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lunedì 30 gennaio 2023

Dal 6 dicembre 1943 al marzo 1944 Alba de Céspedes parlò agli Italiani da Radio Bari


Il titolo è volutamente impostato sui messaggi in codice per evocare quei messaggi speciali scanditi due volte da voci diverse, dal contenuto spesso ineffabile, eppure fondamentali per mettere in connessione una quantità di persone variamente situate, ma in attesa di un segnale, di una parola d'ordine che inneschi l'azione.
Messaggi in codice che esercitano ancora oggi una certa suggestione. La forza comunicativa dei messaggi di Clorinda e la sua voce a Radio Bari sono, per contro, tutt'altro che criptici, sgorgano con chiarezza e semplicità toccando le corde più intime degli ascoltatori, sollecitati dalla scrittrice, poetessa e giornalista italo-cubana, a condividere il suo cammino per costruire un nuovo comune sentire, un nuovo Paese libero.
Diverse sono le ragioni che mi hanno spinta a parlare di Alba de Céspedes nell'ambito del convegno di studi odeporici «1939-1945. Viaggiare nel mondo in guerra». Sicuramente per quel fascino ammaliatore e discreto, di una donna straordinarissima, di un'intellettuale raffinata ed arguta eppure donna capace di semplicità essenziale.
Nell'Italia che si muove, si sposta, si mobilita, smobilita, fugge alla ricerca di nuovi approdi nello spazio geografico dei luoghi sopravvissuti, nello spazio della politica devastata, nello spazio dell'etica individuale e collettiva da rigenerare e rigenerata, esito dell'atroce esperienza fascista, non poteva che esserci l'esperienza odeporica di Alba de Céspedes: anche lei (peraltro vissuta davvero tra i due mondi) si mette in cammino come i tanti che brulicano visibili e invisibili nei giorni della Resistenza, della conquista della libertà per il popolo intero e per le generazioni future.
[...] Percepire la realtà con le sue urgenze etiche e sentirsi la responsabilità di agire per la realizzazione di un disegno comune di libertà e di rinnovamento, sono tratti della personalità di Alba de Céspedes che mi richiamano altri protagonisti della Resistenza, veraci, spontanei, forti di animo e di convinzioni. 'Quegli anonimi viandanti che io ho avuto la fortuna di incontrare scandagliando la storia dei luoghi e delle persone a me vicini'. E questa è un'altra delle ragioni per avere scelto l'esperienza odeporica di Alba de Céspedes negli anni della guerra.
Le vicende vissute, e poi, con minore consapevolezza e timidamente raccontate, quelle che non hanno trovato spazio nella storiografia ufficiale, pur avendo fatto la differenza nel dipanarsi della Storia, in Alba trovano una degna narrazione, una degna agnizione nel teatro degli eventi.
La sua autobiografia passa nelle tre forme di scrittura: la letteratura, i diari e l'archivio, attraverso cui esprime componendo, come con le note di un pentagramma, un'armoniosa melodia che racconta se stessa mentre racconta il mondo e la sua teleologia.
Così la fuga per sentieri impervi, nelle terre d'Abruzzo e poi l'approdo in Puglia oltre il fronte, guadando il Sangro, richiamano ineluttabilmente altri drammatici racconti. Quello, essenziale, scarso di parole, ma altrettanto forte e hiaro, inconsapevolmente evocativo di emozioni potenti, di Vito Camaiani, ad esempio, il giovane acquasantano, quando risale dalla Puglia verso Ascoli, dopo lo sbando del suo battaglione, all'indomani dell'otto settembre. Oppure della generosità dei contadini piceni, che nella terribile povertà non esitano a dividere il poco che hanno con i clandestini, rischiando la vita per se stessi, per le famiglie, anche lungo quella Rat line che porterà molti fuggiaschi verso la salvezza. Oppure il comandante Spartaco Perini, alpino della Divisione Julia, dalle gesta gloriose che guida l'insurrezione di settembre in Ascoli e organizza la banda di partigiani sul Colle San Marco, tra i primi episodi della Resistenza. Perini viene ingaggiato dal Pwb <6, traghetta il generale Dalla Chiesa con il Principe Ruffo di Calabria, da Martin Sicuro verso il Regno del Sud, entra nella compagine di Radio Bari e trasmette anche lui sulle onde della mitica radio dell'Italia Libera.
Alba de Céspedes è stata la voce intensa ed entusiasta di quell'Italia in cammino: combattenti militari e civili, esuli, profughi, perseguitati, prigionieri, donne e uomini. Tutti in cammino dietro l'utopia del cambiamento possibile, pur tormentati da mille paure, desideri, attese, sogni.
Dal caos di Roma tramortita dalla violenza tedesca seguita all'armistizio e dalla viltà della monarchia e del governo: "[...] Di notte segretamente noi lasciammo Roma. Sentivamo di difenderla per essere salvi noi stessi e lavorare per riscattarla, questo sacrificio era necessario. Dalla campagna, incamminandoci per insidiosi percorsi vedevamo ancora il profilo della nostra città e le grandi cupole delle chiese - La voce di Clorinda da Radio Bari: Miei cari ascoltatori, tra il nostro ultimo incontro e questo di stasera [...]" <7
La descrizione dei luoghi che l'accolgono durante la prima parte della fuga, fino al passaggio del fronte e il guado del fiume Sangro, è carica; rivela una specie di affinità elettiva con topos e persone, che è avulsa dal tempo e dalle esperienze antecedenti. È e basta. Con richiami di memorie e intese immediate. Due mesi in Abruzzo, da Casoli a Gessopalena e poi a Torricella Peligna. Alba con il suo Franco e gli altri compagni attraversa i paesi abruzzesi nel fango, a piedi o su carri tirati da mucche, trova rifugio nelle case, nelle stalle o nelle grotte, o in buche scavate nei boschi e ricoperte di rami.
[...] Dopo i giorni in Abruzzo lei e i suoi compagni vengono invitati a raggiungere Bari dove un gruppo di intellettuali pugliesi ha ingaggiato una vera e propria «guerra per onde». Le antenne della stazione barese dell'EIAR <11 sopravvissute alla furia distruttiva tedesca sono adesso uno strumento portentoso per collegarsi con il resto del Paese e con l'Europa. Radio Bari è la prima radio libera del Continente che va liberandosi. Captando Radio Londra essa trasmette i messaggi di Roosevelt e Churchill. I tedeschi cercano di disturbarne il segnale da Radio Berlino. L'VIII Armata affida al Maggiore Ian Greenlees, un ufficiale illuminato e colto, attraverso il Pwb Dipartimento della Guerra Psicologica, la gestione dei palinsesti per evitare che subiscano condizionamenti da parte dei nuovi capi: Badoglio e il re utilizzano Radio Bari per diffondere proclami che giustifichino la fuga da Roma e diano conto di un nuovo corso democratico, aspirando ad un nuovo consenso <12.
