuovere il divieto di trattare questioni militari in seno al Consiglio d’Europa <82, assecondando le volontà di De Gasperi che qualche giorno prima gli aveva inviato una lettera intrisa della volontà di rendere il Consiglio più attivo in tema di mantenimento della pace <83. L’assemblea mostrò atteggiamenti positivi nei confronti della proposta di Sforza, ma la stessa venne bocciata dal Consiglio dei Ministri, frenato dalla vigenza del principio di unanimità.
La risposta americana alla questione del riarmo tedesco fu l’elaborazione di un piano, approvato da Truman l’8 settembre e nominato one package <84, che prevedeva la creazione di un esercito integrato a cui l’Europa avrebbe dovuto partecipare con sessanta divisioni, sotto il comando statunitense, con uno Stato maggiore internazionale, in cui sarebbe stato inserito un numero non precisato di divisioni tedesche. Truman si era quindi schierato favorevolmente verso l’impegno americano in Europa, ma pretendeva a riguardo una collaborazione da parte delle potenze del continente.
Sempre nel settembre 1950, durante una riunione negli Stati Uniti dei Ministri degli Esteri di USA, Gran Bretagna e Francia, il Segretario di Stato americano Dean Achenson con il sostegno del collega inglese Bevin avanzò una proposta riguardante il riarmo della Germania Ovest e l’inserimento della stessa nel Patto Atlantico, ma la reazione di Schuman e del Ministro della Difesa francese Jules Moch fu negativa. Sulla posizione francese riguardo il rifiuto della ricomposizione dell’esercito tedesco influivano due fattori <85: l’atteggiamento negativo dell’opinione pubblica, che in caso di appoggio del riarmo tedesco avrebbe fatto perdere consensi al Governo, e la paura dei vertici di Parigi che un riarmo della Germania avrebbe reso Bonn un attore indipendente nel contesto internazionale, con la possibilità di intessere rapporti privilegiati con Washington e di perseguire autonomamente l’unificazione.
Sembrava comunque palese a molti che gli sforzi del Governo francese nel tentativo di evitare un riarmo europeo e conseguentemente tedesco sarebbero stati a lungo andare vani. Monnet, che pareva conscio di ciò, scriveva una lettera a Schuman nella quale valutava la possibilità di “integrare la Germania all’Europa con un Piano Schuman ampliato, dando una prospettiva europea delle decisioni che saranno prese” <86. Ciò porta a riflettere su come Parigi stesse cominciando a prendere coscienza dell’ineluttabilità del riarmo della RFT, e anzi iniziasse a valutare la possibilità di un’integrazione sul piano militare che in un certo senso rispecchiasse il percorso funzionalista intrapreso con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
La proposta riguardante la creazione di un esercito integrato venne suggerita per la prima volta a fine settembre, in occasione del Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa, dall’allora Primo Ministro francese René Pleven. Lo stupore fu notevole e le discussioni riguardo la proposta, che per il momento restava soltanto un’idea, si protrassero fino al mese successivo.
Il progetto di un esercito integrato europeo, che prese il nome di Piano Pleven, venne avanzato pubblicamente dal Presidente del Consiglio francese alla fine di ottobre del 1950. Questo era rivolto in primis al governo della Repubblica Federale Tedesca, ma era aperto anche nei confronti di altri Paesi europei, con una particolare attenzione verso quelli che avevano già preso parte ai negoziati riguardanti la realizzazione del Piano Schuman. La principale caratteristica di tale progetto, che lo distingueva dal one package americano, era il carattere sovranazionale, che esulava dal tradizionale sistema di alleanze militari e necessitava di una cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali nei confronti di una nuova entità, la quale avrebbe a sua volta favorito la creazione di una vera e propria identità europea <87. Chiaramente, in virtù degli ideali che lo animavano, il Piano Pleven fu accolto con grande entusiasmo dai movimenti federalisti presenti nei vari Paesi del continente, che in questo intravedevano la punta dell’iceberg di un’unità europea che avrebbe presto interessato il campo politico e sociale. I federalisti italiani scrivevano:
“Il piano francese equivale né più né meno che a una proposta di federazione continentale. Unificazione della politica di difesa e della politica economica […] sono difficilmente concepibili senza un’unificazione della politica estera e, alla lunga, senza una giurisdizione diretta di organi tutori del diritto sui cittadini degli Stati partecipanti” <88.
2.3.2. Le reazioni alla proposta francese
Le risposte provenienti dai Paesi interessati al Piano furono variegate. Adenauer accolse il Piano Pleven con entusiasmo, convinto di voler rendere partecipe la RFT del progetto francese di integrazione militare; egli era però consapevole di quanto avrebbe dovuto lottare per far sì che la Germania venisse considerata in modo paritario dalle altre potenze, soprattutto da Parigi. La maggiore limitazione per Bonn riguardava la mancata possibilità di godere di un esercito nazionale, ma nonostante tutto il Cancelliere sosteneva che “il Piano Pleven doveva contribuire essenzialmente […] all’integrazione europea che era ed è una delle mete principali della politica tedesca” <89. Una posizione differente era invece tenuta dall’opposizione socialista tedesca, la quale vedeva il Piano come un tentativo di subordinazione della potenza militare tedesca nei confronti di quella francese.
Da Londra, che già non aveva preso parte alla CECA, si diffusero numerose critiche nei confronti dell’esercito unico europeo. La Gran Bretagna non sembrava infatti mostrare grande entusiasmo per l’embrionale processo di integrazione europea che si stava delineando, probabilmente poiché la creazione di un asse franco-tedesco avrebbe potuto lasciare gli inglesi ai margini dei rapporti continentali. Opinioni discordanti emersero anche da oltreoceano; basti pensare che negli Stati Uniti, nonostante la presenza di personalità fortemente favorevoli all’integrazione europea come “scudo” nei confronti di una possibile minaccia sovietica, il New York Times definiva il Piano Pleven come “egoista e poco lungimirante” <90.
Quanto all’Italia, la prima reazione di Roma al Piano Pleven fu positiva. Nonostante Sforza manifestasse perplessità riguardo i tempi di attuazione, infatti, il Ministro degli Esteri affermò che “non sarà certamente il governo italiano, che fu il primo ad aderire al Piano Schuman […], a mostrarsi tiepido all’idea di un esercito europeo al servizio di un’Europa unita” <91. Sia lui che De Gasperi, però, leggevano il progetto di un esercito europeo come il preludio alla creazione di una vera e propria Federazione Europea, che si concentrasse su una comunione di interessi dal punto di vista politico. Si andava pertanto delineando quella che sarà la posizione italiana lungo tutta la durata delle trattative che si ergeranno intorno alla proposta di Pleven e che analizzeremo meglio nei successivi paragrafi.
In ogni caso, la posizione italiana era fortemente influenzata dall’atteggiamento di Truman, ancora titubante riguardo il Piano Pleven che considerava come un mero escamotage mirante a velocizzare il riarmo della Germania Ovest, tentando così di scavalcare i negoziati che stavano avendo contemporaneamente luogo all’interno dell’Alleanza Atlantica al fine di garantire l’ingresso nella stessa da parte della RFT. Nonostante le titubanze destate a causa della posizione americana, De Gasperi decise comunque di cedere alle avance francesi e di prendere parte ai negoziati sul Piano, che si sarebbero tenuti nel gennaio del 1951 a Parigi. La scelta del Governo di Roma va letta anche alla luce di un altro negoziato che stava avendo luogo contemporaneamente, quello riguardante la creazione della CECA, all’interno del quale De Gasperi sperava di ottenere una serie di concessioni <92.
Il 1950 terminava dunque con buone prospettive di accordo riguardo la creazione di una difesa comune europea, nonostante i segnali americani non fossero particolarmente incoraggianti.
[NOTE]
82 In base al suo statuto, infatti, il Consiglio d’Europa non era competente verso questioni militari e pertanto era impossibilitato a discuterne.
