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giovedì 18 luglio 2024

A febbraio, a Robilante, si svolge un convegno per la difesa dei danni della silice

Robilante (CN). Foto: Giuliav92. Fonte: Wikipedia

PCI e PSI alle soglie del centrosinistra
A) Il PCI cuneese dopo la sconfitta
La grave sconfitta nel '58 riapre nel PCI cuneese un grosso dibattito sulla gestione degli ultimi anni e sulle immediate prospettive. Sono sotto accusa la scelta per cui si sono privilegiate le lotte contadine e la debolezza mostrata sul caso Giolitti, il cui ingresso nel PSI è commentato dalla Voce con insolito livore (1). Riassume i motivi di critica Gino Sparla, da sempre avversario della politica di Rinascita. "Sul risultato del voto hanno influito la scelta di Giolitti, ma soprattutto una politica errata nei grossi centri, l'incapacità di conquistare gli elettori all'ideologia e alle posizioni del PCI. Per recuperare il terreno perduto è necessario respingere l'analisi della struttura economica di Cuneo, secondo cui il tessuto sarebbe caratterizzato da scarsi nuclei operai e dal prevalere del ceto medio e rurale. Cardine dell'azione del partito debbono tornare ad essere i lavoratori di fabbrica, sommati ai pensionati e ai disoccupati. Anche la politica di alleanza verso i ceti urbani e rurali non è praticabile se si è deboli nelle fabbriche. Le forze operaie sono concentrate in 23 comuni nei quali il PCI raccoglie il 60% della propria forza. Verso questi centri deve, quindi, essere rivolto il grosso dell'attività politica ed organizzativa" (2).
La successiva nomina a segretario di Giovanni Nestorio, vercellese, da alcuni anni funzionario a Cuneo, significherà una profonda modificazione del modo di essere del partito, dei suoi rapporti con le altre forze politiche e con la gente, un serrare le fila su cui, ancora oggi, a distanza di oltre 30 anni, divergono le valutazioni degli stessi dirigenti comunisti.
B) Autonomisti e carristi nel PSI cuneese
La fase di maggior crescita e maggior successo del PSI si accompagna, però, alle prime consistenti divergenze interne. Se la grande maggioranza si schiera su posizioni autonomistiche (Nenni), la sinistra auspica una politica unitaria con il PCI, accusando la nuova dirigenza di essere scivolata a destra e di avere ridotto l'alternativa socialista ad uno slogan. Più sfumate, quasi uno sforzo di mediazione, le posizioni di chi si richiama a Lelio Basso.
Al congresso provinciale del dicembre 1958, la corrente autonomista ottiene una grande affermazione. I più votati nel direttivo sono Cipellini, Giolitti, La Dolcetta, Boselli, Brizio, Achino. Eletti anche Cogo, Belliardi, Vineis, Nardo, da poco confluiti nel partito. Per la sinistra, che elegge Balsamo, Giacosa e Zonta, la vittoria della corrente nenniana apre la strada alla rottura con il PCI, alla frattura nella CGIL, alla collaborazione con la DC. Per i bassiani Tarrico e Sciolla è, invece, necessario frenare la spinta correntizia e la lotta interna.
Se la Sentinella delle Alpi plaude alla svolta e polemizza contro i filocomunisti, molte sono, invece, le preoccupazioni in casa comunista (3). Nella primavera del '59, Mario Pellegrino lascia la direzione di Lotte Nuove che viene assunta da Roberto Balocco. La maggioranza autonomista è in contraddizione con un quindicinale diretto da un leader della sinistra. A giugno confluisce il MUIS, ennesima frazione staccatasi dal PSDI. Tra i suoi componenti l'ex deputato Chiaramello, uno dei maggiori esponenti socialdemocratici della provincia. Nasce e si estende la componente socialista nella CGIL. Nelle maggiori città vengono lanciati i festival dell'Avanti, assidua la presenza di Giolitti sulla stampa e nelle iniziative locali.
C) Il governo Tambroni e l'antifascismo. Nasce il centro sinistra
Il 16 e 17 gennaio 1960 si svolge a Cuneo il 6° congresso provinciale comunista. Gaetano Amodeo ricorda, in apertura, la figura di Giovanni Germanetto, morto a Mosca pochi mesi prima, comunista sin dalla fondazione, antifascista, segretario della federazione della Camera del lavoro. Al suo ricordo vengono associati quelli di Ermes Bazzanini, partigiano, vicesegretario della federazione al tempo di Germanetto, e di Sibilla Aleramo: "anima ardente e appassionata e di scrittrice che, specialmente nelle sue opere degli ultimi 15 anni, mostrò come si possa coltivare un'arte al tempo stesso libera espressione di umanità e di impegno sociale". (4)
La relazione di Giuseppe Biancani passa in rassegna i fatti internazionali ed interni. "L'inizio della conquista del cosmo, da parte della scienza socialista dell'URSS, è un segno dell'inarrestabile processo di sviluppo del mondo socialista e delle prospettive di pace, di distensione, di competizione pacifica di sviluppo, in senso socialista, del resto del mondo, le cui ripercussioni si avvertono anche nel nostro paese. A questo deve corrispondere, anche da noi, un mutamento dello schieramento politico su scala nazionale e provinciale che rompa con le forze del monopolio economico e con quelle (la DC) del monopolio politico. Le due maggiori direttrici su cui il partito deve impegnarsi sono la questione contadina e quella operaia, in una fase in cui non sono ancora chiuse le lotte contadine e in cui la provincia va industrializzandosi. Per favorire l'industrializzazione occorrono iniziative quali l'acquedotto delle Langhe, l'utilizzazione delle acque del Tanaro, il ripristino delle vie di comunicazione, la riattivazione della Cuneo-Nizza, la creazione di moderne autostrade. Strumento per questa politica deve essere un partito più forte: obiettivi immediati sono i 7.000 iscritti e la ricostruzione della FGCI". Molti gli interventi, tutti proiettati verso il futuro e nessuno centrato sulla gravissima crisi che il partito ha alle spalle. Intervengono Panero, segretario della CGIL, Borgna sul mondo contadino, Antonietta Squarotti sulla partecipazione delle donne, Cipellini per il PSI. Per Giacomo Capellaro, la commissione federale di controllo ha dimostrato debolezza di fronte all'offensiva revisionista: "Oggi che le posizioni revisioniste sono state battute, uno dei compiti principali ... dovrà essere la lotta contro le manifestazioni di settarismo che ancora permangono in diversi strati del partito". (5) Molti i richiami alla tematica dell'antifascismo, molti i segni dell'affiorare di nuovi quadri (gli interventi di Anna Graglia e di Primo Ferro) e di ripresa delle lotte operaie (la Ferrero di Alba). Le difficoltà incontrate paiono potersi superare o per gli effetti della situazione mondiale o con grande sforzo attivistico ed organizzativo. Per Mario Izzi: "Si tratta, per i militanti, di essere consapevoli, fino in fondo, di una realtà evidentissima, ripetuta tutti i giorni dalla stampa e al centro dell'opinione pubblica mondiale che consiste nell'affermazione che il capitalismo ha cessato di essere, nel suo complesso, forza dominante. Non solo, ma a conclusione del piano settennale sovietico cesserà anche di essere la forza economica dominante nel mondo". (6). Per Mario Romano, il rinnovamento del partito è stato inteso come rinnovamento di quadri e allargamento delle sue file. Necessaria è l'unità concreta. Il congresso si chiude con l'impegno di favorire larghe alleanze, di cercare una alternativa democratica al monopolio della DC, per la conquista di nuove maggioranze alle, ormai prossime amministrative. (7) Il 24 marzo, ad Alba, vengono processati 54 contadini della Valle Bormida, in seguito alle lotte e alle manifestazioni del '57 contro i danni provocati dalla Montecatini di Cengio. Tra i processati, Giuseppe Biancani, segretario della federazione comunista di Cuneo, Giovanni Crosio dell'INCA provinciale, Guido Veronesi, segretario nazionale dell'Alleanza contadini, Walter Audisio, parlamentare di Alessandria. È un vero e proprio processo politico contro la parte più avanzata del movimento contadino che si è espressa in una battaglia che tornerà di drammatica attualità alla fine degli anni '80 e coinvolgerà una valle intera, facendo dei suoi abitanti un reale soggetto politico.
Riferendosi al democristiano Adolfo Sarti, scrive La Voce: "Ha un bell'imbrattare i muri con l'immondo manifesto sui 150 ragazzi impiccati a Budapest il nostro onorevole untorello, ora elevato ai fasti del SPES centrale! Lui e i suoi amici non riusciranno certamente, con le vecchie e nuove infami menzogne, a deviare la pubblica opinione dal pronunciare una condanna che non è certamente a carico dei contadini della valle Bormida, ma della Montecatini". (8).
Gli imputati vengono assolti. Gli interventi della difesa (gli avvocati Frau, Viglione, Beltrand, Fratino) ricordano che i danneggiati vengono trascinati davanti a un tribunale in forza di una legge eccezionale, mentre per gli oppressori non c'è legge. Si passano in rassegna i danni della Montecatini all'agricoltura, alla valle, alla salute degli stessi lavoratori. Colletta per le spese del processo e per il pranzo agli imputati. Le offerte vanno dalle 500 alle 5.000 lire. Bartolo Mascarello offre 6 bottiglie di barolo.
Il tema dell'ambiente, visto soprattutto come difesa della salute degli occupati, impegna la sinistra locale. A febbraio, a Robilante, si svolge un convegno per la difesa dei danni della silice. Sotto accusa le condizioni di lavoro (e i danni provocati all'agricoltura) in 5 fabbriche: la Mineraria di Limone, la Silice di Vernante, la SI.RO. e la SIES di Robilante, la Pepino-Audisio di Roccavione.
I temi dell'agricoltura sono anche al centro del 1° convegno femminile socialista. Alla presenza di Antonio Giolitti e di Giuliana Nenni, tutti gli interventi toccano i problemi della montagna, dello spopolamento, dell'abbandono della terra, dello specifico ruolo della donna: "Ai nostri figli facciamo mangiare il pane secco, altrimenti ne mangiano troppo e i soldi non bastano per comprarne dell'altro". (9).
[NOTE]
1) Cfr. Giuseppe BIANCANI, Sull'ingresso degli autonomisti nel PSI, in La Voce, n. 12, 6 luglio 1958
2) Cfr. Gino SPARLA, Considerazioni sui risultati elettorali del 25 maggio, in La Voce, n. 12, 6 luglio 1958
3) Cfr. Grio e gli autonomisti in La sentinella delle Alpi n. 1, 31 gennaio 1959, Ai compagni socialisti per il loro 9° congresso in La Voce n. 22, 14 dicembre 1958, Mila MONTALENTI: Sul congresso provinciale del PSI in La Voce n. 23, 28 dicembre 1958
4) Il 6° congresso provinciale del PCI in La Voce n. 1, 31 gennaio 1960
5) Giacomo CAPELLARO, in Interventi al 6° congresso provinciale del PCI in La Voce n. 1, 31 gennaio 1960
6) Mario IZZI, ivi
7) Al termine dei lavori, la mozione è stata approvata all'unanimità ed è stato rivolto un caldo saluto al Comitato Centrale del nostro partito ed al compagno Palmiro Togliatti in Conclusioni, La Voce, n. 1, 31 gennaio 1960. Lo stile retorico e formale di questa prosa comunista pare accompagnarsi al persistente moralismo dei fogli cattolici. Nel gennaio 1960, commentando l'improvvisa morte di Fausto Coppi, scrive La Guida settimanale delle diocesi di Cuneo: "Aveva errato assai. Aveva errato pubblicamente, offrendo grave motivo di scandalo alle folle. Vorrei perfino dire che, talvolta, anche gli applausi per Coppi, in questi ultimi anni, parevano avere un sapore polemico nei confronti della legge divina che egli aveva calpestato così clamorosamente ... Le folle hanno narrato di due donne attorno alla salma del campione. Una, la moglie, silenziosa, pudica ... un'altra donna, quella dell'errore, che non ha saputo o voluto evitare manifestazioni clamorose e indubbiamente inopportune di dolore ... C'è un bimbo che desta la pena di tutti. Il piccolo frutto dell'errore. Forse la maggiore vittima del grave trascorso dello scomparso. Ci auguriamo che a lui ... si evitino le tristi conseguenze del male che egli non compì e di cui, purtroppo, sembra oggi umanamente destinato a portare il maggior peso, ELLEESSE: Fausto Coppi in La Guida n. 2, 8 gennaio 1960
8) 54 contadini della Valle Bormida saranno processati ad Alba il 24 marzo in La Voce n. 2, 21 febbraio 1960
9) Agire in modo cosciente per migliorare le condizioni di vita della campagna in Lotte Nuove, n. 10, 14 marzo 1960
Sergio Dalmasso, I rossi nella Granda, la sinistra nella provincia di Cuneo, Quaderno CIPEC n° 21, maggio 2002

