La «mutazione genetica» della Perego
Il 25 aprile 2009, mentre in centro a Milano si svolgeva il tradizionale corteo per festeggiare la Liberazione dell'Italia dal nazi-fascismo, gli investigatori intercettarono una lunga conversazione tra Salvatore Strangio e Mario Polito, un «compare» calabrese, che permette di comprendere la portata complessiva della missione del boss all'interno della Perego. Strangio si lamentava per le continue interferenze di Pasquale Varca, capo della Locale di Erba <1100, che lo costringevano a numerosi viaggi in Calabria per mantenere gli equilibri interni all'organizzazione. La Perego Strade, infatti, si trovava sul territorio di competenza di Varca, che non accettava questa invasione di campo da parte di Strangio nel suo territorio, a maggior ragione perché vantava un rapporto con l'azienda precedente: «nella Perego lavoretti ne ho… e quando lo voglio, ce l'ho sempre io…» <1101.
Strangio, dal canto suo, rivendicava il suo ruolo all'interno dell'azienda, cioè quello di salvarla dalla crisi senza perdere soldi ma anzi, riorganizzarla per procurare immediati vantaggi alle aziende della 'ndrangheta in Lombardia, in vista dei più lucrosi affari immaginati con Expo2015. Nella conversazione, a un certo punto Polito gli fece notare che «il problema è che qua ci sono centocinquanta famiglie da pagare… no una famiglia sola… qua c'è tutta la Calabria da pagare…», e proseguiva elencando tutti i territori a conoscenza degli affari della Perego, citando addirittura Reggio Emilia, con evidente implicito riferimento ai Grande Aracri <1102. «Tutta la Calabria!», gli faceva eco Strangio, che a un certo punto disse: «La volete sapere? Il primo lavoro dell'Expo, al 99% lo prende la Perego» <1103. E quindi, giù in Calabria, «loro questo stanno aspettando, l'Expo...» <1104.
Quel dialogo, più di ogni altra conversazione intercettata, restituì agli inquirenti e all'opinione pubblica la dinamicità e la disinvoltura con cui i boss della 'ndrangheta, pur in assenza di competenze professionali specifiche, sapevano muoversi nell'economia legale, colonizzandola progressivamente. La Perego da società brianzola si ritrovò in nemmeno sei mesi ad essere un'azienda calabrese, dove lavoravano maestranze calabresi e dove vigeva un clima di assoggettamento e omertà tra i dipendenti lombardi, costretti a violare le leggi sotto la minaccia del licenziamento in un periodo di grave crisi economica: non erano cambiati solo gli amministratori, si potrebbe dire che l'intera azienda venne mutata geneticamente fino alle fondamenta, poiché l'habitus imprenditoriale alla base della filosofia aziendale divenne un habitus essenzialmente mafioso.
Ivano Perego, infatti, rimase Presidente dell'azienda solo sulla carta. Tanto che quando un imprenditore della zona si rivolse a lui per ottenere dei lavori in subappalto, lo indirizzò a Strangio, al quale poi riferì ossequioso la conversazione, per ribadire per l'ennesima volta la sua fedeltà: «lui m'ha detto: fammi lavorare... e io gli ho detto: io non centro, devi chiedere a Salvatore!» <1105.
A cambiare tuttavia non fu solo la filosofia aziendale, lo fu anche l'habitus di Perego. L'assimilazione da parte dell'imprenditore delle regole non scritte della galassia 'ndranghetista emerse in maniera cristallina in una conversazione con Strangio intercettata il 12 giugno 2009: di fronte alla possibilità di subentrare a un'azienda nel secondo lotto di un appalto in Liguria, Perego si preoccupò di chiedere al boss calabrese «se c'è di mezzo qualcuno di voi», perché in quel caso «dobbiamo metterci a tavolino a ragionarci… io gli lascio il lavoro […] la quota e noi gli diamo il lavoro sennò vado giù e facciamo il lavoro noi… giusto?» <1106.
Tradendo anche una certa insicurezza sui passi da seguire, Perego chiamò poco dopo anche Pavone, riferendogli della telefonata a Strangio e chiedendo ulteriori conferme anche a lui se si fosse comportato in maniera corretta: «gli ho detto: Salvo, allora, qui a Genova c'è un bel lavoro, ho detto, però c'è Biella Scavi… […] informatevi, prima che c'è dietro qualche calabrese o qualcuno… che io vado a schiacciare i piedi… giusto, no? […] se non c'è dietro nessuno io vado avanti faccio il mio… bon basta… giusto?» <1107.