83 M. R. De Gasperi, P. De Gasperi (2018), pp. 389-390.
84 D. Preda, Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la Federazione europea, Jaca, Milano, 1990, p. 19.
85 Varsori (2010), p. 90.
86 J. Monnet, Cittadino d’Europa, Rusconi, Milano, 1978, p. 269.
87 Preda (1998), pp. 28-29.
88 AA.VV., Europa Federata, 3 (1950), n. 34 (31 ottobre), p. 2.
89 K. Adenauer, Memorie 1945-1953, Mondadori, Milano, 1966, p. 438.
90 Preda (1998), p. 31.
91 Sforza (1952), p. 541.
92 Cfr. 2.1.
Elio Sposato, L'Italia nelle prime fasi dell'integrazione europea, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno accademico 2019/2020

sabato 18 giugno 2022

Trovato senza documenti, venne eliminato sul posto, senza ulteriori accertamenti

Sesta Godano (SP) - Fonte: Wikipedia

Il primo rastrellamento in provincia di La Spezia fu operato dai reparti della X° MAS e da alcuni reparti tedeschi tra il 05 e il 07 di aprile del 1944 nella zona di Torpiana a Zignago <168. I militari spararono contro i civili, verso le case con le finestre aperte, mentre la gente cercava di fuggire; tra loro anche alcuni membri del Partito d’azione. Due sorelle, Virginia e Iride Ferretti, furono ferite dagli spari, la prima, colpita gravemente all'addome, venne trasportata all'ospedale della Spezia, dove morirà due giorni dopo, il 7 aprile. La ragazza stando alle fonti di Bartonelli, una nota figura locale, venne riconosciuta successivamente come partigiana della Colonna Giustizia e Libertà del Partito d'Azione in quanto si sarebbe esposta per avvertire alcuni partigiani del paese dell'arrivo dei rastrellatori. Ma le modalità con cui avvenne il fatto e con cui fu trasportata in ospedale, fanno pensare che si tratti di una civile <169. Una volta preso il controllo del paese, i rastrellatori non compirono altre violenze.
La X° MAS operò anche in un altro rastrellamento, in data 27 giugno del 44, nella zona di Follo alla ricerca di disertori <170.
Il 28 di giugno la Compagnia O della X° MAS comandata da Umberto Bertozzi uccise a Pian di Follo, il dirigente comunista Giuseppe Poggi, nome di battaglia “Franco” che era in zona per cercare un luogo adatto per aprire una tipografia clandestina. Trovato senza documenti, venne eliminato sul posto, senza ulteriori accertamenti, e senza un regolare processo <171. Nel corso del rastrellamento vennero fermate 8 persone; catturato ed ucciso a Piana Battolla anche Gino Vassili Amici, un militare sbandato sfollato con la famiglia nella zona.
La maggior parte dei rastrellamenti in provincia fu operata da reparti dell’esercito tedesco; nel '44 sono 12 i casi di stampo solo nazista e sei di collaborazione con alcuni reparti italiani; nel '45 sono presenti solo tre casi, 1 operato dalla Wermarcht in ritirata e due di stampo fascista.
Nel corso di una operazione di rastrellamento iniziata il 4 aprile 1944 nell'area intorno al monte Gottero, venne sorpreso nella frazione di Chiusola di Sesta Godano e catturato da militari tedeschi il comandante partigiano Piero Borrotzu, che si arrese senza combattere per evitare rappresaglie sulla popolazione civile. Borrotzu fu brutalmente interrogato e poi fucilato, per sua richiesta al petto e non alla schiena, nella piazza della chiesa di Chiusola. L'esecuzione venne comandata da un ufficiale tedesco, ma una parte delle fonti segnala che il plotone di esecuzione era composto da militari italiani.
In località Piano Sarina, Nascenti, Sesta Godano <172 dal 8 luglio 1944 al 10 luglio 1944 si ebbero una serie di circostanze che portarono ad un grande rastrellamento.
In una fase di rapido sviluppo delle formazioni partigiane locali e di frequenti attacchi ai presidi fascisti e agli automezzi militari tedeschi in movimento sulle strade tra La Spezia, il territorio genovese e la Val di Taro parmense, un'autocolonna tedesca in transito proveniente da Varese Ligure venne attaccata dai partigiani sulla “Via delle Rocche” poco a sud dell'abitato di Sesta Godano, poco prima di Coscienti, il bivio per Nasceto e Ponte S. Margherita, l’8 luglio. I militari reagirono efficacemente, ma subirono perdite forse due morti, inoltre anche un partigiano rimase ucciso e altri feriti.
Nella zona si diffuse il timore di rappresaglie e molti decisero di lasciare le proprie case e di nascondersi. In effetti già l'8 luglio due viaggiatori diretti verso Varese Ligure, Caruso e Corbelli, furono catturati dai tedeschi presso il ponte di Coscienti e fucilati in località Piano Sarina di Bergassana.
Nel pomeriggio di lunedì 10 luglio i tedeschi giungono a Ponte S. Margherita, a sud di Sesta Godano e già in territorio del Comune di Carro, e iniziano a perquisire le case dell'area circostante e a radunare le persone trovate, in prevalenza anziani, donne e bambini, in un castagneto. I fermati furono avvertiti che sarebbero stati uccisi in caso di attacco partigiano. Nel corso dell'operazione due persone, che forse si erano date alla fuga, furono uccise in località Nasceto (Bertucci e Carneglia), inoltre tra i rastrellati vennero individuate quattro persone, forse trovate in possesso di armi i fratelli Guerisoli, Leonardini e Toso, che furono fucilate a Ponte.
Un altro rastrellamento di matrice tedesca si verificò il 27 luglio 1944, in risposta ad un azione partigiana <173. Il 25 luglio 1944 una squadra partigiana della brigata M. Vanni guidata da Eugenio Lenzi “Primula Rossa” saccheggiò i magazzini della Wehrmacht di Ceparana e catturò numerosi militari tedeschi. Nei giorni seguenti la reazione tedesca si manifestò tramite il cannoneggiamento di alcuni paesi a monte di Ceparana e diversi piccoli rastrellamenti. La sera del 27 luglio i tedeschi cannoneggiano Piana Battola nel comune di Follo, Madrignano e in generale l'area del monte Cornoviglio. A Piana Battolla vennero anche incendiate dieci case e fermati diversi uomini.
All'alba del 28 luglio i tedeschi circondano e rastrellano il paese di Follo Alto, forse identificato come una base dei partigiani, riunendo la popolazione e obbligandola a scendere al piano. Il paese (in particolare l'abitato Castello) venne incendiato. Nell’operazione rimasero uccisi un bambino di sei anni colpito da un proiettile e una donna anziana bruciata all’interno della sua casa. Una sessantina di uomini adulti vennero fermati e inviati al lavoro obbligatorio.
Nel corso del grande rastrellamento tedesco e italiano iniziato il 3 agosto 1944 a Suvero <174, reparti tedeschi occupano il paese in buona parte abbandonato dalla popolazione civile che si era nascosta sulle montagne e nei boschi vicini. Nel corso di questo rastrellamento perse la vita Menoni Giovanni, di soli 20 anni in seguito riconosciuto come partigiano della Colonna Giustizia e Libertà della IV Zona Operativa; Menoni venne sorpreso su una stradina ad est del paese e ucciso. Secondo una testimonianza la vittima, lasciata la sua casa di Suvero e rifugiatosi in un bosco all'approssimarsi dei rastrellatori, si sarebbe ricordato di avere nell'abitazione oggetti compromettenti, probabilmente legati ai partigiani, e sarebbe ritornato verso il paese per farli sparire. Incontrati dei tedeschi, si sarebbe dato alla fuga, scatenando la reazione omicida.
Il 7 settembre 1944 due partigiani originari di Santo Stefano Magra rientrano nel paese per motivi personali e sebbene in abiti borghesi, furono individuati da un militare tedesco, forse a causa della mano fasciata di uno dei due. I partigiani furono fermati, ma riuscirono quasi subito a darsi alla fuga sfruttando la loro superiore conoscenza del paese. I tedeschi decisero di setacciare l’abitato e, oltre a distruggere due case in cui furono trovate delle armi, uccisero Modestino Baudone, sorpreso sul ponticello del Canale Lunense di via Barca mentre si accingeva ad attraversare il fiume Magra per visitare dei parenti ad Albiano. Sull’argine del Canale Lunense venne avvistato dai tedeschi anche il non più giovane Enrico Ferrarini, che venne ucciso e gettato nel canale. Poco distante da via Barca fu fermato dai tedeschi anche il calzolaio Luigi Giannini, che stava andando a mungere una mucca in compagnia della figlia. Dopo aver allontanato la bambina, i tedeschi uccisero anche Giannini. Infine nei pressi venne ucciso anche Tristano Ferrarini, fratello di Enrico, sorpreso nel proprio campo.
Una tra le collaborazioni dei reparti italiani e reparti tedeschi fu il grande rastrellamento del 29 e 30 novembre <175 che interessò tutta l’area collinare e montuosa da Ortonovo ad Aulla. Il primo giorno le truppe della Wermarcht e della Brigata Nera si addentrano nell’entroterra, tra la zona di Sarticola e Castelnuovo Magra e uccisero Giuseppe Lavaggi, di 19 anni, Giuseppe Antognetti, di 28 anni, Onezio Devoti, di anni 36, Giovanni Pellegrino Lertola, di 51 anni, Ivano Corsi di 16 anni, Giuseppe Ferrari, di 68 anni, e ne abbandonano i corpi in un piccolo canale.