sabato 6 luglio 2024

Dopo la fine della guerra Tito voleva conquistare il nostro partito non solo a Trieste, ma nel Friuli e altrove


Nei giorni del viaggio di Nikita Chruščëv a Belgrado (maggio 1955), che doveva sancire la ricomposizione della frattura tra l’Urss e la Jugoslavia <148, la direzione del Pci motivava il suo assenso al nuovo indirizzo dimostrando piena comprensione del significato dei passaggi internazionali in atto. Fatto per nulla casuale, dell’incontro di Belgrado si parlò in un tutt’uno con la stipula del trattato di Stato austriaco <149. Mentre Scoccimarro dava fondo a tutte le riserve di continuismo marxista-leninista per spiegare il voltafaccia sovietico verso Tito (“Non si tratta di una nuova politica ma di fasi nuove della politica di pace dell’Urss”), Longo si concentrava sull’esigenza di “combattere la tendenza a recriminare” <150.
Ma non passarono neppure cinque giorni che Vidali ritenne di far conoscere pubblicamente i perché e la misura delle sue rabbiose recriminazioni. Lo fece con un gesto politicamente disperato, che alla radice racconta, oltre i suoi contenuti più immediati, lo smarrimento e lo scompiglio in cui era stato gettato il mondo comunista dopo la morte di Stalin. Nell’articolo "La dichiarazione del comp. Kruscev ed i comunisti triestini", comparso sul ‘Lavoratore’ il 30 maggio, dapprima egli dichiarava che il suo partito aveva “salutato con gioia” l’incontro tra Tito e il neosegretario del Vkp(b), condividendone gli obiettivi. Poi però, piuttosto contradditoriamente, si lanciava in un attacco inaudito contro Chruščëv, che nel suo discorso al cospetto di un compiaciutissimo Tito aveva rinnegato le risoluzioni del Kominform del 1948 e 1949, scaricando ogni responsabilità per le accuse allora formulate su Beria e Abakumov (vittime della recente resa dei conti nel gruppo dirigente sovietico poststaliniano). Affermava Vidali: "La nostra sorpresa per questa affermazione è stata enorme ed ha scosso il nostro partito come la bora scuote i nostri alberi. Tutti sanno che il nostro partito e tutti i democratici triestini, italiani e slavi, all’annuncio della risoluzione dell’Ufficio d’informazione manifestarono la loro gratitudine in forma clamorosa ed unanime. Essa rifletteva una situazione che da anni perdurava nel nostro territorio. Un documento simile, nelle sue parti fondamentali, si elaborava da anni nelle menti di tutti noi, sulla base delle esperienze, di ciò che si vedeva e si udiva, di ciò che si faceva e che si era obbligati a fare. Tutti noi eravamo convinti da tempo che non era marxismo-leninismo quello che si applicava nel nostro territorio, ed anche nel Paese vicino […]. Era sfrenato nazionalismo camuffato da socialismo, avventurismo, settarismo, terrorismo politico e fisico. Noi avallammo quella risoluzione […] con nostre sofferenze, con nostre esperienze, senza interventi di un Beria e di agenti dell’imperialismo. […] Perciò noi non possiamo solidarizzare con la dichiarazione del compagno Kruscev e sebbene siamo profondamente addolorati e dispiaciuti di questa divergenza di giudizio preferiamo esprimere francamente la nostra opinione perché siamo convinti che essa, almeno per le nostre esperienze, corrisponde alla verità obiettiva. Sia chiaro per tutti che se nel giugno del 1948 noi fossimo stati convinti - perché le relazioni del nostro partito con il partito jugoslavo erano strettissime e di dipendenza assoluta - che in Jugoslavia, che nella zona B si praticava il socialismo […] l’atteggiamento dei comunisti triestini sarebbe stato differente. Quell’atteggiamento fu meditato, cosciente e non un puro atto di cieca disciplina. […] Se essere pagliacci, settari, cocciuti dannosi, testardi incorreggibili significa avere principii, carattere, dignità, onestà politica e morale, ebbene allora dichiariamo di non sentirci offesi da tali aggettivi. Preferiamo essere tutte queste cose piuttosto che dei venduti e dei mercenari" <151. In margine all’articolo, era pubblicata una nota del Cc del PcTT che dichiarava di sentirsi “fier[o] delle lotte combattute in questi ultimi anni per ricostruire il partito sulle basi del marxismo-leninismo-stalinismo” <152.
In conversazioni interne con i dirigenti nazionali, Vidali si difendeva raccontando che nel corso di un soggiorno a Mosca in aprile era stato informato sui preparativi del viaggio di Chruščëv, ma nessuno aveva accennato a un rovesciamento di politica tanto grossolano; anzi era stato messo in guardia dalle manovre disgregatrici che i titini avrebbero ripreso nei confronti del suo partito e del Pci, ricevendo la direttiva di “difendersi con fermezza” <153. Non che i membri della segreteria a Roma fossero insensibili alla minaccia di un rilancio dell’attività eversiva dei comunisti jugoslavi nel loro partito. Scoccimarro espresse timori condivisi da Longo e prospettati anche da Pellegrini in direzione, quando affermò: “Dopo la fine della guerra Tito voleva conquistare il nostro partito non solo a Trieste, ma nel Friuli e altrove. Non è escluso che essi riprendano ora i loro tentativi, ma noi daremo battaglia” <154. Ma il punto, come rilevò ancora Scoccimarro rivolgendosi a Vidali e ad altri rappresentanti del PcTT, era che “malgrado la vostra autonomia la responsabilità del vostro partito ricade su di noi” e “non è concepibile che si prenda posizione contro il Pc dell’Unione Sovietica” <155.
Di fronte a simili assunti, le argomentazioni di Vidali non avevano modo di fare breccia. Convocato in segreteria a Roma, addusse con toni drammatici che nella zona B “continua la snazionalizzazione con metodi nazisti”, che “fin dall’agosto 1947 dichiarai che erano una banda di nazionalisti e rimasi a Trieste solo dietro vostra insistenza”, che ora i titini volevano la testa sua e degli altri dirigenti più compromessi nella lotta kominformista (Maria Bernetich) per “conquistare il comune […] e poi riporre il problema del passaggio di Trieste alla Jugoslavia” <156. Anche questa sua autodifesa, appassionata ma inevitabilmente perdente, rivelava una richiesta ormai esasperata di protezione, emessa da un organo dipendente al proprio centro politico. Vidali aveva tentato più volte di condizionare e anche di modificare la posizione del centro in relazione alle esigenze del suo partito, e dal 1948 si era adeguato alle istruzioni provenienti da Roma con qualche riluttanza politica, ma sempre con sostanziale lealtà ideologica. Aveva operato in condizioni locali avverse, che risentivano del grave retaggio lasciato dalla linea seguita dal movimento comunista a Trieste prima del suo arrivo; tuttavia era riuscito largamente a compattarlo, mantenendo unitaria la sua base binazionale e preservando la maggioranza degli sloveni comunisti dalle suggestioni panjugoslave promanate dagli avversari titini. Aveva ripristinato l’allacciamento con il Pci puntando tutto sul richiamo della fedeltà sovietica, e ora il suo lavoro rischiava di essere spazzato via. I comunisti titini avevano sempre potuto contare sul forte sostegno di Lubiana e Belgrado; Vidali pretendeva, così come aveva preteso in passato, di ricevere un sostegno pari da Roma, che forse in questi anni gli era parsa paradossalmente più lontana di Mosca.
Ma la vittoria di Tito nella circoscritta ‘guerra fredda’ combattuta nel campo socialista tra l’Urss e la Jugoslavia imponeva a lui e al PcTT di rassegnarsi. Come disse un suo sconsolato delegato, dopo la visita di Chruščëv a Belgrado esso non era più che un “distaccamento sacrificato del comunismo internazionale” <157. Nella doppia seduta di segreteria del 7 e 8 giugno 1955, si consumò la messinscena di un processo politico nel perfetto stile della terza internazionale. L’accusa, pronunciata con particolare veemenza da Edoardo D’Onofrio e da Pajetta, era quella di aver commesso un “errore dal punto di vista della disciplina, del costume comunista”, di aver dato “prova di malcostume politico”, essere “venuti meno alla solidarietà del movimento comunista internazionale”, aver compiuto insomma una “porcheria” e una vera e propria “provocazione” (specie in riferimento, notava con arguzia Pajetta, all’accenno di Vidali alle “basi del marxismo-leninismo-stalinismo”) <158. In più tappe, fu redatta una dichiarazione di pentimento totale che Vidali, malgrado le proteste <159, fu costretto a firmare e portare a Trieste per ottenere l’approvazione del Cc del suo partito <160.
Il rito dell’autocritica poteva dirsi completato.
[NOTE]
148 L.M. Lees, Keeping Tito Afloat: the United States, Yugoslavia, and the Cold War, Pennsylvania State University Press, University Park, Pa. 1997, pp. 155 ss.; B Heuser, Western ‘Containment’ Policies in the Cold War: the Yugoslav Case 1948-1953, Routledge, London-New York 1989, pp. 200 ss.; Service, Compagni cit., p. 394.
149 Apc, Fondo M, ‘Verbali della direzione’, riunione del 26 maggio 1955, mf. 195. Valgano per tutti gli interventi di Negarville: “L’esempio dell’Austria e della Jugoslavia dimostra che Paesi con i più diversi sistemi sociali possono convivere con l’Urss”, e di Sereni: “Ciò che importa è che si stanno creando gruppi di Stati in Europa e nel mondo che vogliono restare estranei ai blocchi militari contrapposti”.
150 Ibidem.
151 V. Vidali, La dichiarazione del comp. Kruscev ed i comunisti triestini, ‘Il lavoratore’, 30 maggio 1955.
152 Intensificare la lotta - Respingere la provocazione, ivi.
153 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, Note sulla discussione col Pc di Trieste (riservato), autore Luigi Amadesi, 5 giugno 1955, allegati, b. 324, mf. 194.
154 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, cit. Poco prima, Pellegrini aveva paventato che “i titini potrebbero tentare di rifare la fila della loro organizzazione a Trieste e anche nella provincia
di Udine e pretendere di dirigere il nostro movimento a Trieste”: Apc, Fondo M, ‘Verbali della direzione’, riunione del 28 maggio 1955, cit.
155 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, cit.
156 Ibidem.
157 Note sulla discussione col Pc di Trieste (riservato) cit. L’(in)felice espressione è di Giovanni Postogna.
158 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunioni del 7 giugno 1955, cit. e dell’8 giugno 1955, b. 324, mf. 194. Anche: Gozzini, Martinelli, Storia del Partito comunista italiano cit., pp. 384-85.
159 “Non me la sento di accettare la vostra critica di malcostume. Sono rimasto molto scosso della discussione di ieri. In trent’anni di vita politica non ho mai sentito affermazioni così aspre, nei confronti di un compagno come nei vostri discorsi”: ibidem.
160 “Il Cc riconosce francamente che le riserve contenute nell’articolo de ‘Il lavoratore’ sulla dichiarazione del comp. Krusciov costituiscono un grave errore, determinato da un’interpretazione errata e affrettata della dichiarazione stessa, a cui si è stati tratti dalla situazione locale esasperata della lotta che ha diviso per tanti anni il movimento operaio e democratico triestino e dalle provocazioni di chi ha interesse a questa esasperazione. Il modo con cui si è reagito è contrario ai rapporti fraterni e solidali che devono intercorrere tra partiti fratelli, soprattutto quando sono in gioco interessi fondamentali della pace e del movimento democratico e operaio internazionale. Partendo da questa considerazione e ispirandosi agli accordi di Belgrado, i comunisti si impegnano a sviluppare sulla base dei principi marxisti-leninisti la politica del Pc di Trieste, allo scopo di consolidare le posizioni della classe lavoratrice, di rafforzare l’unità antifascista e democratica, di continuare e di cementare la fratellanza italo-slava, ampliando ancora l’azione e le iniziative già prese in questo senso”: ibidem, allegati.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008

