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sabato 27 aprile 2024

La mitica figura di Pasquino era ripresa sulle terze pagine del Paese


Sui fogli più direttamente ispirati all’anticlericalismo tradizionale, i richiami alle polemiche con la Chiesa rimasero abbastanza frequenti, soprattutto per quanto riguardava gli interventi culturali di terza pagina. Sul "Paese", numerosi autori dedicarono i loro interventi alle proteste per le difficoltà che le minoranze religiose protestanti incontravano nell’esercizio dei loro culti, nonostante le garanzie della Costituzione e della legislazione ordinaria, a causa delle pressioni dei prelati locali sulle forze dell’ordine. Nel febbraio del 1953, su questo tema, uscì sul quotidiano romano una lunga e documentata inchiesta dell’avvocato Giacomo Rosapepe, che attraverso la trattazione di casi concreti raccolse gli spunti lanciati nel corso degli anni da collaboratori più assidui come Arturo Labriola e Mario Berlinguer <433.
Un altro tipo di interventi che faceva ormai parte del classico bagaglio della pubblicistica anticlericale era quello relativo alla discussione delle forme di superstizione legate ad alcuni aspetti della pratica religiosa cattolica. Negli anni 1947-1948, simili interventi furono praticamente assenti nella propaganda gestita dal PCI, dal momento che simili episodi di devozione erano diffusi soprattutto in quella base cattolica con cui il partito intendeva dialogare, e furono piuttosto rari anche nei fogli anticlericali orientati verso posizioni frontiste. Una parziale eccezione riguardava il caso dei presunti episodi miracolosi legati al culto mariano che sembravano verificarsi poco prima delle elezioni del 18 aprile. Il "Don Basilio", su questo tema, propose alcuni spunti satirici che furono ripresi anche dall’Unità <434: nelle vignette del settimanale satirico, le madonne che aprivano gli occhi «li richiudevano subito, disgustate», di fronte alla pletora di preti e attivisti di AC che ostentavano croci come se fossero stati cartelli pubblicitari, e invitavano ad identificare il voto della DC con l’amore per la Madonna <435; nelle stesse settimane, nella rubrica del settimanale satirico "I miracoli della settimana", si mettevano in ridicolo voci come quella su un cavallo che miracolosamente si rifiutava di portare il feretro in un funerale civile, e di fronte all’ennesima smentita sui presunti movimenti di una statua della Madonna, «quello cioè che qualunque bambino di sei anni avrebbe potuto constatare e dimostrare, senza che si disturbasse tanta gente», ci si chiedeva « se qualcuno avesse visto muoversi il cavallo del monumento di Garibaldi» <436.
Una ragione dell’interesse degli organi ufficiali del Partito comunista alla critica satirica di simili fenomeni era il fatto che essa fosse incentrata, più che sui limiti culturali di cui essi erano sintomi, sulla strumentalizzazione della credulità popolare da parte delle gerarchie per spingere i fedeli a compiere una scelta politica “reazionaria”: la distinzione tra “cristianesimo” e “clericalismo” era insomma declinata chiaramente secondo le già impostate coordinate della frattura tra basi e vertici del mondo cattolico. Dopo il 1948, L’Unità e i periodici del PCI tornarono ad evitare la condanna di pratiche assai diffuse in tutta Italia, ma su alcuni fogli non direttamente legati al partito si tornarono a leggere commenti caustici su superstizioni popolari definite esplicitamente «discutibili aspetti della fede» <437.
Tra gli articoli più direttamente volti a presentare un’immagine negativa delle istituzioni ecclesiastiche e dei suoi membri, non solo il "Don Basilio", che poteva permettersi di trattare argomenti scabrosi con taglio umoristico, ma persino "Il Paese" ripresero in parte la tendenza di mettere in evidenza fatti di cronaca relativi a comportamenti immorali di sacerdoti, soprattutto nella sfera sessuale <438. Già da tempo però simili interventi, così comuni nei fogli laicisti pubblicati a cavallo tra XIX e XX secolo, avevano iniziato a farsi più rari, e anche in questo campo, dopo il 1948, alla sciabola le redazioni preferirono sostituire nella maggior parte dei casi il fioretto. Il miglior prodotto giornalistico per la critica moralistica alle gerarchie cattoliche fu un particolare tipo di rievocazione storica: si trattava, in generale, di un lungo articolo di terza pagina, che invece di esporre grandi eventi del passato si soffermava con gusto aneddotico su vicende poco note o piccoli fatti biografici di papi e prelati, narrandoli con tono disteso, quasi corsivistico, spesso attualizzando scenari e giudizi per trasferire la condanna dalla Chiesa del passato a quella del presente.
Un simile prodotto giornalistico non era una novità, visto che già nel 1903 "L’Asino" di Podrecca pubblicava racconti aneddotici sulla Curia del Cinquecento e del Seicento, in cui «i nepoti del papa […] erano, come assai frequentemente nelle famiglie cattoliche, gozzovigliatori, lussuriosi, scapestrati all’eccesso», ed uno di essi poteva sedurre ed abbandonare la sorella di un allievo del Bernini, senza patire alcuna punizione se non quella di essere rappresentato in chiave negativa nel rilievo dell’Altare di San Pietro <439. Subito dopo la caduta del fascismo, si assistette ad una nuova diffusione di questo genere di racconti sui giornali, tanto che già nell’ottobre del 1945 Giordani, dal suo "Quotidiano", lamentava il gusto per «una pittura della Curia dell’epoca rinascimentale tirata sul cliché della letteratura di bancarelle, che andava di moda nell’era dei nonni o giù di lì» <440. Nel 1950, con alcuni articoli che facevano riferimento ad aneddoti gustosi relativi alle celebrazioni dell’Anno Santo all’epoca del nepotismo papale <441, iniziò e durò per alcuni anni una presenza assidua di bozzetti storici del genere su molti giornali della sinistra anticlericale, compreso un organo di partito come l’Avanti!
Sul foglio socialista, alcuni collaboratori sostituivano la trattazione di casi piccanti di attualità con racconti del passato sulle prostitute attive durante il governo temporale papale, ironicamente definito «pio»; in essi si veniva a sapere che le “professioniste” d’alto bordo potevano evitare i provvedimenti persecutori grazie ai loro buoni rapporti con membri della Curia, clienti abituali: esse, concludeva Nando Poli, erano considerate
" “oneste cortesane” alle quali la Curia Romana non pone alcun impedimento ad assistere alla Santa Messa nei maggiori templi ove entrando non sollevano scandalo alcuno, ma soltanto mormorii di ammirazione, e il loro profumo di belle peccatrici si mescola all’aroma dei sacri incensi ". <442