Alba De Céspedes giunge a Bari il 28 novembre 1943, viene ingaggiata dal Commissario per le Informazioni Filippo Naldi. Diventa Clorinda, il nome è della guerriera travestita da uomo, amore sventurato di Tancredi <13. Le viene affidata la direzione di 'L'Italia combatte', una striscia quotidiana, diremmo oggi, che ha lo scopo di coordinare le diverse organizzazioni partigiane, le migliaia di soldati italiani prigionieri nei vari paesi occupati dai nazisti, e di connettere tutti gli Italiani intorno agli ideali di liberazione.
All'interno di 'L'Italia Combatte' vengono trasmessi i sibillini messaggi speciali ripetuti due volte in sequenze per lo più di undici: «Martino non parte - La messa è finita - Le sorbe sono acerbe - Riempite la borsa - La gavetta è vuota».
Tra le voci vi sono quella di Arnoldo Foà e di Anton Giulio Majano e di tanti altri, nascosti dietro nomi di battaglia.
La voce di Clorinda è la trasmissione di Alba: i suoi messaggi sono molto coinvolgenti, il suo codice è quello del calore umano, della vicinanza fraterna e della riconoscenza per quanto gli Italiani stanno facendo. Così a rileggere le veline di quelle trasmissioni si finisce trasportati dentro quel tempo e quei luoghi da sentirsene parte.
Gli incontri, le tante persone speciali che corrono sulle onde sonore di Radio Bari, lungo tutto il Paese, stigmatizzano la miseria dei potenti che giocano, protetti nelle loro residenze, con la vita degli uomini e la ricchezza di uomini e donne con le loro storie semplici e immensamente grandi al tempo stesso.
Dal 6 dicembre 1943 al marzo 1944 Clorinda parla agli Italiani da Radio Bari. Poi si trasferisce a Napoli, quando la capitale del Regno del Sud passa a Salerno e Radio Bari viene smantellata dal Comando Alleato e diventa Radio Napoli.
Clorinda continua a parlare ai «suoi cari ascoltatori», a raccontare ciò che sta accadendo, a metterli in guardia dalle illegittime pretese dei Tedeschi, a sollecitarli a vivere secondo la propria coscienza, trasgredendo quei divieti stampati su manifesti bianchi che si concludono sempre con l'angosciosa minaccia «fucilato» oppure «pena di morte». Invita ad agire secondo la morale della libertà ripristinata dalle leggi dell'Italia liberata.
I nove mesi del viaggio della Resistenza diventano romanzi i cui protagonisti descrivono la parabola interiore della donna, dell'intellettuale, della partigiana: dall'entusiasmo incosciente, alla matura cosciente partecipazione, alla delusione/disillusione, fino al desiderio di raccontare un'altra storia: l'epopea di Cuba e di Fidel Castro.
In 'Dalla parte di lei attraverso Alessandra', emerge un antifascismo ingenuo, istintivo, carico di entusiasmo e un coraggio derivante dall'incoscienza. 'Prima e dopo' è il ritratto di una partecipazione definita e razionale. 'Il rimorso', considerato da Alba il suo romanzo migliore, affronta da ottiche diverse la crisi delle certezze resistenziali e dei valori in esse contenuti che non hanno trovato compimento nel mondo che ne è scaturito. L'opera incompiuta, 'Con gran amor', dedicato alla sua Cuba e all'eroico nonno, ha lo sguardo avvilito: i protagonisti di allora nella democrazia costruita vedono spegnersi i loro ideali.
L'entusiasmo degli anni dolorosi e creativi della guerra svanisce per sempre come un sogno al risveglio.
Nel 2011 la Mondadori ha pubblicato un volume de «I Meridiani» dedicato ad Alba de Céspedes, curato da una delle sue più profonde conoscitrici: Marina Zancan. L'ingresso nell'Olimpo della letteratura mondiale è, finalmente, il riconoscimento più degno per una grande protagonista della cultura del Novecento.
[NOTE]
6 PWB, Psychological Warfare Branch, è l'ufficio alleato preposto al controllo del settore stampa e propaganda anche nei paesi occupati, garantisce almeno per un periodo, la divulgazione e la correttezza delle informazioni attraverso i mezzi di comunicazione e di propaganda e quindi anche di Radio Bari.
7 L. De Crescenzio, La necessità della scrittura Alba de Céspedes tra Radio Bari e «Mercurio»(1943-1948), Bari, Stilo Editrice, 2015, p. 62.
11 EIAR sin dal 1927 quando furono installate potenti antenne allacciate alla rete nazionale, il regime colse la sua vocazione di ponte con il Levante e con il Mediterraneo per la diffusione della propaganda fascista, entrò in funzione nel 1932, con programmi musicali e di cultura fascista ingaggiati intellettuali di chiara fede e anche alcune donne (Wanda Bruschi Gorjux la Medusa del giornalismo). Dal 1933 iniziarono programmi in lingua albanese, e successivamente nelle altre lingue slave. Le trasmissioni in Arabo furono cruciali per la connessione con lo scacchiere coloniale dell'Italia che cercava di costruirsi la reputazione del Paese buono, pronto a proteggere e indispensabile per il progresso. Filoarabismo nutrito di forte antisemitismo e di una reticenza omissiva e bugiarda anche rispetto allo svolgimento dei fatti bellici raccontati nell'ottica dell'asse italo-tedesco e quindi mendace su alcune sconfitte decisive in Africa.