venerdì 28 giugno 2024

Carminati rappresenta l'apice di una piramide criminale


“In una situazione di crisi, occorre guardarsi dai pericoli ma saper riconoscere le opportunità” <43. Un piccolo estratto del celebre discorso che John F. Kennedy fece a Indianapolis nel 1959 e che a Roma incarna - più di chiunque altro - l'operato di una delle figure più influenti della malavita capitolina degli ultimi 40 anni: Massimo Carminati, noto ex terrorista NAR proselito della Banda della Magliana che da anni a Roma amalgama politica, affari e criminalità. La sua figura è inscindibilmente subordinata agli “anni di piombo” in cui lotta armata ed eversione di destra rappresentano il corollario che meglio contraddistingue “l'ultimo re di Roma” dagli anni '70 sino ad oggi, il suo nome albeggia prorompente nella cronaca nera della Capitale, una città succube delle più nefaste trame eversive e di lotta armata <44.
Esattamente come durante la seconda metà degli anni '70, in egual modo, nel decennio successivo il “re del mondo di mezzo” risulta essere l'epicentro delle cronache giudiziarie, una figura dominante, un interprete di spicco dell'ordita rete tra malavita, eversione ed estremismi. Successivamente agli anni della gioventù neofascista e in seguito al suo attivismo fra eversione e malavita, Massimo Carminati sovvertì il suo credo sostituendo obiettivi legati ad una concreta prospettiva economica, rispetto alla lotta ideologica che aveva contraddistinto la sua permanenza nei NAR, legandosi indissolubilmente a quella che passò alla storia sotto la celebre nomenclatura di “Banda della Magliana”, la quale tramite ingenti guadagni autofinanziati da rapine e altre operazioni altrettanto illecite, come l'usura e lo spaccio di droga, riuscì lentamente quanto alacremente in questa sorprendente scalata al potere <45.
Carminati rappresenta l'apice di una piramide criminale che è nata ed ha forgiato il proprio carattere nel cuore di Roma attraverso una progressiva escalation, riuscendo nell'intento di convertire una banda di semplici depredatori in un'imponente organizzazione criminale, che attraverso la forza di intimidazione riuscisse a portare al proprio cospetto uomini di Stato ed imprenditori <46.
Al suo nome sono legati alcuni dei misteri più controversi che hanno destabilizzato il nostro Paese, dal tentativo di depistaggio inerente alla strage di Bologna, al delitto del giornalista Mino Pecorelli, passando per l'omicidio di Fausto e Iaio a Milano fino ad arrivare al furto nel caveau di Piazzale Clodio <47 e viene giudicato responsabile per la rapina alla filiale della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi.
Carminati fu oggetto di numerosi processi, dai quali per la maggior parte dei casi ne uscì illeso. Un veterano nel traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco e manipolazioni di esplosivi sintetizzano con laconismo un curriculum criminale senza precedenti, Carminati si rende protagonista di furti, assassinii ed estorsioni, accusato dai tribunali di associazione a delinquere di stampo mafioso, invischiato in questioni legate alla detenzioni di armi - con la collaborazione del suo fedele braccio destro Riccardo Brugia - entrate a far parte dell'arsenale che la Banda della Magliana custodì con estrema cautela e ostentato riserbo nei sotterranei del Ministero della Sanità <48, alcune delle quali correlate alla strage della stazione ferroviaria di Bologna nel 1980.
Di fronte ai raccapriccianti trascorsi che lo hanno visto protagonista, l'interrogarsi su come egli abbia potuto raggiungere tanta fama senza alcuna opposizione nei vari ambienti politici e imprenditoriali risulta più che legittimo <49.
Massimo Carminati viene etichettato come il Re di questo “mondo di mezzo”, adulatore o spietato a seconda della convenienza e delle opportunità, in grado di strumentalizzare il proprio capitale criminale per suscitare autorevolezza nel campo dell'economia ma soprattutto in politica, si è arricchito beneficiando delle sue buone relazioni con la politica, servendosi del timore che circonda la sua figura mitizzata per ottenere quel che più desidera <50.
Carminati, con la fedele collaborazione dei suoi più servili affiliati tra i quali Salvatore Buzzi (presidente di un importante consorzio di cooperative) e Luca Odevaine (referente politico di spicco in materia d'immigrazione), era a capo di una ripartizione milionaria di fondi nel campo degli appalti e dei centri di accoglienza per gli immigrati. Da troppi anni ormai, per tutti, il Mediterraneo veste i panni di protagonista indiretto, coinvolto in una disgrazia perpetua con migliaia di morti: per Carminati tutto ciò ha sempre e solo rappresentato una grande opportunità per accrescere i suoi traffici criminali, avvalendosi dei fondi pubblici e comunitari destinati ai centri d'accoglienza per trasformare un'emergenza umanitaria come quella dei “barconi della speranza” in un business altisonante <51.
Per Carminati le suddette circostanze hanno rappresentato un'occasione atta a consolidare quella rete di relazioni grazie alle quali nel sottobosco romano è rinomato come “l'ultimo re di Roma” <52.
[NOTE]
43 Gatti, Claudio. (2014). Il business dei centri di accoglienza gestiti dalla mafia nera romana. Per l’inchiesta Terra di mezzo Carminati, Buzzi e Odevaine erano a capo di una spartizione milionaria di fondi. Cinquantamila.it.
44 Cifelli, Mauro. (2014). Massimo Carminati e la Capitale: dai Nar alla Banda della Magliana, la storia del “Nero”. Roma Today.
45 Cifelli, Mauro. (2014). Massimo Carminati e la Capitale: dai Nar alla Banda della Magliana, la storia del “Nero”. Roma Today.
46 Abbate, Lirio. (2014). Così Mafia Capitale voleva conquistare l’Italia. Tra tangenti, appalti e grazie a politici amici. L’Espresso.
47 Calandra, Raffaella. (2018). Le mani su Roma, dalla banda della Magliana fino a Mafia capitale. Il Sole 24 Ore.
48 Melani, Massimo. (2018). Italia, il Paese più corrotto in Europa. Ma il mondo non è rimasto sorpreso; chissà perché. Totalità.it
49 Melani, Massimo. (2018). Italia, il Paese più corrotto in Europa. Ma il mondo non è rimasto sorpreso; chissà perché. Totalità.it
50 Renzi, Valerio. (2014). La Mafia Capitale che regnava sul “mondo di mezzo” nelle intercettazioni di Carminati. Fanpage.it
51 Gatti, Claudio. (2014). Il business dei centri di accoglienza gestiti dalla mafia nera romana. Per l’inchiesta Terra di mezzo Carminati, Buzzi e Odevaine erano a capo di una spartizione milionaria di fondi. Cinquantamila.it.
52 Gatti, Claudio. (2014). Il business dei centri di accoglienza gestiti dalla mafia nera romana. Per l’inchiesta Terra di mezzo Carminati, Buzzi e Odevaine erano a capo di una spartizione milionaria di fondi. Cinquantamila.it.
Gianluca Righi, Mafia capitale e il business dei migranti, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2017-2018

Del procedimento giudiziario sulla P2, all’interno del quale sussisteva l’istruttoria sul caso Pecorelli, poi stralciata nel 1989, si conservano la requisitoria del pubblico ministero Giovanni Salvi e la sentenza istruttoria di proscioglimento del 15 novembre 1991 a favore di Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti.
Ilaria Moroni, Caso Pecorelli 1983-2003, Archivio Flamigni