Uno dei casi in cui si poteva percepire meglio l’intento attualizzante di questo genere di insinuazioni fu la serie di articoli, pubblicata a maggio sempre sull’Avanti!, relativa al rigido controllo dei papi rinascimentali sugli scrittori che operavano a Roma. Molti erano definiti, impropriamente e genericamente, «giornalisti», come Niccolò Franco, «cronista di 400 anni fa» e «protomartire del giornalismo italiano», vista la condanna a morte che subì per la sua libertà di pensiero <443. Poche settimane dopo l’adesione entusiastica di molti giornalisti italiani alla “campagna della verità” indetta da Truman in funzione antisovietica, la narrazione delle difficoltà di espressione nella Roma dei papi, in cui l’unica voce libera era quella dell’inafferrabile Pasquino, poteva essere facilmente traslata al tempo presente, grazie soprattutto all’uso del lessico contemporaneo per individuare le figure professionali <444.
La mitica figura di Pasquino, visto come anticipatore dei commenti critici e sarcastici sulla Curia, era ripresa sulle terze pagine del "Paese", ad esempio per ricordare alcuni papi della controriforma: anche in questo caso, l’atteggiamento degli autori degli articoli era quasi divertito; si finiva per definire un monarca cattolico «vero soggetto da manicomio», mentre l’ordine di Pio V di sterminare gli ugonotti in Francia era connotato con falso eufemismo come opera «assai poco evangelica» <445. Sulle pagine culturali del quotidiano di Roma, in quegli stessi mesi, era possibile trovare una galleria di ritratti di papi e alti prelati del passato redatti in questo stile: si andava dagli intrighi e le gozzoviglie dei papi avignonesi <446, a Sisto IV, implicato nella congiura dei Pazzi <447, a Sisto V, che secondo alcune fonti non ufficiali da frate portava un bastone sotto la tonaca, da cardinale mozzò un orecchio a un «collega» che lo prendeva in giro per le sue umili origini, e durante il suo pontificato non tollerava neppure le pudiche effusioni di due innamorati <448, a Leone X che esiliò numerosi letterati contrari alle sue opinioni e si attirò l’antipatia dell’Ariosto <449. In articoli di questo genere non mancavano, naturalmente, note di amara ironia sulle credenze promosse dalle gerarchie cattoliche ai tempi del processo a Galileo <450, o sul Sillabo ottocentesco, a cui «veniva fatto di ripensare» «a fronte della progressiva clericalizzazione del paese» <451; alcune delle osservazioni più gustose riguardavano poi i torbidi giochi di potere che si celavano dietro le mura dei sacri palazzi: dietro sorrisi ed amicizie sarebbero state nascoste in ogni epoca tensioni degne di un nido di vipere, che si esplicitavano all’interno dei conclavi <452.
Per una valutazione complessiva degli sviluppi della comunicazione politica degli ambienti di sinistra nei confronti delle gerarchie e le istituzioni cattoliche, si può osservare come in quest’ambito, forse ancora più che altrove, l’esperienza della sconfitta del 18 aprile segnò una cesura. Dopo il 1948 fu sostanzialmente abbandonato il tentativo di imbastire una risposta propagandistica organizzata e diretta all’ostilità cattolica, attraverso la riduzione della Chiesa istituzionale a strumento di lotta di classe internazionale e la rivendicazione della corretta interpretazione dello spirito cristiano ed evangelico; i giornali più legati alla tradizione laicista continuarono ad ospitare interventi polemici meno duri, mentre i mezzi di comunicazione i cui contenuti erano più direttamente controllati dalla propaganda comunista abbandonarono i riferimenti alla Chiesa che non fossero originati da una risposta agli strali provenienti dal cattolicesimo organizzato. Nel corso dei primi anni Cinquanta, però, il riferimento ad aspetti della vita associata apparentemente non politici non scomparve nelle polemiche comuniste: esso, piuttosto, si trasferì sul piano della critica alla moralità e all’onesta degli avversari.
[NOTE]
433 Per alcune informazioni sulle pressioni cattoliche contro le manifestazioni pubbliche del culto protestante negli anni successivi al 1948, cfr. l’ampia documentazione raccolta in P. Soddu, L’Italia del dopoguerra cit., passim e spec. Pp. 99 e ss.
434 Per un es. della ripresa di questo genere di critiche sulla stampa di partito comunista, cfr. A. Iacoviello, “Hanno adoperato la Madonna per fare un comizio elettorale”, L’Unità, 14/III/1948, p. 3.
435 Don Basilio, III, 76, 22/II/1948, p. 1.
436 Don Basilio, III, 80, 21/III/1948, p. 2.
437 Cfr. ad es. A. Pasquali Lasagni, “Discutibili aspetti della fede”, Il Paese, 18/XII/1950, p. 5.
438 Cfr. ad es. R. Guarini, “Un monsignore sgozzato dall’amante che non voleva abortire per la terza volta”, Il Paese, 14/II/1953, pp. 1 e 6.
439 Il racconto è cit. in A. Chiesa, La satira politica cit., p. 21.
440 “Cattolicesimo e comunismo”, Il Quotidiano, 5/X/1945, p. 1.
441 Cfr. N. Poli, “Aperta la Porta Santa da un cardinale diciassettenne”, Avanti!, 26/IV/1950, p. 3.
442 Id., “Sfuggivano alle persecuzioni solo ‘quelle’ di alto rango”, Avanti!, 2/III/1950, p. 3.
443 V. Riderelli, “Era pericolosa sotto il governo papale la professione di giornalista”, Avanti!, 10/V/1950, p. 3.
444 Altri articoli di questa serie sono Id., “Vietato sparlare delle autorità anche se ciò che si scrive è vero”, Avanti!, 12/V/1950, p. 3, e “«Dacci un papa miglior, Spirito Santo, che ci ami, tema Dio né campi tanto»”, Avanti!, 13/V/1950, p. 3.
445 Cfr. ad es. A. Brugnola, “L’acre commento di Pasquino per la morte di papa Ghisleri”, Il Paese, 9/VIII/1950, p. 3.
446 M. Alessandrini, “Avignone «colosso feudale» pieno d’intrighi e di corruzione”, Il Paese, 7/IV/1952, p. 5.
447 G. Gabrielli, “Sisto IV contro il ‘Magnifico’ in lotta sanguinosa e spietata”, Il Paese, 8/XI/1950, p. 3.
448 M. Alessandrini, “Deriso per le sue origini di porcaro il futuro papa strappò l’orecchio a un collega”, Il Paese, 16/VI/1950, p. 3, e Id., “Cinque anni di galera per un candido bacio”, Il Paese, 27/VII/1950, p. 3.
449 G. Pozzi, “Processo ad un umanista per ingiurie contro Roma”, Il Paese, 14/III/1951, p. 3, e G. Lupi, “Tra Giulio II iroso e Leone X apatico l’Ariosto diffidò della corte papale”, Il Paese, 3/II/1953, p. 3.
450 S. Baldioli, “Giosuè fermò il Sole dunque esso gira e se è il sole che gira la Terra sta ferma”, Il Paese, 30/XII/1950, p. 3.
451 Spartaco, “Il Sillabo”, Il Paese, 2/I/1951, p. 3.
452 Cfr. G. Lupi, “Un succedersi di colpi mortali dati e ricevuti col sorriso sulle labbra”, Il Paese, 17/XII/1952, p. 3, e L. Callari, “Un maiale scannato per la salute del cardinale”, Il Paese, 19/I/1953, p. 7.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006