12 A.Rossano, 1943: «Qui radio Bari», Bari, Dedalo, 1993.
13 Carroli, Appendice. Colloqui con Alba de Céspedes, cit., p. 142.
Rita Forlini, Alba De Céspedes a Radio Bari: i messaggi in codice e la voce di Clorinda in (a cura di) Marco Severini, Viaggiare nel mondo in guerra (1939-1945), Marsilio, 2019

domenica 22 gennaio 2023

L’ascendente che suscitavano gli Stati Uniti sulla popolazione siciliana


Nel 1948 il già forte legame tra mafia e politica conosce ulteriore sviluppo al momento delle elezioni politiche del 18 aprile. Quel giorno, infatti, i cittadini italiani furono chiamati ad eleggere il primo parlamento della Repubblica. Il risultato che sarebbe uscito dalle urne avrebbe condizionato la vita politica e sociale italiana per molti decenni. Non si trattava, infatti, soltanto di votare i rappresentanti da eleggere al parlamento o il partito in cui ci si riconosceva; si trattava di scegliere chi avrebbe guidato l’Italia nata dalla Resistenza per gli anni a venire ed a quale dei due blocchi contrapposti (Stati Uniti o Unione Sovietica) dover fare affidamento. I partiti che si presentarono alle elezioni (su tutti Democrazia Cristiana e Fronte Popolare, composto da PCI e PSI) non portarono avanti un dibattito politico sui programmi, ma impostarono la campagna elettorale su una scelta quasi referendaria tra l’alternativa comunista sovietica e quella democratica statunitense.
Nel 1948 la divisione tra occidente e oriente era già un fatto compiuto: si trattava di decidere da che parte stare. Da un lato, l’Unione Sovietica il cui intervento in Cecoslovacchia si era concluso con un colpo di stato; dall’altro gli Stati Uniti il cui intervento in Italia non fu meno deciso, ma si concretizzò in maniera più democratica e nel rispetto dell’indipendenza italiana. Gli Stati Uniti intervennero con aiuti alimentari concreti previsti dal cosiddetto piano Marshall. Dalle città americane, inoltre, arrivarono numerose lettere spedite dagli italo americani d’oltreoceano con le quali si invitava i familiari e gli amici a non votare per il Fronte Popolare legato a doppio filo alla dittatura comunista dell’Unione Sovietica.
Importanti rappresentanti statunitensi in Italia, inoltre, controllavano che gli aiuti inviati dall’America arrivassero a destinazione e venissero impiegati nel miglior modo possibile; è questo il caso dell’ambasciatore americano a Roma James Dunn che faceva letteralmente su e giù per l’Italia per accogliere le navi piene di generi alimentari e medicine che attraccavano nei vari porti. Nel caso in cui il messaggio di votare per la Democrazia Cristiana inviato attraverso gli aiuti materiali non fosse stato abbastanza chiaro, George Marshall (l’ideatore del piano omonimo) ammonì che una eventuale vittoria comunista avrebbe di fatto sospeso tutti gli aiuti all’Italia <247.
L’aiuto alla causa della Democrazia Cristiana provenne anche dalla Chiesa cattolica, che, oltre a lanciare condanne ed anatemi contro il comunismo, mobilitò la pietà popolare ed arrivò a sconfinare nella superstizione e nel fanatismo religioso, minacciando che chi avesse votato per il Fronte Popolare non sarebbe stato ammesso nel “regno dei cieli” <248. Per ribadire il concetto, il 17 marzo, ad un mese esatto dalle elezioni, il cardinale americano Spellman dichiarò: “Tra un mese, quando l’Italia sceglierà il suo governo, non posso credere che il popolo italiano... sceglierà lo stalinismo contro Dio, la Russia sovietica contro l’America, quest’America che tanto ha fatto e che è pronta e desiderosa a fare ancora di più se l’Italia rimane una nazione libera, amica e senza catene” <249.
Con tali presupposti la vittoria della Democrazia Cristiana era quasi inevitabile; ciò che però fu sorprendente fu l’entità della vittoria stessa. La DC non vinse, ma stravinse. Raggiunse quasi la maggioranza assoluta e fu un evento talmente eccezionale che, nella storia del partito, quel risultato fu considerato come un vero e proprio miraggio; fu intravisto in altre occasioni elettorali, ma non fu mai più conseguito.
I cittadini italiani che votarono per le elezioni politiche del 18 aprile 1948 alla Camera dei Deputati furono 29.117.554, di questi si recarono alle urne 26.855.741, cioè il 92,23 %; una partecipazione elettorale imponente. Le schede nulle furono 591.283 (un numero irrisorio se si considera il numero dei votanti). La DC ottenne 12.740.042 voti, pari al 48,51 % e 305 seggi. Il Fronte Popolare alla Camera, ottenne 8.136.637 voti, pari al 30,98% e 183 seggi. Si suddivisero i restanti seggi; l’Unità Socialista, il Blocco Nazionale, il Partito Nazionale Monarchico, il Partito Repubblicano ed il Movimento Sociale <250. Al Senato, gli aventi diritti erano 25.874.809, di questi votarono in 23.842.919, cioè il 92,15%, le schede nulle furono 1.185.629. Qui, la DC ottenne 10.899.640 voti pari al 48,11% e 131 seggi. Il Fronte Popolare ottenne 6.969.122 voti, cioè il 30,76% e 72 seggi <251. Anche qui gli altri seggi vennero distribuiti tra le altre forze politiche che avevano concorso anche per la Camera.
I numeri parlano da soli: la vittoria della DC fu schiacciante sotto tutti i punti di vista. Non vi fu circoscrizione elettorale (escluse quelle storicamente in mano alle forze di sinistra) in cui la DC non ottenne la maggioranza dei voti espressi.
Conseguita quella straordinaria vittoria elettorale, la Democrazia Cristiana dovette fare i conti con la presenza ingombrante delle forze di sinistra che, erano state sì sconfitte, ma non erano state annientate del tutto. Sorse così il problema di “come comportarsi” nei confronti di comunisti e socialisti. La grande influenza esercitata dagli Stati Uniti e dalla Chiesa cattolica per il conseguimento del risultato elettorale finale faceva presagire una estromissione totale delle forze di sinistra da tutti i centri di potere. Gli Stati Uniti erano assolutamente contrari ad un inserimento di comunisti e socialisti nel governo democristiano e contraria lo era la stessa DC che, da quel momento in poi, diede vita ad una serie di governi cosiddetti monocolore in cui le forze di sinistra non trovarono mai alcuno spazio. Si tendeva sostanzialmente a privare comunisti e socialisti (in misura maggiore i comunisti) di qualsiasi legittimazione politica e si negava loro il diritto di poter divenire, un giorno o l’altro, maggioranza politica del paese <252.