Le sentenze riguardanti l'omicidio Pecorelli hanno visto l'assoluzione di tutti gli imputati: si tratta di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti, come mandanti, e di diversi esponenti dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari, formazione eversiva di destra), come esecutori materiali, tra i quali spicca il nome di Massimo Carminati. De Cataldo, all'interno del romanzo, collega la responsabilità materiale dell'omicidio agli esponenti della destra armata e in particolare al personaggio del Nero, mentre rimane sul vago sulle responsabilità dei mandanti, dal momento che il Vecchio non è un personaggio assimilabile a nessuno degli imputati.
[...] «Il libro è abbastanza veritiero» <642: nessun magistrato, nessuno storico, nessun critico letterario, nemmeno lo stesso Giancarlo De Cataldo si sono mai spinti a dare un giudizio simile in merito a "Romanzo criminale". A farlo, in una conversazione intercettata dalla procura di Roma, è invece Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar, a cui si ispira il personaggio del Nero. Nel dicembre del 2014, infatti, una vasta operazione di polizia, intitolata prima “Terra di
Mezzo” e poi “Mafia Capitale”, porta in carcere Carminati con l'accusa di essere a capo di una vasta rete criminale che coinvolge, attraverso estorsioni e gare di appalto truccate, membri delle cooperative, politici, poliziotti, ambienti della destra romana: una rete dunque non troppo lontana da quella che il Libanese, il Freddo e il Dandi costruiscono all'interno di "Romanzo criminale". L'operazione della polizia arriva in realtà dopo anni di inchieste giornalistiche sull'argomento, in particolare quelle del giornalista dell'Espresso Lirio Abbate. Il risultato delle indagini è inoltre ampiamente anticipato da "Suburra", il romanzo che De Cataldo scrive insieme a Carlo Bonini. L'arresto di Carminati avvia anche un processo opposto rispetto a quello di "Romanzo Criminale": nei giorni di “Mafia Capitale” è la cronaca a nutrirsi della finzione. Il 2 dicembre, subito dopo l'operazione di polizia, il giornalista Mauro Favale scrive dal suo profilo di Twitter, «Se so' bevuti er #Nero #Carminati». Al di là della battuta non è l'unico caso in cui il romanzo di De Cataldo viene ripreso all'interno degli articoli che narrano l'inchiesta, e se un articolo di Panorama titola “Massimo Carminati, il Nero di Romanzo Criminale”, altre testate si spingono oltre, come il caso della Stampa e di Internazionale, che utilizzano una foto della serie tv per accompagnare i titoli: un personaggio legato a vicende storiche e contemporanee, che ha ispirato un personaggio di fiction, assume su di sé l'identità pop che viene dalla finzione. Questo meccanismo ha un suo lato grottesco, come dimostra la stessa indagine, secondo cui due personaggi non identificati, «presumibilmente due poliziotti» <643, in un incontro con lo stesso Carminati si dicono affascinati dai suoi racconti riguardo gli avvenimenti del passato, dichiarando: «starei due giorni a sentirti» <644.
[NOTE]
642 G.I., “E il 'Guercio' parlò di De Cataldo. 'È abbastanza veritiero'”, Repubblica, 07/12/2014.
643 Giovanni Bianconi, “«Stai attento, sei sotto indagine». Quelle soffiate degli agenti al boss”,
04/12/2014, Corriere della Sera.
644 Federica Angeli, “Pool d'infedeli per 'il Guercio': agenti e carabinieri”, Repubblica, 04/12/2014.

Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015

16 Aprile 1993
Arrestati 55 componenti della banda della Magliana tra cui Ernesto Diotallevi, Massimo Carminati (ritenuto artefice del depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna), Enrico Nicoletti, collegati a fatti di mafia, eversione nera e alla loggia P2
[...]
4 agosto 1994
Il giudice Leonardo Grassi ha depositato la sentenza di rinvio a giudizio per la strage della stazione di Bologna e dell'Italicus e nel frattempo trasmette gli atti alla Procura perché continui le indagini sull'attentato al treno Italicus avvenuto nell'agosto del '74. Sono stati rinviati a giudizio per i depistaggi il capo del centro SISMI di Firenze Federico Mannucci Benincasa, il maggiore del SIOS Aeronautica Umberto Nobili, i fascisti Ivano Bongiovanni e Massimo Carminati. Nell'ordinanza vengono trasmessi gli atti dell'inchiesta anche alla Procura di Roma perché proceda contro Licio Gelli e gli uomini dei servizi e gli affiliati alla P2 che insieme a lui, hanno portato avanti un disegno antidemocratico...
Redazione, Italia. Strana Democrazia!, ed. in pr. - diffusa sul Web

Qualsiasi decisione sia stata presa dai funzionari pubblici, secondo la Corte, non era il risultato di una coazione derivante dal timore, dall’assoggettamento verso il sodalizio, ma adottate scientemente e liberamente al fine di stipulare accordi che fossero convenienti per entrambe le parti. L’alterazione del funzionamento delle gare d’appalto non è stato altro che il risultato di un sistema corrotto che ha ceduto alle avances del sodalizio in questione; e tutto ciò, asserisce la Corte, lungi dall’estere un sistema vittima della carica intimidatoria degli imputati. La forza d’intimidazione, in tale ottica, non è stata accertata, trattandosi si ipotetici destinatari della stessa che, in realtà, accettavano il progetto degli esponenti del sodalizio di ripartizione dei vantaggi. Per tali ragioni, la Corte ha ritenuto che ci fosse stata una forzatura evidente della norma incriminatrice, finalizzata all’incriminazione di condotte non corrispondenti al modello tipico da essa descritto <314. La pronuncia in esame ha una particolare rilevanza poiché s’inserisce nel quadro giurisprudenziale relativo alle mafie atipiche; in particolare, ha statuito e chiarito dei punti cruciali sul tema, emettendo principi di diritto che, ad oggi, costituiscono un’importante linea guida per l’applicabilità della fattispecie associativa a mafie non tradizionali <315.
[NOTE]
314 In conclusione, per la S.C. “le risultanze probatorie del processo non consentono affatto di affermare, sul piano generale ed astratto, che sul territorio del Comune di Roma non possono esistere fenomeni criminali mafiosi, quanto, piuttosto, che con specifico riguardo al caso in esame, si è indebitamente piegata la tipicità della fattispecie prevista dall’art. 416 bis c.p. per farvi confluire fenomeni ad essa estranei. (...) Volendo ricorrere ad una metafora, può dirsi che una parte del ‘palazzo’ non è stata ‘conquistata’ dall’esterno, dalla criminalità mafiosa, ma si è consapevolmente ‘consegnata’ agli interessi del gruppo che faceva capo a Buzzi e Carminati; un gruppo criminale che ha trovato un terreno fertile da coltivare” p. 327.
315 Per maggiori approfondimenti sul tema delle nuove mafie SCIARRONE R., Mafie vecchie mafie nuove, Roma, II ed., 2009.

Emma Crisafi, L'associazione per delinquere di stampo mafioso: tra problematiche tradizionali e recenti questioni interpretative, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2021-2022

