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venerdì 28 aprile 2023

Debord non ha mai ammesso di aver letto Gunther Anders


Alcuni anni fa Jean-Pierre Voyer denunciò il concetto di spettacolo se non come parola vuota almeno come problematica, dato che Guy Debord, secondo lui, ne tratteggiava un corrispettivo pretenzioso quanto confusionario. Si deve dire che Voyer, il mancato fondatore della Terza Internazionale Situazionista, non proponeva un’obiezione priva di senso. Lo spettacolo debordiano possiede un ricco alone di senso più che un significato preciso. Se si vuole ad ogni costo trovare un significato univoco dello spettacolo, quanto meno nei film del teorico francese, per l’analogia offerta dalle immagini, esso si rispecchia nella pubblicità. Ma il concetto di spettacolo pretende di essere qualcosa di più di una conseguenza della diffusione universale della propaganda commerciale. Voyer contesta tenacemente, con una pervicacia degna di miglior causa, proprio la fumisteria di cui esso si ammanta.
A Voyer, non pago dei risultati ottenuti fino a quel momento, ad un certo punto, fu offerto un nuovo e intrigante pretesto che egli volle promuovere come il peccato originale e il segreto misfatto di Debord, e cioè l’avere concepito il suo confusionario spettacolo prendendo spunto dalla lettura, occultata a tutti, di “L’uomo è antiquato” (Die Antiquiertheit des Menschen) di Gunther Anders. Ripeto: il concetto di spettacolo non era più il risultato del suo ingegno ma un furto celato accuratamente ai danni dell’altro Gunther (Gunther Anders è uno pseudonimo) che nel libro parla effettivamente della televisione e dell’alienazione che procura. Anders (cioè Stern) pubblica l’opera nel 1956. La società dello spettacolo invece è del 1967. Debord non ha mai ammesso di aver letto Gunther Anders.
Il caso nacque così: un amico di Debord, Baudet, togliendo dall’oblio il libro di Anders, gli riferisce le sue favorevoli impressioni di lettura e proprio sulla famigerata primazia dello “spettacolo” andersiano, forse ingenuamente, e Debord, supponendo intenzioni colpevoli, leso nel suo prestigio, si sdegna immediatamente. Per Voyer, che non aspettava altro, era l’occasione ideale proprio per colpire il primato e l’autorità di Debord.
Quella polemica fece nascere un tardivo interesse per il testo di Anders e alimentò un breve dibattito sull’origine del concetto di spettacolo e sulle influenze palesi e segretate di Debord.
Ovviamente un dibattito sterile, come accade talvolta con quelli postumi. D’altronde le influenze debordiane sono palesi ed esplicitate, incorniciando dal 1967 i capitoli del suo libro.
Avevo dimenticato per fortuna quelle vecchie beghe, quando poco tempo fa ho trovato, in uno di quei luoghi detti di bookcrossing, uno sgualcito libretto di Sheckley, lo scrittore di fantascienza. Mi ricordavo di averlo letto cinquanta anni fa. Un’edizione ammuffita del 1996 per le lettrici di “Amica” è quella che ora ho per le mani.
Il racconto che offre il nome alla raccolta ha una storia curiosa. Il titolo originale del 1953 era “La settima vittima” (Seventh Victim). Il film di Petri del 1965 con Mastroianni e la Andress, tratto dall’opera, era intitolato “La decima vittima”. Sheckley in quell’anno, in seguito all’uscita del film, ne fece una trasposizione romanzata con titolo “The Tenth Victim” a cui seguirono altri due romanzi a comporre la trilogia della vittima. In definitiva questo racconto in italiano ebbe tre titoli: La vittima n. 7, La settima vittima e La decima vittima.
Ritornando al mio libretto, il racconto della vittima ha delle affinità con un altro, quello che apre la raccolta: “Il premio del pericolo” (The Prize of Peril) del 1958. Nelle sue varie edizioni ha collezionato anch’esso tre titoli in italiano: Sprezzo del pericolo, Il prezzo del pericolo e Il premio del pericolo.
Ne parlo perché ha richiamato alla mia mente la polemica di cui sopra. Il protagonista partecipa a vari programmi televisivi sempre più rischiosi mettendo in gioco la propria vita. Pare che il pubblico li apprezzi particolarmente; “il più grande spettacolo del brivido” è quello del titolo. Insomma un reality al quale il pubblico partecipa attivamente, comunicando con i cacciatori o con la preda. Il protagonista, Jim Raeder, è la preda. Credo che la storia sia piuttosto nota. Se la leggiamo come una metafora generale dello spettacolo è sicuramente pessimista, ma quello che importa è notare che Sheckley già nel 1958 avesse compreso che lo spettacolo (letale) non era soltanto contemplazione e passività, ma anche partecipazione attiva. Una certezza, quella che lo spettacolo voglia essere amato, che voglia sedurre mentre ti ammazza, pone Sheckley (e credo anche altri scrittori di sf) su un piano diverso da quello di Anders e di Debord ma con altrettanta acutezza. Per esempio i telespettatori attivi sono chiamati dal presentatore tv i “Buoni Samaritani d’America” e la location del fatale reality è New Salem, il luogo storico della stregoneria cioè, in un certo senso, dello spettacolo.
La tv generalista di oggi propone in gran parte programmi partecipati influenzati e condivisi dal pubblico; la consapevolezza di Sheckley è probabile che abbia influenzato il giovane Debord (Le prix du danger come fu tradotto in francese apparve nella rivista Fiction nell’agosto del 1958) come il tema della seduzione pone in anticipo Sheckley su Baudrillard di un ventennio.
Omar Wisyam, Debord come vittima in biblioteca dell'egoista, circolare 2023

domenica 23 aprile 2023

Il nesso tra gli obiettivi politici e militari della Resistenza è rintracciabile


La polemica contro la monarchia diventa più accesa e significativa nella stampa dei partiti di sinistra con l’annuncio della firma dell’armistizio l’8 settembre 1943 dal maresciallo Badoglio e con i cambiamenti che si verificano sul piano politico e militare in Italia.