Illuminante sotto il profilo della «mutazione genetica» è la conversazione intercettata tra Strangio e Pavone del 15 aprile 2009, dove Pavone disse esplicitamente che «una volta che il virus è dentro, iniettato... è destinata a morire, una persona, non c'è un cazzo da fare...» <1108. In queste parole emerge il modus operandi tipico della 'ndrangheta: fingendo l'apporto di nuovi capitali, l'organizzazione entra nell'azienda e da quel momento è finita, la vecchia società non esiste più e l'impresa, per usare le parole del GIP, diventa «uno zombie a disposizione delle esigenze e degli interessi della componente 'ndranghetista» <1109.
La lotta interna alla 'ndrangheta: da Strangio a Cristello
Un'ulteriore prova della «mutazione genetica» la diede la lotta tutta interna alla 'ndrangheta per il controllo della Perego, incardinata nelle rigide regole gerarchiche dell'organizzazione mafiosa.
Il dominio assoluto di Strangio nell'azienda durò poco meno di un anno. Verso la metà del 2009, infatti, iniziò un lento processo di allontanamento tra Perego e Pavone dal boss che alla fine portò in sella come referente della 'ndrangheta Rocco Cristello, capo Locale di Mariano Comense, che come abbiamo visto deteneva una quota della Perego del 10% tramite prestanome.
L'accelerazione si ebbe quando sul Corriere della Sera del 21 agosto comparve un articolo a firma di Cesare Giuzzi intitolato «I cantieri dell'Expo, il nuovo business della 'ndrangheta», con tanto di mappa delle 'ndrine presenti nella provincia di Milano, dove si riportava la notizia che anche gli Strangio erano in procinto di entrare negli appalti dell'Expo2015. Benché gli Strangio di cui parlava l'articolo fossero quelli di San Luca, coinvolti nella Strage di Duisburg del 15 agosto 2007, e non quelli di Natile di Careri di cui faceva parte Salvatore, questi si convinse di essere lui l'oggetto delle indiscrezioni giornalistiche e iniziò ad allarmarsi. Nella disperata ricerca di informazioni, moltiplicò le conversazioni con affiliati e parenti, rivelando più di un dettaglio agli investigatori. Perego e Pavone, che già avevano allentato i rapporti con Strangio nei mesi precedenti, colsero la palla al balzo, facendogli credere, tramite un amico poliziotto del fratello di Perego in servizio a Lecco, di essere sotto osservazione dei Carabinieri <1110. In una conversazione col figlio Domenico, subito dopo aver ricevuto la notizia da Perego di indagini su di lui il 15 settembre, Strangio rivelò qual era la sua vera preoccupazione:
«devo vedere per questo discorso Mimmicé... devo vedere di andare a parlare con questo avvocato prima che facciano qualcosa questi... sennò sai che succede bello mio... io apposta me ne voglio andare dalla Perego… perché se importano a fare qualche associazione con il 416 bis sai che significa? […] significa che sequestrano […] fanno subito il sequestro dei beni, immediatamente…» <1111
Quello stesso giorno Strangio decise di licenziarsi, insieme a Pasquale Nocera, dalla Perego, restituendo tutto: l'auto di lusso, le utenze cellulari, oltre a tutti gli uomini riconducibili a lui. Il 22 settembre però venne a sapere da fonti romane che era tutto inventato, ma a quel punto la sua estromissione dalla Perego era definitiva: Perego, dopo aver permesso per un anno che la sua azienda fosse governata da Strangio, assunto come semplice geometra, sbatté la porta in faccia a Strangio, insieme a Pavone, forte del supporto di Rocco Cristello <1112. Ecco come Perego si rivolgeva al suo ex-padrone, nella telefonata in cui Strangio lo informava di voler ritornare nell'azienda:
«Basta mi sono rotto i coglioni io... portatemi indietro la macchina e vi licenzio tutti, mi sono rotto i coglioni! Salvatore portami su la macchina, che ti firmo il licenziamento... prendi e vai fuori dai coglioni anche te... anche Simone... no, non ragiono io [...] perché io in mezzo per voi non vado più... va bene?... Tra un'ora se non c'ho la macchina... denuncio tutti io [...] perché io mi sono rotto i coglioni che sono andato di mezzo per voi, va bene? Io tra un'ora sono a dire tutto» <1113.