venerdì 19 aprile 2024

Dall’estate del 1944 cominciano le operazioni di rastrellamento da parte delle forze tedesche tra il Pasubio e la Val Posina


La città di Schio era uno dei centri più importanti della provincia di Vicenza, quarta città più popolosa dopo il capoluogo, Bassano del Grappa e Valdagno. L’industrializzazione della zona aveva subito una forte accelerazione dalla metà del XIX secolo con la creazione di alcune fabbriche all’avanguardia come il famoso Lanificio Rossi, oltre che a numerosi opifici. La crescita dell’economia aveva a sua volta prodotto un proletariato urbano particolarmente attivo e politicizzato che, più volte, si scontrò con gli imprenditori in numerose proteste che bloccarono la città. La guerra e l’arrivo della RSI non migliorarono le condizioni di vita della popolazione locale, i licenziamenti di massa e il divieto di riassunzione dei sovversivi causò esodi di massa della popolazione <171. La caduta di Mussolini e l’armistizio non turbarono particolarmente la popolazione di Schio e dei dintorni; il giorno successivo, 9 settembre, una folla esultante si radunò in piazza Alessandro Rossi, tanto che il Podestà del Comune Radi si affrettò ad emanare un comunicato per invitare alla calma la popolazione <172. A differenza della maggior parte dei paesi limitrofi, a Schio il fascismo non riuscì mai ad avere una presa salda sulla popolazione e ciò causò l’istituzione di un sistema di controllo molto stretto da parte delle autorità locali, arrivando a più di 300 persone schedate e sotto sorveglianza per il loro rapporti con l’ambiente operaio <173. La città divenne il nodo centrale per il sistema di aiuti finanziari e di rifornimenti per i partigiani <174. Con il sopraggiungere della precettazione dei lavoratori da mandare in Germania e gli scioperi di inizio anno del 1944 la tensione crebbe, come apprendiamo dai rapporti della GNR:
«Schio, 11 marzo 1944-XXII.
Oggetto: Segnalazione sospensione del lavoro.
10 corrente ore 9 operaie circa 70 Filanda Maule di Malo (Vicenza) sospendevano lavoro, ripreso dopo circa 35 minuti per pronto intervento Arma, segno protesta sospensione da lavoro per una giornata filandiera Valmorbida Clorinda d’anni 18 da Malo sorpresa leggere alta voce in detto stabilimento sottoriportato manifestino sovversivo la cui unica copia in originale rimettesi at Prefettura Vicenza punto Detto manifestino veniva rinvenuto in mattinata da altra filandiera mentre recavasi at filanda per iniziare lavoro punto In detta Valmorbida escludesi proposito propagandistico punto Proprietario filanda diffidava dipendenti operaie dal far circolare in fabbrica manifestini del genere punto Nessun perturbamento ordine pubblico punto»
“Operai del Veneto!
Opponetevi con tutto l’animo alla brutale violenza germanica che vuole strappare voi le vostre donne alle case d’Italia. Resistere per affrettare la caduta della Germania e la liberazione d’Italia. Vi siamo vicini con tutti i mezzi spirituali e materiali. Non temete rappresaglie.” <175
Le forze tedesche arrivarono a Schio la notte tra il 9 e il 10 settembre del 1943, con reparti provenienti principalmente dalla Divisione Granatieri Corazzati SS Liebstandarte Adolf Hitler e dalla 25ª Divisione Corazzata del 2° SS-Panzerkorps <176. Gli autocarri carichi di truppe e mezzi che scendevano verso Schio arrivarono da Valli del Pasubio e da Torrebelvicino; la mattina del 10 settembre un reparto di tedeschi avanzò verso il presidio italiano alla Caserma Cella <177. Nella caserma stazionavano degli alpini da Rovereto che, il giorno prima, erano stati disarmati per ordine del loro comandante ed avevano respinto alcune proposte di collaborazione avanzate da dirigenti antifascisti della città; l’attacco tedesco si abbatté sulla Caserma Cella causando la cattura e la deportazione verso la Germania di 54 autocorriere piene di soldati italiani <178.
I primi nuclei della Resistenza scledense si radunarono sui colli circostanti, la maggior parte dei partigiani prese residenza per circa un mese presso le contrade Festari e Formalaita sotto la guida di alcuni antifascisti della città e il comando di Iginio Piva, andando a creare il cosiddetto “gruppo del Festaro”. Il 29 aprile il Fascio Repubblicano di Thiene dava ordini per l’arresto di diversi cittadini in seguito all’uccisione del locale Commissario Prefettizio; l’ordine venne eseguito alle prime ore del pomeriggio dai fascisti appartenenti agli Enti Economici dell’Agricoltura e alla Compagnia della Morte di Vicenza. Risultava noto il fatto che gli arrestati erano estranei all’accaduto e che l’azione era stata portata avanti unicamente su iniziativa del fascio locale che aveva già predisposto l’esecuzione. La fucilazione non avvenne a causa di screzi tra i funzionari fascisti locali e le forze tedesche <179.
30 aprile in località S. Caterina di Tretto avvenne un rastrellamento a seguito dei lanci aerei degli alleati in zona; i tedeschi razziarono il paese, svuotando il caseificio locale e rubando delle radio <180. Il 17 maggio venne costituita la 30ª Brigata d’assalto “Ateo Garemi” nella zona di Campodavanti verso cima Posina; nato su iniziativa del gruppo di Malga Campetto, ovvero i “Fratelli Bandiera”, per raccogliere tutta la Resistenza del vicentino nord-occidentale. La brigata era formata da due battaglioni: lo “Stella”, operante nella Valle dell’Agno e lo “Apolloni”, operante principalmente nella Val Leogra e in parte sull’Altopiano di Asiago; con altri battaglioni in fase di creazione <181.
Dall’estate del 1944 cominciano le operazioni di rastrellamento da parte delle forze tedesche tra il Pasubio e la Val Posina. In località San Vito di Leguzzano, nella notte tra il 2 e il 3 giugno avvenne uno scontro tra i militi della GNR e il Battaglione “Ismene” guidato dal “Tar”, dove morì un partigiano e rimasero feriti due fascisti che vennero trasportati in ospedale a Schio; pochi giorni dopo, nella notte tra il 6 e il 7 alcuni partigiani entrarono nell’ospedale e giustiziarono i due fascisti. Il 22 giugno i tedeschi eseguirono una rappresaglia prelevando quattro persone da Vallortigara, portandole a S. Giustina di Ca’ Trenta dove vennero fucilate dopo essere state costrette a scavare le proprie fosse <182. Tra il 31 luglio e il 1° agosto avvenne uno scontro tra l’Ost-Bataillon 263 e il gruppo garibaldino guidato da Ferruccio Manea, detto “Tar” <183.
Nel contesto del “Piano Vicenza” il massiccio del Pasubio avrebbe dovuto costituire una “zona libera” e per questo, nell’estate del 1944, molti partigiani cominciarono a convergere nell’area e, contemporaneamente, i tedeschi affrettavano le opere per la costruzione della “Linea Blu” <184. A luglio la formazione partigiana guidata dal “Tar” giunse a Posina e si divise in due gruppi: il primo salì verso i Campiluzzi, un gruppo di malghe che sorgeva sul Pasubio; l’altro gruppo guidato dallo stesso “Tar” raggiunse il rifugio “Lancia” che venne sgomberato e occupato dai guerriglieri. Tra il 30 e il 31 luglio, mentre “Tar” si trovava presso il comando della formazione a valle, arrivò la notizia che le forze sul Pasubio avevano efficacemente respinto un attacco tedesco <185. Due settimane prima, il 15 luglio, la Scuola Allievi Ufficiali di Tonezza del Cimone veniva presa d’assalto da forze partigiane che vennero respinte grazie all’intervento di un reparto tedesco; a seguito dello scontro i guerriglieri riuscirono ad impossessarsi di molto equipaggiamento bellico presente nella struttura <186. I combattenti provenivano da Campolongo e la forza che attaccò la scuola era composta di circa 50 elementi ed il piano iniziale era di circondare il luogo e prendere di sorpresa ufficiali e cadetti per asportare più materiale possibile senza colpo ferire <187. Un partigiano venne catturato e il suo interrogatorio garantì preziose informazioni ai nazi-fascisti <188. Le azioni sul Pasubio e a Tonezza rappresentarono un duro colpo per le forze occupanti; le forze della “Garemi” a quel punto minacciavano seriamente le linee di rifornimento e comunicazione; inoltre, la ricollocazione prevista per il Comando tedesco a Recoaro Terme rendeva necessario ripulire l’intera “zona libera” del Pasubio dalla presenza dei partigiani. Questa situazione diede l’impulso fondamentale alla seguente Operazione “Belvedere” con lo scopo di garantire la sicurezza nelle retrovie nazi-fasciste.
All’inizio di agosto la “Garemi” si riorganizzò in un Gruppo Brigate e le sue forze vennero suddivise come segue: Brigata “Stella”, Brigata “Pasubiana”, Brigata “Val Leogra” e Brigata “Pino” per un totale di circa 400 effettivi <189.
L’Operazione “Belvedere” scattò il 12 agosto con un rastrellamento che non riuscì a raggruppare molti partigiani che, grazie alla conoscenza del territorio, riuscirono quasi sempre a sganciarsi dagli inseguitori. Lo scontro più rilevante e che più spesso rappresenta questa operazione avvenne in territorio trentino; un gruppo di partigiani venne circondato in località Malga Zonta presso Folgaria, in provincia di Trento, lì i tedeschi e i partigiani condussero una sparatoria di alcune ore che vide i primi avere la meglio. I sopravvissuti allo scontro vennero riuniti ad una quindicina di civili rastrellati il giorno stesso; la giornata si concluse con 14 partigiani e tre malgari, accusati di aver dato loro supporto, fucilati mentre dal lato tedesco si contarono tre morti e quattro feriti <190. Nonostante questa azione possa sembrare un successo per le forze tedesche in realtà la maggior parte dei partigiani che subirono l’attacco riuscì ad evitare le maglie del rastrellamento tedesco <191.
[NOTE]
171 De Grandis, E la piazza decise, p. 27.
172 Valente, Schio, la verità sull’8 settembre, p. 59.
173 De Grandis. E la piazza decise, p. 31.
174 Vangelista, Guerriglia a nord, p. 207.
175 Franzina, La provincia più agitata, p. 155.
176 Valente, Schio, la verità sull’8 settembre, p. 59.
177 Ivi, pp. 72-73.
178 Simini, Eccidi e stragi di militari, civili e partigiani nell’alto vicentino (1943-1945), pp. 9-10.
179 Testimonianza di Corrà Giovanni, Dalla Fontana Bortolo, Fabris Pietro, Finozzi Antonio, Gamba Francesco, Gemmo Livio, Leder Giobatta, Munarini Antonio, Rossi Cesare, Spillare Antonio e Vecelli Riccardo consegnata al Procuratore Generale presso la Corte d’Assise Straordinaria (27 giugno 1945), ASVI, CLNP, b. 15 bis fasc. b, sotto-fascicolo b3.
180 Questura di Vicenza, Ufficio Politico Militare, testimonianza di ex militari della RSI (13 giugno 1945), ASVI, CLNP, b. 10 fasc. 8.
181 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, pp, 127-128; Pirina, Guerra civile sulle montagne, vol. III, pp. 9-10.
182 Simini, Eccidi e stragi di militari, civili e partigiani nell’alto vicentino (1943-1945), pp.20-21.
183 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, p. 28.
184 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, p. 285.
185 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, pp. 295-297.
186 Brunetta, Veneto e Resistenza, p. 141.
187 Franzina, Vicenza di Salò, pp. 276-277.
188 Ivi, p. 270.
189 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, pp. 30-32; Vangelista, Guerriglia a nord, pp. 192-193.
190 Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno nel vicentino, pp. 34-35; Brunetta, Veneto e Resistenza, p. 155; Pirina, Guerra civile sulle montagne, vol. III, p. 35.
191 Galeotti, Brigata Pasubiana del Gruppo Formazioni A. Garemi, p. 311.