La notizia della firma dell’armistizio viene trasmessa dalla radio alle 19.42 dell’8 settembre. Gianni Oliva nota che nessuno è preparato su quanto avviene, nello stesso modo in cui nessuno attende la destituzione di Mussolini proprio il 25 luglio. Fra l’altro, gli italiani non hanno la possibilità di scorgere qualche segnale nemmeno nella stampa, essendo ricolma di «notizie sulle confische dei beni dei gerarchi» e meno incentrata sulle informazioni che riguardano lo stato di guerra <1189. Perciò, la fuga del re verso Brindisi nel mentre la nazione si trova ad affrontare il problema della fine dell’alleanza con la Germania e dell’occupazione del territorio da due eserciti stranieri in conflitto fra loro, genera un grande stato di confusione e un vuoto di autorità. Ad accentuare la drammaticità della situazione concorre lo sfacelo dell’esercito italiano, lasciato senza ordini in un momento di eccezionale rilevanza. Se il re e il governo Badoglio abbandonano ogni piano di reazione contro l’esercito tedesco e contro i tentativi di restaurare il Partito fascista, i partiti antifascisti scelgono di costituire il Cln (il 9 settembre), allo scopo di invitare il popolo a lottare e a resistere per «riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle nazioni libere» e di assumersi l’impegno di organizzare e dirigere la lotta contro i nazi-fascisti al fianco delle Nazioni Unite <1190. Dunque, il Cln nasce come un organo idoneo a rappresentare una formazione politica unitaria che possa esprimere la compattezza del paese intorno alla lotta contro la Germania e i fascisti e che, nella «disastrosa situazione determinata dalla dittatura fascista e dalla sconfitta militare», sia in grado di rivendicare sul piano internazionale il contributo della nazione nella battaglia contro il nazifascismo <1191. Nel nuovo organismo entrano a far parte tutti i partiti antifascisti (tranne quello repubblicano) che si richiamano all’opposizione antifascista sorta all’estero e mantenuta in clandestinità durante la dittatura in Italia.
Tuttavia, lo Stato si trova presto diviso in due e la popolazione coinvolta in una guerra civile. Nel Sud dell’Italia, il governo e l’amministrazione del territorio sono in mano agli Alleati e alla monarchia (con sede a Brindisi dal 11 settembre), invece al Nord, in alleanza con e sotto la protezione dei tedeschi, Mussolini istituisce la Repubblica sociale italiana (la notizia giunge il 18 settembre da Radio Monaco) <1192. Sul campo di battaglia, oltre agli Alleati, si contrappone ai nazisti una parte della popolazione italiana. Vari episodi di scontro con le forze armate naziste si verificano a Porta San Paolo, a Cefalonia e al Sud (come ad esempio nelle quattro giornate di Napoli), ma costoro «[agiscono] per un impulso (…) in larga misura estraneo a consapevoli germi di riscatto nazionale» <1193 perché il fenomeno del ribellismo si sviluppa in modo compatto soprattutto nella zona Centro-Settentrionale dell’Italia tra la fine del ’43 e i primi mesi del ‘45. Sono i giovani, i militari e i militanti antifascisti che danno vita con la lotta partigiana alla Resistenza armata. Non tutti scelgono di combattere per ragioni politiche e la loro capacità d’azione dipende dal numero, dall’organizzazione e dalla necessità di viveri e di munizioni. Nondimeno, considerando che «la lotta al nazifascismo si combatte su più terreni, non esauribili esclusivamente da quello della lotta armata» <1194, acquisisce «un significato profondo e segna il primo passo nel percorso di legittimazione della nuova classe politica italiana» <1195. Ovvero, si può dire che gli aspetti militari e civili della Resistenza si intrecciano a quelli politici. Difatti, i partiti antifascisti si dotano di un organismo di coordinamento che inizia a funzionare anche a livello locale e regionale per «stabilire un collegamento tra le rivendicazioni [politiche] e l’obiettivo generale della lotta di liberazione» <1196. Il nesso tra gli obiettivi politici e militari della Resistenza è rintracciabile nelle seguenti affermazioni di Leo Valiani: «L’antifascismo se [vuole] che l’Italia del dopoguerra, ch’esso si [propone] di governare, [sia] riconosciuta immediatamente come nazione democratica, [deve] dimostrare che il popolo italiano nella sua parte attiva, [ha] fisicamente contribuito alla cacciata dei tedeschi dal suolo italiano e all’abbattimento del fascismo. L’eliminazione del fascismo che in Italia non [è] d’importazione straniera, ma [ha], sventuratamente profonde radici nel Paese, non sarebbe neppure definitiva, se non fosse opera delle masse popolari italiane» <1197.
Nel periodo che va da settembre 1943 ad aprile 1944 (durante il quale il movimento di Liberazione riesce a guadagnare «maggiore compattezza»), lo spazio riservato alla «battaglia pro e contro la monarchia» è fondamentale all’interno dei Cln <1198. I partiti di sinistra premono per il disconoscimento dell’autorità di Vittorio Emanuele III e per la decadenza dell’istituto monarchico. Invece, nell’ala moderata del Cln, il Pli e la Dl, non ritengono opportuno mettere in discussione la monarchia e sono favorevoli ad una successione dinastica <1199. La “questione istituzionale” acquisisce importanza nelle riflessioni degli antifascisti sin dal 1924. Inoltre, è adottata programmaticamente verso la fine degli anni Trenta, - alla luce del sodalizio del re con la politica fascista - dal movimento Giustizia e Libertà e dalla Concentrazione antifascista <1200. Nondimeno, le motivazioni e le esigenze politiche che spingono i partiti di sinistra contro la monarchia si moltiplicano dopo l’8 settembre 1943 e non sono da ricondurre unicamente all’atteggiamento mantenuto dal re di fronte al fascismo e alla crisi politica dell’Italia <1201.