Il 7 dicembre 1944 <176, anche la zona di Vezzano Ligure fu teatro di un’operazione di reparti italiani e tedeschi, che furono aiutati da alcuni delatori locali, in primis Don Emilio Ambrosi, parroco di Vezzano Basso. Durante questa operazione vennero fermate molte persone, tra cui i membri del CLN locale, e furono uccisi Vera Giorgi e Carlo Grossi, due civili, definiti dalle autorità fasciste collaboratori dei partigiani e sappisti per giustificarne l’uccisione. Trovò la morte anche Giuseppe Carmè, sottufficiale della Regia Marina, che fu colpito alla schiena mentre si arrampicava su un tetto per scappare ai rastrellatori.
Il 12 dicembre 1944 <177 reparti fascisti e tedeschi attuano un rastrellamento nell'area collinare del comune di Follo, investendo le frazioni di Sorbolo, Bastremoli e Carnea. Il paese di Sorbolo venne saccheggiato dai rastrellatori, inoltre alcune baracche vennero bruciate. Diverse persone furono fermate e in seguito detenute alla Spezia. Il civile Guglielmo Luti, intento a governare le bestie, venne sorpreso all'alba fuori dal paese dai rastrellatori e colpito con arma da fuoco. Ferito gravemente, muore pochi giorni dopo. Gli spari avrebbero allertato gli abitanti di Sorbolo e facilitato la loro fuga. Di tale rastrellamento fu incriminata la 33° Brigata Nera “Tullio Bertoni”.
[NOTE]
168 Giorgio Pisanò, Storia delle forze armate della Repubblica sociale italiana 1943-1945, Visto, Milano 1967, vol. 2, p. 957.
169 Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea sezione “Le vie della Resistenza”, scheda curata da Maria Cristina Mirabello e dedicata a Virginia Ferretti di Torpiana di Zignago, che ricostruisce l'episodio. A Virginia Ferretti viene dedicata una via.
170 Antonio Bianchi, La Spezia e Lunigiana. Società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, Milano, 1999.
171 Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino, Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2017
172 Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino, op.cit.
173 Virgilio Olivieri, Follo: la tragedia del 28 luglio 194, in aa,vv, La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana. Scritti e testimonianze, II ed, Istituto storico della Resistenza La Spezia, La Spezia 1975, pp. 67-70.
174 Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino, op.cit
175 Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino, op.cit
176 Antonio Bianchi, La Spezia e Lunigiana. Società e politica dal 1861 al 1945, Angeli, Milano, 1999, p. 438.
177 Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino, op.cit.
Marco Bardi, La Repubblica Sociale Italiana alla Spezia tra pratiche repressive e punizione dei crimini, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2019

martedì 14 giugno 2022

Lotta Continua: la redazione di Roma e “l’atterraggio morbido”


Lotta Continua si sta evolvendo. <139 Nel gennaio 1970 nasce il primo embrione di coordinamento nazionale composto da delegati che ruotano di continuo <140. Al congresso del 12 novembre 1970, con slogan “prendiamoci la città”, i militanti di LC mettono al centro del loro programma: “non più l’operaio, ma il proletario. L’idea è che lo scontro sociale non deve restare chiuso nelle fabbriche, deve allargarsi alla vita: i trasporti, le case, i pressi, i disagi dell’immigrazione.” <141 Iniziano gli espropri e gli allacciamenti abusivi.
Nell’aprile del 1972, al convegno nazionale di Rimini, avviene la svolta militarista di LC, destinata a durare pochi mesi. Il 14 ottobre dello stesso anno, infatti, viene abbandonata la ‘violenza d’avanguardia’ per un lento avvicinamento alla dimensione politica, secondo Guido Viale LC finisce in questo momento <142. Inizia la lunga fase che Marco Revelli definisce ‘tregua produttiva’ <143: il movimento cerca un dialogo con i sindacati e tenta di trasformarsi in una struttura organizzata per poter andare avanti. Tra il 1973 e l’aprile del 1975 “non c’è iniziativa in cui LC e PCI non siano insieme, con PSI e Acli”, come racconta Giovanni de Luna:
“Così entrano in contatto generazioni diverse, i partigiani e i sessantottini, e fanno da camera di compensazione per evitare al PCI la deriva istituzionale che diverrà inevitabile con il compromesso storico, e per impedire a noi la deriva estremistica che ci porterà allo scioglimento totale.” <144
L’automazione, la cassaintegrazione, il decentramento produttivo, etc., per la prima volta i lavoratori si sentono minacciati ed abbandonano la protesta. Al congresso nazionale del 1975, Langer partecipa alla stesura delle tesi che trasformeranno LC in un vero e proprio partito politico. A seguito del convegno si verifica un notevole accentramento dell'organizzazione: viene eletto un Comitato nazionale; iniziano le prime discussioni collettive e si decide di appoggiare il PCI alle regionali dello stesso anno. <145
Il gruppo di persone con cui Alex lavora, è molto sensibile alle situazioni di conflitto sociale che si stanno generando, si tratta di un nucleo di militanti pronto al cambiamento, all’apertura, a nuove chiavi di lettura. Per loro la scelta degli interlocutori è fondamentale, sono caratterizzati dall’originalità delle idee e dalla sfrontatezza contro gli avversari. Questi giovani tentano di tenere a debita distanza il mondo politico tradizionale, verso il quale nutrono dubbi e diffidenza. Per Langer fare politica significa: prestare attenzione alla fascia più povera ed emarginata della società; rivolgere la propria attenzione agli avvenimenti ed ai movimenti culturali internazionali; dedizione integrale alla causa; attenzione per le minoranze religiose, etniche e nazionali; superamento delle facili semplificazioni a favore dell’approfondimento e della conoscenza diretta. Nasce in questi anni quella che Mughini definisce: “l’idea aberrante che la ‘militanza’ richieda un impegno totale.” <146 Ma Alex sceglie come sempre la ‘sua’ via alla militanza totale, mantenendo la propria autonomia di giudizio, pur appartenendo:
“A quel tipo di militanti che investono tutta la propria vita in una presenza attive e pubblica, che però si congiunge strettissimamente, indissolubilmente a ogni scelta personale e privata. […] Nel modello di Alex e di altri come lui l’investimento nella ‘militanza’ era totale, o quasi totale. Non c’era modo di tornare indietro, di mettersi da parte: la scelta era fatta una volta per tutte.” <147
Tipico di quegli anni, per i partecipanti a LC, è il mimetismo politico: copiare modi ed abbigliamento delle figure con cui si entra in contatto, fino a perdere la propria identità. Alex è diverso, con il suo accento sudtirolese ed i suoi modi originali, riesce ad essere premuroso nei confronti del prossimo senza perdere la propria unicità. Il piccolo Lenin (così veniva chiamato Adriano Sofri negli anni della militanza in Lotta Continua) ricorda l’indipendenza dell’amico:
“Alex aderì alla sinistra extraparlamentare di Lotta Continua. Ma anche in quell’esperienza, invero trascinante, tenne sempre una sua autonomia personale e ‘regionale’. […] Il primo antidoto era l’attenzione a conservare il legame stretto con il Sud Tirolo-Alto Adige, e con le persone con cui aveva condiviso la propria formazione lì radicata. Una specie di federalismo di fatto lo distingueva dalla assimilazione frettolosa, o anche solo dalla distrazione, con cui, in nome della Grande Causa, la maggior parte di noi tendeva a procedere. Il secondo antidoto era la decisione di tenersi scrupolosamente un lavoro proprio, un ambiente proprio, una stanza insomma tutta per sé, distante e indipendente dalle stanze comuni di una politica che tendeva a bruciare tutto dentro di sé. […] Quella capacità di restare se stessi nella spinta alla fusione e all’anonimato.” <148
Per questo ragazzo “a prima vista simpaticamente strano”, che presentava di sé “la sua faccia singolare, non quella mimetica.” <149, tentare di mantenere sempre e comunque una propria autonomia ed obiettività è fondamentale:
“Cercavo […] una linea che mi consentisse di restare solidale con la mia comunità […] e insieme di non essere nemico dell’altra. Di non esaurirmi nell’identificazione di una fazione, una situazione – di essere anche ‘altrove’. Anche più tardi quando collaboravo con ‘Lotta Continua’, e mi ero trasferito a Roma, ero contento di avere un altro lavoro, di insegnate, e un altro quartiere, lontano da Trastevere, di non essere sempre e solo lì, come mi pareva che succedesse ad altri. Anche se magari li invidiavo perché erano ‘dentro’ senza residui, giorno, sera, notte.” <150
E’ il 1974, Alex abita in una soffitta a Campo dei Fiori a Roma, collabora con la redazione di “Lotta Continua”; ormai giornalista professionista, ricopre anche per un breve periodo il ruolo di direttore della testata.151 Sono anni di difficoltà economiche. Langer firma il quotidiano e più di una volta viene incriminato e giudicato per reati di stampa.