Matteo Ridolfi, La guerra civile nel vicentino nord-occidentale. Stragi ed eccidi dalla Val Chiampo alla Val d’Astico (1943-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

sabato 13 aprile 2024

Margaret Thatcher non è ancora emersa in seno al partito come una personalità decisiva per le sorti dei conservatori


Durante l’ultimo anno di mandato, il governo conservatore di Edward Heath si trova ad affrontare una serie di crisi il cui sovrapporsi contribuisce a diffondere nel Paese la sensazione che, per la prima volta nella storia, la GranBretagna si trovi allo sbando, senza una direzione precisa da seguire e senza quella sicurezza sociale ed economica che l’aveva contraddistinta fino a quel momento. Le difficoltà legate all’aumento dei prezzi e dell’inflazione, all’irrisolta crisi in Irlanda del nord, alla contestazione da parte dei sindacati dei minatori e ai conseguenti scioperi, problematiche che sembrano convergere e sovrapporsi nei primi mesi del 1974, culminano simbolicamente con i tagli dell’energia elettrica e con l’introduzione della settimana corta (la cosiddetta “three-day week”) in seguito all’aumento del prezzo del petrolio e all’embargo dei Paesi dell’OPAC, una crisi annunciata da mesi, che tuttavia rappresenta per l’opinione pubblica uno shock senza precedenti nel secondo dopoguerra <408.
Una situazione, questa, della quale il partito di governo mostra di essere consapevole, al punto che la campagna mediatica per le elezioni del 1974 si serve di uno slogan che rimane nel tempo a simboleggiare, da un lato, questa crisi istituzionale e, dall’altro, il braccio di ferro con i sindacati: “Who governs Britain”? <409 La risposta a questo interrogativo, che non appare allora affatto scontata, finisce per ritorcersi contro lo stesso Heath protagonista di quella che viene definita dai media e dagli osservatori una “backfiring campaign”.
Margaret Thatcher, a quel punto ancora in carica come ministro dell’Istruzione e della Scienza, non è ancora emersa in seno al partito come una personalità decisiva per le sorti dei conservatori. Dello stile d’azione e di governo determinato e poco incline al compromesso, che nel giro di qualche anno inizierà a essere indicato come “thatcherismo”, non si vedono i segni, se non andando a rintracciarli a posteriori. Thatcher è una figura rispettata nella scena politica e tuttavia ancora marginale, come dimostrano sia la sua esclusione dal gruppo dirigente che si era occupato di rappresentare nei media nazionali il volto del partito in vista delle elezioni del 1970, sia le interviste rilasciate durante gli anni di governo dei Tory (1970-1974), incentrate sulla sua vita personale piuttosto che sulle policy proposte nel campo dell’istruzione.
Da un verbale “segreto” destinato alla circolazione interna all’apparato amministrativo statunitense, che riporta la conversazione intercorsa durante un pranzo informale del giungo 1973 tra Thatcher e l’ambasciatore americano a Londra Walter Annenberg, si rileva quello che era in questa fase il giudizio pressoché unanime sull’unica donna del gabinetto di governo, in patria come all’estero. Se la solidità e la preparazione di Thatcher non vengono messi in discussione, si afferma nel report che il momento in cui si credeva che potesse un giorno diventare primo ministro della Gran Bretagna sembra tramontato e che, a quel punto, un simile scenario appare inverosimile. La performance di Thatcher al governo viene definita solida e rispettabile e, allo stesso tempo, non straordinaria (“unspectacular”), o non particolarmente sorprendente in termini positivi. Nel documento la si descrive come consapevole della moderata importanza del proprio ruolo e del fatto che, politicamente, il suo non è un ministero dalla gestione del quale possano derivare dei vantaggi per il futuro del partito. Se ne sottolinea certamente la tenacia e l’infaticabilità nel viaggiare per tutto il Paese per tenere comizi e incontri con l’elettorato e il supporto incondizionato al primo ministro Heath, a riprova del fatto, negato da Thatcher stessa nella propria autobiografia, che i rapporti tra i due non si erano ancora deteriorati in quel momento. La nota che precede il resoconto dettagliato dell’incontro e il giudizio di Thatcher sui singoli membri del governo, descrive la parlamentare come “quasi un archetipo” di una donna inquadrabile come leggermente a destra rispetto alla posizione del partito conservatore, le cui idee sono fortemente influenzate dal suo background culturale e dalla sua provenienza dalla middle-class. Thatcher viene ritenuta istruita, intelligente, “e persino sofisticata”, e le si attribuisce uno spiccato anti-intellettualismo, piuttosto diffuso al tempo tra i quadri del partito. Si raccomanda, infine, di leggere i giudizi che Thatcher fornisce sui propri colleghi <410 con “queste informazioni in mente”, ovvero tenendo conto della solidità politica della donna senza tuttavia attribuirle un’importanza eccessiva nel contesto degli equilibri del partito, sulle cui dinamiche ha a quel punto un’influenza piuttosto limitata <411.
Tra i commenti di Thatcher relativi a vari esponenti del gabinetto di governo, spicca quello relativo a Keith Joseph (1918-1994), tradizionalmente a destra rispetto alle posizioni del partito, monetarista convinto, critico del governo Heath in seguito all’U-turn e strenuo oppositore dell’interventismo statale nell’industria <412. Di quanto riportato su Joseph da Thatcher, che lo stima e ne condivide il pensiero politico, l’ambasciatore Annenberg annota: «She has tremendous admiration for Joseph and considers him brilliant, versatile, and full of further promises. She said he could handle any ministry and she was confident that he has been marked for higher responsibility» <413.
Sicuramente Thatcher pensava a Joseph come un probabile leader del partito o come primo ministro, in un periodo in cui ancora non attribuiva a se stessa la possibilità di ricoprire gli stessi incarichi, almeno da quanto si evince dalle interviste e dalle dichiarazioni pubbliche.
Per tutto il 1973 gran parte del 1974 Mrs. Thatcher è impegnata a sostenere la riforma della scuola e a presentare la posizione del partito sul futuro del sistema di istruzione britannico, attenendosi, se non con rare eccezioni, al proprio compito istituzionale, nell’esercizio del quale si dimostra, appunto, preparata e “instancabile”.
Durante i mesi in cui il gabinetto di governo conservatore discute la possibilità di andare alle urne prima della scadenza del mandato, una ipotesi nata dal crescente malcontento dell’opinione pubblica per la difficile fase di transizione attraversata dal Paese, Thatcher, che pure non si mostra critica verso il primo ministro, figura tra i membri dell’esecutivo che premono per una soluzione improntata alla determinazione, e dunque perché Heath consegni nelle mani degli elettori la soluzione alla crisi di legittimità che sembra caratterizzare il suo ultimo anno da primo ministro, mentre non appare apprezzare l’idea di un governo “nazionale” improntato al compromesso.
Il primo ministro uscente, consapevole della sfida che si presentava e del distacco dalla politica che il malcontento per l’operato del suo governo aveva favorito, aveva proposto, in caso di rielezione, un governo in cui alcuni dei ruoli chiave sarebbero stati affidati a personalità esterne al partito. La retorica conciliante del governo unitario non aveva incontrato il favore di una parte dell’esecutivo, che spingeva invece il primo ministro a non dissimulare la fine di quel consenso che per anni era stato il perno della vita politica britannica, ma, piuttosto, a esasperarla con una campagna dura e scevra di compromessi, considerata l’unico mezzo per opporsi una volta per tutte alle richieste avanzate dai sindacati dei minatori del carbone <414. Thatcher era tra questi <415.
Sebbene Heath sembrasse voler evitare una nuova competizione elettorale, con l’inizio dei nuovi scioperi dei minatori il 10 febbraio 1974 si era dovuto infine risolvere a fissare per il 28 febbraio una nuova chiamata alle urne che preoccupava i Labour tanto quanto i Tory <416. Se la campagna elettorale è accompagnata da un clima di incertezza e di esitazione, il manifesto conservatore sembra voler dare del partito un’immagine ben più assertiva, sin dal titolo: 'Firm action for a fair Britain (“Un’azione decisa per una Gran Bretagna giusta”)' <417.
[NOTE]
