Intorno al 19 settembre i primi tedeschi giungono in valle e più precisamente a Giaveno, come testimonia il podestà del luogo Giuseppe Zanolli. "Alle ore 17 provenienti da Airasca giungono a Giaveno 6 SS tedesche guidate da un sottufficiale non che ventenne. Con un baccano indiavolato, invadono la mia casa ingiungendomi di seguirli. Calmo la mia famiglia intimorita, da un simile modo di procedere e li seguo. In pubblica via un di essi, un certo Ruf, che conoscendo un po' l'italiano funziona da interprete, mi consegna un plico di manifesti ordinandomi di affiggerli immediatamente. Seccato dal suo modo di agire, gli rispondo che io non sono l'attacchino comunale e che se hanno comunicazioni da farmi si presentino domani mattina nel mio ufficio Podestarile. Ruf digrigna i denti come una faina, ma fattosi consegnare l'occorrente da una famiglia vicina li affigge da sé. Ad operazione ultimata Ruf mi dice che devo provvedere al vitto ed all'alloggio, per lui e per i suoi compagni. Invano cerco di fargli capire che il paese è povero e che avendo io dovuto alloggiare per effetto dello sfollamento 5mila persone in più del normale, non saprei come dar loro decentemente da dormire." <20
La testimonianza di Zanolli, seppur scritta in un periodo successivo alla guerra, è fondamentale per ricostruire il clima che si respira in val Sangone durante il conflitto.
A Giaveno il fenomeno dello sfollamento è confermato dallo stesso podestà, che parla di 5.000 persone in più rispetto a quelle che risiedevano in paese prima dell'armistizio. Inoltre, indipendentemente dalla veridicità della sua ricostruzione, appare evidente che a Giaveno la presenza degli occupanti non è ben vista, ma accolta negativamente.
A ciò si aggiunge, il 20 settembre, il problema dei manifesti, in cui i tedeschi minacciano di fucilare 10 civili presi a caso per ogni soldato germanico ucciso. La popolazione risponde strappando i manifesti e scrivendo ingiurie contro gli occupanti. "Povero mi! ad eccezione di quelli affissi davanti alla casa del Signor Fasano che li aveva vegliati in piedi tutta la notte, gli altri sono tutti strappati e gettati in mezzo alla via, e la via Roma è tappezzata di manifesti con frasi ingiuriose contro i tedeschi e di lode verso il popolo russo". <21
Di fronte a questi comportamenti della popolazione, i tedeschi decidono di prendere provvedimenti e di sedare i primi possibili ceppi di ribellione. Il 23 settembre, intorno alle 5 del mattino, giunge a Giaveno una lunga autocolonna tedesca in azione di rastrellamento, appoggiata da mezzi corazzati. Superata Giaveno, l'autocolonna fa rotta verso Coazze, dove si divide in due per proseguire verso il Forno e l'Indiritto. A scopo intimidatorio alcuni civili vengono prelevati dalle abitazioni e fatti camminare alla testa delle pattuglie. Nessuno dei civili collabora: i militari tedeschi chiedono loro di indicare i luoghi in cui si nascondono i ribelli, ma ottengono solamente risposte evasive.
La prima vittima della Resistenza in vallata viene fatta presso la zona del Colletto del Forno. Si tratta di Maurizio Guglielmino, un pittore giavenese residente in un piccolo villino di montagna. Viene colpito da colpi di mitraglia senza apparente motivo, visto che non ci sono testimonianze sull'accaduto, ad eccezione di quella di Zanolli. " Alle 19 sono nuovamente chiamato in caserma e qui il maresciallo mi dice che al Colletto del Forno è stato fucilato Guglielmino perchè faceva segnali di intesa agli sbandati all'avvicinarsi delle truppe tedesche. “Impossibile - dico io - il Guglielmino ha il bestiame su quei colli e forse avrà dato il segnale dell'adunata del bestiame”. “No - dice il maresciallo - si tratta del pittore Maurizio Guglielmino”. “Peggio ancora, Maurizio è un vero galantuomo solo dedito al lavoro ed alla sua famiglia si tratta evidentemente di errore di valutazione”. Mi risponde l'interprete senza attendere la risposta del capitano “Sono stato io a fucilarlo, perché io stesso ho visto colla mano far cenni a ribelli rimasti invisibili, di allontanarsi; a bruciapelo gli ho sparato una raffica di mitra al cuore. Nei pressi della sua casa poi vi era un mulo carico di viveri e vestiario per gli sbandati e siccome ricalcitrava e non voleva seguirmi; subito ho dubitato che fosse anche quello uno sbandato e l'ho ucciso allo stesso modo” ". <22
Nel pomeriggio i tedeschi decidono di interrompere il rastrellamento e rientrare ma, arrivati al Forno, sparano ancora. La vittima è una donna di 18 anni, Evelina Ostoreto che, impaurita dalla presenza dei militari, si mette a correre <23. Lasciando la valle i militari ordinano al podestà di Giaveno di affiggere due manifesti. Nel primo si cita l'uccisione di Guglielmino, colpevole, secondo loro, di aver appoggiato i ribelli della montagna; il secondo contiene una minaccia esplicita: chi verrà sorpreso in abiti militari, sarà condotto alla corte marziale. Questa richiesta è importante e fa capire come l'offensiva non sia rivolta contro il maggiore Milano e gli uomini che si stanno radunando intorno a lui. Il vero obiettivo del rastrellamento è la popolazione civile. Proprio a quest'ultima il comando germanico intende “mostrare i muscoli”, per incutere paura e attuare una vera e propria strategia del terrore.