Tra il 1975 ed il 1976 tra i vari motivi che mettono in crisi il movimento di LC ci sono: l’allontanamento della classe operaia dalla lotta politica (motivato dalla crisi economica) e la convergenza tra DC e PCI (che confluirà nel compromesso storico ed nel governo delle “convergenze parallele”). La possibilità di un ingresso del PC al governo e di una rottura rivoluzionaria si allontana definitivamente. <152
Il 20 giugno 1976 Lotta Continua si presenta per la prima volta alle elezioni politiche, facendo liste comuni con il PdUP per il comunismo, Avanguardia Operaia e Movimento Lavoratori per il Socialismo. I risultati sono scarsi, ma è importante la svolta nella linea del movimento che da extraparlamentare è a tutti gli effetti entrato in politica. Nel corso del Secondo Congresso Nazionale del 1976 il gruppo dirigente si scontra con la componente femminista del movimento ed ha inizio il declino. I compromessi ed il parlamentarismo non sono sufficienti a far si che il movimento sopravviva. Travaglini, Enrico De Aglio e Alexander Langer si assumono la responsabilità di gestire la nuova e definita fase del gruppo di Lotta Continua: “Credevo si aprisse una nuova strada e il nostro compito fosse cercarla.- Ricorda Travaglini - Di fatto si risolse nel gestire la liquidazione del gruppo tentando di evitare derive pericolose.” <153 Dopo il congresso del ’76 il movimento si scioglie senza dichiarazioni ufficiali <154, mentre il quotidiano sarà pubblicato, da Enrico Deaglio, fino al 1982 <155. La fase migliore del quotidiano inizia proprio con la fine del movimento di LC, non più organo di partito, “Lotta Continua” non fa più solo politica ideologica, “ma soprattutto buon giornalismo.” La testata “diventa un punto di riferimento anche grafico e linguistico per altri giornali” <156.
La nascita, l’evoluzione ed in fine l’epilogo di Lotta Continua rappresentano lo specchio di una società italiana in crisi, in cui le tensioni evolutive degli anni ’60 si sono scontrate con una realtà frustrante e paralizzante, esplodendo poi nella violenza irrazionale e cieca degli anni ’70. Dalla generazione dei figli dei fiori si precipita negli anni di piombo, anni di terrore e di fallimento della politica.
“Quando la festa finisce, quando si spegne l’euforia collettiva che esaltava ogni gesto del vivere quotidiano purché fatto di concreto con i ‘compagni’, un’euforia che dava un significato sacrale ad ogni parola pronunciata o ascoltata nel tumulto delle assemblee e dei cortei. Quando la vita ridiventa semplice e dunque spietato il calcolo di ciascuno a dover bilanciare il dare con l’avere. Quando una generazione sbatte il muso contro la vita reale dopo il tempo dell’ipnosi ideologica […] Una generazione che volle dare l’assalto al cielo, e anche se non sapeva bene cosa farci una volta che lo avesse conquistato.” <157
Nel 1976, infatti, quando LC si scioglie, una parte dei militanti costituisce Prima Linea, insieme ad alcuni ex membri di Potere Operaio <158. Si tratta di un'organizzazione armata di sinistra, nata nell'autunno del 1976 in Lombardia e cresciuta nelle primavera del 1977 a Firenze <159. Secondo Giampiero Mughini, la deriva terroristica degli anni ’70 trova la sua motivazione nello “shock delle origini”, ovvero nella strage di Piazza Fontana a Milano, del 12 dicembre 1969. <160 Luigi Manconi riconduce proprio a quell’evento “la perdita dell’innocenza”, il passaggio da una violenza di piazza, con proprie regole e rispetto della vita umana, ad una violenza d’avanguardia, quale detonatore per far esplodere le masse. <161 Il 15 dicembre 1969 Giuseppe Pinelli, durante un interrogatorio in questura, vittima di un ‘malore attivo’, cade dalla finestra e immediatamente “Lotta Continua” lancia una campagna violenta contro il commissario di polizia Luigi Calabresi accusato di essere l’assassino di Pinelli. Il 17 maggio 1972 Calabresi viene ucciso <162. La stagione della politicizzazione totale, dell’“uomo unidimensionale” di Herbert Marcuse, giunge al suo apice. In questo clima di forti tensioni, la stampa di estrema sinistra ha come scopo l’abbattimento dello stato, il giornalismo cessa di avere un dovere di obiettività, ma assume una funzione di testimonianza, non è importante dire la verità, ma dar voce ad una verità parziale e soggettiva, che risponda ad un dovere non di informazione, ma di formazione. <163
La spirale di violenza che si è innescata raggiungerà l’apice solo con il rapimento e la morte di Aldo Moro.
Con la fine di LC:
“esposte a tentazioni diverse, altrettanto pericolose - la droga e le armi -, il movimento del Rock e delle P38, delle radio libere e dei passamontagna crescerà con forme e spirito altri e a volte ostili a quelli originari di LC.” <164
La parte di Lotta Continua che non aderisce a Prima Linea si trova priva di un riferimento istituzionale; alcuni indirizzano la propria attenzione ai partiti esistenti e rimangono in politica: Marco Boato <165 entra nel Partito Radicale e successivamente militerà tra i Verdi; Luigi Manconi <166 aderirà prima ai Verdi e poi ai DS; altri sosterranno Bettino Craxi ed il Partito Socialista Italiano <167.
Tra i giornalisti che hanno preso parte alla redazione del quotidiano “Lotta Continua”, molti rimangono nell’informazione, facendosi strada sia nella carta stampata sia nelle emittenti pubbliche e private, è il caso di: Gad Lerner <168, Paolo Liguori, Giampiero Mughini, Toni Capuozzo e lo stesso Adriano Sofri <169.
Diversamente da altri personaggi come Adriano Sofri, Langer sente su di sé l’impegno a non abbandonare la causa e la testata.
“E mentre alcuni dirigenti di Lotta Continua di primo piano (a partire da Adriano Sofri) si ritirano totalmente, mi sembra di dover contribuire insieme ad altri compagni (tra i quali Paolo Brogi, Franco Travaglini, Enrico Deaglio, Clemente Manenti) all’“atterraggio morbido”, proprio per evitare una rovinosa e inconsulta ritirata o un’altrettanto rovinosa e inconsulta radicalizzazione dei militanti la cui fiducia, che avverto, mi responsabilizza notevolmente. È un lavoro da epigono, e varie volte tento di sottrarmene, ma ogni volta una nuova emergenza mi chiama.” <170
Nuove questioni chiamano in causa Alexander: il movimento del ’77, il rapimento e l’uccisione di Moro; i referendum radicali <171, etc. E’ un periodo molto difficile per Alex, dopo aver fortemente creduto nella ventata di novità che LC avrebbe portato nella vita degli italiani, si trova ora a fare i conti con la sconfitta e con la fine di una prospettiva collettiva in cui aveva tanto investito. Alla crisi personale si affiancano un generale allontanamento dei giovani dalla politica ed una diminuzione verticale della militanza; in questo frangente Langer condanna aspramente la dirigenza di LC che accusa di essere venuta meno alle promesse fatte, a suo tempo, ai compagni di cammino.
[NOTE]
139 Il titolo del paragrafo è tratto da: A. Langer, Minima Personalia: Lotta continua, cit., p. 45.
140 “Lotta Continua cominciò a strutturarsi in gruppo politico, per il momento non formalizzato. Si definivano scherzosamente ‘nucleo d’acciaio’: mangiavano insieme, vivevano insieme, andavano in vacanza insieme” Intervista a Massimo Necarville, in A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 115.
141 Intervista a Guido Viale, in Ibidem, p. 116.
142 Ibidem, p. 209.
143 Ibidem.
144 Intervista a Giovanni de Luna, in ibidem, p. 217.
145 Ibidem.
146 G. Mughini, Gli anni della peggio gioventù, cit. p. 87.
147 G. Fofi, Chiarezza e dedizione, cit., p. 2.
148 A. Sofri, La commemorazione al Parlamento Europeo, in “Una città”, nr. 43, 11 luglio 1995, p.1.
149 Intervista registrata ad Adriano Sofri, CD-ROM: Alexander Langer, cit.
150 A. Langer, Dialogo con Adriano Sofri, in “Fine Secolo”, 4 maggio 1985, pubblicato in Id., Il viaggiatore leggero, cit., p.133.
151 G. Grimaldi, Alexander Langer: speranze e proposte per un’Europa Federale, cit., p. 3; Id., Alexander Langer (1946-1995), cit., p. 1.