La situazione non fu diversa nemmeno in Sicilia: in tutte le province dell’isola i democristiani ottennero molti più voti rispetto al Fronte Popolare. In Sicilia la DC ottenne il 47,87 % dei voti, raggiungendo un risultato più che doppio rispetto al 21 % delle elezioni regionali del 1947. I deputati siciliani alla Camera furono ventotto e dodici i senatori <253. La provincia che più delle altre appoggiò la DC fu quella di Catania in cui il partito dello scudo crociato ottenne il 56,28 % dei voti <254; oltre che in quella provincia, la DC superò il 50 % anche nelle province di Agrigento (53,09 %), Enna (52,07 %) e Caltanissetta (51,35 %).
Minori consensi furono invece riservati alla Democrazia Cristiana nella zona occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani infatti il partito ottenne “solo” il 36,01 % e nelle altre province si attestò tra il 40 ed il 45 % <255. La grande mole di voti che confluì nella DC proveniva in larga parte dal ridimensionamento della destra: il Partito monarchico ottenne infatti solo l’8,89 %, il Blocco nazionale il 7,89 % ed il Movimento sociale il 3,15 %. Oltre alla grande affermazione della DC, quelle elezioni segnarono, in Sicilia, la definitiva scomparsa del Movimento per l’indipendenza che non prese parte alla competizione elettorale. Alla grande affermazione della DC, non fece, però, da contraltare una totale disfatta del Fronte Popolare; questo infatti, seppur lontano dai livelli del 1947 (quando aveva ottenuto il 30 % e la maggioranza relativa), si attestò al 20,89 % tornando indietro di due anni e raggiungendo il risultato conseguito nelle elezioni della Costituente del 2 giugno 1946. Il risultato elettorale, non certo entusiasmante, del Fronte Popolare si concretizzò sostanzialmente nelle aree urbane dove prevalsero (confermandosi rispetto ai risultati del passato) i blocchi clerico-moderati di centro destra. In diverse città isolane, infatti, il Fronte riuscì a conseguire molti meno voti rispetto alla DC; ad esempio, a Catania il Fronte ottenne 19.789 voti contro i 68.876 della DC, o ancora, a Palermo il blocco delle sinistre conseguì 26.655 voti contro i 97.820 della DC e addirittura meno del Partito monarchico che ne ottenne 40.113 <256.
Se a livello nazionale la propaganda pro DC fu portata avanti dall’attuazione del piano Marshall e dagli uomini più importanti della Chiesa cattolica; in Sicilia, l’America e gli americani presenti sull’isola svolsero un’influenza molto particolare sugli elettori. Sin dallo sbarco alleato del luglio 1943 molti siculo-americani erano già presenti nell’isola ed attivi in maniera capillare per tenere alto quel già grande consenso di cui godevano gli americani. In pratica, non vi era famiglia siciliana che non avesse un parente, un amico o, in extremis, un vicino di casa che non si trovasse al di là dell’oceano.
In merito all’antagonismo tra America e Russia; molti siciliani, tornati in patria, erano loro stessi stati in passato in America ed avevano sempre cullato il sogno di tornarci prima o poi. In Russia, invece, non c’era mai stato nessuno e nessuno forse sperava di andarci, neanche gli stessi comunisti. L’ascendente che suscitavano gli Stati Uniti sulla popolazione siciliana era di gran lunga superiore a quello dell’Unione Sovietica la cui ideologia politica, nell’immaginario collettivo, metteva in pericolo tutto ciò che di più caro vi era nella società siciliana: la famiglia, la religione, la proprietà e addirittura la democrazia stessa <257.
Archiviata la netta vittoria democristiana, l’amministrazione regionale, così come quella nazionale, si trovò a dover risolvere il dilemma sulle sorti delle forze di sinistra uscite sconfitte dalle urne; nell’isola, però, per certi aspetti, il problema era più ampio di quello nazionale, qui, infatti, oltre al problema delle sinistre, molto girava attorno all’applicazione delle due “costituzioni”, cioè della Costituzione nazionale e dello Statuto di autonomia regionale. La realtà siciliana dovette cambiare sotto un duplice aspetto, sia in rapporto a se stessa (in virtù della Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948), sia in rapporto alla società nazionale (sempre in virtù della Costituzione e dello Statuto regionale).
L’emarginazione sociale e politica cui furono relegati i comunisti fu feroce e decisa in Sicilia come nel resto d’Italia. Senza correre il rischio di esagerare, si può tranquillamente affermare che la popolazione fu letteralmente divisa in due categorie, i “buoni” (coloro che avevano votato per la DC) da un lato ed i “cattivi” (coloro che avevano appoggiato il Fronte Popolare) dall’altro. Tale divisione non aveva ovviamente i crismi dell’ufficialità, ma era forte nella popolazione il sentore di ciò che stava accadendo. I “cattivi” furono privati delle libertà politiche e civili fondamentali, molti addirittura della vita stessa. L’intervento discriminatorio più deciso fu quello inerente la revoca della libertà di associazione, di riunione, di circolazione e di stampa. Il diritto di sciopero fu quello più calpestato; non vi fu manifestazione che non suscitasse la disapprovazione o il malanimo delle autorità costituite e che non si concludesse con diffide o minacce per i manifestanti o gli scioperanti. Anche il diritto di associazione fu precluso ai militanti comunisti; il partito fu posto ai margini della legalità ed i suoi iscritti furono registrati e vigilati dalle forze dell’ordine in nome del pubblico bene. Un pensiero di Piero Calamandrei, che analizzava la situazione italiana, può essere riportato indistintamente per quella siciliana; egli affermò: “Le libertà civili e politiche non hanno più lo stesso significato per tutti i cittadini… La discriminazione contro i comunisti si è pian piano allargata contro tutti i ‘malpensanti’, contro tutti i ‘sovversivi’” <258.
Quella “caccia alle streghe”, fortunatamente, non raggiunse mai (salvi casi isolati ed eccezionali) dei livelli tali da far venire meno i principi basilari di una democrazia, né in quella “guerra” intervennero privati cittadini accecati dall’odio per i nemici di Dio e della democrazia. Fu lo Stato che, attraverso i suoi organi, si arrogò il compito di perseguitare i “cattivi”. Lo Stato si mantenne sempre entro certi limiti e non furono rari i casi in cui gli stessi persecutori manifestarono ampia e piena solidarietà nei confronti dei perseguitati, il tutto a dimostrare che, nonostante l’avversione generalizzata nei confronti di coloro che erano vicini a determinati ideali, esistevano ancora delle ampie fette di popolazione che credevano e lottavano per una democrazia vera e compiuta.