408 Nell’articolo di David McKie corrispondente politico di «The Guardian» del 31 dicembre 1973 (Tories “cooking the books”, p.1) si fa riferimento all’introduzione della settimana corta come a “una emergenza costruita a tavolino sulla base di una crisi energetica che non esiste” («Britain moves into three-day working today amid bitter allegations that the Government is merely staging an emergency exercise on the basis of a crisis which does not exist»). Il sospetto che si tratti di un espediente del governo per controllare i disordini sociali e per tagliare drasticamente le spese, partito dai rappresentanti dei sindacati, sembra essere confermato dallo scontro tra il ministro ombra dell’Industria e dei Trasporti Mr. Toy Benn e il primo ministro Heath («This suspicion, already voicd by some union leaders, lies behind the weekend clash between Mr. Tony Benn, Shadow Minister for Trade and Industry, and Mr. Heath. Mr. Benn challenged the Prime Minister to publish full information behind the Government’s decision at once»). Quest’ultimo era stato infatti invitato a rendere pubblici i dati sulla fornitura di energia elettrica, nonostante il presidente del consiglio (Lord President o the Council) avesse espressamente affermato che la three-day week era indispensabile perché le riserve energetiche potessero durare il tempo necessario a superare una crisi di cui non si intravvedeva la risoluzione. Alla richiesta di Mr. Benn Heath aveva risposto che la riserve di carbone ammontavano a 13 milioni di tonnellate alla data del 23 dicembre e andavano calando al ritmo di un milione di tonnellate a settimana, tre volte in più rispetto alla normalità. A questa dichiarazione, Mr. Benn, supportato dal leader dell’opposizione, il segretario del partito laburista Wilson, aveva ribattuto che l’introduzione della settimana corta avrebbe avuto effetti devastanti sul Paese, dai licenziamenti ai ritardi nei trasporti e che a subirne le conseguenze sarebbero stati soprattutto “gli anziani e i malati”. Nel bilancio tra le risorse che potevano essere investite per cedere alle richieste dei minatori e quelli dovuti al rallentamento della produttività, secondo l’opposizione, la seconda opzione era da ritenersi la più controproducente. A quest’accusa Heath aveva risposto che le misure restrittive erano state prese non per volontà personale del primo ministro ma in seguito alla decisione dei membri del governo di tentare di suddividere le scorte rimaste in moto tale che potessero durare fino alla fine della stagione invernale. Infine, in seguito alle supposizioni secondo le quali la settimana corta sarebbe rimasta in vigore per almeno sei settimane, Heath aveva annunciato che se era troppo presto per fare previsioni, sicuramente la disposizione sarebbe rimasta valida fino a quando i sindacati dei minatori non avessero interrotto gli scioperi e ripreso un normale ritmo lavorativo («Reports that the Government was already expecting the three-day week to run for at least six weeks were discounted in Whitehall yesterday as it was far too early to make such an assesment. In his reply to Mr. Benn, Mr. Heath said the three-day week would have to last until normal working was resumed by the miners and adequate supplies were available at power stations»). Il tono cospiratorio e le accuse al governo di aver inscenato una crisi petrolifera per “risistemare” i libri contabili avevano contribuito alla percezione della situazione da parte dell’opinione pubblica come non drammatica e non imminente. In realtà già diversi mesi prima una serie di articoli, anche dello stessa testata, avevano esposto nel dettaglio sia le conseguenze della guerra dello Yom Kippur sia gli effetti della decisione dell’Arabia Saudita di non riconoscere più la sterlina come settlement currency sul tasso di svalutazione del pound (Si veda, per esempio, Peter Hillmore, Crisis in oil draws closer, in «The Guardian», 24 ottobre 1973, p.1). Anche nell’ambito della produzione culturale la crisi petrolifera assume un ruolo preponderante, fornendo il pretesto per la rappresentazione della disillusione dei cittadini e per la descrizione di scenari foschi per il Paese, come dimostra in quegli anni il cinema mainstream, a partire dal film della serie su James Bond The Man with the Golden Gun del 1974. Se da un lato il nucleare veniva presentato come l’alternativa “pulita” al petrolio e al carbone, dall’altro si affermava un sentimento collettivo di consapevolezza dei danni legati all’inquinamento provocati dalle industrie (Black, J., Britain since the Seventies. Politics and Society in the Consumer Age, Reaktion Books, Londra, 2004, p. 78).
409 Sull’interpretazione dei fatti principali del 1974, con le sue due elezioni, la mancanza di una maggioranza, lo spostamento del voto dai due partiti tradizionali e come punto di rottura della storica stabilità britannica si veda il volume (che prende il nome dallo slogano usato da Heath, Who governs Britain?, Pelican, Londra, 2015) dedicato dallo storico Anthony King al periodo in questione.
410 Tra gli MP sui queli Thatcher si esprime ci sono John Gummer, Geoffrey Howe, Lord Windelsham, Peter Walker, Keith Joseph e Reginald Maudling e John Biffen.
411 Si legge nel report: «The only woman in the cabinet, Mrs. Thatcher’s performance has been solid, respectable and unspectacular. She has not sought to introduce radical remedies to deal with Britain’s problems in education and science. Believing strongly that educational policy is not an issue on which her party could expect to gain political advantage, she has concentrated, with remarkable self-confidence, on making sure it does not become a disadvantage. She is a strong supporter of Heath and undoubtedly is a very real political asset to the Government. She is one of the workhorses of the Government and is constantly touring the country defending its policy». E ancora: «Once touted as a potential first woman Prime Minister, it is most doubtful that she could, or does, realistically expect to lead her party. But she carries weight within Tory Party councils and can be expected to continue to play an influential role. Mrs. Thatcher is an almost archetypal, slightly to the right-of-centre Tory whose views are strongly influenced by her own middle-class background and experience. A well-educated, intelligent and even sophisticated woman herself, Mrs. Thatcher shares with others in her party a certain anti-intellectual bias. Her views on her party colleagues are interesting but should be read with the above in mind». Il documento, desegretato nel 1998, e intitolato Margaret Thatcher’s Views on Politics and Tory Personalities, è conservato presso l’archivio del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (US National Archives II, State Department Files, RG59, Central File 1970-3, Box 2652).
412 Keith Joseph (1918-1994), avvocato e politico conservatore. Ricopre diversi ruoli minori nel governo di Macmillan. In seguito al rimpasto di governo seguito alla “notte dei lunghi coltelli” nel 1962 diventa Minister of Housing and Board of Trade; portavoce dei ministeri ombra dei Servici Sociali e in seguito del Lavoro durante l’era Heath. Dopo la vittoria del 1970 diventa segretario di Stato per i Servizi Sociali. Personaggio centrale nella conferenza di Selsdon, fortemente influenzata dal suo approccio, rimangono alla storia i suoi due discorsi pronunciati a cavallo tra le elezioni del febbraio 1974 e quelle di ottobre dello stesso anno (Upminster Speech e Preston Speech, dei quali si parlerà più avanti in questo capitolo). Proprio nel corso di questi discorsi annuncia la fondazione, insieme a Margaret Thatcher, del Centre for Policy Studies.
413 «Nutre una incredibile ammirazione per Joseph, che considera brillante, versatile e pieno di sorprese per il futuro. [Thatcher] ha affermato che lui potrebbe gestire qualunque ministero e si è detta sicura che sia destinato a incarichi più alti» (Ibid.).
14 La nuova fase di tensione con i lavoratori dell’industria mineraria del carbone era stata scatenata dal disaccordo sullo Stage 3 del negoziato sui salari, con i sindacati che avevano rifiutato un ulteriore incremento del 13 per cento proposto dal National Coal Board e che suggerivano di trattare il caso dei minatori come un caso speciale, al fine di evitare che il governo subisse un numero ingestibile di richieste dello stesso tipo da altre union se i minatori avessero avuto la meglio. In questo senso, una vittoria schiacciante dei conservatori alle elezioni del 1974 avrebbe rappresentato per Heath e per i Tory la parola definitiva nella disputa con le Union.
415 Nella sua unica apparizione in un programma nazionale durante la campagna elettorale, l’Election Call della BBC, Thatcher inizia a manifestare i propri dubbi in merito a un governo di unità nazionale, sostenendo che non necessariamente riunire le migliori menti del Paese avrebbe garantito che queste si sarebbero trovate d’accordo sulle strategie di governo («I think it’s a false assumption that if you get a government of all the best brains, the best brains will agree what to do»). In un’intervista rilasciata pochi giorni dopo al «Daily Express», Thatcher si riferisce alla propria crescente insofferenza e al proprio carattere combattivo, seppur nascosto dietro un “rivestimento di zucchero” con l’espressione «there’s a bit of though steel that’s me» (l’intervista è disponibile presso l’archivio della fondazione Thatcher esclusivamente su supporto audiovisivo - Inteview for Daily Express, “Under all that sugar - a bit of thoughsteel”, 20 febbraio 1974. La trascrizione è citata in Moore, C., Not for Turning, cit., p. 247).
416 Child, D., Britain since 1945, cit., p. 239. Sulle ragioni che convincono Heath della necessità di andare a elezioni anticipate e sul ruolo ricoperto dalle dispute sindacali e dall’aumento del prezzo del petrolio si veda: Ian Aitken, Oil price, not miners, “made Heath call election”, in «The Guardian», 19 febbraio 1979, p. 2.
417 Il manifesto è conservato al Staffondshire and Stock-on-Trent Archive Service, William Salt Library (135/95).
Eva Garau, Margaret Thatcher. Formazione e ascesa di un leader, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno accademico 2014-2015