152 G. Crainz, Storia del miracolo economico, cit., pp. 201-250; P. Viola, Il novecento, cit., pp. 363-377; D.M. Smith, Storia d’Italia, cit., 609-625; P Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 511-520; G. Galli, I partiti politici in Italia 1943-1994, Torino, Utet, 1994, pp. 434-443.
153 A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 272.
154 Ibidem.
155 A. Langer, Un nuovo giornale: da “Lotta continua” a Craxi, in Lettere dall’Italia, marzo 1985, cit., pp. 19-22. 156 A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p.281. Nel 2010 il giornale “Lotta Continua” riaprirà i battenti; a distanza di 30 anni della pubblicazione mensile è costituita di soli volontari che si autotassano per pubblicare la testata. (S. Caprioglio, Il ritorno di Lotta Continua. Arriva il mensile a sottoscrizione libera, in “Lettera 43”, 27 marzo 2012.)
157 G. Mughini, Gli anni della peggio gioventù, cit., pp. 68-71.
158 Potere Operaio gruppo della sinistra extraparlamentare attivo fra il 1969 e il 1973. Nasce dalla redazione della "La Classe" con lo scopo di creare un’organizzazione indipendente dai partiti di sinistra. E’ il settembre 1969 quando il Movimento Operai-Studenti di Torino si divide ed in esso confluisce il Potere Operaio di Porto Marghera, dando origine al nuovo movimento. Viene pubblicato per diversi anni un mensile, omonimo al movimento, parallelamente alla pubblicazione di un foglio settimanale (“Potere Operaio del Lunedì”). Potere operaio è stato il gruppo della sinistra extraparlamentare più rappresentativo della classe operaia riuscendo a coinvolgere l’operaio “massa” vittima dell’alienazione derivata lunghe ore di attività alla catena di montaggio. La “violenza d’avanguardia”, come viene definita ai tempi, ha lo scopo di innescare l’insurrezione spontanea dei lavoratori ed innescare un processo rivoluzionario. A partire dal 1971 Potere Operaio dispone di una struttura armata segreta definita “ Lavoro Illegale” coordinata da Valeri Morucci. (P. Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse. Gli episodi e le azioni della più nota organizzazione armata, dall'autunno del 1970 alla primavera del 2012, Newton & Compton Editori, Roma, 2012, pp.25-145 ; A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., pp. 4-16, 184-209; G. Mughini, Gli anni della peggio gioventù, cit., pp. 17-34, 87-133; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, cit., pp. 511-520.)
159 I membri sono per lo più operai e studenti, al capo dei quali troviamo personaggi quali Sergio Segio. Il nome di questo movimento violento deriva dai militanti di LC che si schieravano in prima linea, nel corso delle manifestazioni, per effettuare il servizio d’ordine. Alcuni dei membri di LC, di Potere Operaio e di Azione Rivoluzionaria superarono la soglia della legalità, abbandonando le vecchie formazioni per imboccare la strada del terrorismo di sinistra. (P. Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse. cit., pp. 7-62; A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit, pp. 184-209; G. Mughini, Gli anni della peggio gioventù, cit., 17-133.)
160 G. Mughini, Gli anni della peggio gioventù, cit., p.29.
161 A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., pp. 90-91; P. Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse, cit., pp. 7-62.
162 “Milano, mercoledì 17 maggio 1972… esattamente alle 9:15, alla centrale operativa di via Fatebenefratelli, sede della questura, arriva la comunicazione di un equipaggio della squadre mobile: ‘C’è un uomo ferito da colpi di pistola in via Cherubini… si tratta de commissario Luigi Calabresi, ferito da colpi di pistola, sta sanguinando dal capo… fate presto non si può perdere un attimo’.” (P. Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse. cit., p. 74) Luigi Calabresi morirà alle 9:47. Alcuni testimoni ricordano di aver visto una donna ed un uomo dai capelli biondo-castani, scendere da una FIAT 125 blu, targata MI16802. L’uomo, alto circa 1,80 cm, crivella di colpi il corpo del commissario e fugge con la donna. A distanza di anni, nel 2009, il figlio di Luigi Calabresi racconterà la terribile vicenda dal suo punto. (cfr. Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là: storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Milano, Mondadori, 2009.)
163 G. Farinelli, E. Paccagnini, G. Santambrogio, A. I. Villa, Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ai giorni nostri, Utet, Torino, 1997, pp. 377-381.
164 A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 274.
165 Marco Boato, grande amico di Alexander Langer, ricordandolo: “Langer e io avevamo due anni di differenza, io ero del '44 e lui del '46 e, ancora prima di conoscerci, io sono di origine veneziana, lui era sudtirolese, ci siano incrociati in Trentino-Alto Adige, dove io mi sono trasferito dal '63. Ho scoperto poi, conoscendolo, che abbiamo avuto un percorso abbastanza parallelo: tutti e due di formazione cristiana e cattolica, con una forte, però, componente laica nella nostra formazione, e abbiamo poi percorso gli anni dell'impegno universitario, prima del '68, nella Fuci, che era la Federazione Universitaria dei Cattolici Italiani, nel movimento studentesco, io a Trento, lui a Firenze, […] nel mondo del cosiddetto dissenso cattolico, nel mondo del dopo-Concilio ecumenico Vaticano II. […] Anche nella fase successiva al '68, quando dopo il '68-'69 si è formata la cosiddetta sinistra extraparlamentare, sia Alexander Langer che io abbiamo fatto parte per quasi 10 anni del movimento di Lotta Continua[…]. Anche dal punto di vista dell'impegno “professionale”, entrambi a un certo punto siamo diventati giornalisti [..]. Entrambi ci siamo anche dedicati all'insegnamento […] e poi all'Università di Padova, essendomi io laureato a Trento in Sociologia e essendosi lui laureato a Firenze in Giurisprudenza, […] e poi lui ha preso anche una seconda laurea in Sociologia all'Università di Trento. Paradossalmente anche io […], mi ero iscritto a Giurisprudenza a Milano ma poi non ho più completato il secondo curriculum di studi. Ho voluto dire questo inizialmente perché le nostre vite a un certo punto si sono incrociate, fra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, e da lì fino alla sua morte, volontaria come lei sa, il 3 luglio del 1995, abbiamo fatto un percorso assolutamente parallelo […] la nascita del Movimento Verde, preceduto da una breve ma importante esperienza che è stata la formazione, che abbiamo costruito insieme noi due e i Radicali, in Trentino- Alto Adige, di un movimento politico che nel '78 si denominò Nuova Sinistra in Trentino e Nuova Sinistra/Neue Linke in Sudtirolo[…] Si è anche originata in parte l'esperienza dei Verdi […]. Per me è stata, non so se posso dire l'amicizia più importante della mia vita perché ce ne sono state anche altre, nel movimento studentesco con Mauro Rostagno, in Lotta Continua ed in tutta la fase successiva con Adriano Sofri che era, al tempo stesso, un grandissimo amico di Alexander Langer, ma è stato un sodalizio umano ancora prima che politico, culturale e, per alcuni aspetti anche religioso, che ha segnato profondamente la mia vita e che, in qualche modo, continua spiritualmente anche dopo la sua morte. Adesso, mentre noi parliamo, sono 13 anni e mezzo dalla sua morte e il segno che Alexander Langer ha lasciato nella mia vita[…] è stato un segno profondo tanto che, per dirla con una certa franchezza, a distanza di tanti anni, io non posso dire ancora di aver elaborato il lutto della sua morte.[…] io non gli ho ancora “perdonato” la scelta che ha fatto il 3 luglio del '95 […] E’ una scelta che mi ha provocato […] un trauma profondo, un'emozione profonda, una commozione profonda, non momentanea, perché a distanza di 13 anni e mezzo, è come se io ogni giorno parlassi ancora con lui.[…] Questa forse è stata l'emozione più dura e più forte che nella mia vita. Alex Langer aveva una fortissima interiorità, oltre che avere una cultura straordinariamente ricca, straordinariamente plurale, straordinariamente molteplice, cioè non era un uomo con i paraocchi, da nessun punto di vista, neanche per quanto riguarda l'impegno prevalente della fase finale della sua vita, cioè l'impegno ecologista, l'impegno, più che pacifista, direi di costruttore di pace. […] Io poi dico sempre che bisogna tener conto che Langer era un uomo in carne ed ossa, quando è morto aveva 49 anni, […] e in 49 anni è incredibile la quantità di esperienze che ha fatto, la quantità di elaborazioni culturali non solo che ha fatto lui, ma a cui si è rapportato rispetto ad altri, la quantità sterminata, questa davvero sterminata, di incontri che ha avuto nella sua vita, […] aveva il carisma del dialogo, nel senso persino filosofico della parola. […] In che cosa Langer credeva, con molta semplicità mi viene da dire che credeva nell'uomo e credeva in un rapporto, cioè nella possibilità di un rapporto equilibrato dell'uomo con gli altri uomini, è [… ] e nella possibilità di un rapporto equilibrato dell'uomo con la natura.” V. Riccardi, intervista a Marco Boato, cit., p. 2.