La “guerra” assunse dei toni molto accesi in Sicilia. Come si è detto, dopo le elezioni regionali dell’aprile 1947, la situazione in Sicilia fu praticamente insostenibile; decine di morti ammazzati per mano della banda Giuliano e della mafia al fine di stroncare sul nascere l’avanzata della “canea rossa”.
[NOTE]
247 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., p. 152.
248 F. Renda, Storia della Sicilia, cit., p. 287.
249 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., p. 153. Si veda inoltre a tal proposito, F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, pp. 119-128, in AA. VV., Storia dell’Italia Repubblicana, vol. 1 La costruzione della democrazia, Einaudi editore, 1994, Torino ed inoltre, F. Barbagallo, L’Italia repubblicana, Dallo sviluppo alle riforme mancate (1945-2008), Carocci editore, 2009, Roma, pp. 29-31.
250 Ministero dell’Interno, Archivio storico delle elezioni, Risultati elezioni nazionali 18 aprile 1948, Camera dei Deputati, in http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
251 Ministero dell’Interno, Archivio storico delle elezioni, Risultati elezioni nazionali 18 aprile 1948, Senato della Repubblica, in http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=S&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
252 F. Renda, Storia della Sicilia, cit., p. 290.
253 Ministero dell’Interno, Archivio storico delle elezioni, Risultati elezioni nazionali 18 aprile 1948, dati Sicilia, in http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=S&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=R&lev0=0&levsut0=0&lev1=19&levsut1=1&ne1=19&es0=S&es1=S&ms=S
254 La netta vittoria della DC nella provincia di Catania può essere spiegata, tra le altre motivazioni, con il fatto che quella fosse la provincia di nascita e di crescita politica di don Luigi Sturzo, fondatore nel 1919 del Partito Popolare portatore e precursore degli ideali che sarebbero stati sposati dalla DC nel 1942.
255 Ministero dell’Interno, Archivio storico delle elezioni, Risultati elezioni nazionali 18 aprile 1948, dati Sicilia, in http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=I&lev0=0&levsut0=0&lev1=29&levsut1 =1&ne1=29&es0=S&es1=S&ms=S, si veda inoltre a tal proposito, F. Renda, Storia della Sicilia, cit., p. 288.
256 F. Renda, Storia della Sicilia, cit., p. 289
257 Ivi, p. 288.
258 P. Calamandrei, Scritti e discorsi politici, Vol. 2, in F. Renda, Storia della Sicilia, cit., p. 291.
Agostino Amato, Mafia e politica tra lo sbarco alleato e la fine degli anni ’50, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2013/2014

mercoledì 18 gennaio 2023

La visione aperturista di Gronchi continuava a destare grandi preoccupazioni a Washington


Nel 1961 l’Italia era in pieno boom economico. Grazie agli sforzi interni, agli aiuti americani e alla progressiva integrazione del mercato europeo, il nostro Paese si stava lasciando alle spalle le fatiche dell’immediato dopoguerra. Proprio in quell’anno, in occasione del centenario dell’unità, l’ex ambasciatrice Clare Boothe scrisse un articolo pubblicato su «Foreign Affairs»: 'Italy after one hundred years'. Pur non mancando di sottolineare il cammino fatto, ricordava alcuni problemi strutturali di natura politica:
"Dal punto di vista economico e culturale, l’immagine dell’Italia è luminosa. Ma dal punto di vista politico, il paesaggio si fa tetro e pieno di sorprendenti paradossi. I cittadini italiani oggi godono della libertà di movimento, di associazione, di parola, di religione, e dell’uguaglianza di fronte alla legge, tutte garantite dalla costituzione democratica. Ciononostante, continuano a sostenere partiti politici il cui obiettivo dichiarato è cambiare - o progressivamente o, se si presenta l’occasione, con la rivoluzione - non solo la politica di governo, ma la struttura di fondo dello Stato. Il conflitto parlamentare creato da questi partiti accelera le crisi di governo e la cronica instabilità governativa. Pur essendo tra le nazioni più cattoliche e sede del Vaticano, l’Italia ospita l’unico partito dichiaratamente fascista d’Europa e il più grande partito comunista del mondo al di fuori della cortina di ferro. E una piccola percentuale della sua popolazione vuole la restaurazione della Monarchia in esilio. Quali sono le spiegazioni, si chiedono gli amici dell’Italia, di questi straordinari paradossi politici? […] L’attuale confusione deriva dall’infelice fatto storico che il popolo italiano non ha mai avuto una preziosa tradizione di governo veramente democratico" <1.
Dopo un quindicennio dalla fine del conflitto, lo scenario politico era ancora «tetro e pieno di sorprendenti paradossi». Un giudizio del genere, benché formulato a ridosso degli eventi, sintetizza bene gli altalenanti risultati della politica americana verso l’Italia e, in particolare, verso la destra negli anni Cinquanta.
Sono tre le principali direttrici emerse: la scarsa fiducia nella predisposizione alla democrazia degli italiani; la duplice sfida, affrontata dagli Usa senza venir meno alla pregiudiziale democratica, di un Pci molto forte e di una minaccia neofascista; il fraintendimento reciproco tra americani e destre.
Il primo elemento che emerge con una certa continuità è il pregiudizio “antropologico” negativo sugli italiani. Per gli osservatori statunitensi era inconcepibile che il popolo italiano, liberamente, votasse in massa per dei partiti da loro considerati totalitari. Dopo vent’anni di dittatura, un tale comportamento veniva letto quasi come una confessione dell’incapacità di governarsi da sé e, dunque, della propria inclinazione all’autoritarismo. Una spiegazione ricorrente era che il nostro Paese facesse parte di quel gruppo di Stati che, a causa della loro «natura latina», soffrivano di «instabilità sociale, politica ed emotiva» <2. Il pericolo che l’Italia passasse dal fascismo al comunismo e il rischio di una collaborazione tra gli estremismi andavano a consolidare pregiudizi diffusi. Alimentando, così, sia la frustrazione per gli scarsi risultati raggiunti che la sfiducia - a volte in maniera eclatante, altre meno - nella predisposizione alla democrazia degli italiani, nei bizantinismi del nostro sistema politico e in una società ritenuta feudale <3.
Porre l’accento sullo scarso senso civico e sull’endemica mancanza di responsabilità altrui era anche un modo per procurarsi un alibi. A fronte di una situazione politica complessa, all’interno dell’amministrazione Usa non pochi erano gli orientamenti contraddittori che impedivano una linea d’azione unitaria <4. L’eterogeneità interna agli organi statunitensi presenti sul territorio - ambasciata, consolati, sezione operativa della Cia e Usis - si inseriva in una catena decisionale complessa.