lunedì 17 giugno 2024

Sciascia illuminista, Guttuso esuberante


«Ho conosciuto benissimo Renato Guttuso: e posso dirlo non solo per i frequenti incontri, la lunga confidenza, la simpatia e l’affetto che avevo per lui, ma anche - e soprattutto - perché il nostro essere d’accordo nel giudicare persone, fatti e libri nella loro immediata verità, se appena tentavamo di risalire ai principi, diventava fondamentale e profonda discordia». <174
Più che mai simili in moltissimi contenuti, come l'attaccamento alla loro terra, l'interesse per una giustizia sociale, il rinnovamento di istituzioni superate. Personalmente non potevano essere più diversi: Sciascia illuminista, costante seguace del filo della ragione, uomo riservato; Guttuso esuberante, di temperamento passionale a volte volubile, perennemente in crisi, in cerca di compagnia, amici, amiche, movimento <175.
Sciascia non amava allontanarsi per periodi molto lunghi dalla Sicilia, mentre Guttuso trascorreva lunghi periodi lontano dalla sua terra, ma non se ne distacca mai emotivamente: quasi tutta la sua pittura ritorna alle vedute marine, ai ritratti, alle nature morte che sono radicati in Sicilia. Non a caso amava ripetere «Anche se dipingo una mela, c'è la Sicilia». <176
I rapporti di intensa e comprovata amicizia tra Renato Guttuso e Leonardo Sciascia, come noto, furono segnati nel 1979, da una rottura prettamente di carattere politico - definita dal comune amico Bruno Caruso il «fattaccio» <177 -, che tuttavia portò a un distacco molto sofferto tra i due. <178 Sciascia era stato consigliere comunale assieme a Guttuso a Palermo, eletto nel 1975 nelle liste del Pci, carica da cui si dimise dopo circa un anno e mezzo, mentre dal 1979 al 1983, in un momento di disapprovazione con il compromesso storico del Pci, diventò deputato al Parlamento nelle file del Partito Radicale. <179 In seguito, fatto che poi determinò la fine della storica amicizia, fu il noto misunderstanding con Berlinguer e Guttuso sul caso Moro riguardo alla questione delle responsabilità dei servizi segreti dell’Est nel rapimento. <180
Un rapporto che fino a quella data era stato segnato, pur nelle divergenze di vedute, da profonda amicizia, come emerge, ad esempio, da un intervista allo scrittore apparsa su “Critica Sociale” nel gennaio del 1978 dove, alla domanda sui legami personali e politici con Guttuso, Sciascia rispose: «Con Guttuso ho rapporti di profonda amicizia, mai incrinati dalla sua ortodossia e dal mio dissenso. In questo siamo entrambi molto siciliani». <181 Appena un anno dopo lo scrittore verrà smentito proprio dall'"ortodossia politica" del grande pittore che, nel maggio del 1979, in seguito alla candidatura di Sciascia nelle liste del Partito Radicale, scriverà: «Caro Leonardo, il senso di sgomento che ho provato nell'apprendere la notizia della tua candidatura nel PR mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te». <182 Una frase perentoria che dimostra quanto per il pittore le divergenze e la “contraddizione” nelle scelte politiche dello scrittore rappresentassero un muro invalicabile anche per i rapporti personali.
Ed è significativa, infatti, la risposta di Sciascia che chiarisce la propria visione in merito: "La tua preoccupazione e il tuo sgomento non vengono dallo scoprirmi in contraddizione: sono un modo e del tuo modo di vivere il comunismo, e del tuo modo di intendere l'amicizia. Tu dici “La notizia della tua candidatura nel PR mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te”. Al contrario, il tuo essere comunista negli anni del realismo socialista, durante la polemica Vittorini-Togliatti, di fronte ai fatti d'Ungheria e di Cecoslovacchia, in questi anni di compromesso storico, non mi hanno mai fatto riflettere sull'amicizia che sentivo per te anche prima di conoscerti e che poi ha trovato conferma nel conoscerti. [...] Un mio concittadino usava chiudere le discussioni con questa frase: “Siamo d'accordo, ma la pensiamo diversamente”. Anche noi, caro Renato, siamo d'accordo su tante cose: ma la pensiamo diversamente. Contentiamoci dell'essere d'accordo su qualche punto. E continuiamo, finchè si può, a pensarla diversamente". <183
Fin qui la storia nota delle loro divergenze politiche legate alla fase conclusiva dei loro rapporti. Ma è, tuttavia, in campo figurativo e letterario che emergono svariati punti di condivisione che vanno a comporre, nella loro varietà, il lungo sodalizio culturale intercorso fra i due prima del 1979. Tra gli artisti siciliani del Novecento, infatti, la figura di Guttuso è stata forse quella che più ha suscitato l'interesse, accanto a quello della critica ufficiale, di letterati e poeti, in varia misura adusi alla critica d'arte. Come emerge dalla vasta bibliografia su Guttuso, numerosi risultano gli scritti di letterati - in genere presentazioni e testi introduttivi a cataloghi di mostre - quali Alberto Moravia, Elio Vittorini, Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Pier Paolo Pasolini, Fernandez, Gesualdo Bufalino e Leonardo Sciascia. Dagli scritti di Elio Vittorini e Duilio Morosini nel catalogo della mostra milanese del 1942, <184 a quello di Pablo Neruda del 1954, <185 alla celebre monografia di Vittorini del 1960, <186 per non tacere poi di quelli di Alberto Moravia, <187 Pier Paolo Pasolini, <188 Giuseppe Ungaretti, <189 Elsa Morante e di altri scrittori. <190 Inutile, forse, aggiungere qui quanto le ragioni di questa diffusa attenzione siano da ricondurre alle comuni radici culturali dell'antifascismo, sulle quali si fonda gran parte della cultura italiana del secondo Novecento e a cui si deve, peraltro, quel clima culturale che vide un legame stringente e ideologico tra arte e letteratura, del quale risulta emblematico il sodalizio tra Sciascia e Guttuso.
Nell'acceso dibattito post-bellico tra realisti e astrattisti, dove la figura del pittore bagherese occupa un posto rilevante <191, Sciascia si schiera apertamente con i sostenitori del figurativismo, mantenendo tuttavia alcune riserve sulle posizioni estremiste di matrice marxista dell'amico. <192 E difatti, tempo dopo, in un'intervista dove gli veniva chiesto se condivideva l'estetica del “realismo socialista” della pittura di Guttuso, lo scrittore fermamente rispondeva: "No, e del resto, per un artista vero - qual è per esempio Guttuso - il “realismo socialista” non esiste. Guttuso è un grande pittore più quando fa “I tetti di Sicilia” che quando dipinge i “Funerali di Togliatti”. Le etichette esistono in senso deteriore, e per la la parte deteriore" <193.
Non è un caso, forse, che Sciascia scelga proprio un dipinto come "Paese del latifondo siciliano" del 1956, come illustrazione della copertina di uno dei suoi romanzi più celebri, "Il giorno della Civetta", pubblicato da Einaudi nel 1961 <194. Inoltre Sciascia, sin dai primi anni Cinquanta, dimostra il suo interesse per artisti dediti al realismo, anche di epoche precedenti, come attestano alcuni saggi e recensioni di questi anni: si ricordi, ad esempio, la recensione apparsa su “Galleria”, nel novembre del 1952, della monografia su Vincenzo Gemito di Fortunato Bellonzi e Renzo Frattarolo, dove ritroviamo espressa meglio la sua visione del realismo nell'arte: «la verità si fa arte e diventa più vera della stessa verità da cui muove» <195. O si consideri la sua recensione, anni dopo, alla mostra parigina di Courbet del 1977 al Grand Palais, dove, liberando l'artista dalla semplicistica etichetta di “realismo socialista” cui aveva contribuito un saggio di Louis Aragon, afferma: «i quadri dicono semplicemente la storia di un grande pittore, una storia ricca di contraddizioni, di ambiguità e di mistero quanto quella di ogni grande artista, in ogni tempo», per sgombrare poi il campo da ogni dubbio citando uno scritto del pittore del 1855, dove l'artista stesso affermava: «l'etichetta di realista mi è stata imposta così come agli uomini del 1830 è stata imposta quella di romantici (…) ho voluto semplicemente mettere nell'intera conoscenza della tradizione il sentimento ragionato e indipendente della mia individualità». <196
E qui si notano già le premesse di fondo della prospettiva sciasciana nei confronti del realismo, che sarà poi alla base della sua visione del realismo di Guttuso, con il quale lo scrittore entrerà in contatto nel secondo dopoguerra negli ambienti romani del Caffè Greco. In quegli anni Guttuso era già per molti artisti un punto di riferimento nodale e nel suo entourage romano gravitano artisti che poi saranno molto vicini a Sciascia. Si pensi allo scultore messinese Augusto Perez, assistente nel 1936 di Emilio Greco all'Accademia di Belle Arti a Napoli; oppure a Francesco e Antonello Trombadori (che fu anche fine scrittore); e, infine, a Bruno Caruso, i cui rapporti con Sciascia furono altrettanto significativi, non solo nel periodo romano. Lo studio di Guttuso di via Margutta a Roma, in quegli anni, era frequentato, inoltre, da artisti siciliani che ne sposano idealità etiche e politiche, come Carla Accardi, Ugo Attardi, e gli artisti della Scuola Romana, sulla quale Sciascia scriverà un articolo apparso nel 1983 sul “Corriere della Sera” <197.
Con l'inizio degli anni Sessanta si affievolisce in parte per Guttuso l'impegno politico a favore della riflessione, con un linguaggio alto, non più inquadrabile in categorie, che trova le proprie ragioni nel ricordo, testimoniato nel ciclo pittorico autobiografico. Sono gli anni che Crispolti definisce di “realismo esistenziale” <198, al quale Sciascia guarda con maggiore simpatia, come dimostra la sua attenzione per i dipinti del ciclo autobiografico dedicati ai “mostri” di Villa Palagonia, sulla quale anni dopo lo scrittore scriverà una nota introduttiva di particolare spessore storiografico. <199
I rapporti tra i due si intensificano negli anni Sessanta, con incontri a Roma, nello studio di Bruno Caruso, frequentato da altri artisti dell'entourage sciasciano: Fabrizio Clerici, Tono Zancanaro, Mino Maccari, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Carlo Levi e altri. E proprio in uno di questi incontri nasce l'idea della pubblicazione della cartella "Vietnam-Libertà", apparsa poi nel 1968, alla quale aderirono con le loro incisioni Attardi, Guttuso, Levi e Vespignani, introdotte dal testo di Sciascia. <200
Sempre negli stessi anni i due si ritrovano spesso nelle gallerie d'arte palermitane, prima fra tutte “Arte al Borgo” di Eustachio, e poi del figlio Maurilio Catalano. <201 Non va poi dimenticata la collaborazione di Sciascia al quotidiano “L'Ora” di Vittorio Nisticò, dove proprio in quegli anni lo scrittore andava pubblicando elzeviri, articoli su vari artisti, recensioni di mostre e altro, contribuendo al clima mittleuropeo e aggiornato che la rivista si proponeva <202.
[NOTE]
174 L. Sciascia, Io lo conoscevo bene, “L'Espresso”, 11 ottobre, 1987, infra.
175 Per una aggiornata biografia di Guttuso si rimanda alla recente monografia biografica di Maria Antonietta Spadaro, cfr. M. A. Spadaro, Renato Guttuso, Palermo, Flaccovio, 2010.
176 G. Jackson, Nel labirinto di Sciascia, Edizioni La Vita Felice, Milano 2004, p. 202.
177 B. Caruso, Le giornate romane di Leonardo Sciascia, La Vita Felice, Milano 1997, p. 63.
178 Su questo punto cfr. L. Sciascia, Io lo conoscevo..., 1987.
179 A. Maori, Leonardo Sciascia: elogio dell'eresia, Edizioni La Vita Felice, Milano 1995, pp. 22-24.
180 Su questa vicenda cfr. L. Sciascia, A futura memoria: se la memoria ha un futuro, Bompiani, Milano 1989, pp. 102-105.
181 L. Sciascia, Intervista su “Critica Sociale”, gennaio 1978, ripubblicata in L. Sciascia, La palma va a nord, a cura di V. Vecellio, Gammalibri, Milano 1982, p.17.
182 Lettera di Renato Guttuso a Leonardo Sciascia, s.d., pubblicata su “La Repubblica”, maggio 1979.
183 Lettera di Leonardo Sciascia a Renato Guttuso, s.d., pubblicata su “La Repubblica”, maggio 1979.
184 E. Vittorini, D. Morosini, Disegni di Guttuso, Edizioni di Corrente, Milano 1942.
185 P. Neruda, A. Trombadori, Renato Guttuso, Vystavnì Sine Mànesa, Praga 1954.
186 E. Vittorini, Guttuso, Edizioni del Milione, Milano, 1960.
187 A. Moravia, F. Grasso, Renato Guttuso, Edizioni Il Punto, Palermo 1962.
188 P. P. Pasolini, Venti disegni di Renato Guttuso, Editori Riuniti, La Nuova Pesa, Roma 1962.
189 G. Ungaretti, Renato Guttuso, Zeichnungen 1930-1970, Propyläen Verlag, Berlino 1970.
190 É noto quanto estesa fosse la rete di amicizie di Guttuso in campo artistico e letterario: qui ci si limita a ricordare tra questi Picasso, di cui Guttuso era ospite almeno due volte l'anno, Neruda che fu testimone alle sue nozze con Mimise, «la persona che più l'ha capito e che più l'ha amato» come scrisse Sciascia.
191 Sul dibattito in ambito figurativo tra realismo e astrattismo nel secondo dopoguerra cfr. R. Bossaglia, La ripresa del dopoguerra: le varie tendenze, in Ead., L'arte nella cultura italiana del Novecento. Con un dizionario minimo degli artisti e dei critici, Laterza, Milano 2000, pp. 37-41.
192 La scelta di campo in favore del realismo, che fu naturalmente trasversale rispetto alla letteratura e alle arti visive, va intesa nel solco della cultura gramsciana che emergeva nella critica letteraria e figurativa dei primi anni Cinquanta attraverso riviste quali “Nuova Corrente”, “Nuovi Argomenti”, “L'esperienza poetica”, “Galleria”, “Il Selvaggio”, dove scrivevano Pasolini, Romanò, Roversi, Maccari, Guttuso stesso e Sciascia. Su questo punto cfr. M. Onofri, Storia di Sciascia, Editori Laterza, Roma 2004, pp. 33-34.
193 L. Sciascia, Intervista su “Critica Sociale”, gennaio 1978, cit., p. 17.
194 Cfr. Renato Guttuso, Paese del latifondo siciliano (1956). Illustrazione per la copertina dell’edizione originale di L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1961.
195 L. Sciascia, Recensione a F. Bellonzi, R. Frattarolo, Gemito, De Luca, Roma 1952, in «Galleria», III, 2, novembre 1952, pp. 61-62
196 Cfr. L. Sciascia, I misteri di Courbet, in Id., Fatti diversi di storia letteraria e civile, Adelphi, Milano 2009, pp. 202-208.
197 Cfr. L. Sciascia, Scuola Romana: una mostra per risvegliare una città, “Corriere della Sera”, 5 maggio 1983. Sulle frequentazioni dello studio romano di Guttuso negli anni del dopoguerra cfr. D. Favatella Lo Cascio (a cura di), Storie di amici e di arte. Opere dal Museo Renato Guttuso, catalogo della mostra (Bagheria-Vigevano 2004), Bagheria 2004, pp. 21-22.
198 E. Crispolti, Malinconie esistenziali di Guttuso, da Milano (1935), e suggerimenti parigini di Severini, da Roma (1937), ai Pasqualino, a Palermo (un frammento di storia dei "Quattro"), in Il presente si fa storia: scritti in onore di Luciano Caramel, a cura di C. De Carli, F. Tedeschi, Vita e Pensiero, Milano 2008, pp. 313-330.
199 F. Scianna, La villa dei mostri, introduzione di L. Sciascia, Einaudi, Torino 1977; lo stesso testo di Sciascia è ripubblicato in una versione più ampia in L. Sciascia, Cruciverba, Einaudi, Torino 1983, pp. 67-75.
200 Cfr. Vietnam libertà, Milano, Istituto Litografico Internazionale, 1968 [con 5 acqueforti originali di Bruno Caruso, Carlo Levi, Renato Guttuso, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, in 90 esemplari]. Sull'argomento si veda A. Motta, Bruno Caruso negli scritti di Leonardo Sciascia, in Storia di un'amicizia. Scritti di Leonardo Sciascia sull'opera di Bruno Caruso, Kàlos, Palermo 2009, p. 124.
201 Le informazioni sull'assidua frequentazione di Sciascia della Galleria “Arte al Borgo”, negli anni Sessanta e Settanta, si devono a una piacevole conversazione verbale con Maurilio Catalano, che ringrazio vivamente. Sulle mostre degli anni Sessanta e Settanta nella galleria palermitana cfr. E. De Castro, “Arte al Borgo” 1963-1973: dieci anni di mostre a Palermo, in “Retablo”, I, 1999, 11, p. 7.
202 Al noto periodico palermitano “L’Ora”, fondato dall'imprenditore siciliano Ignazio Florio, nel corso della metà del Novecento ebbe tra le più autorevoli firme, per quanto concerne la critica d'arte, oltre a Sciascia, anche lo stesso Guttuso, e inoltre Maria Accascina, Adolfo Venturi, Emilio Cecchi e altri. Per un inquadramento generale del periodico citato cfr. G. De Marco, “L'Ora”. La cultura in Italia dalle pagine del quotidiano palermitano (1918-1930). Fonti del XX secolo, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano 2007.
Giuseppe Cipolla, Leonardo Sciascia e le arti figurative in Sicilia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, 2010

mercoledì 5 giugno 2024

I partigiani della banda, sfuggiti al rastrellamento, si stabilirono nelle baracche di Fossa