martedì 9 aprile 2024

Fra i comunisti serpeggia una grande delusione per la sortita elettorale del cardinale


Nonostante lo stallo sul piano nazionale, le comunali del 20 giugno 1976 chiudono, con il successo di Roma, il percorso iniziato nell’anno precedente, offrendo un banco di prova di portata internazionale per dispiegare la strategia del buon governo. Lietta Tornabuoni fotografa sul «Corriere della Sera» il cambiamento politico all’indomani delle elezioni nella capitale:
"Tante storie per tanti decenni, per lustri: Roma città papalina, Roma città fascista, Roma del cattolicesimo più scettico e torvo, Roma cinica e ottusa ad ogni progresso, Roma città-mercato mediorientale» (Moravia) oppure «gran madre cialtrona» (Fellini), Roma cuore della piccola borghesia parassitaria e clientelare, Roma degli impiegati sempre fuori stanza, Roma capoccia della corruzione nazionale e del disavanzo in bilancio, Roma che fa la stupida stasera… Poi, dalle elezioni, questa repentina nuova faccia: Roma rossa, con il partito comunista che è il primo, il più votato. Più forte, con il suo 35,4 per cento delle comunali, persino della democrazia cristiana, che con tutti gli Andreotti e i cardinal Poletti arriva soltanto al 33,8 per cento" <78.
La «serenata in Campidoglio» ritratta dalla giornalista pisana testimonia la varietà delle rappresentazioni di Roma, a metà fra politica e cultura. Le fratture che attraversano il mondo cattolico, il discorso del Pci sulla città e la dialettica fra le culture politiche realizzano nella realtà capitolina una sintesi proficua. La stagione delle amministrazioni a guida comunista spezza l’era dei “sette sindaci” democristiani <79, portando al massimo dell’evidenza lo stretto intreccio fra vicenda nazionale e ricadute locali. D’altra parte, se la formazione di una compagine di governo comunista in altri capoluoghi è già di per sé una notizia, a Roma, capitale del paese e centro del cattolicesimo, assume «una portata politica e simbolica ben maggiore» <80. La cesura è netta e inaugura una stagione destinata a condensarsi in un repertorio di azioni ed immagini a disposizione di precisi utilizzi politici per le successive amministrazioni, anche di diverso orientamento politico.
Su un piano sociale, le questioni giovanile e femminile che prima e dopo il 15 giugno democratizzano il senso comune di un’Italia avviata alla modernizzazione si accompagnano alle fratture intervenute a rendere più eterogeneo e plurale il mondo cattolico della fase postconciliare <81. Qui come altrove è il sessantotto a marcare la discontinuità. L’esplodere di una costellazione di istanze accomunate da una messa in discussione radicale delle gerarchie esistenti stimola una crescente insofferenza verso il dogmatismo della Chiesa, che in molte sue espressioni stenta ancora a tradurre nei fatti la svolta postconciliare <82. L’impossibilità di contenere quella irrequietezza origina il processo in grado di risvegliare, nel medio periodo, il lascito del Concilio Vaticano II dal suo immobilismo, rendendolo operante «attraverso una riscoperta stimolata dalle lotte del movimento operaio e delle sue istanze di rinnovamento» <83. Le pratiche dei cattolici “del dissenso”, spesso vissute «più sul piano della prassi, che su quello culturale» <84, vivono quindi tra il 1968 al 1977 il loro momento di maggiore intensità, «strettamente legate alle loro valenze sociali e politiche» <85.
Il confronto informale fra cattolici e comunisti riprende vigore e partorisce formule originali come il movimento dei «Cristiani per il socialismo» <86. L’attivismo politico nelle città si arricchisce delle «Comunità ecclesiali di base» <87, portatrici della «polemica più dura con la gerarchia» <88, che affiancano altri e vari gruppi cattolici di animazione sociale. Si attivano rappresentazioni alternative in periodici come «Il Foglio», «Il Tetto», «Com» e «Nuovi Tempi», nelle cui scelte editoriali iniziano a farsi largo anche i principi della teologia della liberazione <89.
I rivolgimenti nel mondo cattolico, al netto dei problemi ecclesiologici e di dottrina, hanno due ricadute principali sul piano politico-sociale. La «perdita di validità» <90 delle direttive pastorali, proposte in «una sempre meno praticabile linea autoritaria e indicate con proposizioni assiomatiche» <91, è la prima e si palesa nell’atteggiamento in occasione del referendum sul divorzio. La galassia dei “cattolici del no” svela il sostanziale fallimento delle gerarchie ecclesiali di orientare in maniera organizzata le indicazioni di voto. Viene meno, in questo modo, l’idea che i vescovi ricevano anche la prerogativa di impartire indicazioni corrette nei campi più disparati dell’agire sociale. La seconda ricaduta si esprime in una posizione fortemente critica nei confronti della Democrazia cristiana, accusata di non aver avviato un ripensamento della cristianità in grado di fornire risposte efficaci. Nel tentativo di colmare questa lacuna due gruppi elaborano delle risposte antitetiche. Da destra, Comunione e Liberazione, che elegge anche quattro deputati alla camera <92, propugna la necessità per i cattolici di incidere nell’organizzazione sociale, marcando però «la loro diversità piuttosto che la loro integrazione» <93. Da sinistra, la Lega democratica <94 evidenzia il bisogno di individuare «un blocco sociale capace di esprimere un’ipotesi politica di sinistra non marxista» <95, formando un gruppo dirigente destinato ad un grande protagonismo nella vita politica italiana.
La questione delle spinte riformiste all’interno del cattolicesimo italiano si declina nel contesto romano attraverso il celebre convegno su "Le attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma e la responsabilità dei cristiani", promosso dal Vicariato con lo scopo di consentire un incontro fra i vari gruppi operanti nel disgregato tessuto cittadino. La convinzione diffusa in una parte del mondo cattolico dalla fine degli anni sessanta, secondo cui il Concilio Vaticano II sarebbe stato «svuotato della propria potenzialità riformatrice e che dunque si debba ripartire dallo “spirito” conciliare per ritrovarne la forza» <96, rimette al centro il momento assembleare come occasione di confronto e testimonianza.
Il «banco di prova della credibilità della Chiesa» <97, cui aderiscono i principali soggetti sul territorio <98, alterna autocritiche a testimonianze in presa diretta dal mondo delle periferie e delle borgate:
"Il parroco di Acilia che racconta come nel sobborgo romano famiglie di immigrati vivano ancora in case di paglia, mentre a un tiro di schioppo sorgono palazzi con i fitti alle stelle. Il giovane della borgata Tre Teste che ironizza amaramente sui fuochi delle prostitute, unica indicazione luminosa in tutto il quartiere che permetta agli abitanti di ritrovare la via di casa. Don Mario Picchi, animatore di un centro di assistenza ai drogati, che invoca la dissociazione del potere politico, da quello economico delle case farmaceutiche produttrici di psicofarmaci. Il giovane rappresentante di alcune comunità di base, che manifesta la sua soddisfazione nel vedere recepite dalla Chiesa istituzionale molte delle istanze avanzate da Don Lutte, da Don Franzoni, dai tredici preti dei baraccati" <99.
L’assemblea riconosce l’essitenza di peccati sociali che alimentano l’ingiustizia nella città e ha come esito la firma di un documento che vede i religiosi impegnarsi a «volgere verso un’utilizzazione sociale le proprietà» <100
A precedere un momento collettivo «impensabile in una tradizione ecclesiastica che non aveva mai visto un intervento siffatto da parte dei Vicari» <101, erano state le sferzate di Ugo Poletti contro la Dc locale, irritando una Segreteria di Stato che giudica la posizione del porporato troppo dura in vista della imminente campagna referendaria. Lo stesso Poletti sarebbe però intervenuto pesantemente sul dibattito elettorale, sottolineando la necessità della scelta fra «la città di Dio, che è la Chiesa, e la città senza Dio, che nel materialismo marxista coinvolge la sorte di molti fedeli» <102. Non si deve quindi sopravvalutare l’afflato riformatore del cardinale, più interessato a creare un rapporto di prossimità con l’associazionismo per «evitare che la contestazione e le sinistre esercitassero un'egemonia su questi ambienti» <103.