Negli organi di stampa di partito, la “polemica antimonarchica” non ha solo una funzione propagandistica indirizzata a giustificare “moralmente” una soluzione radicale del problema istituzionale. Nello specifico, sulla pregiudiziale antimonarchica viene costruito un nucleo narrativo fondamentale volto a legittimare il passaggio dal fascismo alla democrazia dei partiti <1202. Dall’analisi degli organi di stampa emerge che alcune dinamiche comunicative sono fondamentali sul piano narrativo per ridisegnare «le relazioni di potere esistenti» <1203 allo scopo di costruire un nuovo regime politico <1204. Infatti, con l’avvio del processo di democratizzazione del sistema politico italiano, oltre ad una maggiore «liberalizzazione» <1205, scaturisce una nuova identificazione degli attori politici. Le forze dell’antifascismo si impegnano con tenacia nell’individuazione degli avversari o dei nemici del rinnovamento politico per accreditarsi quali garanti della democrazia davanti all’opinione pubblica e conquistare le redini del potere. Tra le pratiche discorsive utilizzate più di frequente per combattere il fascismo e l’«assetto politico e istituzionale fondato sulla preminenza del sovrano» <1206 sono rilevanti le azioni che demarcano l’identità del potere. Nel senso che i partiti costruiscono la loro l’immagine di promotori della democrazia delegittimando il fascismo; negando alla monarchia l’autorità di esprimere l’unità del paese per le sue compromissioni con il fascismo e perché capace di perpetuarlo in politica sotto nuove vesti; agendo in nome del popolo con l’obiettivo di affermare la sovranità popolare <1207; attribuendo un ruolo essenziale alla mobilitazione popolare contro il nazi-fascismo <1208. È in nome del popolo - mobilitato per conquistare l’indipendenza nazionale e per “migliorare le condizioni di vita dell’avvenire” - che i partiti antifascisti traggono la titolarità di istituire una società pluralista e democratica <1209. Questo principio introduce «l’antitesi tra sovranità monarchica e sovranità popolare» ed è particolarmente visibile nella polemica dei partiti di sinistra contro la monarchia e il governo Badoglio negli ultimi mesi del 1943 <1210. Al di là delle contingenze storiche e delle divergenze programmatiche, l’obiettivo centrale dei partiti antifascisti rimane la fondazione di un sistema democratico <1211, e la monarchia, secondo il punto di vista dei partiti di sinistra, risulta una minaccia sia nei confronti dei loro tentativi di porsi alla guida del rinnovamento politico del paese, sia per l’eliminazione del fascismo dalla vita collettiva, essendo compromessa con quest’ultimo <1212.
Quindi, il fascismo viene rappresentato come il “male politico” per eccellenza <1213 per aver soppresso i diritti e le libertà fondamentali, aver condotto il paese alla catastrofe ed avvallato l’alleanza con i “barbari” nazisti <1214. In altre parole, ricalca la figura del nemico della nazione e della democrazia ed è considerato incapace di fare presa nella coscienza degli italiani <1215. Difatti, al fascismo repubblicano non si riconosce alcuna personalità politica perché si ritiene “resuscitato” soltanto allo scopo di servire ai tedeschi e di fomentare la guerra civile <1216. Invece, la rappresentazione che gli antifascisti danno di sé è quella di essere l’unica forza in grado di superare il fascismo, di risanare le ferite da esso causate alla nazione e di contribuire alla guerra di liberazione <1217. Ai repubblicani fascisti, sebbene si organizzino politicamente, si nega il diritto di governare la nazione, di esprimere una politica autonoma e di esistere: uomini, istituti e mentalità fasciste evocano un’entità colpevole davanti agli italiani e una “negatività assoluta”, da distruggere per fare spazio alla rinascita della democrazia <1218.
Tale rappresentazione del fascismo getta luce sui contenuti della polemica contro la monarchia e il governo Badoglio, che proliferano soprattutto negli organi di stampa dei tre partiti di sinistra (socialista, azionista, comunista) a partire dall’8 settembre.
[NOTE]
1189 G. Oliva, La grande storia della Resistenza (1943-1948), cit., L’annuncio dell’armistizio, pp. 1-2.
1190 Contro nazisti e fascisti lotta senza quartiere. La Costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale, in «l’Unità», n. 15, 12 settembre 1943, p. 1.
1191 G. Galli, I partiti politici italiani. Dalla Resistenza all’Europa integrata, cit., p. 23. Tutti i partiti entrano a far parte del Cln, salvo quello repubblicano, irremovibile sulla pregiudiziale monarchica. Da subito la linea politica del Cln viene impostata soprattutto dalle coalizioni di maggioranza moderata. Questo si evince anche dall’apparato decisionale del Cln, all’interno del quale i partiti di sinistra dispongono di tre voti mentre alla coalizione di destra ne sono riservati quattro, nonostante i partiti che hanno un peso rilevante siano solo due: Dc e Pli. In tal modo, comincia a delinearsi una peculiarità del sistema politico italiano di lunga durata. La governabilità del paese si basa su soluzioni di governo di profilo moderato e non su un’efficace alternanza con una maggioranza progressista (Ivi, p. 21).
1192 G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Volume decimo. La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza, cit., p. 230.
1193 P. G. Zunino, La Repubblica e il suo passato, cit., p. 212.
1194 Cfr. M. Flores, M. Carrattieri (a cura di), La Resistenza in Italia. Storia, memoria, storiografia, Firenze, goWare, 2018.
1195 Ivi, p. 14.
1196 G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Volume decimo. La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza, cit., p. 258.
1197 AA. VV, Storia dell’Italia contemporanea, Volume primo, Resistenza e Repubblica 1943-156, cit., p. 129.
1198 E. Salvatorelli, Quadro e trasformazione dei partiti, in AA.VV, L’Italia dalla liberazione alla repubblica, cit., p. 224.
1199 Sulle differenze programmatiche e l’unità d’intenti dei partiti cfr. M. Bendiscioli, Antifascismo e Resistenza, Roma, Studium, 1964, pp. 14-24; 34-35. Le posizioni contrastanti all’interno del Cln si manifestano subito dopo la sua costituzione (10-12 settembre). Quando l’azionista Ugo La Malfa prospetta l’ipotesi di «dichiarare l’immediata decadenza della monarchia», si opta per una soluzione più moderata che consiste nella disapprovazione pubblica della fuga del re insieme al suo governo (S. N. Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti. I socialisti nell’Italia del 1943-1945, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 1995, pp. 167-168).