166 Luigi Manconi nel 1997, a due anni dalla morte dell’amico, ricorda: “Portatori di speranza collettiva: una parola che ci aveva insegnato Alex Langer. Ma che, soprattutto, Alex aveva incarnato ed esemplificato quotidianamente nella sua vita, e non solo in quella politica: perché per lui, coerente e generoso all'estremo, non esisteva, non poteva esistere scissione tra sfera personale e sfera politica. […] Non si cambia la politica se ognuno non cambia se stesso: questo ci diceva Langer, così caparbiamente e splendidamente fuori moda rispetto a quanto quella formula fu elaborata e venne usurata e dissipata. […] Langer liberava quel messaggio da ogni velleità catartica e da ogni ingenuità redentrice, per tradurlo, piuttosto, in un impegno rigoroso e severo di auto informazione e di consapevolezza dei propri limiti e delle proprie responsabilità. […]Alex, "viaggiatore leggero", apolide per scelta, transfuga da ogni cultura chiusa, si è concesso infine una sosta e ha posato lo zaino. Ma, incorreggibilmente generoso, ci ha lasciato l'ennesimo regalo: "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto". […]Raccogliere il testimone e perseguire gli infiniti traguardi, è l'unica cosa che ci può rendere capaci di obbedire all'ultimo invito di Alex: "Non siate tristi".” L. Manconi, Alex Langer il giusto, in “Il Manifesto”, 3 luglio 1997, cit., p. 1.
167 A. Langer, Viva l’Italia!, in “Kommune”, gennaio-febbraio 1986, poi in Id., Lettere dall’Italia, cit., pp. 23-26; Id., Craxi e il patto della staffetta, in “Kommune”, marzo 1987, poi in ibidem, pp. 40-42; Id., I crociati antidroga, in “Kommune”, gennaio 1989, poi in ibidem, pp. 75-77; Id., Un nuovo giornale: da “Lotta continua” a Craxi, cit., pp. 19-22.
168 In uno splendido articolo pubblicato da “Repubblica” nel 2005, a dieci anni dalla morte dell’amico, Gad Lerner dedica parole commosse alla memoria di Alex, che egli chiama “fratello maggiore”: “Anche quando ero povero in canna, le rare volte che li avevo in tasca ho sempre amato sperperare quattrini in buoni ristoranti e, più di rado, in buoni alberghi. Alex invece riteneva doveroso condurre vita spartana. Ricordo la volta in cui, per assenza d'alternativa, dovette ospitarmi a casa di sua madre. Cominciò per tempo a chiedere scusa - «scusami, scusami, scusami» - , mortificato, e io non capivo il perché. Finché arrivammo a una bella villa nel quartiere borghese di Bolzano: si vergognava di approfittare per una volta di quel benessere familiare. […]Trent'anni fa avevo incontrato quel volto da coniglio trafelato nella sede nazionale di Lotta continua, in via Dandolo a Roma.[…] Me ne restavo timido e trattenuto al cospetto di dirigenti ancora giovani, ma che percepivo molto più vissuti di me. Alex era fra i più autorevoli, eppure veniva a cercarmi e per primo mi invitava a fare i conti con la molteplicità delle mie appartenenze. Gliene sarò grato per tutta la vita.” G. Lerner, Alex Langer dieci anni dopo. Perché gli sarò grato per tutta la vita, in “La Repubblica”, 13 ottobre 2005.
169 Adriano Sofri ha scritto e pubblicato diversi articoli dedicati all’amico scomparso ed ha curato, con Edi Rabini, la raccolta “Il Viaggiatore Leggero”, cit.. Molte sono state le parole di affetto dedicate al Mauerspringer, al saltatore di muri, come Sofri definisce Alex, questo “leader nel suo modo così poco autoritario e invece affettuoso, fiducioso, femminile quasi”. In particolare, nel discorso commemorativo tenuto al Parlamento Europeo, nel luglio del 1995, egli riesce a ricostruire con sensibilità e delicato rispetto i venticinque anni di vita condivisi con l’amico: “Se mi chiedo che cosa abbia reso Alex così precocemente e profondamente sensibile alla difesa della natura cui apparteniamo, penso soprattutto a due spiegazioni. La prima viene dal paesaggio stesso della sua terra di origine […]Quel paesaggio tirolese, che può diventare geloso e chiuso, è stato portato nei viaggi di Alexander come uno spirito di aria pura e di cielo aperto. La seconda spiegazione sta nella religiosità di Alex, nella sua compassione col mondo, forte com'è solo in certi poeti o in certi santi. Più esattamente, nel modo bruciante in cui Alexander ha provato il desiderio cruciale di ogni vera religiosità: il desiderio della conversione, della metanoia, del cambiamento di vita.[…] Alex era attirato dal raccoglimento monastico, e i suoi itinerari privati ne seguivano spesso i luoghi […] Il suicidio di Alex è suo[…]Alla domanda evangelica: "Chi è il mio prossimo?", Alex aveva cercato di dare la risposta più larga, desiderando un amore che non fosse divisibile, che non diminuisse per il fatto di essere donato, salvo esserne forse lui stesso consumato, e sentirsi soccombere sotto il peso, lui che ci sembrava andare e venire col passo della leggerezza. […]Non dobbiamo neanche allungare l'ombra della morte di Alex all'indietro, e compiangere una sua doppia vita. Quella leggerezza che gli abbiamo conosciuto era vera: né la leggerezza viene senza fatica. Il modo fervido, entusiasta, infinitamente curioso e premuroso con cui Alex andava incontro alle persone e alle cose era il suo, per quanta fatica gli costasse. Erano sue, le striscioline di carta passate durante le riunioni o i ritrovi, ironiche o acute o sarcastiche. Alexander aveva sentimenti e qualità di scrittura forti, e ne ha lasciato qualche saggio: ma, come per le altre cose, non aveva tempo. Scriveva dovunque, in treno soprattutto, rubando il tempo al sonno, e sempre in ritardo, in fretta e furia, e con una destinazione urgente. […] Alex era, e molti di voi devono saperlo per esperienza, uno scrittore di cartoline. Scrivere cartoline è un genere letterario anticonformista, e Alex compensava la sbrigatività del messaggio con la cura messa nelle parole, nell'immagine scelta, perfino, quando era possibile, nell'adattarle i francobolli: e il tempo lento delle poste perfezionava la cosa. Ricorderò ancora che, da ragazzo, Alex aveva studiato e imparato per proprio conto la stenografia: premura in cui si riconoscerà anche la passione di Alex per le cose che si traducono in altre cose. […]In tutto questo lungo viaggio Alexander non ha mai cessato di pensare pensieri più grandi che non quelli di un luogo e di un momento immediati, di sognare sogni più grandi che non i muriccioli di questioni organizzative e di divieti burocratici che pretendevano di recintarli. […]Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi, non esiterei a mostrar loro com'è stata bella, com'è stata invidiabilmente ricca di viaggi e di incontri e di conoscenze e imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore, la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e gentile sulle loro magliette. Che vadano incontro agli altri col suo passo leggero, e voglia il cielo che non perdano la speranza.” A. Sofri: Commemorazione al Parlamento Europeo, cit., p. 2-5; Alexander Langer raccontato da Adriano Sofri, CD-ROM: Alexander Langer, cit.; A. Sofri, Se la patria è il mondo intero, cit., pp. 1-4.; A. Sofri, Alexander Langer e don Milani, il Vangelo in percentuale, cit., p. 1; A. Sofri: il ponte di Mostar, cit., pp. 1-2.