Fra i comunisti serpeggia una grande delusione per la sortita elettorale del cardinale, che stupisce nella ripresa di un anticomunismo di maniera, racchiuso nell’accusa di voler «sostituire alla cattedra di Pietro la cattedra di Petroselli», per l’occasione assurto a modello di «una nuova edizione dell’anticristo»:
Che vuole il cardinale vicario, davvero? Rivendica egli forse una sorta di extraterritorialità politica e ideale della città di Roma? Vuole farsi promotore di una nuova «questione romana»? Egli, che pure sembrava avere scoperto, in una sua ansia pastorale, una reale «seconda questione romana» nel modo insopportabile in cui tanta parte della popolazione della capitale era ed è costretta a vivere, ha rinunciato a quella per proporre la messa al bando di più di un terzo della popolazione della diocesi che egli amministra in nome del suo sovrano? <104.
Nonostante le posizioni ultraconservatrici del Vaticano, la vitalità di una parte del mondo cattolico desideroso di ascolto orienta verso il Pci i desideri di giustizia sociale che quest’ultimo sembra in quel momento poter rappresentare meglio degli altri partiti. I voti cattolici sono decisivi alla vittoria del Pci a Roma e alla formazione della prima giunta rossa guidata da Giulio Carlo Argan.
[NOTE]
78 L. Tornabuoni, Serenata al Campidoglio, in «Corriere della Sera», 26 giungo 1976.
79 Nella storiografia su Roma moderna e contemporanea si segnalano: L. Benevolo, Roma oggi, Laterza, Roma-Bari, 1977; V. Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2006; I. Insolera, Roma moderna. Da Napoleone al XXI secolo, Torino, Einaudi, 2011; Una ricostruzione della storia amministrativa della capitale è offerta negli agili volumetti di A. Caracciolo, I sindaci di Roma, Roma, Donzelli, 1993 e G. Pagnotta, Sindaci a Roma. Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi, Roma, Donzelli, 2006.
80 G. Pagnotta, Sindaci a Roma, cit., p. 77.
81 Alberto Melloni propone la seguente periodizzazione, scandita da alcune tappe decisive: «la svolta pessimista nel pontificato montiniano (1972), il referendum sul divorzio (1973), la crisi politico disciplinare innescata da quell’evento che porta alla sospensione di don Franzoni e alla scomunica di Lefebvre (1976), la posizione vaticana nel caso Moro, i due conclavi (1978)». A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica. La complessità nella ricezione del Concilio, in F. Lussana, G. Marramao (a cura di), L’italia repubblicana nella crisi degli anni settanta. Vol. 2, Culture nuovi soggetti e identità, p. 207.
82 Nel mare magnum della letteratura sul mondo cattolico in Italia, partendo dalle pubblicazioni coeve, si rimanda a L. Bedeschi, Cattolici e comunisti, Milano, Feltrinelli, 1974; S. Ristuccia (a cura di), Intellettuali cattolici tra riformismo e dissenso, Milano, Edizioni di Comunità, 1975; AA.VV., Cultura cattolica e egemonia operaia, Roma, Coines, 1976; AA.VV., I cristiani nella sinistra dalla Resistenza a oggi, Roma, Coines, 1976; G. Martina, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Roma, Studium, 1977; P. Scoppola, La “nuova cristianità” perduta, Roma, Studium, 1985; M. Impagliazzo, Il dissenso cattolico e le minoranze religiose, in F. Lussana, G. Maramao (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, Vol. 2, cit., pp. 231-251; D. Saresella, Il “dissenso” cattolico, in M. Impagliazzo (a cura di), La nazione cattolica. Chiesa e società in Italia dal 1958 a oggi, Milano, Guerini e Associati, 2004; Per una sintesi: A. Santagata, Una rassegna storiografica sul dissenso cattolico in Italia, in «Cristianesimo nella storia», XXXI, 2010, pp. 207-241.
83 G. Gualerni, Dall’autunno caldo alla fine del regime: i cattolici a una svolta, in Id., (a cura di), I cattolici degli anni ’70, Milano, Mazzotta, 1977, p. 53.
84 Ibidem.
85 M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia, Milano, Rizzoli, 1983, p. 20.
86 Cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana e il dialogo coi comunisti, Parma, Guanda, 1966; M. Papini, Tra storia e profezia. La lezione dei cattolici comunisti, Roma, Euroma, 1987; P. Ingrao, Le cose impossibili, Roma, Editori Riuniti, 1990, pp. 167-185; N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, in F. Lussana, G. Maramao (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana. vol. II., cit., pp. 92-111.
87 Sull’arcipelago delle comunità di base si rimanda a, R. Sciubba, R. Sciubba Pace, Le comunità di base in Italia, Roma, Coines, 1976; Aa.Vv., Esperienze di base, luoghi di creatività evangelica, Roma 1977; P. Doni, I ministeri nell’esperienza delle CdB in Italia, in L. Sartori (a cura di), I ministeri ecclesiali oggi: problemi e prospettive, Roma, Borla, 1977, pp. 207-229; Rafael J. Kleiner, Gruppi di base nella Chiesa italiana: obiettivi e metodi di lavoro, Assisi, Cittadella, 1978; F. Perrenchio, Bibbia e comunità di base in Italia, Roma, LAS, 1980; AA. VV., Massa e Meriba: itinerari di fede nella storia delle comunità di base, Torino, Claudiana, 1980.
88 M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia, cit., p. 21.
89 A. Monasta, Il dissenso cattolico nell’esperienza di quattro riviste: “Momento”, “Note di cultura”, “Note e rassegne”, “Il tetto”, in S. Ristuccia, Intellettuali cattolici tra riformismo e dissenso, cit., pp. 317-368; A. Nesti, I giornali dei gruppi ecclesiali e dell’altra Chiesa, in Ivi, cit., pp. 387-420.
90 G. Gualerni (a cura di), I cattolici degli ianni ’70, cit., p. 58.
91 Ibidem.
92 G. Pansa, Il crociato marcia su Roma, in «Corriere della Sera», 11 luglio 1976.
93 V. Onida, La crisi di identità politica dei cattolici italiani: le risposte di Comunione e liberazione e della Lega democratica, in G. Gualerni, I cattolici degli anni ’70, cit., p. 98; In un’ampia letteratura critica coeva si rimanda a S. Bianchi (a cura di), Gli estremisti di centro. Il neo-integralismo cattolico degli anni '70: Comunione e Liberazione, Firenze, Guaraldi, 1975; G. Guizzardi et al., Religione e politica: Il caso italiano, Roma, Coines, 1976; G. Cianflone, L'ultima crociata: Comunione e Liberazione, Messina-Firenze, D'Anna, 1978; F. Ottaviano, Gli estremisti bianchi, Roma, Data News, 1986.
94 Sulla Lega democratica e il suo impatto nella vita politica italiana si legga L. Biondi, La Lega democratica. Dalla Democrazia cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica, Roma, Viella, 2013.
95 V. Onida, La crisi di identità politica dei cattolici italiani: le risposte di Comunione e liberazione e della Lega democratica cit., p. 113.
96 A. Melloni, Gli anni Settanta della Chiesa cattolica , cit., pp. 223-224.
97 F. De Santis, Autocritica dei cristiani sul «sacco» della capitale, in «Corriere della Sera», 13 febbraio 1976.
98 Dai partiti (Dc, Pci) alle associazioni ambientaliste (Italia Nostra), ai Cristiani per il Socialismo e ai gruppi di Don Franzoni, i “preti dei baraccati”.
99 F. De Santis, I preti dei baraccati contro i mali di Roma, cit.
100 Id., «Mea culpa» di 150 religiosi per i peccati commessi contro Roma, in «Corriere della Sera», 15 febbraio 1974.
101 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sul movimento “Febbraio '74”, Protocollo n. 1840, XVII Legislatura, p. 4.
102 M. Gozzini, I Cattolici e la sinistra: dibattito aperto, Assisi, Cittadella Editrice, 1977; S. Magister, La politica vaticana e l’Italia (1943-1978), Roma, Editori Riuniti, 1979; G. Cantoni, Risveglio anticomunista in difesa della fede e dell’Italia, in «Cristianità», XIV, 1975.
103 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sul movimento “Febbraio '74”, Protocollo n. 1840, XVII Legislatura, p. 4
104 Extraterritoriale tutta Roma?, in «Rinascita», XLII, 1975, p. 14.
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la “stagione dell’effimero” (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2019-2020

lunedì 1 aprile 2024

Il successo dei comandanti tedeschi di conservare pressoché intatte le loro forze sarebbe stata pagata cara dagli anglo-americani