1200 E. Salvatorelli, op. cit., Ibidem.
1201 Gli eventi più rilevanti che spingono i partiti di sinistra a trattare pubblicamente sulla «questione dell’illegittimità politica e costituzionale, oltreché giuridica, della monarchia» sono la fuga del re e l’occupazione nazista. Tuttavia, la sua rilevanza accresce nel momento in cui devono affrontare la lotta per liberazione nazionale e il problema dell’ordine politica dell’Italia (S. N. Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti. I socialisti nell’Italia del 1943-1945, cit., p. 166) Candeloro spiega come nel dopoguerra «l’insistenza sulla questione istituzionale e in particolare sul ritiro del re dalla vita politica» viene giudicata “eccessiva”. Ma per comprendere l’importanza della “questione istituzionale”, secondo lo storico, bisogna tenere conto di una serie di ragioni. Innanzitutto, la difficoltà degli antifascisti di riconoscere in Vittorio Emanuele III un capo dello stato per le sue “gravi responsabilità passate”, l’intenzione di «conservare un sistema di governo autoritario ed antiliberale» e l’ostilità nei confronti degli antifascisti. Oltre a ciò, non è gradito nemmeno l’appoggio di Churchill al re, visti i precedenti rapporti del conservatore inglese con Mussolini e le sue aspirazioni imperialistiche. A queste preliminari constatazioni, Candeloro aggiunge poi che «la questione istituzionale si [lega] direttamente a quella di un rinnovamento più o meno ampio dell’ordinamento politico dell’Italia e al problema della partecipazione dello Stato italiano alla lotta antinazista, praticamente impossibile senza che fosse almeno avviato un processo di democratizzazione del governo esistente» (G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Volume decimo. La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza, cit., pp. 238-239).
1202 Simone Neri Serneri è del parere che «il conflitto tra i partiti e la monarchia [ha] come posta la ricostruzione della legittimità costituzionale, anziché il suo mantenimento, come invece [sostengono] moderati e monarchici». Infatti, anche il politologo Leonardo Morlino nota come «il primo periodo della transizione dal fascismo alla democrazia [si realizza] con la competizione tra la monarchia e le altre forze politiche per costruire la base legittima del nuovo regime; in particolare la monarchia [mira] a mantenere la continuità della forma di governo, pur nella discontinuità del regime politico» (S. N. Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti, op. cit., p. 166 e nota 6).
1203 Su come vengono utilizzate le pratiche discorsive in politica nella prassi della legittimazione/delegittimazione dell’autorità politica cfr. B. Baldi (a cura di), La delegittimazione politica nell’età contemporanea. 2. Parole nemiche: teorie, pratiche e linguaggi, Roma, Viella, 2017, p. 8.
1204 «Il programma del Partito d'Azione parte con la premessa di affermare un nuovo regime politico, in nome di una tradizione non rispettata, che ha portato alla "rovina del paese". La prolungata abdicazione degli istituti monarchici - corresponsabili con il fascismo della rovina del Paese - legittima la inderogabile esigenza di un regime repubblicano, nel quale le libertà civili e politiche dovranno essere affermate e difese con il presidio di tutte le misure atte ad impedire che esse possano diventare strumento di partiti e di gruppi, che della libertà si avvalgono con il proposito di distruggerla» (Italiani, in Italia Libera, n. 1, gennaio 1943, p. 1).
1205 In ambito politologico, il processo di democratizzazione è suddiviso in diverse fasi, che indicano a quale grado si trova il passaggio da un regime autoritario ad uno democratico. La prima fase è un periodo di transizione durante la quale, affinché si possa parlare di democrazia, si deve verificare una maggiore “liberalizzazione”, da intendere come «concessione dall’altro, quand’anche parziale, di una serie di diritti civili e politici ai cittadini» (F. Del Giudice, Compendio di scienza politica, vol. 11/5, Napoli, Edizioni Simone, 2015, p. 39).
1206 S. N. Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti, op. cit., p. 166.
1207 Cfr. S. N. Serneri, Classe, partito, nazione. Alle origini della democrazia italiana 1919-1948, pp. 267-269.
1208 Già dal 25 luglio, le manifestazioni di giubilo assumono per le forze antifasciste un ruolo fondamentale, sia per rimarcare il loro attivismo di fronte alla svolta provocata dalla monarchia, sia per reclamare modifiche sul piano istituzionale (L. La Rovere, L’eredità del fascismo, cit., pp. 33-34).
1209 Cfr. Il problema del potere, in «Avanti!», n. 6, 19 ottobre 1943, (edizione romana, Supplemento straordinario), pp. 1-2; L'Italia senza governo, in «Avanti!», n. 8, 20 Novembre 1943, p. 1; Guerra regia e guerra di popolo, in «Italia Libera», n. 11, 17 ottobre 1943, p. 1; La guerra del popolo italiano, in «Italia Libera», n. 15, 28 gennaio 1945, p. 1; Coscienza della responsabilità, in «l’Unità», a. XXI, n. 8, 30 marzo 1944, p. 1. Sull’evoluzione del concetto di sovranità, si veda G. Ferrara, La sovranità popolare e le sue forme, in S. Labriola (a cura di), Valori e principi del regime repubblicano, 1. Sovranità e democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 251-276.