170 A. Langer, Minima Personalia, cit., p. 45.
171 AL XVII congresso dei Radicali , nel 1976, il partito guidato da Marco Pannella, Emma Bonino, Adele Faccio e Mauro Mellini, promuove otto quesiti referendari per l'abrogazione del Concordato, della legge Reale, del codice Rocco (pene per reati sindacali e d'opinione), della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, del codice penale militare e della legge sui manicomi. La Corte Costituzionale, riunitasi l'8 ed il 9 ottobre del 1977 stabilisce che quattro provvedimenti su otto sono incostituzionali. Il Parlamento interviene: abolendo la legge manicomiale del 1904 ed approvando la legge 180 (legge Basaglia), che prevede la chiusura dei manicomi, senza istituire un'alternativa agli istituti. Il Parlamento ignora anche la richiesta del popolo italiano di avere un organo imparziale che giudichi i parlamentari inquisiti, al posto della presente commissione costituita da parlamentari stessi. L'11 giugno del 1978 gli italiani vanno a votare per i due soli quesiti sopravvissuti alla revisione della Corte Costituzionale e del Parlamento. I partiti si schierano come segue. Per il finanziamento pubblico ai partiti, parteggiano per il "sì": Partito Radicale, Democrazia Proletaria, Partito Socialista Italiano; si schierano per il "no": DC, PCI, Partito Repubblicano Italiano, Partito Socialista Democratico, Partito Liberale Italiano. Per l'abrogazione della legge "Reale", si schierano a favore: Partito Radicale, MSI, PLI, Democrazia Proletaria, sono contro l'abrogazione: DC,PCI,PSI, Partito Repubblicano Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano. Entrambi i punti vedranno la vittoria del "no". (P. Viola, Il novecento, cit., pp. 377-383; S. Romano e B. Romano, La chiesa contro. Dalla sessualità all’eutanasia tutti i no all’Europa moderna, Longanesi & C., Milano, 2012, pp. 67-82; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 521-531.)
Cristina Pongiluppi, Il giornalismo militante di Alexander Langer, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2012/2013

sabato 11 giugno 2022

“Mauri” rimane fermo sostenitore di un carattere puramente militare della guerra partigiana


In una relazione di Testori, in seguito a un incontro avvenuto con “Mauri” [n.d.r.: Enrico Martini] nel maggio '44, si parla dell'arrivo di un certo «Saies» <435 presso le formazioni autonome.
Testori afferma che Saies/Sulis si sarebbe definito «commissario politico delle Langhe per incarico del CLN», <436 ma nonostante ciò “Mauri” non lo accoglie benevolmente.
Testori riporta le motivazioni che hanno persuaso “Mauri” ad allontanare Capriolo e ogni altro «sedicente» commissario politico: tra queste vi è la convinzione che i combattenti delle sue formazioni devono svolgere un ruolo esclusivamente militare nella guerra di liberazione, senza interessarsi in nessun modo alla politica. È lo stesso Testori, in una relazione del giugno '44, a riaffermare gli stessi principi "In tutte queste bande [...] è stato conservato, nel modo più assoluto e nel senso più esteso [sottolineato nel documento], un carattere prettamente militare e apolitico; in esse quello che altrimenti viene chiamato Commiss. Polit. non ha altri fini che di collegamento con il CLN, di coordinatore tra le bande e di aiuto nei rapporti tra banda e pianura, senza nessuna ingerenza nelle questioni militari e amministrative; tanto è vero che così Guido [Verzone] come io non abbiamo mai assunto presso le Bande, per evitare malintesi, il nome di Commissari Politici né abbiamo preteso di fissarci in maniera stabile e continuativa presso nessuna Banda" <437
“Mauri” rimane fermo sostenitore di un carattere puramente militare della guerra partigiana, rimandando alla fine del conflitto ogni tipo di manifestazione politica. La posizione di “Mauri” è alquanto controversa, tanto da creare un dibattito già all'interno del movimento partigiano e infine nella storiografia sulla Resistenza. Le parole di “Mauri” infatti, su una guerra puramente militare, mal si adeguano a una lotta che fin dal suo inizio implica una scelta di campo squisitamente politica. <438
Dal documento appena analizzato emerge però una diversa interpretazione del concetto di «politico». Il maggiore infatti, in questo come in altri documenti, sottolinea la sua contrarietà a inquadrare commissari che svolgano «propaganda di qualsiasi colore essa sia». Il termine «politico» in “Mauri” è sinonimo di partito, di propaganda, di reclutamento, di indottrinamento, fenomeni che i maurini associano alle brigate Garibaldi. La stessa storiografia, e più ancora la memoria pubblica della Resistenza, hanno costantemente inquadrato i garibaldini come fautori di una lotta più politica che militare, tesa quindi a indottrinare le masse, di partigiani e di civili, per scopi di partito.
[...] In alcuni casi la figura del comandante è determinante nello scegliere la formazione a cui aderire. Il comandante di brigata “Mario”, <439 rivolgendosi a “Mauri”, chiede di poter passare, insieme ai suoi uomini, nelle formazioni autonome. La motivazione indicata nella lettera è la seguente: "Non volendo più dipendere, per un senso di italiano da uno straniero, passo di mia spontanea volontà alle dipendenze del maggiore Mauri. Detto atto nasce sia da me che dagli uomini dettato dalla mia coerenza e dal senso di responsabilità che mi sono assunto" <440
L'influenza che esercita il comandante presso i propri partigiani e quelli di altre formazioni è sicuramente un aspetto non secondario nella definizione delle brigate come microcosmi culturali. <441
Abbiamo nelle Langhe personale militare e politico di alto profilo. A cominciare da “Mauri”, valido maggiore degli alpini, che più volte troviamo citato in documenti garibaldini e GL che ne attestano le capacità; troviamo anche personalità come Pompeo Colajanni, tenente di complemento della cavalleria corazzata dell'esercito, che si distingue per la sua intraprendenza nel formare le prime bande garibaldine nella zona di Barge, <442 o un dirigente comunista del calibro di Luigi Capriolo, che svolgerà il ruolo di commissario politico delle divisioni Garibaldi nel Cuneese fino alla sua morte.
“Mauri” è visto dai militari con grande rispetto e, intorno al suo nome, nasce un mito vivente, soprattutto dopo che il maggiore riesce a sopravvivere con pochi dei suoi ai rastrellamenti nella val Casotto. Nella citata lettera del 20 luglio '44, in cui si informa del passaggio nelle formazioni autonome, il “comandante Mario” si rivolge al «Signor Maggiore» con «devozione e stima». <443 Non pochi inoltre sono coloro che fanno richiesta o di passare nelle sue formazioni, per ragioni politiche o per semplice convenienza.
La vicenda di Piero Balbo, “Poli”, è significativa da questo punto di vista. A partire dalla primavera, “Poli” entra a far parte, anche se non formalmente, della 16ª brigata Garibaldi comandandone un distaccamento. Il suo successivo avvicinamento a “Mauri” è da far risalire a ragioni di carattere politico anche se i documenti non ci restituiscono questo dato, quanto piuttosto forniscono indicazioni che ci fanno pensare a ragioni di ordine pratico, quali la carenza di materiale bellico. <444 In giugno infatti, “Poli” si reca da “Mauri” per ricevere esplosivi: due mesi dopo sarà posto al comando della II divisione autonoma Langhe. Non abbiamo trovato documenti che attestino il passaggio della banda di “Poli” nel 1° GDA, né rimostranze in proposito da parte del comando della 16ª Garibaldi, ma l'episodio del giugno e le denunce garibaldine di mancati lanci presso le loro formazioni fanno presumere un passaggio di “Poli” alle formazioni autonome determinato da fattori di carattere militare.
La “forza attrattiva” di “Mauri” si manifesta anche nella realizzazione di accordi tra il gruppo degli autonomi e formazioni di altro colore. Il più importante è quello firmato a val Pesio con i GL. Ma accordi diretti con “Mauri” vengono presi anche da altre formazioni. Nel settembre '44 il gruppo Bacchetta entra nei ranghi del 1° GDA, <445 mentre la 67ª brigata “Mingo” stringe contatti con “Mauri” ma non con i garibaldini della 16ª, che pure confinano con la propria zona.
"Il comando della brigata [...] desidererebbe mettersi in collegamento con le forze di codesto Comandante, alfine di poter collaborare insieme proficuamente per il bene della nostra causa comune". <446
Mentre la brigata GL “Val Bormida”, comandata dai fratelli Botta, agirà in unità operativa con la Brigata Autonoma Savona, inquadrata nella II divisione Langhe e, successivamente, dall'aprile '45, nella divisione Fumagalli. <447
Anche le Matteotti sembrano privilegiare un apparentamento con “Mauri” anziché con i Garibaldini, come attesta un documento del 9 luglio '44, in cui vengono riportati i dettagli di un accordo tra il prof. Vipo, «delegato socialista del Comitato Militare per il Piemonte», e il maggiore.
"Visto che la zona alpina del Monregalese e le zone delle Langhe costituiscono un complesso inscindibile ai fini operativi e ravvisando le necessità che tutte le formazioni operino sotto un unico Comando Militare, il Comando stesso è stato affidato a Mauri <448
La brigata Matteotti organizzata da Vipo entra così «a far parte integrante, a tutti gli effetti, dell'Esercito di Liberazione Nazionale».