Ma proprio il rastrellamento e le due vittime civili che alimentano nella comunità un vivo sentimento antigermanico, finisce per favorire la Resistenza e la collaborazione fra la popolazione e i partigiani, identificati come validi oppositori degli occupanti. Scampato il pericolo, i partigiani possono continuare a organizzarsi.
Il gruppo del maggiore Milano conta ormai, a fine settembre, una sessantina di unità, dislocate tra le borgate Molé, Ciargiur, Palé e Dogheria. A metà ottobre, con la concentrazione dei gruppi tra Forno e Indiritto e l'afflusso di giovani provenienti da Avigliana, Buttigliera Alta, Reano e Grugliasco, la banda agli ordini di Milano conta su circa duecento uomini, capaci di azioni ad Avigliana, Orbassano e Beinasco, finalizzate all'approvvigionamento di armi, viveri e vestiario. Per rendere più efficace l'azione del suo gruppo, il maggiore decide di predisporre alcuni punti di osservazione e soprattutto di dividere gli uomini in tre formazioni, anche per facilitare le manovre militari.
Contemporaneamente allaccia rapporti di collaborazione con i partigiani di altre zone, in particolare con le formazioni della Val Susa.
Il 22 ottobre si manifesta la prima vera difficoltà per i partigiani valligiani. Il maggiore Milano si trova nell'albergo Lago Grande di Avigliana quando i tedeschi fanno irruzione. Egli viene arrestato e rinchiuso nelle Carceri Nuove di Torino, dove è torturato lungamente. Liberato nell'aprile 1944, appare gravemente minato nel fisico, tanto che a novembre è ricoverato nel tubercolosario di Quasso al Monte per tubercolosi polmonare sinistra con versamento <24. "Appena si è consegnato gli sono saltati addosso in cinque o sei, l'hanno pestato in tutte le maniere. Lui era alto, grosso, ma quelli non gli hanno dato tempo di muoversi, gli hanno tolto il fiato con un colpo alla pancia e poi gliene hanno date fin che hanno voluto. Quando l'hanno trascinato via su una macchina sanguinava dappertutto e non respirava quasi". <25 I soldati erano andati a colpo sicuro: erano a conoscenza della presenza di Milano proprio in quell'albergo, avvisati probabilmente dalla delazione di qualcuno. Prova ne sia che, catturato il maggiore, i tedeschi non continuano nell'ispezione nell'albergo, dove erano nascosti chili di dinamite e detonatori.
Il colpo per il movimento di Resistenza è durissimo. Il maggiore è l'uomo di maggior carisma e con le sue decisioni e la sua personalità è in grado contemporaneamente di attrarre nuove reclute e di unificare le diverse personalità del partigianato valligiano. Coprire il vuoto di potere da lui lasciato è una delle sfide più importanti da superare per la Resistenza in val Sangone. "Quando hanno comunicato a Crisciuolo e Asteggiano che Milano era stato preso, c'ero anche io, che ero arrivato su da poco. Ho visto che avevano tutti e due gli occhi che si chiudevano per la commozione, si vedeva che non sapevano più che cosa fare" <26.
Emergeranno però le figure di nuovi comandanti dalle diverse caratteristiche e personalità che, nel corso della Resistenza, prenderanno il comando delle bande: i fratelli Giulio e Franco Nicoletta, Nino Crisciuolo, Eugenio Fassino, Carlo Asteggiano, Sergio De Vitis.
[NOTE]
20 Giuseppe Zanolli, Diario del podestà di Giaveno, dattiloscritto conservato c/o l'Istituto Storico della resistenza in Piemonte, pp. 4-5.
21 Ivi, p. 5.
22 Giuseppe Zanolli, Diario, cit., p. 24.
23 G. Oliva, La Resistenza, cit., p. 77.
24 http://valsangoneluoghimemoria.altervista.org/?p=1169.
25 Testimonianza di Italo Allais contenuta in G. Oliva, La Resistenza cit., p. 89.
26 Testimonianza di Carlo Suriani, contenuta in G. Oliva, La Resistenza, cit., p. 91.
Francesco Rende, Mario Greco e la Resistenza in val Sangone, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2016-2017