La formazione partigiana comunista Popoli, dal nome del comune omonimo <1295 presso cui si formò, fu attiva dall’8 settembre 1943 al 23 giugno 1944 con una forza di circa 250 partigiani <1296 e 5 patrioti <1297, stringendo rapporti con numerose bande viciniori soprattutto della contigua provincia de L’Aquila. La Commissione Regionale Abruzzese, in data 15 agosto 1946 deliberò «di riconoscere la Banda “POPOLI” quale formazione partigiana al comando del Sig. CAMARRA Natale e di riconoscere la qualifica di “Partigiano Combattente” a tutti gli elementi inclusi nel ruolino della formazione stessa» <1298. Al termine dell’iter di riconoscimento, all’interno della banda vennero concesse le seguenti qualifiche gerarchiche: 2 comandanti di brigata <1299, 1 commissario di guerra <1300, 1 comandante di battaglione <1301, 4 comandanti di distaccamento <1302, 3 comandanti di distretto <1303, 16 comandanti di squadra <1304, 31 comandanti di nucleo <1305. Tra i partigiani furono inoltre riconosciuti caduti per la lotta di Liberazione, Brenno Berluti Lorenzini, Carmine Cafarelli, Armando D’Amato, Alfredo Di Ciccio, e Saverio Zaccardi; ed invalidi per la lotta di Liberazione Pasquale De Santis e Antonio Tatangelo <1306.
Prima di iniziare con la ricostruzione dell’esperienza resistenziale della banda Popoli, va necessariamente premesso che essa fu indicata da Nicola De Feo e Adriano Salvadori tra i gruppi partigiani facenti parte integrante della banda Patrioti Marsicani. Il rapporto di dipendenza - a loro dire ininterrotto dal settembre a giugno - li portò ad includere nel computo generale come nella descrizione delle attività della banda di cui furono responsabili militari, anche quelle azioni che poi in un secondo tempo furono attribuite alla sola formazione popolese. Da qui il sovrapporsi di date, nomi ed episodi che si rinviene nei carteggi relativi alle due bande che verrà riportato in base alle fonti documentali esaminate.
Nei giorni subito successivi all’armistizio i «cittadini popolesi» - si legge nella relazione di Natale Camarra <1307 - «che hanno sempre odiato i tedeschi ed i fascisti hanno subito capito quale fosse il loro immediato compito» <1308. Alle sue direttive si costituì quindi un primo nucleo di partigiani e furono attivati un comitato, impegnato nel «rastrellamento di tutte le armi abbandonate dai fuggiaschi soldati del disfatto esercito italiano e a convogliarle in un sicuro deposito nelle colline circostanti il paese» <1309; ed un centro di raccolta <1310 viveri ed indumenti per l’assistenza <1311 degli ex prigionieri alleati - ma non solo - che poté contare sul contributo encomiabile dei cittadini del comune <1312. Nel periodo tra ottobre e dicembre, stando a quanto riferito da Pietro Nannicelli, il centro di raccolta provvide a vettovagliare giornalmente «almeno 500 uomini» <1313, tra componenti della banda, prigionieri dell’esercito alleato, e soldati italiani impossibilitati dopo l’armistizio a rientrare presso i comuni di appartenenza <1314. Al contempo fu svolta attiva propaganda tra la popolazione contro le chiamate alle armi <1315 ed al servizio del lavoro «per far sì che i nostri giovani ed i nostri operai <1316 non prestassero i loro servizi ai tedeschi per la distruzione della patria» <1317.
Nell’ottobre, quando ormai la formazione aveva raggiunto un numero ragguardevole di elementi <1318 il Camarra ritenne necessario «inquadrare con disciplina militare» la banda, e così richiese ed ottenne dalla Direzione del Partito Comunista «l’invio di un dirigente politico e militare (Giulio Spallone <1319) e di un esperto di guerriglia partigiana (Aurelio Nardelli <1320)» <1321. Entrambi i nomi figurano anche nella relazione De Feo-Salvadori e nelle memorie di Bruno Corbi <1322 quali inviati del direttivo comunista marsicano a Popoli: il primo già il 5 settembre per prendere contatto con il Natale Camarra; il secondo alla fine del mese nell’ambito della tessitura di una rete partigiana organizzata ed unitaria facente capo alla Patrioti Marsicani <1323. Nella generale riorganizzazione che seguì, la banda venne quindi ad essere risuddivisa in 4 distaccamenti al comando di Natale Camarra, Nicola Sanvitale, Giuseppe Orsini, e Amerigo Baldassarre <1324. Il servizio sanitario fu affidato al tenente medico Arsenio Fracasso <1325 che poté contare sulla collaborazione di due patrioti infermieri e sui «medicinali fatti affluire dal centro di raccolta» <1326. I partigiani trovarono quindi rifugio nelle montagne circostanti Popoli nelle località Cassiodoro, Fossa, Fonti e Santacroce <1327 in cui si acquartierarono parte nella masseria Villa <1328 e parte in casette da loro stessi costruite «con materiale della ex G.I.L., fornito dal direttore delle scuole di avviamento prof. Corti» <1329. Ogni distaccamento venne quindi ulteriormente frazionato in squadre che furono «addestrate all’uso delle armi, in operazioni di ricognizioni oltreché ad disbrigo dei servizi inerenti al proprio sostentamento: taglio e trasporto di legna, trasporto di acqua […] di pari passo veniva curata l’educazione politica» <1330.
Gli uomini delle squadre condussero nei mesi successivi diverse azioni di recupero armamenti e di sabotaggio, eseguite per misura precauzionale in aree distanti dagli abitati: interruzioni della linea telefonica, sbarramenti di strade mediante tronchi d’albero e distribuzione razionale di «chiodi a quattro punte» nei tratti in cui più intenso era il traffico dei mezzi tedeschi <1331. Le azioni partigiane, «trattandosi di una zona vicino al fronte», non passarono inosservate: i tedeschi prima affissero nella cittadina un manifesto con quale si minacciava la popolazione di feroci rappresaglie, e poi nel dicembre una volta individuata la posizione della banda - secondo il Camarra grazie all’infiltrazione di militi tedeschi nelle file degli ex prigionieri alleati <1332 - organizzarono un rastrellamento a tappeto dell’area <1333. La banda, avuta informazione delle intenzioni nemiche, approntò in tutta fretta un nuovo acquartieramento in Fossa, località sopraelevata e scoscesa e quindi naturalmente protetta <1334, costruendo baracche idonee l’alloggiamento per il periodo invernale di tutti i partigiani e cominciando il trasferimento di uomini, armi, munizioni e vettovagliamenti <1335. Non riuscirono a completarlo. Il 6 dicembre i tedeschi - raccontò il Camarra - «partendo da punti diversi (Roccacasale, Corfinio, Tocco e Popoli) circondarono tutta la zona e cominciarono a restringere il cerchio iniziando una violenta sparatoria con armi di tutti i calibri e facendo largo uso di proiettili traccianti» <1336. Pur davanti al vasto dispiegamento di forze tedesche, i partigiani ingaggiarono combattimento con il nemico ed approfittando della nebbia, il grosso della banda riuscì a rompere l’accerchiamento ed a raggiungere la località sopraelevata di Fossa <1337. Pesante il colpo inferto all’organizzazione che subì la perdita del partigiano Armando D’Amato <1338, e l’arresto di 50 elementi <1339 tra cui i capi distaccamento Giuseppe Orsini e Nicola Sanvitale, il commissario di guerra Giulio Spallone <1340 e il Pietro Nannicelli. Nell’incursione i tedeschi catturarono anche 16 ex P.O.W.s alloggiati fino a quel momento presso una capanna in località Fonti <1341, incendiarono i ripari di fortuna precedentemente allestiti dai partigiani e fecero razzia nell’intera area di viveri, bestiame, munizioni e materiale vario <1342. I partigiani catturati, fatti oggetto da parte dei tedeschi di minacce, percosse e stringenti interrogatori <1343 mantennero un ammirevole contegno «dinanzi alla prova suprema», e vennero quindi caricati sui camion e trasferiti nelle carceri de L’Aquila, Chieti, Bussi e Popoli: «un piccolo gruppo fu destinato al campo di concentramento, altri ai lavori forzati al fronte <1344, altri tenuti nelle carceri di Chieti sotto processo. In seguito quasi tutti riuscirono ad evadere» <1345 ed in buona parte a rientrare nella formazione. Quattro di loro - Concezio Gagliardi <1346 Giuseppe Orsini, ed i fratelli Lino e Ugo Hanau <1347 - riuscirono a fuggire da Chieti già il 14 dicembre sottraendosi in pieno giorno alla sorveglianza dei tedeschi e dei carabinieri di scorta <1348.
I partigiani della banda, sfuggiti al rastrellamento, si stabilirono nelle baracche di Fossa al sicuro dai tedeschi che non osarono avventurarvisi data la posizione favorevole alla difesa, ma non dai rigori di quell’inverno sorprendentemente inclemente. Il 1° gennaio una violenta tempesta di neve distrusse i loro ripari di fortuna e li costrinse a scendere dalle montagne e trovare rifugio a valle <1349. Il comprensibile scoraggiamento, il moltiplicarsi delle difficoltà - tra cui i primi bombardamenti alleati della zona - convinsero verso la fine di gennaio i partigiani e le loro famiglie a sfollare dalla cittadina, seguendo il flusso dei loro compaesani. Il Camarra quindi si vide costretto ad organizzare gruppi di partigiani presso i vicini paesi - Vittorito, Roccacasale, San Benedetto in Perillibus, Bussi, Tocco ed Ofena <1350 - dove questi alloggiavano in stato di semi clandestinità <1351 mentre Popoli, in cui un buon numero di partigiani «viveva in grotte confusi tra la popolazione civile», rimase sede del comando, e luogo di riunione ed incontro dei diversi capigruppo <1352. La parola d’ordine dell’attività partigiana di questo periodo fu: «sopravvivere procacciandosi i mezzi per il sostentamento, risparmiando gli averi della popolazione civile, ma danneggiando il nemico con ogni mezzo e sottraendo ad esso i frutti delle varie requisizioni» <1353. In tal senso furono compiuti diversi boicottaggi dei «lavori occorrenti al nemico per la sua difesa» <1354 soprattutto ai servizi di costruzione piazzole e di sgombero di macerie dalle strade di traffico e diverse azioni di sottrazione del materiale di rame proveniente dalle linee elettriche abbattute dalle tempeste di neve <1355. Per contro i partigiani si spesero a favore della popolazione intervenendo nel trasporto di feriti civili e nel salvataggio di materiale di interesse pubblico <1356.
[NOTE]
1295 Popoli, comune in provincia di Pescara, sito a 250 m.s.m. all’estremità settentrionale della Conca di Sulmona, tra il basso corso dell'Aterno a nord-ovest e il massiccio della Maiella a sud-est, sulla direttrice della SS. Tiburtina Valeria; stazione ferroviaria lungo la linea Roma-Pescara. Nel territorio comunale rientra la Gola di Tremonti altresì detta di Popoli e talvolta nominata al plurale, che fa da raccordo tra la provincia di L’Aquila e quella di Pescara. La scelta di inserire in questo studio la banda Popoli, benché sia stata attiva nel comune della provincia pescarese, trova la sua motivazione nella stretta relazione che a dire degli stessi protagonisti questa ebbe con banda Patrioti Marsicani.
1296 Cfr, ivi, schedario partigiani.
1297 Cfr, ivi, schedario patrioti.
1298 ACS, Ricompart, Abruzzo, Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano, L’Aquila, pratica n. 045. In data 7 agosto 1947 la Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano deliberò di riconoscere l’elenco aggiuntivo della Banda Popoli con la qualifica di partigiano e patriota secondo l’allegato ruolino. Cfr. ivi.
1299 Camarra Natale, nato a Popoli (PE) il 25 dicembre 1898, caporale, ha svolto attività partigiana nella banda come capitano e comandante di battaglione partigiano, dal 08/09/43 al 23/05/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. Arrestato il 30 aprile 1944 con diversi altri partigiani, fece il suo rientro nella formazione il 13 giugno 1944. Cfr. ivi, Banda Popoli, ruolino. Sanvitale Nicola, nato a Popoli (PE) il 25 dicembre 1914, sottotenente, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e comandante di brigata partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. «[…] dopo il 30 aprile 1944 comandante di banda, ferito l’8.9/06/44», ivi, Banda Popoli, ruolino.