Com’è stato rilevato, la politica estera americana è caratterizzata da un pluralismo e da una frammentazione che rendono difficile individuare un trend coerente e organico <5. Non mancarono, talora, interpretazioni assai approssimative. Tra queste, le più clamorose sono state il timore eccessivo legato all’elezione di Gronchi, l’attenzione spropositata per il “caso Milazzo” in Sicilia e la generale sopravvalutazione dei monarchici.
In secondo luogo, la lotta al (neo)fascismo è stata una priorità nell’agenda di Truman e di Eisenhower, tanto quanto la battaglia anticomunista. Schematicamente, la storiografia ha individuato due approcci, spesso tra loro intrecciati, con cui gli Stati Uniti si sono accostati al “socialcomunismo” <6. Da un lato quello che, considerando arretratezza economica e sovrappopolazione le cause del successo delle sinistre, insisteva sulla necessità di riforme. Dall’altro quello repressivo, che sottintendeva la natura eversiva ed eterodiretta del comunismo italiano <7. L’attività di Clare Boothe Luce a Roma è stata identificata, di solito, con il tentativo sistematico di applicare il secondo approccio <8. Dalla documentazione consultata, però, non si può trarre una conclusione simile. In numerose occasioni vennero avanzate chiaramente richieste di riforme e di una maggiore responsabilizzazione degli italiani.
La minaccia comunista non ha implicato in alcun modo una compromissione con il neofascismo <9. Nel Nsc 5411/2, documento-base per la politica americana verso l’Italia, il Msi veniva definito «un potenziale pericolo». Non si faceva scrupoli a «collaborare con i comunisti per imbarazzare e indebolire il centro». Nonostante lo stemperamento dei suoi caratteri più intransigenti, secondo i funzionari Usa il partito rimaneva «violentemente antioccidentale, antiamericano e anti-Nato» <10, favorevole all’autarchia economica e oppositore dell’attuale forma democratica di governo. Il continuo tentennare di fronte alla Ced - fortemente voluta a Washington - era interpretato in questo senso.
In seguito al ritorno di Trieste all’Italia il Msi non poteva più farsi interprete di un tema di sicuro appeal per l’elettorato, riducendo, così, il suo già scarso credito verso gli americani. Peraltro, a partire dal ’56 l’attenzione degli Usa si era spostata su socialisti e socialdemocratici, aggravando il progressivo disinteresse verso la destra. Con il disinteresse non venne meno la diffidenza. Basti pensare che la fiducia al governo Tambroni venne giudicata un episodio assai preoccupante, e non il culmine della politica dell’inserimento. Anche perché la strategia di Michelini non venne affatto compresa dagli osservatori americani di Roma e Washington. Si può affermare, quindi, che gli Stati Uniti non fornirono aiuti di alcun genere ai neofascisti.
Il rapporto con le destre - terzo e ultimo punto - è quello che più ha evidenziato i limiti interpretativi americani. Contemporaneamente, ha fatto emergere le velleità sia della destra politica che di quella “impolitica”.
Dopo il mancato raggiungimento del premio di maggioranza nel 1953 - che naturalmente avrebbe evitato problemi di allargamento della base democratica - il risentimento degli Stati Uniti nei confronti della Dc aumentò esponenzialmente. Troppo soft nella lotta al comunismo, troppo succube della Chiesa cattolica e poco saldo nel difendere il libero mercato dalle tentazioni stataliste, il partito di De Gasperi e Fanfani era ormai lontano dai successi del ’48. I contatti dell’ambasciata con la destra vanno letti nel quadro della generale delusione provocata dalla Dc.
Al centro dei colloqui con Covelli e Lauro c’era la possibilità di costruire una destra democratica, occidentale ed europeista. Il voto di fiducia e il sostegno a provvedimenti decisivi come la Ced ne avrebbero accelerato l’evoluzione. Come si è visto, l’ambasciatrice tentò a più riprese di favorire i consensi del Pnm per i traballanti governi centristi o di favorire, con la dovuta cautela, la nascita di un nuovo partito alla destra della Dc. Tuttavia, un’apertura alla destra monarchica così com’era - nostalgica, antimoderna e visceralmente ostile al quadripartito - non interessava <11. La mancata evoluzione in senso democratico ed europeista del Pnm, timoroso di perdere il proprio elettorato nostalgico, indispettì i funzionari dell’ambasciata. I monarchici, inoltre, erano irritati per la scarsa attenzione ricevuta dagli Usa, sia dal punto di vista finanziario che propagandistico. Secondo Lauro e Covelli, gli Stati Uniti avrebbero dovuto essere entusiasti di sostenere e sponsorizzare un partito connotato da un acceso anticomunismo.
Dopo la scissione del 1954, com’è noto, il potere contrattuale delle due formazioni diminuì. E l’approccio degli Usa si fece più pragmatico. Esaurite le speranze di una destra di ampio respiro - sia territoriale che ideale - monarchici (e missini) tornavano utili solo per intercettare voti estremisti. Dovevano rimanere, quindi, confinati al Sud e rimarcare la propria nostalgia della Corona e del passato regime. Analizzando la copiosa documentazione prodotta dall’ambasciata, si può dire che i contatti coi monarchici fossero volti a cercare una maggiore stabilità e non, semplicemente, a riacutizzare lo scontro <12.
[NOTE]
1 C.B. Luce, Italy after one hundred years, «Foreign Affairs», vol. 39, n. 2, january 1961, p. 225.
2 Sono parole di Dean Acheson, Segretario di Stato durante la Presidenza Truman, si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli Usa e la Dc negli anni del centrismo (1948-1955), Carocci, Roma, 2001, p. 113. Riflessioni interessanti anche in A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, La Nuova Italia, Firenze, 1996, pp. 79-80. Altri esponenti di primo piano che hanno espresso considerazioni simili sugli italiani sono stati George Kennan, si veda M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., p. 23; Ellsworth Bunker, si veda E. Bunker to C.B. Luce, July 11, s.d., LOC, CBLP, Box 610, f. 2 Buc-Buo 1954; Clare Boothe Luce, si veda soprattutto C.B. Luce to A. Dulles (Director, CIA), March 12, 1954, LOC, CBLP, Box 611, f. 3 Do-Du 1954.