Nel raccontare l'accaduto al fratello Antonio, Strangio rivendicò quanto aveva fatto per Perego, evocando il fattore calabrese che aveva permesso all'azienda di non fallire:
«il mio reato è che io ho un sacco di contatti con tutta sta gente... questo sai cos'è, il fattore calabrese... perché ti volevano fare del male... ed io ho cercato di calmarli e dirgli che li pagavamo... che li pagavi tu un po' alla volta […] hai detto […] di vedere queste persone e di dirgli di stare calmi che… che gli davi i soldi... e c'è telefonate, fotografie, c'è questo e c'è...» <1114
Perego però si sentiva al sicuro, come rivelò lui stesso in un'altra conversazione intercettata: «io c'ho un altro calabrese più forte...» <1115, mentre Pavone, conoscendo il suo ex-socio, dimostrava maggiore preoccupazione. E in effetti fu lui il destinatario di un atto di intimidazione in pieno stile mafioso: l'apposizione di una croce di grosse dimensioni davanti al portone di casa. Tuttavia, l'episodio si risolse con una vena, si può dire, comica, con Pavone che interpretò quel fatto come la minaccia non di Strangio ma di altri, tale Oricchio, e non gli diede alcun peso. L'indifferenza di Pavone fece infuriare ancora di più Strangio che, consapevole della situazione finanziaria dell'azienda, voleva ricevere immediatamente i pagamenti arretrati per i lavori eseguiti dalle sue aziende, a rischio fallimento anche loro.
Estenuato dalle discussioni con Rocco Cristello, Strangio decise di passare a modi meno diplomatici, ma nel pieno e assoluto rispetto delle regole e della gerarchia della 'ndrangheta: si rivolse così a Domenico Pio, capo della Locale di Desio, e a Salvatore Muscatello, capo della Locale di Mariano Comense cui Cristello era affiliato, per avviare azioni ritorsive contro di lui. In questo modo Strangio rendeva palese lo scontro ai vertici dell'organizzazione, interamente interessata alla questione Perego come si è visto per via di Expo.
Al di là dell'esito dello scontro, che si risolse a favore di Strangio, il punto da sottolineare qui è che nel novembre 2009, cioè esattamente 14 mesi dopo l'ingresso della 'ndrangheta nell'azienda per risolvere una crisi di liquidità, la Perego era diventata un'azienda mafiosa fino alle fondamenta, tanto che una questione di pagamenti mancati finì sul tavolo dei massimi vertici della 'ndrangheta in Calabria. Non solo, il 21 dicembre 2009 l'azienda veniva dichiarata fallita e, stando alle indagini della magistratura, quella dichiarazione sarebbe avvenuta già a fine 2008, dopo appena 3 mesi di attività, e se ciò non accadde fu solo perché vennero falsificati i bilanci dell'azienda <1116.
La Perego General Contractor era quindi un'azienda nata senza passività finanziarie ma anche senza reali capitali, che gli uomini della 'ndrangheta finsero di mettere a disposizione di Ivano Perego, il quale si mise nelle mani dell'organizzazione mafiosa per poter continuare a fare la bella vita, come vedremo, senza doversi più preoccupare della sua azienda. Pavone, con Strangio prima e Cristello poi, puntava a far affluire nuovi capitali all'azienda tramite le incorporazioni, poi non andate in porto, come quella con il colosso delle costruzioni Cosbau, sulla base di falsi bilanci.
Il potenziamento del capitale sociale di Ivano Perego
La gestione, secondo lui a «a costo zero», non fu l'unica cosa che Ivano Perego guadagnò dal rapporto con la 'ndrangheta. Per il giovane imprenditore brianzolo, legato alla locale realtà territoriale, fu un mezzo per potenziare il proprio capitale sociale ed espandere il reticolo di relazioni nel campo dell'economia, della politica e del mondo delle professioni.
[NOTE]
1100 Si veda Ghinetti, A. (2009). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 41849/07 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 26 ottobre., p. 622 e ss.
1101 Gennari, G. (2010). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 47816/08 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 6 luglio. (TENACIA), p. 57.