1210 S. N. Serneri, op. cit., Ibidem.
1211 Simona Colarizi attribuisce all’influenza che gli Alleati, l’Urss e la Chiesa esercitano sulle vicende interne dell’Italia un peso determinante nella configurazione del sistema politico italiano del secondo dopoguerra, all’interno del quale soprattutto il Partito comunista risulta incompatibile per la sua “vocazione rivoluzionaria” e il legame con l’Urss. Secondo tale prospettiva il porsi del Pci sul terreno della democrazia corrisponde ad una scelta tattica per legittimarsi a livello nazionale (S. Colarizi, Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni. 1943-2006, cit., pp. 12-26). Tuttavia, come rileva Giorgio Galli, gli scopi rivoluzionari, dagli anni ’40, vengono abbandonati e gli obiettivi politici dei partiti di sinistra vengono portati avanti «in nome di una “democrazia progressiva”». La loro “aura rivoluzionaria” permane nell’immaginario collettivo destando «in rilevanti settori delle masse da essi influenzate la sensazione di volere continuare a porsi il problema della conquista rivoluzionaria del potere» (G. Galli, I partiti politici italiani. Dalla Resistenza all’Europa integrata, cit., pp. 23-25). Ma, già dal 27 aprile 1943, i partiti antifascisti giungono all’intesa di unirsi nell’azione per la libertà e la ricostruzione nazionale in un sistema democratico nel quale «tutti i poteri, e anche il più alto, derivassero dalla volontà popolare» (Ch. F. Delzell, I nemici di Mussolini, cit., p. 214). Cfr. La funzione dei partiti antifascisti, in l’«Unità», A. XX, n. 24, 17 novembre 1943, pp. 1-2. «I partiti antifascisti sapranno assolvere il compito storico che loro spetta: guidare il popolo italiano nella guerra nazionale di liberazione, per avviarlo fuori del baratro in cui l’ha piombato il fascismo, verso quella ricostruzione democratica e progressiva che assicurerà al nostro paese un migliore avvenire» (Ibidem).
1212 Neri Serneri pone in evidenza la questione della polemica antimonarchica con le seguenti considerazioni: «l’opposizione alla monarchia era ritenuta un corollario necessario della lotta al fascismo, in quanto nella corona si vedeva – non senza ragioni – il referente principale delle forze già sostenitrici del regime e l’ostacolo maggiore per la democratizzazione del paese» (S. N. Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti. I socialisti nell’Italia del 1943-1945, cit., p. 167).
1213 Alla radice del male, in «Italia Libera», A. III, n. 6, 7 gennaio 1945, p. 1. «Il male, che Mussolini ed il fascismo, con la loro incompetenza ed imponderatezza, hanno fatto all’Italia non poteva essere maggiore, e le dolorose vicende che si sono svolte da quell’infausto 10 giugno 1940 ad oggi, e che non sono purtroppo terminate, sono state prodotte in gran parte dall’avere tolto allo Stato Maggiore la sua vera funzione, quella della preparazione e della condotta della guerra, devoluta invece, per supina acquiescenza dei poteri costituiti, a Mussolini ed alla sua banda» (Miles, Questioni militari. Stato Maggiore e fascismo, in «Il Popolo», a. II, n. 2, febbraio 1944, p. 4).
1214 Gli artefici della guerra civile, in «Il Popolo», cit.; Saper pensare, in «Italia Libera», cit.; Esercito e popolo affratellati nella difesa di Roma. I partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale mentre la monarchia e il governo rivelano la loro totale incapacità, in «Italia Libera», n. 7, 11 settembre 1943, p. 1; La resistenza contro l’occupazione tedesca si rafforza in Italia, in «Avanti!», n. 8, 20 novembre 1943, p. 2; Fine di Mussolini, in «l’Unità», a. XX, n. 15, 12 settembre 1943, p. 1.
1215 «(…) i nemici della patria sono proprio coloro con i quali si era schierato Giovanni Gentile, illusi idealisti o vili mercenari che hanno rinnegato la loro madre e l’hanno venduta ai nemici tradizionali della nostra cultura latina, ai massacratori dei nostri fratelli» (Rassegna delle idee e dei fatti, «Il Popolo», a. II, n. 4, 18 maggio 1944, p. 2).
1216 Fascismo repubblicano, in «Avanti!», n. 9, 15 dicembre 1943, p. 2; Il fascismo contro il fascismo, in «Il Popolo», 14 novembre 1943, p. 2; Fede a un giuramento. Un vincolo che non può essere sciolto dal Quisling italiano, in «Il Popolo», 14 novembre 1943, p. 2; A chi serve l’esercito repubblicano, in «Il Popolo», 14 novembre 1943, p. 3; Lazzi buffoneschi, in «l’Unità», a. XX, n. 19, 10 ottobre 1943, p. 3; Il primo e l’ultimo 28 ottobre del fascismo repubblicano, in «l’Unità», a. XX, 22, 3 novembre 1943, p. 4; Gli impiegati non debbono partire da Roma, in «l’Unità», a. XX, n. 23, 10 novembre 1943, p. 4; Torna Mussolini, in «Italia Libera», n. 8, 15 settembre 1943, p. 2; Un vero governo fantasma, in «Italia Libera», n. 9, 25 settembre 1943, p. 2.
1217 «Noi conquisteremo nuove e migliori condizioni di vita, e con esse la stima e il rispetto del mondo, se sapremo oggi lottare con la più estrema energia contro la Germania nazista ed i suoi alleati fascisti, i peggiori nemici che abbiano mai minacciato l'esistenza dei lavoratori e dei popoli liberi. In questa lotta il popolo italiano ritroverà sé stesso. Alla testa del popolo il proletariato dimostrerà che è sempre vivo in lui quell'alto sentimento di solidarietà internazionale di cui ha dato prova in passato, solidarietà verso i lavoratori di tutti i paesi e verso quanti combattono per l'indipendenza e la libertà nazionale» (Per l’onore e l’avvenire dell’Italia, in «l'Unità», supplemento al n. 17, settembre 1943, p. 2).
1218 Rinnegamenti fascisti, in «Il Popolo», 23 ottobre 1943, p. 3; Così parlò Mussolini, in «Il Popolo», cit.; Fuori i tedeschi, via i fascisti, in Il Popolo, 14 novembre 1943, p. 4.