3 Sfiducia peraltro ben presente in influenti personalità di matrice comunista e azionista, si vedano C. Novelli, Il partito d’azione e gli italiani, La Nuova Italia, Firenze, 2000, pp. 235-236; E. Galli della Loggia, La perpetuazione del fascismo e della sua minaccia come elemento strutturale della lotta politica nell’Italia repubblicana, in E. Galli della Loggia, L. Di Nucci (a cura di), Due nazioni. Legittimazione e delegittimazione nella storia dell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 234 e 245-246.
4 Paradigmatico, in questo senso, è stato il questionario inviato nel ’53 ai consolati sparsi per l’Italia, si veda Capitolo II, paragrafo 4 e i documenti conservati in NARA, RG 84, CBL, Box 10, f. Personal.
5 Tra le tanti analisi si veda S. Fabbrini, L’America e i suoi critici. Virtù e vizi dell’iperpotenza democratica, Il Mulino, Bologna, 2005.
6 Nelle carte americane fino al 1956 Pci e Psi venivano equiparati: il termine “socialcomunismo”, a parte qualche relazione più dettagliata, era molto usato per comprendere socialisti, comunisti e altre organizzazioni che ad essi facevano riferimento.
7 Su questo si rimanda alla puntuale analisi di M. Del Pero, L’alleato scomodo, cit., pp. 285-291.
8 Esempi in S. Lupo, Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (1946-1978), Donzelli, Roma, 2004, p. 106; M. Del Pero, Anticomunismo d’assalto. Lettere di Indro Montanelli all’ambasciatrice Clare Boothe Luce, «Italia contemporanea», settembre 1998, n. 212, p. 634.
9 Compromissione ipotizzata, senza base documentaria, da P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò ad Almirante. Storia del Msi, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 111 e P.G. Murgia, Ritorneremo! Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1950-1953), Sugarco, Milano, 1976, p. 293. Non di una compromissione, ma di funzione aggregante dell’anticomunismo nei confronti della destra hanno scritto altri, tra cui M. Barbanti, Funzioni strategiche dell’anticomunismo nell’età del centrismo degasperiano 1948-1953, «Italia contemporanea», n. 170, marzo 1988, pp. 39-69. Nella medesima direzione vanno le considerazioni sulla costituzione formale (antifascista) superata da quella materiale (anticomunista), si veda F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia. Dalla caduta del fascismo agli anni Cinquanta, Einaudi, Torino, 1994, pp. 5-128.
10 Citazioni tratte da U.S. Policy toward Italy, Nsc 5411/2, April 15, 1954, disponibile in versione completa al sito:
http://galenet.galegroup.com/servlet/DDRS?page=1&img=.25&x=0&y=0&view=image&vrsn=1.0&slb=KE&locID=milano&srchtp=basic&ste=4&txb=neo+fascist&sortType=RevChron&c=1&opg=46&docID=286734. Utili in proposito le osservazioni di L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 21-22. Per un documento emblematico sulla netta chiusura ai missini si veda Memorandum of conversation, F. Marinotti (Snia-Viscosa), C.B. Luce, J. Engle (Third Secretary of Embassy), March 10, 1954, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’54.
11 È opinione anche di una personalità certo non vicina alle posizioni dell’ambasciata come Colby, si veda W. Colby, La mia vita nella Cia, Mursia, Milano, 1996, p. 86.
12 Su questo punto adottiamo una chiave interpretativa diversa da quella proposta da Nuti, secondo cui l’approccio dell’ambasciata - e in particolare della Luce - non era volto ad allargare la maggioranza, ma a mantenere l’avversario sotto pressione; si veda L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 18.

Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009/2010


La visione aperturista di Gronchi continuava a destare grandi preoccupazioni a Washington. A Gronchi si rimproverava di aver effettuato una “un’apertura a sinistra di fatto” in cui le sinistre avevano uno spazio sempre maggiore e la destra veniva relegata all’opposizione. Del Presidente della Repubblica venivano inoltre criticate le posizioni in politica estera: l’appoggio all’ingresso della Cina comunista nelle Nazioni Unite, il consenso alla tesi sovietica sulla neutralizzazione della Germania, la tendenza al neutralismo e l’insofferenza per le limitazioni imposte dagli Stati Uniti al commercio con i paesi sovietici <562. Per discutere dei problemi relativi all’instabilità del governo italiano e dei rapporti che legavano Dc e Psi, Gronchi fu invitato a Washington nel mese di febbraio. Nonostante le ripetute rassicurazioni sulla fedeltà atlantica, e nonostante le promesse americane sul finanziamento dello sviluppo del meridione, la visita non contribuì a ristabilire un clima di tranquillità tra i due paesi <563. Non convincevano infatti le teorie del Presidente rispetto all’apertura a sinistra della maggioranza, che secondo Gronchi doveva effettuarsi in modo minimale: ossia i partiti centristi e la Dc avrebbero dovuto sviluppare un programma riformatore in grado di attrarre i voti del Psi <564.
Un altro indice della prossima apertura a sinistra furono i risultati delle elezioni amministrative del 27 maggio, che chiarirono inequivocabilmente il posizionamento dell’elettorato italiano che, pur distaccandosi dal Pci, non rinunciava alle rivendicazioni di carattere economico e sociale fatte proprie della sinistra <565. Inoltre, nell’estate 1956 iniziò a concretizzarsi la scissione del Patto d’unità tra Pci e Psi, e l’avvicinamento di Nenni al Psdi di Saragat <566. A Washington si temeva tuttavia che il progetto autonomistico di Nenni fosse un “cavallo di Troia” del fronte popolare, voluto da Mosca e finalizzato a facilitare l’accesso al governo del Pci <567. Si temeva anche che i membri fuoriusciti dal Pci dopo il XX Congresso confluissero proprio nel Psi, modificando la natura del partito in senso sovversivo e rivoluzionario.