1102 Gennari, op. cit., p. 186.
1103 Ivi, p. 187.
1104 Ivi, p. 188.
1105 Ivi, p. 169.
1106 Ivi, p. 194-195.
1107 Ivi, p. 195.
1108 Ivi, p. 75.
1109 Ivi, p. 76.
1110 Ivi, p. 238.
1111 Ivi, p. 238-239.
1112 Ivi, p. 245.
1113 Ivi, p. 243-244.
1114 Ivi, p. 240.
1115 Ivi, p. 262.
1116 Ivi, p. 365.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020
Il 25 aprile 2009, mentre in centro a Milano si svolgeva il tradizionale corteo per festeggiare la Liberazione dell'Italia dal nazi-fascismo, gli investigatori intercettarono una lunga conversazione tra Salvatore Strangio e Mario Polito, un «compare» calabrese, che permette di comprendere la portata complessiva della missione del boss all'interno della Perego. Strangio si lamentava per le continue interferenze di Pasquale Varca, capo della Locale di Erba <1100, che lo costringevano a numerosi viaggi in Calabria per mantenere gli equilibri interni all'organizzazione. La Perego Strade, infatti, si trovava sul territorio di competenza di Varca, che non accettava questa invasione di campo da parte di Strangio nel suo territorio, a maggior ragione perché vantava un rapporto con l'azienda precedente: «nella Perego lavoretti ne ho… e quando lo voglio, ce l'ho sempre io…» <1101.
Strangio, dal canto suo, rivendicava il suo ruolo all'interno dell'azienda, cioè quello di salvarla dalla crisi senza perdere soldi ma anzi, riorganizzarla per procurare immediati vantaggi alle aziende della 'ndrangheta in Lombardia, in vista dei più lucrosi affari immaginati con Expo2015. Nella conversazione, a un certo punto Polito gli fece notare che «il problema è che qua ci sono centocinquanta famiglie da pagare… no una famiglia sola… qua c'è tutta la Calabria da pagare…», e proseguiva elencando tutti i territori a conoscenza degli affari della Perego, citando addirittura Reggio Emilia, con evidente implicito riferimento ai Grande Aracri <1102. «Tutta la Calabria!», gli faceva eco Strangio, che a un certo punto disse: «La volete sapere? Il primo lavoro dell'Expo, al 99% lo prende la Perego» <1103. E quindi, giù in Calabria, «loro questo stanno aspettando, l'Expo...» <1104.
Quel dialogo, più di ogni altra conversazione intercettata, restituì agli inquirenti e all'opinione pubblica la dinamicità e la disinvoltura con cui i boss della 'ndrangheta, pur in assenza di competenze professionali specifiche, sapevano muoversi nell'economia legale, colonizzandola progressivamente. La Perego da società brianzola si ritrovò in nemmeno sei mesi ad essere un'azienda calabrese, dove lavoravano maestranze calabresi e dove vigeva un clima di assoggettamento e omertà tra i dipendenti lombardi, costretti a violare le leggi sotto la minaccia del licenziamento in un periodo di grave crisi economica: non erano cambiati solo gli amministratori, si potrebbe dire che l'intera azienda venne mutata geneticamente fino alle fondamenta, poiché l'habitus imprenditoriale alla base della filosofia aziendale divenne un habitus essenzialmente mafioso.
Ivano Perego, infatti, rimase Presidente dell'azienda solo sulla carta. Tanto che quando un imprenditore della zona si rivolse a lui per ottenere dei lavori in subappalto, lo indirizzò a Strangio, al quale poi riferì ossequioso la conversazione, per ribadire per l'ennesima volta la sua fedeltà: «lui m'ha detto: fammi lavorare... e io gli ho detto: io non centro, devi chiedere a Salvatore!» <1105.
A cambiare tuttavia non fu solo la filosofia aziendale, lo fu anche l'habitus di Perego. L'assimilazione da parte dell'imprenditore delle regole non scritte della galassia 'ndranghetista emerse in maniera cristallina in una conversazione con Strangio intercettata il 12 giugno 2009: di fronte alla possibilità di subentrare a un'azienda nel secondo lotto di un appalto in Liguria, Perego si preoccupò di chiedere al boss calabrese «se c'è di mezzo qualcuno di voi», perché in quel caso «dobbiamo metterci a tavolino a ragionarci… io gli lascio il lavoro […] la quota e noi gli diamo il lavoro sennò vado giù e facciamo il lavoro noi… giusto?» <1106.
Tradendo anche una certa insicurezza sui passi da seguire, Perego chiamò poco dopo anche Pavone, riferendogli della telefonata a Strangio e chiedendo ulteriori conferme anche a lui se si fosse comportato in maniera corretta: «gli ho detto: Salvo, allora, qui a Genova c'è un bel lavoro, ho detto, però c'è Biella Scavi… […] informatevi, prima che c'è dietro qualche calabrese o qualcuno… che io vado a schiacciare i piedi… giusto, no? […] se non c'è dietro nessuno io vado avanti faccio il mio… bon basta… giusto?» <1107.