Violeta Ҫarkaj, Il nemico della democrazia. Il fascismo raccontato dalla stampa antifascista (1922-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2019

martedì 18 aprile 2023

La storia di Spaggiari, con qualche variante, l’ho sentita raccontare da Nizza a Ventimiglia da tantissime persone

Nizza: il torrente Peillon ed il Palazzo delle Esposizioni, punto di accesso per l'operazione della banda Spaggiari

Mercoledì 14 luglio del 1976 a Nizza come in tutta la Francia è festa nazionale e non mancano i fuochi pirotecnici che coprono i rumori che salgono dalle fogne della città. Lunedì 19 il lavoro è terminato e i dipendenti della banca Societé Generale in avenue Jean Medecin, giusto dopo le Galeries Lafayette, scoprono la rapina del secolo.
Pochi giorni prima, il venerdì 9, Valéry Giscard d'Estaing, presidente della Repubblica, era stato in visita a Nizza. Spaggiari, il cervello della rapina, aveva tremato al pensiero che la polizia dispiegata per la sicurezza del Presidente, potesse ispezionare anche le fogne della vicina piazza Massena sotto al percorso del corteo presidenziale e aveva dovuto sospendere il lavoro ad una sola settimana dalla data prevista per il colpo.
Spaggiari era titolare di un negozio da fotografo e aveva un passato da combattente in Indocina e poi nell’OAS, l’organizzazione paramilitare clandestina che appoggiava i coloni francesi che si opponevano alla fine del colonialismo in Algeria; aveva una forte simpatia per l’estrema destra. Albert “Bert” Spaggiari, leggendo un romanzo poliziesco prende spunto per progettare il colpo, rivolgendosi al milieu marsigliese e ad ex commilitoni dell’Oas. Con la sua banda di una quindicina di soci lavorò per tre mesi in mezzo ai topi e alla merda. Un giorno entrò nella Societé Generale, prese in affitto una cassetta di sicurezza e vi depositò due sveglie, regolando l’orario a mezzanotte per farle suonare all’unisono e controllare che non scattassero allarmi.
Nel momento stabilito, nel corso del fine settimana dal 17 al 19 luglio 1976, vengono aperte 337 cassette di sicurezza con un bottino intorno agli attuali trenta milioni di euro. Su una parete del caveau della banca lascia una scritta che anni dopo sarà il titolo di un film sulla sua impresa: “Senza odio, senza violenza, senza armi”.
La Police non ci fa una bella figura e si pensa di archiviare il caso. Ma un po’ per fortuna un po’ per intuito trovano un testimone, un clochard che risiede nelle fogne che con la lingua sciolta da una ciucca racconta quello che ricorda a un gendarme di passaggio. Nel frattempo, due compari della banda del buco cercano di cambiare due lingotti e devono ammettere la loro complicità.
Bert viene arrestato, ma evade saltando dalla finestra dell’ufficio del giudice; si porta alle spalle del magistrato con la scusa di spiegargli la piantina delle fogne e salta dalla finestra del secondo piano del Palazzo di Giustizia in pieno centro cadendo rocambolescamente con una capriola, sul cornicione del portone e di lì sul tettuccio di una R6. Una moto di un complice lo aspetta con il motore acceso: fa un gesto di vittoria e poi fugge verso la libertà. Ci fu qualcuno che sospettò che sotto il casco del complice ci fosse un noto politico locale.
Entrano poco lontano in un cortile dove lo aspetta una grossa macchina inglese sotto il cui sedile posteriore è stato ricavato un nascondiglio dove non mancano panini e whisky.
Così nascosto supera quattordici posti di blocco fino a Parigi. Poi lascia la Francia per sempre. Emigrò prima in sud America e poi in Italia; latitante in contatto con esponenti dell’eversione nera, fu l’unico ladro condannato all’ergastolo ma non lo presero più.
La sua ultima sfida senz’armi alla Francia fu disporre il rientro della sua salma dall'Italia, portata nella notte su un camper dai familiari, tredici anni dopo, nel giugno 1986. Aveva scritto nel suo testamento: “alla giustizia regalo il mio ultimo affronto, muoio libero”.
Spaggiari divenne una sorta di eroe popolare perché beffò il potere economico e quello politico senza la minima violenza fisica. Nato in Alta Provenza nel 1932 con un’infanzia nella Francia della Repubblica di Vichy, era di origine italiana, come Emilia De Sacco, la sua fedele compagna. Era molto legato al nostro Paese, tanto da morire per un cancro ai polmoni in una casa sui monti del Bellunese. Si costruì un’immagine complessa fatta di orgoglio, presunzione e un filo di romanticismo che attecchì profondamente nel suo territorio.
Paolo Signorelli, ideologo e cattivo maestro della destra italiana, lo descrisse come «un simpatico guascone, un viandante, un viaggiatore dei sogni». Scrisse che «Il prosciugamento del caveau della Société Général di Nizza fu una beffa per i benpensanti e un omaggio al gusto della dissacrazione, un’opera d’arte. Anche perché a lui era il gesto estetico che interessava, non il danaro».
Comunque sia, la storia di Spaggiari, con qualche variante, l’ho sentita raccontare da Nizza a Ventimiglia da tantissime persone soprattutto da quelli che passavano le sere al Cafè de Turin o al Boccaccio. Ancora recentemente ci fu l’idea molto diffusa di intitolare a suo nome il nuovo stadio del Nizza costruito pochi anni fa. Alexy Bosetti, di origine di Pieve di Teco, è un calciatore che ha militato lungamente nel Nizza Olympique Gymnaste Club. Nel 2014 fu squalificato per aver mostrato i suoi tatuaggi togliendosi la maglietta dopo un gol. Sul suo braccio destro ha ritratti l'Aquila di Nizza e i volti di Albert Spaggiari e di Jacques Medecin, sindaco della città per oltre trent’anni condannato per corruzione: una buona compagnia, insomma.
Dalle mie parti avrebbero detto di Spaggiari che aveva il muso come la ribattuta della palla di pallapugno.