1300 Spallone Giulio, nato a Lecce dei Marsi (AQ), ha svolto attività partigiana nella banda come capitano e commissario di guerra, dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1301 Orsini Giuseppe, nato a Popoli (PE) il 21 dicembre 1912, sottotenente, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e comandante di battaglione partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ibidem. «[…] dopo il 30 aprile 1944 comandante di banda», ivi, Banda Popoli, ruolino.
1302 Damiani Luigi o Gino, nato a Popoli (PE) il 28 agosto 1915, sergente maggiore, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distaccamento partigiano, dal 08/09/43 al 23/06/44; Giardini Enrico nato a Popoli (PE) il 2 febbraio 1893, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distaccamento partigiano, dal 08/09/43 al 23/06/44; Nannicelli Piero o Pietro, nato a Popoli (PE) il 4 ottobre 1905, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distaccamento partigiano, dal 08/09/43 al 23/06/44; Pescara Carmine, nato a Popoli (PE) il 24 settembre 1910, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distaccamento partigiano, dal 01/10/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1303 Fistola Nicola, nato a Popoli (PE) il 3 agosto 1912, alpino, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distretto partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Giovani Quirino, nato a Popoli (PE) l’1 ottobre 1900, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distretto partigiano, dal 08/09/43 al 23/06/44; Villa Salvatore, nato a Popoli (PE) il 4 luglio 1898, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distretto partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ibidem.
1304 Alberico Vincenzo, nato a Popoli (PE) il 18 ottobre 1906, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 08/09/43 al 13/06/44; Antonucci Giustino, nato a Popoli (PE) il 9 agosto 1916, soldato di Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Baldassarre Amerigo, nato a Popoli (PE) l’11 novembre 1913, caporal maggiore di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Caffarelli Amedeo, nato a Popoli (PE) il 5 dicembre 1897, caporal maggiore, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 13/06/44; Camarra Alfredo, nato a Popoli (PE) il 23 aprile 1916, caporale, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Camarra Antonio, nato a Popoli (PE) il 20 agosto 1907, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Camarra Salvatore, nato a Popoli (PE) il 7 ottobre 1901, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Cialone Bonifacio di Agostino, nato a Popoli (PE) il 1° agosto 1914, alpino, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Coppola Gabriele, nato a Popoli (PE) il 20 ottobre 1904, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Di Gregorio Cesidio, nato a Popoli (PE) il 1° novembre 1906, caporale, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Di Stefano Annino, nato a Terni il 26 luglio 1899, soldato di Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 02/11/43 al 23/06/44; Fistola Giovanni, nato a Popoli (PE) il 10 ottobre 1901, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Fistola Pasquale, nato a Popoli (PE) il 3 giugno 1903, caporal maggiore di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana dal 08/10/43 al 23/06/44; Forcucci Salvatore, nato a Popoli (PE) il 18 settembre 1905, caporale, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 23/06/44; Santucci Antonio, nato a Avezzano (AQ) il 30 gennaio 1903, caporale di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 12/10/43 al 23/06/44; Vernacotola Gregorio nato a Popoli (PE) il 25 febbraio 1903, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente maggiore e comandante di squadra partigiana, dal 01/10/43 al 13/06/44. Cfr. ibidem.
1305 Antonucci Camillo, nato a Popoli (PE) il 1° agosto 1911, alpino, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Antonucci Mario, nato a Popoli (PE) il 20 settembre 1914, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Bavosi Giglio, nato a Popoli (PE) il 31 gennaio 1908, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 03/10/43 al 23/06/44; Camarra Luciano, nato a Popoli (PE) il 13 dicembre 1898, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 08/09/43 al 13/06/44; Camarra Palmerino, nato a Popoli (PE) il 4 aprile 1909, alpino, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Camarra Venanzio, nato a Popoli (PE) il 18 maggio 1901, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Cancelmo Alfredo, nato a Popoli (PE) il 28 dicembre 1906, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 03/10/43 al 23/06/44; Cialone Bonifacio, nato a Popoli (PE) il 14 ottobre 1915, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 08/10/43 al 23/06/44; Colella Gaetano, nato a Popoli (PE) il 17 dicembre 1926, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 08/10/43 al 23/06/44; Del Conte Pietro, nato a Popoli (PE) il 28 giugno 1907, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Della Rocca Alberto, nato a Popoli (PE) il 19 gennaio 1925, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 08/09/43 al 13/06/44; Della Rocca Alfredo, nato a Popoli (PE) il 14 ottobre 1919, caporal maggiore degli Alpini, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Della Rocca Armando, nato a Popoli (PE) il 23 marzo 1912, bersagliere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Della Rocca Savino, nato a Popoli (PE) l’8 ottobre 1914, sergente di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Della Rocca Vittorio, nato a Popoli (PE) il 28 gennaio 1919, sergente del Genio, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; De Luca Giuseppe, nato a Popoli (PE) il 18 settembre 1905, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; De Luca Nicola, nato a Popoli (PE) il 14 agosto 1914, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; De Santis Pasquale, nato a Tocco Casauria (PE) il 9 ottobre 1927, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 12/10/43 al 15/02/44, giorno in cui contrasse malattia durante il servizio. Riconosciuto partigiano combattente invalido per la lotta di Liberazione; Di Felice Antonio, nato a Popoli (PE) il 2 ottobre 1907, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 33/06/44; Di Felice Guerino, nato a Popoli (PE) il 1° marzo 1910, caporale di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 02/11/43 al 23/06/44; Forcucci Vincenzo, nato a Popoli (PE) il 3 marzo 1897, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 12/10/43 al 23/06/44; Giovane Giuseppe, nato a Popoli (PE) il 23 gennaio 1907, soldato di Autocentro, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; La Capruccia Guerino, nato a Popoli (PE) il 6 dicembre 1912, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Leone Nicola, nato a Taranto il 3 luglio 1900, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Pallotta Armando, nato a Popoli (PE) il 3 agosto 1918, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Pecci Armando, nato a Popoli (PE) il 22 maggio 1911, caporal maggiore, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 08/10/43 al 23/06/44; Pettinella Mario, nato a Popoli (PE) il 31 maggio 1915, artigliere, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 12/10/43 al 23/06/44; Ricci Guido, nato a Popoli (PE) il 18 marzo 1920, paracadutista, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano dal 08/10/43 al 23/06/44; Santilli Guerino, nato a Popoli (PE) il 27 luglio 1908, caporal maggiore di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44; Villa Loreto, nato a Popoli (PE) l’8 dicembre 1904, soldato di Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 12/10/43 al 23/06/44; Zaino Salvatore, nato a Popoli (PE) il 6 dicembre 1908, caporale di Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ibidem e schedario caduti e feriti.
1306 Nato a Tocco di Casuria (PE) il 1° aprile 1913, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44. Riconosciuto partigiano combattente invalido per la lotta di Liberazione. Cfr. ibidem.
1307 Descritto dal Corbi Bruno come «un vecchio compagno che aveva passato molti anni fra carcere e confino», in Bruno Corbi, Scusateci tanto, cit., p. 39. Nel libro di Costantino Felice, il Camarra è descritto come un «coraggioso militante comunista, già confinato politico», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 193.
1308 ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1309 Ibidem.
1310 Sull’attività di detto centro presieduto dal Camarra coadiuvato da Giovanni Quirino e Villa Salvatore, riferì anche il Nannicelli Pietro nella sua Relazione Attività Patriottica della Banda Popoli, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori. Cfr. ivi, Patrioti Marsicani. Giovanni Quirino, nato a Popoli (PE) il 1° ottobre 1900, geniere, ha svolto attività partigiana nella banda come comandante di distretto partigiano e sottotenente, dal 08/09/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. Il partigiano Masella Luigi, «nominato responsabile del centro», riferì che «funzionò a meraviglia tanto da ricevere il plauso dallo stesso Natale Camarra», ivi, Banda Popoli, relazione attività di Masella Luigi Giulio. Masella Luigi Giulio, nato a San Benedetto dei Marsi (AQ) il 15 novembre 1922, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 08/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. Il Masella, in attività fin dall’armistizio, fu rastrellato dai tedeschi il giorno 28 ottobre e «condotto nei pressi di Roccaraso per l’approntamento di piattaforme per la sistemazione di cannoni», ma riuscì a fuggire ed a riprendere servizio nella banda. Ivi, relazione attività di Masella Luigi Giulio del 24 maggio 1947.
1311 Oltre all’assistenza alimentare e di vestiario, i partigiani della banda fornirono alloggi agli ex P.O.W.s, e li fecero accompagnare da apposite guide fino al passaggio del fronte. Il numero di coloro che furono assistiti e protetti - secondo la memoria del Camarra - fu di diverse centinaia. Cfr. ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale. Secondo quanto riportato nella sua relazione attività, il partigiano Paolini Giuseppe, al tempo impiegato presso il comune di Popoli sezione anagrafe, fornì carte di identità false sia ad elementi della banda che ad ex prigionieri alleati da questa assistiti. Cfr. ivi, relazione attività di Paolini Giuseppe del 13 gennaio 1947. Paolini Giuseppe, nato a Popoli (PE) il 16 giugno 1926, soldato, ha svolto attività partigiana nella banda dal 08/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1312 Molto scarsa invece - annotò il Camarra - la partecipazione del ceto più abbiente, «ad eccezione del prof. E. CORTI Direttore Scuola Avv. che iniziò attiva opera di persuasione e offrì subito L. 1500», ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1313 Questo stesso numero ritorna anche nella relazione individuale del Salvadori Adriano presente nel carteggio della Patrioti Marsicani secondo cui nello stesso periodo la banda popolese era costituita da «500 patrioti e 200 prigioni, armata di circa 60 moschetti e un’arma automatica», ivi, Patrioti Marsicani.