Illuminante sotto il profilo della «mutazione genetica» è la conversazione intercettata tra Strangio e Pavone del 15 aprile 2009, dove Pavone disse esplicitamente che «una volta che il virus è dentro, iniettato... è destinata a morire, una persona, non c'è un cazzo da fare...» <1108. In queste parole emerge il modus operandi tipico della 'ndrangheta: fingendo l'apporto di nuovi capitali, l'organizzazione entra nell'azienda e da quel momento è finita, la vecchia società non esiste più e l'impresa, per usare le parole del GIP, diventa «uno zombie a disposizione delle esigenze e degli interessi della componente 'ndranghetista» <1109.
La lotta interna alla 'ndrangheta: da Strangio a Cristello
Un'ulteriore prova della «mutazione genetica» la diede la lotta tutta interna alla 'ndrangheta per il controllo della Perego, incardinata nelle rigide regole gerarchiche dell'organizzazione mafiosa.
Il dominio assoluto di Strangio nell'azienda durò poco meno di un anno. Verso la metà del 2009, infatti, iniziò un lento processo di allontanamento tra Perego e Pavone dal boss che alla fine portò in sella come referente della 'ndrangheta Rocco Cristello, capo Locale di Mariano Comense, che come abbiamo visto deteneva una quota della Perego del 10% tramite prestanome.
L'accelerazione si ebbe quando sul Corriere della Sera del 21 agosto comparve un articolo a firma di Cesare Giuzzi intitolato «I cantieri dell'Expo, il nuovo business della 'ndrangheta», con tanto di mappa delle 'ndrine presenti nella provincia di Milano, dove si riportava la notizia che anche gli Strangio erano in procinto di entrare negli appalti dell'Expo2015. Benché gli Strangio di cui parlava l'articolo fossero quelli di San Luca, coinvolti nella Strage di Duisburg del 15 agosto 2007, e non quelli di Natile di Careri di cui faceva parte Salvatore, questi si convinse di essere lui l'oggetto delle indiscrezioni giornalistiche e iniziò ad allarmarsi. Nella disperata ricerca di informazioni, moltiplicò le conversazioni con affiliati e parenti, rivelando più di un dettaglio agli investigatori. Perego e Pavone, che già avevano allentato i rapporti con Strangio nei mesi precedenti, colsero la palla al balzo, facendogli credere, tramite un amico poliziotto del fratello di Perego in servizio a Lecco, di essere sotto osservazione dei Carabinieri <1110. In una conversazione col figlio Domenico, subito dopo aver ricevuto la notizia da Perego di indagini su di lui il 15 settembre, Strangio rivelò qual era la sua vera preoccupazione:
«devo vedere per questo discorso Mimmicé... devo vedere di andare a parlare con questo avvocato prima che facciano qualcosa questi... sennò sai che succede bello mio... io apposta me ne voglio andare dalla Perego… perché se importano a fare qualche associazione con il 416 bis sai che significa? […] significa che sequestrano […] fanno subito il sequestro dei beni, immediatamente…» <1111
Quello stesso giorno Strangio decise di licenziarsi, insieme a Pasquale Nocera, dalla Perego, restituendo tutto: l'auto di lusso, le utenze cellulari, oltre a tutti gli uomini riconducibili a lui. Il 22 settembre però venne a sapere da fonti romane che era tutto inventato, ma a quel punto la sua estromissione dalla Perego era definitiva: Perego, dopo aver permesso per un anno che la sua azienda fosse governata da Strangio, assunto come semplice geometra, sbatté la porta in faccia a Strangio, insieme a Pavone, forte del supporto di Rocco Cristello <1112. Ecco come Perego si rivolgeva al suo ex-padrone, nella telefonata in cui Strangio lo informava di voler ritornare nell'azienda:
«Basta mi sono rotto i coglioni io... portatemi indietro la macchina e vi licenzio tutti, mi sono rotto i coglioni! Salvatore portami su la macchina, che ti firmo il licenziamento... prendi e vai fuori dai coglioni anche te... anche Simone... no, non ragiono io [...] perché io in mezzo per voi non vado più... va bene?... Tra un'ora se non c'ho la macchina... denuncio tutti io [...] perché io mi sono rotto i coglioni che sono andato di mezzo per voi, va bene? Io tra un'ora sono a dire tutto» <1113.