Arturo Viale, 8. Senza odio, senza violenza, senza armi in Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019

Altri lavori di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica…non c’era ancora, Edizioni Zem, 2020; L’ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz’agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini 

giovedì 6 aprile 2023

Ma Licio Gelli era stato schedato "quale pericolosissimo elemento sovversivo e probabile agente dei paesi dell’Est"


Dalla fine del 1978 «Osservatore politico» cominciò ad attaccare duramente il Venerabile, indagando sui trascorsi di Gelli durante la guerra. Nell’articolo "Due volte partigiano. Finalmente la verità sul Venerabile della P2", Pecorelli raccontò la storia di Licio Gelli dal periodo della Repubblica di Salò al successivo appoggio che diede al CLN:
"Da quando con l’ingresso del Pci nell’area governativa è tramontata la moda di scoprire un golpe alla settimana, politologi e tramologi si sono messi a pubblicizzare il più folkloristico filone della massoneria. Scrivendo del Grande Oriente, Rito Scozzese, di Maestri Venerabili, di Liberi muratori e delle misteriose liturgie di uomini incappucciati, è facile far immaginare tra ombre e corridoi, un susseguirsi di complotti, congiure e pugnali. Secondo i nostri esperti in Italia il novanta per cento dell’alta dirigenza dello Stato, i vertici industriali e bancari, la Magistratura appartengono alla massoneria e il pontefice massimo, il genio criminale che tutto muove e tutto decide è Gelli. Questo Gelli è un ex fascista, agente dei servizi segreti argentini, amico personale di Lopez Rega <140, fondatore degli squadroni della morte AAA in America Latina, legato alla Cia ed ai Falchi americani. Cardine della tesi è che Licio Gelli sia un nazista criminale, collaboratore delle Ss e delatore di partigiani" <141.
Gli articoli accennarono a nuove possibili rivelazioni ritrovate in un fascicolo di massima segretezza.
"Questo porta acqua al nostro mulino, perché siamo entrati in possesso di un documento che prova l’esatto contrario. Nel luglio 1944 Gelli si presentò in divisa d’ufficiale tedesco presso una casa di cure per malattie nervose chiamata Villa Sbertoli, in località Colligerate Pistoia, che le Ss avevano adibito a prigione. Forte dell’ascendenza personale e della perfetta conoscenza del tedesco, con sangue freddo eccezionale si fece consegnare i partigiani che grazie a lui poterono raggiungere di nuovo le rispettive formazioni" <142.
Il giornalista si riferiva al documento Com.In.Form, contenente un’informativa del Centro di controspionaggio di Firenze datata 29 settembre 1950. Nel rapporto si sosteneva che Gelli, legato al partito comunista fin dal 1944, fosse un possibile agente del Kominform e che mascherasse questa sua attività dietro quella dell’industriale e commerciante. «Osservatore politico» pubblicò anche un documento del 1944 firmato da Italo Carobbi, presidente del Cln.
"Questo comitato dichiara che Gelli Licio, pur essendo stato al servizio dei fascisti e dei tedeschi, si è reso utile alla causa dei patrioti pistoiesi. Esso ha: avvisato partigiani che dovevano essere arrestati; messo a disposizione e guidato personalmente il furgone della Federazione fascista per portare sei volte consecutive rifornimenti di viveri ed armi a diverse formazioni; partecipato e reso possibile la liberazione di prigionieri politici detenuti in Villa Sbertoli" <143.
Nel 1980 si scoprì che il giornalista non fu l’unico ad interessarsi a tale questione. I Servizi segreti italiani cessarono d’occuparsi di Licio Gelli dopo averlo schedato quale pericolosissimo elemento sovversivo e probabile agente dei paesi dell’Est, minimizzando e sottovalutando le investigazioni <144. Fonti informative della Guardia di Finanza ed alcuni uomini dell’ispettorato generale antiterrorismo continuarono ad indagare su questo documento venendo minacciati d’esonero dal servizio se avessero continuato ad investigare <145. L’Ispettore Santillo, dell’ispettorato generale antiterrorismo, scrisse una relazione sulla massoneria descrivendo con precise informazioni il Venerabile e denunciando una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi segreti sull’argomento. L’ispettore non ottenne mai la guida del SISDE alla cui guida fu preferito il generale Grassini, iscritto alla Loggia P2. Questo silenzio su Licio Gelli venne rotto da «Osservatore politico» che iniziò a rivelarne i primi contenuti. Copia di tale segretissimo fascicolo sarebbe stata trasmessa all’ambasciata americana a Roma, mentre una seconda sarebbe finita nelle mani di Pecorelli <146 da fonti ignote ed una terza copia venne recuperata nel sequestro di Castiglion Fibocchi.
Il primo ed unico articolo venne pubblicato il 10 febbraio 1979 con il titolo "Massoneria: il professore e la balaustra" <147.
"L’appuntamento va collocato in uno scenario da 007 formato Hollywood. Giorno dell’incontro: lunedì 5 febbraio, che passerà alla storia come il lunedì delle streghe. Luogo: l’angolo di una strada male illuminata di Roma centro. Occhiali neri, baffi finti, bavero dell’impermeabile rialzato fino alle orecchie, cappello a larghe falde calato sul viso, giornale sotto braccio, sigaretta accesa. Il “Professore” era stato puntuale, così travestito era stato inevitabile per Pecorelli riconoscerlo senza averlo mai conosciuto. Direttore sono venuto a saldare il mio debito con lei. Per anni ho detto di conoscerla. Per provarle quanto sono pentito metto a repentaglio la mia vita. Le consegno un primo esplosivo documento, da fratello e da cittadino. Fantasia o realtà, sogno o allucinazione, il documento è qui, bianco su nero. Si tratta di un vecchio fascicolo ingiallito, registrato al n. 15.743 del Com.In.Form. E’ un lungo elenco di nomi che qualcuno un giorno ha tradito, un lungo elenco che noi non tradiremo una seconda volta. Perché non è nostro costume rivelare segreti di Stato, ma soprattutto non è nostro costume assecondare gli oscuri disegni di un professore dalle potenti e fraterne amicizie" <148.