Il rispetto nutrito per il maggiore emerge dai modi in cui i suoi diretti dipendenti, ma non solo, si rivolgono a lui nelle lettere e nelle relazioni, dalla condivisione di idee e dal richiamo a un comune universo culturale. Spesso troviamo formule di saluto quali «devotissimo», <449 «Distintamente», <450 «Cordialmente»; <451 mentre ci si rivolge a “Mauri” o con il formale «Egregio Signor Maggiore» oppure, per chi lo conosce meglio, con il più informale «Caro Signor Maggiore», <452 «Caro Mauri», <453 «Caro Maggiore [...] Suo Dino»; <454 ma sempre sottolineando il suo ruolo di guida «Caro Comandante» e il rispetto nei suoi confronti, dandogli del “lei” o anche del “voi”, mentre c'è chi si scusa, un po' ironicamente, per avergli dato del “tu”: «Perdona se ti ho dato del tu. Sempre e in tutto a tua disposizione cordialmente ti saluto». <455 È da considerare inoltre che coloro che si rivolgono al maggiore con toni rispettosi e lusinghieri sono in larga parte ufficiali dell'ex esercito che, orfani di una guida militare a cui fare riferimento, vedono in “Mauri” un condottiero della nuova strategia bellica, capace di riguadagnare l'onore perduto dopo l'8 settembre e dopo la brutta guerra fascista.
“Mauri” diventa una calamita per i “profughi” di quell'esercito che non esiste più e che il maggiore, sotto forme diverse, tenta di ricostituire, battezzandolo «Esercito Italiano di Liberazione Nazionale». <456 Il ten. col. Toselli sembra aver trovato proprio in “Mauri” la guida che cercava "Non mi sono mai voluto organizzare a partiti perché sono ufficiale, vecchio ufficiale degli alpini, e tanto meno ai comitati. Ho sempre fatto da me. Ora so che voi ci siete Vi offro la mia cooperazione completa" <457
Il richiamo alla tradizione militare è una delle principali caratteristiche dei contenuti e del linguaggio dei documenti partigiani di “Mauri”. Espressioni tipo “abbiamo salvato l'onore delle armi”, in occasione della tremenda disfatta in val Casotto, richiama a un valore militare che è rimasto immutato nonostante lo sfacelo dell'esercito. La dignità di ufficiale si fa sentire in particolare nei confronti del CLNRP, con cui “Mauri” intrattiene durante la guerra di liberazione un rapporto al confine tra lo scetticismo e la formale cordialità, che non impedisce al maggiore di rivolgersi anche con toni duri nei confronti dei «diplomatici di Torino»
"Colgo l'occasione per rendere noto a cotesto Comitato che io sono un ufficiale superiore dello S.M.R. esercito e non un capo banda" <458
Dai documenti emerge una personalità molto forte ed energica, un ufficiale degli alpini sicuro di sé e dei suoi uomini, "[...] io posso contare sui miei uomini in ogni contingenza, sicuro interprete dei loro sentimenti; del loro ardire della loro volontà" <459, che non manca di punte di autonomismo politico e militare. Spesso accusato di agire contro le brigate politiche, “Mauri” sarà anche oggetto di alcune “interrogazioni” da parte del Comitato di Torino, a cui giungono periodicamente denunce nei suoi confronti.
In una lettera di risposta a una di queste interrogazioni, <460 “Mauri” si difende dicendo che "è l'ora di smetterla coll'accusarmi di indisciplina e di arbitrarietà, di anticomunista, antisocialista, anti partito d'azione ecc.ecc.; portando nel campo politico ed in un quadro molto più vasto questioni strettamente personali e per nulla attinenti al campo politico" <461
Dalla lettura di documenti di questo tipo si deduce il rapporto che “Mauri” instaura con gli organi centrali di governo. Seppur ogni comando di brigata o di divisione ha un suo personalissimo modo di relazionarsi con il CLN centrale di Torino, quello di “Mauri” è indubbiamente il più controverso. Da una parte infatti troviamo documenti, suoi o dei suoi comandanti, in cui il CLN non viene considerato come guida politica o militare della lotta di liberazione, dall'altra però “Mauri” stesso si trova per necessità a dover instaurare rapporti cordiali, seppur sempre contenuti nella più stretta formalità, con il Comitato. Altrove è stato notato come raramente si trovino nei documenti maurini richiami ai CLN, «indizio di un affermato principio di autonomia operativa e in senso lato politica». <462
 


[NOTE]
435 Si tratta di Luigi Capriolo, “Sulis”, dirigente comunista torinese, giunto nelle Langhe nell'aprile '44; si veda “Relazione del Delegato del CLN sulla situazione delle formazioni Mauri”, Cuneo, 9.4.44, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 3, p. 344
436 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 3, p. 343
437 “Relazione di Renato al Comitato di liberazione nazionale”, 13.6.44, in AISRP, A LRT 1/2
438 Come avrà a ricordare il CVL al CMRP, Atti del Comando Generale, cit., p. 163; C. Pavone, Una guerra civile, cit., p. 152, in cui però sembra che il comando CVL si riferisca a “Mauri”
439 Non ci è riuscito al momento sapere con certezza le sue generalità. Il documento al quale ci riferiamo è conservato presso AISRP, B AUT/mb 3 d. Si tratta di un foglio manoscritto che riporta la data del 20.7.44
440 Ibidem
441 Il ruolo carismatico del comandante, che svolge anche una funzione fondativa della banda è presente anche in altri contesti della guerra partigiana, si veda M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit., pp. 135-137
442 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 344
443 “Comandante Mario”, 20.7.44 in AISRP, B AUT/mb 3 d
444 In un documento della I divisione Garibaldi si racconta di un casuale incontro avvenuto tra elementi della 16ª, allora ancora appartenente alla suddetta divisione, e Balbo presso il comando di “Mauri”, dove il secondo era andato a chiedere materiale bellico; si veda “Il comandante della I divisione Piemonte”, “Barbato”, 'ai compagni responsabili' della Delegazione per il Piemonte, 24 giugno 1944, “Barbato”, G. Nisticò , Le Brigate Garibaldi, Vol. II, cit., doc. n. 165, p. 66
445 Si vedano AISRP, B AUT/mb 1 d, fogli 2-6; B AUT/mb 4 g, 14; B AUT/mb 4 f
446 “Comunicazioni al Comandante Mauri”, “Diana”, comandante della 67ª brigata “Cap. Mingo” (II divisione GL), 27.10.44, in AISRP, B AUT/mb 1 d
447 G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, 2 Vol., Istituto Storico della Resistenza in Liguria, Nuova Italia, Firenze, 1969, vol. II, p. 218
448 Accordo tra “Mauri” e Vipo , EILN – Comando della I Divisione “Camillo Benso di Cavour - Piemonte”, [9.7.44] in AISRP, B AUT/mb 1 g
449 Lettera manoscritta del S. ten. Claudio a “Mauri”, 15.4.45, in AISRP, B AUT/mb 3 d
450 Lettera manoscritta di “Gildo”, comandante del distaccamento “Pedaggera” a “Mauri”, in AISRP, B AUT/mb 3 d
451 Lettera manoscritta di Mario Bogliolo a “Mauri”, 7.3.45, in AISRP, B AUT/mb 3 d
452 Ibidem
453 “Caro “Mauri””, lettera del magg. Tommasi, 16.9.44 in B AUT/mb 4 e
454 “Caro Maggiore”, lettera di “Dino” [Giacosa] a “Mauri”, Valpesio, 18.9.44 in AISRP, B AUT/mb 4 e
455 “Caro Comandante”, lettera di “Alessandro”, Pamparato, [a matita, 3.9.44] in AISRP, B AUT/mb 4 e
456 Tale denominazione, presente in tutti i documenti prodotti dal 1° GDA, ha un valore formale, di distinzione rispetto alle altre formazioni che non ne fanno parte. La sigla E.I.L.N non è presente infatti in nessun documento garibaldino, particolare che informa di una “separazione” all'interno del movimento armato nelle Langhe. Si tratterà l'argomento nel prossimo capitolo.
457 “Al comandante Mauri”, Lettera del t.col. Toselli Giovanni, [a matita, 26.9.44] in AISRP, B AUT/mb4 e
458 “Richiesta ragguagli”, Comunicazione di “Mauri” al CLNRP, 25.10.44 in AISRP, B 45 a
459 “Relazione sull'attività svolta dalla Divisione Langhe nel periodo 1° luglio - 15 agosto 1944”, EILN al CLNRP, “Mauri”, 16.8.44, B 45 b
460 L'allontanamento forzato da Alba del sig. Panfilo (Arturo Felici), ritenuto dal CLNRP rappresentante del PDA, ma invece ispettore delle formazioni GL nel Cuneese; si veda G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 370
461 “Richiesta ragguagli”, Comunicazione di “Mauri” al CLNRP, 25.10.44 in AISRP, B 45 a
462 G. Perona, “Una lettura dei documenti partigiani”, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 15

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013