Nel raccontare l'accaduto al fratello Antonio, Strangio rivendicò quanto aveva fatto per Perego, evocando il fattore calabrese che aveva permesso all'azienda di non fallire:
«il mio reato è che io ho un sacco di contatti con tutta sta gente... questo sai cos'è, il fattore calabrese... perché ti volevano fare del male... ed io ho cercato di calmarli e dirgli che li pagavamo... che li pagavi tu un po' alla volta […] hai detto […] di vedere queste persone e di dirgli di stare calmi che… che gli davi i soldi... e c'è telefonate, fotografie, c'è questo e c'è...» <1114
Perego però si sentiva al sicuro, come rivelò lui stesso in un'altra conversazione intercettata: «io c'ho un altro calabrese più forte...» <1115, mentre Pavone, conoscendo il suo ex-socio, dimostrava maggiore preoccupazione. E in effetti fu lui il destinatario di un atto di intimidazione in pieno stile mafioso: l'apposizione di una croce di grosse dimensioni davanti al portone di casa. Tuttavia, l'episodio si risolse con una vena, si può dire, comica, con Pavone che interpretò quel fatto come la minaccia non di Strangio ma di altri, tale Oricchio, e non gli diede alcun peso. L'indifferenza di Pavone fece infuriare ancora di più Strangio che, consapevole della situazione finanziaria dell'azienda, voleva ricevere immediatamente i pagamenti arretrati per i lavori eseguiti dalle sue aziende, a rischio fallimento anche loro.
Estenuato dalle discussioni con Rocco Cristello, Strangio decise di passare a modi meno diplomatici, ma nel pieno e assoluto rispetto delle regole e della gerarchia della 'ndrangheta: si rivolse così a Domenico Pio, capo della Locale di Desio, e a Salvatore Muscatello, capo della Locale di Mariano Comense cui Cristello era affiliato, per avviare azioni ritorsive contro di lui. In questo modo Strangio rendeva palese lo scontro ai vertici dell'organizzazione, interamente interessata alla questione Perego come si è visto per via di Expo.
Al di là dell'esito dello scontro, che si risolse a favore di Strangio, il punto da sottolineare qui è che nel novembre 2009, cioè esattamente 14 mesi dopo l'ingresso della 'ndrangheta nell'azienda per risolvere una crisi di liquidità, la Perego era diventata un'azienda mafiosa fino alle fondamenta, tanto che una questione di pagamenti mancati finì sul tavolo dei massimi vertici della 'ndrangheta in Calabria. Non solo, il 21 dicembre 2009 l'azienda veniva dichiarata fallita e, stando alle indagini della magistratura, quella dichiarazione sarebbe avvenuta già a fine 2008, dopo appena 3 mesi di attività, e se ciò non accadde fu solo perché vennero falsificati i bilanci dell'azienda <1116.
La Perego General Contractor era quindi un'azienda nata senza passività finanziarie ma anche senza reali capitali, che gli uomini della 'ndrangheta finsero di mettere a disposizione di Ivano Perego, il quale si mise nelle mani dell'organizzazione mafiosa per poter continuare a fare la bella vita, come vedremo, senza doversi più preoccupare della sua azienda. Pavone, con Strangio prima e Cristello poi, puntava a far affluire nuovi capitali all'azienda tramite le incorporazioni, poi non andate in porto, come quella con il colosso delle costruzioni Cosbau, sulla base di falsi bilanci.
Il potenziamento del capitale sociale di Ivano Perego
La gestione, secondo lui a «a costo zero», non fu l'unica cosa che Ivano Perego guadagnò dal rapporto con la 'ndrangheta. Per il giovane imprenditore brianzolo, legato alla locale realtà territoriale, fu un mezzo per potenziare il proprio capitale sociale ed espandere il reticolo di relazioni nel campo dell'economia, della politica e del mondo delle professioni.
[NOTE]
1100 Si veda Ghinetti, A. (2009). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 41849/07 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 26 ottobre., p. 622 e ss.
1101 Gennari, G. (2010). Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo - Procedimento Penale n. 47816/08 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 6 luglio. (TENACIA), p. 57.
1102 Gennari, op. cit., p. 186.
1103 Ivi, p. 187.
1104 Ivi, p. 188.
1105 Ivi, p. 169.
1106 Ivi, p. 194-195.
1107 Ivi, p. 195.
1108 Ivi, p. 75.
1109 Ivi, p. 76.
1110 Ivi, p. 238.
1111 Ivi, p. 238-239.
1112 Ivi, p. 245.
1113 Ivi, p. 243-244.
1114 Ivi, p. 240.
1115 Ivi, p. 262.
1116 Ivi, p. 365.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020