Carmine Pecorelli venne assassinato pochi giorni prima della preannunciata pubblicazione integrale del documento. L’allusione alla lista di nomi traditi non piacque al Venerabile: si riferiva infatti ad un’operazione di spionaggio a favore dei partigiani, conclusasi con la fucilazione di una sessantina di fascisti. Sarebbe stata una cattiva pubblicità per il capo della P2, sebbene ci vorranno ancora due anni prima che le sue attività divengano di dominio pubblico. Le motivazioni che spinsero Carmine Pecorelli ad analizzare il passato di Licio Gelli portano solo ad alcune ipotesi. La storia del passato del Venerabile era molto interessante dal punto di vista giornalistico ma gli inquirenti si convinsero che il giornalista fosse entrato a far parte di una cordata dissenziente, all’interno della P2, che durante il sequestro Moro venne influenzata dal partito della trattativa. Tra le carte sequestrate nella redazione di «Op» venne rinvenuto un appunto anonimo sotto la dicitura «segretissimo», che definiva Licio Gelli: massone, nazista, ex informatore delle SS tedesche, spia dei servizi segreti italiani. E ancora accuse di spionaggio con il Sudamerica, riciclaggio di moneta contraffatta sudamericana e d’altre nazionalità per finanziare operazioni coperte di guerriglia in Europa, rapporti con la Mafia, ricatto allo Stato. Le fonti di Pecorelli non vennero mai scoperte, sebbene dall’articolo "Il professore e la balaustra" sembrerebbe che lo stesso giornalista indicasse il Colonnello Antonio Vezzier, alto ufficiale del controspionaggio di Firenze ed amico di Gelli, come principale risorsa. Improbabile dato che il giornalista non avrebbe mai bruciato una fonte informativa così preziosa. Lo stesso Vezzier raccontò ai magistrati d’essersi subito presentato da Gelli per protestare contro l’articolo di «Osservatore Politico» che lo vedeva implicato <149. Dalle agende del giornalista si scoprì che gli ultimi mesi furono fitti d’incontri con politici, magistrati, ufficiali dei Servizi segreti, funzionari del Viminale e con lo stesso Licio Gelli. Il giornalista ed il Venerabile si sentirono telefonicamente la prima volta il 7 febbraio ed il 7 marzo. Nella stessa agenda era annotato: 21 marzo, ore 20.30, cena Licio.
Achille Gallucci, l’allora procuratore di Roma, nella prima requisitoria con cui chiedeva l’archiviazione del procedimento nei confronti di Gelli e Vezzier per il reato di omicidio scriveva:
"È innegabile che in una serie di articoli, spesso non completamente comprensibili, il Pecorelli avesse iniziato nei confronti di Gelli una pericolosa e veritiera campagna. È verosimile che ciò abbia preoccupato Gelli, il quale cercò certamente di avere contatti con il giornalista. Il movente dell’omicidio va cercato nella singolare personalità della vittima e nello spregiudicato modo in cui egli realizzava la sua attività giornalistica. Utilizzando un linguaggio ermetico con allusioni e ammiccate comprensibili solo all’interessato, appartenendo a un tipo di giornalismo affatto particolare spesso al bivio tra la rozza provocazione ed il cinico ricatto" <150.
[NOTE]
141 Due volte partigiano. Finalmente la verità sul Venerabile della P2, «Osservatore politico», 2 gennaio 1979.
142 Ibidem.
143 «Osservatore politico», 2 gennaio 1979.
144 CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 70.
145 Ibidem.
146 Verrà trovata tra le carte del giornalista dopo il suo omicidio, FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 30.
147 Nel linguaggio massonico balaustra è sinonimo di loggia, DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p.85.
148 Massoneria: il professore e la balaustra, «Osservatore politico», 10 febbraio 1979.
149 «Cerca di ricondurlo alla ragione, questo qui va fermato», aveva detto Vezzier al Venerabile. Ma Gelli, che doveva averci già pensato da sé, aveva scosso la testa: «Non è uomo da poter facilmente controllare». Ivi, p.87.
150 Ibidem.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012/2013

Perché era vero che il capo della Loggia P2 conosceva il direttore della rivista “OP” Mino Pecorelli. Era una conoscenza nata dalla comune amicizia con il senatore Egidio Carenini, sottosegretario democristiano del ministero dell’Industria e del Commercio nel biennio 1974-1976, che lo stesso Gelli aveva ricordato nel 2006, quando ammise di vedere Pecorelli “tutte le settimane per una colazione: io, Mino e Carenini. Parlavamo di tutte le notizie che in quel momento potevano avere un particolare interesse. Pecorelli era una persona preziosa perché in caso di necessità avrebbe potuto aiutarci con la sua penna” <437.
Eppure Pecorelli, ucciso da mano ignota nel marzo del 1979, non aveva certo aiutato il capo della P2 “con la sua penna”. Basti pensare che dal gennaio 1979 “Osservatorio Politico” non aveva fatto altro che attaccare il Venerabile Maestro uscendo con articoli di inedita durezza. Era il caso del servizio su "Massoneria: finalmente la verità sul Venerabile della P2 - due volte partigiano". All’interno Pecorelli raccontava in esclusiva le mille vite di Gelli collaboratore dei fascisti e dei nazisti prima, doppiogiochista poi, partigiano infine. Inoltre, nell’ultima uscita di “OP” il 20 marzo 1979, Pecorelli pubblicava un dossier, "La massoneria: è ancora una cosa seria quella italiana?", in cui si denunciavano “attentati, stragi, tentativi di golpe, l’ombra della massoneria ha aleggiato dappertutto: da Piazza Fontana al delitto Occorsio, dal golpe Borghese alla fuga di Sindona” <438.
[NOTE]
437 S. Neri, Parola di Venerabile, Aliberti, Reggio Emilia, 2006.
438 L’articolo si trova in CP2, Servizi segreti, eversione stragi, terrorismo, criminalità organizzata, traffico di droga, armi e petroli, Pecorelli e l’agenzia O.P., 2-quater/VII, tomo XVI, p. 387-389.
Lorenzo Tombaresi, Una crepa nel muro: storia politica della Commissione d'inchiesta P2 (1981-1984), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2014/2015