1314 Cfr. ivi, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori. Secondo la stessa fonte, le patriote Sanvitale Maria e Villa Agata prepararono pane per tutti, mentre altre donne si occupavano del reperimento di indumenti di lana. Cfr. ibidem. Sanvitale Maria, nata a Popoli (PE) il 23 dicembre 1893, ha svolto attività patriottica nella banda; Villa Agata, nata a Popoli (PE) ha svolto attività patriottica nella banda. Cfr. ivi, schedario patrioti.
1315 Secondo quanto precisato dal partigiano Masella Luigi Giulio il bando di reclutamento emesso nel settembre per ordine delle autorità tedesche, riguardò i giovani fino alla classe 1924. Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione attività di Masella Luigi Giulio.
1316 «Agli stessi comandi della Wehrmacht giungono relazioni che denunciano - con riferimento all’intero complesso elettrochimico della Montecatini di Bussi, Piano d’Orta e Pratola Peligna - la presenza di «elementi nemici e comunisti [i quali] - sono parole del generale Hans Leyers, incaricato per l’Italia degli armamenti e della produzione bellica - continuano a lavorare e molto attivamente per eccitare le maestranze che invece desiderano lavorare», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 195.
1317 ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1318 Il Camarra parlò di «alcune centinaia», ibidem.
1319 «[…] a disposizione del Centro di Roma dal 12 febbraio 1944», ivi, banda Popoli, ruolino.
1320 Si apprende dal Costantino Felice che la permanenza del Nardelli nella banda Popoli fu relativamente breve e non priva di difficoltà: «[egli] però giudica la disposizione del gruppo «infelice e pericolosissima». Inoltre gli pare del tutto precaria la situazione complessiva: giovani inesperti di guerriglia, assenza di addestramento militare, insufficiente dotazione di armi e munizioni. Decide perciò di recarsi a Roma per riferire alla direzione del Pci e al Centro militare. A tale scopo prende accordi con il giovane universitario Italo Sebastiani, il quale avrebbe dovuto fornirlo di un lasciapassare tedesco. Sebastiani giunge a Popoli il giorno convenuto (siamo a metà novembre), ma senza il previsto documento. Il viaggio nella capitale viene tuttavia tentato ugualmente. Sennonché al bivio di Corfinio, tra la Tiburtina e la statale per Sulmona, Nardelli viene prelevato da una pattuglia tedesca che stava rastrellando uomini da adibire nello scavo di un fossato anticarro a Rivisondoli. «Dopo fortunose ed incredibili peripezie», egli comunque riesce a fuggire dal santuario Madonna dell’Altare, sulle alture di Palena, e a tornarsene nella Marsica, dove riprende il suo posto nell’organizzazione», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 194. «[…] arrestato dai tedeschi il 15-11-43 e non più rientrato in formazione», ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, ruolino.
1321 Ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1322 Commissario di guerra della Patrioti Marsicani. Cfr. ivi, Patrioti Marsicani.
1323 Cfr. ibidem. La sovrapposizione tra le due relazioni, seppur con una discrepanza temporale, consente di configurare uno scenario del tutto particolare in cui, dato come assunto che il Camarra non potesse ignorare l’effettiva provenienza dei due, si deve gioco forza ritenere che abbia preferito considerarli unicamente come inviati dal partito a cui lui stesso faceva riferimento, anziché quali trait d’union con la formazione marsicana la cui strategia spiccatamente accentratrice, se non nei fatti per lo meno nelle intenzioni, avrebbe potuto oscurare la sua determinazione ad una piena autonomia operativa.
1324 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1325 Nato a Popoli (PE) l’8 settembre 1911, tenente medico, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1326 Ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1327 Cfr. ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1328 Cfr. ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1329 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1330 Ibidem. Per quanto attenne al vettovagliamento dei distaccamenti, il Camarra riferì che i «viveri raccolti in paese da un apposito comitato venivano trasportati a dorso di mulo di nottetempo, eludendo la vigilanza dei tedeschi», ibidem. A proposito del vettovagliamento, il Costantino Felice pone a confronto le due versioni, quella dello Spallone che scrive: «Per più di quattro mesi l’organizzazione [si riferisce ovviamente a quella del Pci] riuscì a vettovagliare una media di 80 persone al giorno. A questo proposito prendemmo contatto anche con il Podestà, da cui riuscimmo ad avere vari sacchi di farina. Chiedemmo rifornimenti all’organizzazione di Penne e di Loreto Aprutino, con i quali paesi avevamo già organizzato trasporti venuti poi meno con la completa rottura dei traffici in tutta la zona in conseguenza dei costanti mitragliamenti aerei. L’organizzazione è riuscita talmente bene a popolarizzare le bande che tutto il paese, che le ha serrato [sic!] intorno, ha fatto per approvvigionarci grandi sforzi (si tenga presente la maggioranza proletaria della popolazione)». E quella del Comitato direttivo del Pci abruzzese per cui: «Il Partito di Popoli, durante il periodo in cui la banda si trovava in montagna, ha contratto un debito di L. 35.000 per la propria sussistenza, che a nostro avviso sono spese che dovrebbe rimborsare il Comitato di Liberazione Nazionale di Roma» (Fg, Apci, 1944)», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 194-195, n. 10.
1331 Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1332 Per contro il Nannicelli parlò della delazione di una «coalizione fascista», ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1333 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1334 Cfr. ibidem.
1335 Cfr. ibidem.
1336 Ibidem.
1337 Cfr. ibidem.
1338 Nato a Popoli (PE) il 26 ottobre 1907, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 08/12/44, giorno in cui morì in seguito alle ferite riportate in combattimento contro i tedeschi. Riconosciuto partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione. Cfr. ivi, schedario partigiani e schedario caduti e feriti. Cfr. anche Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 196. Dell’incursione tedesca compiuta nel dicembre contro i partigiani popolesi, e della morte del D’Amato parlò anche il Salvadori Adriano della Patrioti Marsicani nella sua relazione individuale, secondo la quale al partigiano appartenente al Partito Comunista il popolo tutto tributò onori funebri da «eroe», ACS, Ricompart, Abruzzo, Patrioti Marsicani.
1339 Il numero trova conferma nella dichiarazione rilasciata dal Segretario Amministrativo dell’A.N.P.I. sezione provinciale di Pescara, Antonio Spinelli in merito al partigiano Fasciani Giovanni rastrellato «insieme ad altri 50 componeti [sic!] la Banda stessa il giorno 6 Dicembre 1943 in località Santacroce. Sottoposto ad abile e minaccioso interrogatorio da parte dell’ufficiale tedesco che comandava l’azzione [sic!] manteneva contegno fermo e non rivelava i nomi dei capi dell’organizzazione», ivi, Banda Popoli. Fasciani Giovanni, nato a Popoli (PE) il 20 settembre 1891, ha svolto attività partigiana nella banda dal 02/11/43 al 23/06/44; Spinelli Antonio, nato a Città Sant’Angelo (PE) il 18 dicembre 1909. soldato, ha svolto attività partigiana nella banda Pescara Nord come sottotenente e comandante di distretto partigiano dal 03/10/43 al 10/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1340 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1341 Cfr. ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1342 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1343 Per una quindicina di essi fu anche minacciata la fucilazione «alla presenza di alcune donne congiunte dei catturati, rastrellate anch’esse e destinate alla deportazione in Germania perché sorprese nei paraggi mentre portavano da mangiare ai congiunti». Esecuzione poi fortunatamente non eseguita. Ibidem.
1344 Tra questi il Nannicelli che riferì di quattro giorni di detenzione seguiti poi dal trasferimento a Tollo, «aggregati ad una compagnia di pionieri per lavori di fortificazione al fronte», e infine a Villa Magna da cui riuscirono a fuggire. Ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1345 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1346 Nato a Popoli (PE) il 9 dicembre 1903, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1347 Hanau Lino nato a Ferrara l’11 aprile 1908, ha svolto attività partigiana nella banda dal 08/09/43 al 13/06/44; Hanau Ugo nato a Ferrara l’11 aprile 1908, ha svolto attività partigiana nella banda dal 08/09/43 al 13/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani. I fratelli Hanau conosciuti con il nome di battaglia di “fratelli Bavaglioni” parteciparono alle azioni della banda fino alla loro cattura avvenuta il 6 dicembre 1943. Riusciti a fuggire, rientrarono nella formazione ove rimasero fino alla fine di marzo 1944 quando varcarono il fronte per raggiungere il territorio liberato. Cfr. ivi, Banda Popoli, dichiarazione di Camarra Natale dell’ottobre 1946. Nella dichiarazione del 15 settembre 1946, i fratelli Hanau, direttori del giornale indipendente bolognese “La Voce del Popolo”: «Fanno presente, che attualmente, coprono le cariche di Vice e di Presidente della Confederazione Perseguitati Politici Antifascisti “C. Hanau”, e che subirono persecuzioni ferocissime, confino, carcere, esilio, perché mai si piegarono alle imposizioni dei fascisti. Nel periodo cospirativo furono perseguiti da una triplice condanna a morte, inasprita per la loro molteplice attività partigiana su vari fronti. Il fratello GIORGIO, è stato arso vivo nei forni crematori di Auschwtz [sic!] (Polonia); il padre Prof. CARLO, (a cui s’intesta la Confederazione) morì a seguito persecuzioni fasciste; anche il fratello GINO, è deceduto nel 1929, a seguito percosse appioppategli dai sicari in camicia nera», ivi, dichiarazione di Lino e Ugo Hanau del 15 novembre 1946.
1348 Cfr. ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1349 Descrisse il Camarra che la discesa avvenne in condizioni proibitive per la presenza di una coltre nevosa di circa due metri, ed a prezzo di sforzi inauditi dovendo trascinare con sé quel che restava dell’equipaggiamento. Cfr. ibidem.
1350 Cfr. ibidem.
1351 Cfr. ibidem. «Ad onor del vero c’era da temere la sola vigilanza dei tedeschi e non delle autorità italiane. I vari podestà si sarebbero ben guardati dal denunciare ai tedeschi l’attività degli organizzati», ibidem. Testimonianza in qualche modo emblematica della vita dei partigiani in questo periodo fu resa da Maselli Luigi Giulio che sfollato con la famiglia a Roccacasale, accolse nella propria abitazione un ex prigioniero inglese nonostante «il pericolo che incombeva su me e sulla mia famiglia», ricorrendo ad ogni tipo di furto - «le biade gli otri e tutto ciò che capitava a tiro» - per provvedere al loro sostentamento. Ivi, relazione di Masella Luigi Giulio.
1352 Cfr. ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale. Anche nella cittadina il pericolo maggiore era costituito dai tedeschi e non già dalle autorità civili: in particolare «il Podestà di Popoli Antonio Verna era addirittura un collaboratore della Banda e si era molto prodigato per i rifornimenti alimentari», ibidem. Antonio Verna, nato a Popoli (PE) il 13 novembre 1906, ha svolto attività di patriottica nella banda. Cfr. ivi, schedario patrioti.
1353 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1354 Ibidem.
1355 Cfr. ibidem.
1356 Cfr. ibidem. «[…] vedi recupero del materiale della scuola di avviamento», ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018