Nella primavera del 1944 gli Alleati si trovavano ancora bloccati dalla serie di linee difensive create dai tedeschi a circa 100 km a sud di Roma, la principale delle quali era la ben nota Gustav. Dopo il cocente fallimento dello sbarco ad Anzio (operazione Shingle) del gennaio precedente, le prospettive per gli anglo-americani erano però in costante miglioramento, anche grazie al sopraggiungere della bella stagione. L’11 maggio, la 5ᵃ Armata americana al comando del generale Mark Clark e l’8ᵃ britannica agli ordini del generale Oliver Leese, scatenarono Diadem, una complessa operazione in gestazione da mesi, ma continuamente rinviata a causa del maltempo. Finalmente, dopo una settimana di combattimenti, la linea Gustav iniziò chiaramente a cedere all’offensiva alleata e le due armate tedesche - la 10ᵃ e 14ᵃ - iniziarono il ripiegamento sulla serie di linee difensive successive, ma meno munite della poderosa Gustav <681. Queste linee - denominate Hitler e Caesar - vennero a loro volta rapidamente sfondate e il 5 giugno 1944 unità della 5ᵃ Armata di Clark, che operava sul fronte tirrenico, presero il trofeo più ambito di tutta l’operazione: la città di Roma <682. La preziosa conquista, ancorché soprattutto dal punto di vista simbolico, venne oscurata il giorno successivo dalla notizia degli sbarchi alleati in Normandia, ma soprattutto era venuto meno l’obiettivo ben più importante concernente la distruzione della 10ᵃ Armata tedesca in ritirata. Il successo dei comandanti tedeschi di conservare pressoché intatte le loro forze sarebbe stata pagata cara dagli anglo-americani.
L’estate del 1944 fu una stagione di grandi speranze e di cocenti fallimenti per gli Alleati, mentre per la popolazione italiana si trattò di un periodo in cui il terrore e la morte erano all’ordine del giorno e provenivano da ogni direzione; dal cielo sotto forma degli aerei anglo-americani e dai tedeschi per mezzo di furti, distruzioni ed esecuzioni sommarie. L’avanza alleata fu infatti metodica e la ritirata tedesca non si trasformò mai veramente in una rotta, cosa che permise alle unità germaniche di fare il buono e il cattivo tempo nei territori che sapevano di dover presto abbandonare.
Dopo la presa di Roma, mentre le forze aeree martellavano le truppe della 10ᵃ e 14ᵃ Armata, con sanguinose conseguenze anche nei confronti della popolazione civile italiana, lo sfondamento della linea del Trasimeno il 21 giugno permise alle forze alleate di penetrare in Toscana e raggiungere il fiume Arno alla metà di luglio. Qui, dopo ulteriori combattimenti che permisero la presa di parte della città di Pisa e di Firenze ai primi di agosto, il fronte si stabilizzò per circa un mese <683.
 

L’avanzata alleata dalla linea del Trasimeno fino al fiume Arno. Mappa tratta dal volume Cassino to the Alps (carta IX). Qui ripresa da Jonathan Pieri, Op. cit. infra

2. Sulla linea dell’Arno
La linea del fiume Arno era quella che originariamente, passando per i Monti Pisani, il feldmaresciallo Kesselring intendeva tenere per almeno tutto l’inverno 1944-1945. Per vari motivi però il comandante tedesco decise di arretrare la linea Gotica di diversi chilometri verso nord, abbandonando completamente la piana della Versilia meridionale e quasi tutta la Lucchesia. Kesselring si era reso conto che le fortificazioni della originale linea difensiva erano troppo esposte sul lato tirrenico e probabilmente, ancora una volta, sulla sua decisione dovette ancora una volta pesare il timore di un possibile sbarco anfibio alle spalle delle forze tedesche. Le piatte ed estese spiagge della zona di Viareggio potevano essere un punto molto favorevole per un attacco e, pur essendo state munite di fortificazioni ed ostacoli, il feldmaresciallo non volle rischiare, abbandonando la città balneare nelle mani degli anglo-americani attestandosi più a nord <684. La decisione fu di importanza cruciale per le sorti delle popolazioni della Bassa Versilia e della piana di Lucca, perché evitò il previsto sfollamento generale dell’area e ulteriori mesi di occupazione tedesca. Questo però non significava che la linea dell’Arno diventasse totalmente inutile, perché più a lungo i tedeschi fossero riusciti a tenerla, più tempo avrebbero avuto per approntare le fortificazioni della linea Gotica.
Quando la 5ᵃ Armata del generale Clark giunse sul fiume, molte delle sue unità erano esauste. Il IV Corpo d’Armata del generale Willis D. Crittenberger in particolare, che si trovava all’estrema sinistra del fronte, aveva assoluta necessità di una pausa, con la quale si poteva anche effettuare una riorganizzazione delle forze. La 1ᵃ Divisione Corazzata venne finalmente organizzata secondo le nuove tabelle di ordinamento emanate l’anno precedente, mentre nello stesso periodo stavano entrando in linea nuove formazioni quali la 92ᵃ Divisione di Fanteria «Buffalo» americana e le prime unità della Força Expedicionária Brasileira (FEB) <685. Il 24 luglio, per rilevare la 34ᵃ e la 91ᵃ Divisione di fanteria, il generale Crittenberger e il suo superiore, generale Clark, decisero di formare un’unità mista a partire dalla 45ᵃ Brigata antiaerea, la quale assunse la denominazione di Task Force 45 (TF 45)686. Tale unità, che sarebbe stata molto importante per la storia della liberazione della Versilia meridionale, iniziò ad entrare in linea nella notte tra il 26 e il 27 luglio 1944 sull’estremo fianco sinistro dello schieramento del IV Corpo d’Armata, per una lunghezza di fronte complessiva di circa 25 chilometri <687. In quel momento, dalla parte opposta dello schieramento si trovavano alcune formazioni appartenenti alla «Reichsführer SS» <688.
[NOTE]
681 Cfr. W. G. F. Jackson, La battaglia di Roma, Baldini & Castoldi, Milano 1970, capitolo 7.
682 È ancora accesa la diatriba riguardante la decisione di Mark Clark di puntare su Roma anziché procedere con il piano originale deciso dal generale Alexander. Questo prevedeva che la testa di sbarco ad Anzio effettuasse al momento opportuno una sortita volta a sbarrare la strada alla 10ᵃ Armata tedesca in ritirata dal fronte di Cassino, permettendone l’annientamento. A questo proposito si vedano le interessanti conclusioni a cui giunge Peter Caddick-Adams nel suo L’inferno di Montecassino. La battaglia decisive della campagna d’Italia, Mondadori, Milano 2014.
683 Cfr. Ernest F. Fisher, Jr., Cassino to the Alps, Center of Military History, Washington D.C., 1993, capitoli da 13 a 15.
684 Cipollini, Il piano di sfollamento totale della provincia di Lucca, cit., pp. 152-153
685 Fisher, Cassino to the Alps, cit., p. 286-287.
686 Queste informazioni sono tratte da un rapporto dattiloscritto inerente la storia della Task Force 45. Il documento, dal titolo History of Task Force 45 (29 July 44 to 28 January 45), fa parte dei World War II Operational Documents ed è disponibile sul sito della Combined Arms Research Library (CARL).
687 Ivi, p. 1.
688 Ivi, p. 7.
Jonathan Pieri, Massarosa in guerra (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014