Era necessario imprimere una svolta alla politica statunitense nei confronti della lotta al comunismo in Italia attraverso la strategia del cosiddetto Ju-jitsu, più subdola della logica dell’ariete adottata fino a quel momento, basata invece su un attacco frontale alle sinistre italiane. Constatata l’inevitabilità di un progressivo spostamento a sinistra dell’elettorato, e quindi di un’apertura a sinistra della maggioranza, era necessario abbandonare gli attacchi diretti e le pressioni sul governo italiano <568. La situazione richiedeva una politica meno aggressiva e più sfumata del passato, che approfittasse dei punti deboli del nemico per indebolirlo fino a provocarne la scomparsa, mediante l’appoggio al riformismo moderato del governo <569. In riferimento al processo di unificazione del Psi, la nuova strategia non mirava a bloccarne gli sviluppi, ma piuttosto a fare in modo che avvenisse nelle migliori condizioni possibili dal punto di vista americano, in maniera non affrettata o poco chiara, e soprattutto al momento in cui il Psi fosse stato in grado di dimostrare la sua indipendenza da Mosca <570. In sostanza, bisognava abbandonare la linea della Luce, e intraprendere una strategia di apparente distacco, senza dare l’impressione di opporsi incondizionatamente all’ammissione di Nenni nell’ambito dei partiti rispettabili, ma anzi esercitando pressioni discrete volte a rallentare il processo di unificazione e ad adattarlo agli interessi statunitensi <571. Parte di questo nuovo corso furono il sostegno al processo di consolidamento del Psdi, per evitare il suo totale assorbimento da parte del Psi e come male minore, ma anche come garanzia contro le tendenze neutraliste del Psi e di certi altri esponenti della Dc <572. Contemporaneamente venne elargito un cauto supporto ad alcune componenti della destra moderata, come il Pm di Achille Lauro, e a quelle autonomiste dello stesso Psi. Furono inoltre attivati i consueti referenti sindacali italoamericani e i vari esponenti socialisti di diversi paesi europei, in modo che questi personaggi contrastassero l’ipotesi unitaria.
Nell’autunno 1956, in corrispondenza della duplice crisi del 1956 e dell’inizio del secondo mandato di Eisenhower, due elementi in particolare accelerarono il processo di revisione della politica statunitense in senso più ambiguo e meno diretto. Da un alto, la sostituzione dell’ambasciatrice Luce con James Zellerbach. Dal temperamento più moderato e meno ideologizzato della signora Luce, Zellerbach si distaccò progressivamente dalle iniziative intraprese da Clare Boothe Luce tornando a pratiche di diplomazia più ortodosse <573. Dall’altro, la nomina di Amintore Fanfani alla segretaria della Dc. A partire dalla sua visita a Washington nell’estate 1956, Fanfani divenne l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti in Italia in netta distinzione da Gronchi <574.
Indubbiamente fece parte degli effetti della duplice crisi di ottobre anche un orientamento a rafforzare i legami tra Italia e Stati Uniti sul piano degli apprestamenti difensivi. Il 28 novembre 1956 il Sifar di De Lorenzo strinse un accordo segreto con il Servizio segreto americano per la costituzione una rete Stay Behind, S/B, che in Italia prese il nome di Gladio. Gladio nacque come organizzazione clandestina destinata ad entrare in azione nel caso di occupazione del territorio italiano, con compiti di informazione, sabotaggio, guerriglia e propaganda <575. L’accordo italo-statunitense sull’attivazione di Gladio fissava gli impegni reciproci tra i due servizi. L'Italia avrebbe messo a disposizione le basi, gli uomini e il supporto sul campo. Fra gli impegni assunti dal servizio americano vi era invece quello di fornire gran parte dei finanziamenti e degli armamenti. Da parte italiana erano a conoscenza dell’accordo l’allora Ministro della Difesa Taviani, il Presidente della Repubblica Gronchi, il Presidente del Consiglio Segni, il Vicepresidente del Consiglio Saragat ed il Ministro degli esteri Martino. All’oscuro dell’esistenza della rete di S/B era invece il Parlamento, sulla base della natura “settoriale” dell'accordo, della riservatezza della materia e dall'analogo comportamento tenuto dai governi di Inghilterra e Francia <576. Gladio non fu l’unico tentativo di creare un apparato da attivare in caso invasione, con il sostegno organizzativo e finanziario della Cia. Nello stesso anno, il Ministro dell’Interno Tambroni aveva creato un ufficio interno alla Divisione Affari Riservati del Viminale, incaricato di portare a termine un’operazione di schedatura di uomini politici e altre personalità <577. Sempre nel 1956, il Ministro della Difesa Taviani aveva invitato gli americani a stanziare nuove divisioni in Italia, e a creare un nuovo comando Nato di stanza a Venezia <578.
Nell’ottobre 1956, in previsione dell'imminente passaggio alla fase operativa della programmazione S/B, all'interno dell'Ufficio «R» del Sifar fu costituita la sezione Sad (Studi ed addestramento).
La tendenza a rafforzare la cooperazione militare tra i due paesi e quella parallela di creare strutture clandestine erano processi in atto ben prima dell’accordo del novembre 1956 <579. Al momento dell’adesione italiana al Patto atlantico, l’Italia dovette accettare dei protocolli segreti che prevedevano la creazione di un’organizzazione clandestina preposta a garantire con ogni mezzo la collocazione internazionale dell’Italia all’interno dello schieramento atlantico, anche nel caso in cui l’elettorato si fosse orientato in senso opposto <580. I primi tentativi in questo senso si registrarono nell’ottobre 1951, quando l’allora Capo del Sifar, il gen. Umberto Broccoli, aveva prospettato al Capo di Stato Maggiore Efisio Marras la necessità di dotarsi di un organismo di Stay Behind in linea con quanto già avvenuto in altri paesi europei, come Gran Bretagna e Francia <581. La rete di resistenza avrebbe avuto il compito di prevedere l'occupazione nemica del territorio nazionale e di organizzare un primo tentativo di resistenza attraverso attività di informazioni, sabotaggio, propaganda e resistenza <582. Il generale Broccoli asseriva poi che, in assenza di un’iniziativa italiana, gli Stati Uniti avrebbero provveduto a costituire una organizzazione di resistenza alle proprie dipendenze, e faceva riferimento ad una offerta di collaborazione per la predisposizione delle strutture clandestine sia da parte della Gran Bretagna che degli Usa. Tra le due, a detta di Broccoli bisognava privilegiare un più stabile e solido legame con il servizio americano <583.
Nel 1954, con il sostegno finanziario della Cia furono avviati i lavori di costruzione della base di addestramento di Campo Marrargiu, in Sardegna <584. Nell’ottobre dello stesso anno, Taviani firmò un accordo con gli Usa, di cui il Parlamento fu tenuto all’oscuro, sulla base del quale l’Italia concedeva agli Stati Uniti la possibilità di installare basi militari sul territorio italiano <585.
[NOTE]
562 Frus, 1955–1957, vol. XXVII, NIE 24–56, The Political Outlook in Italy, Washington, 7 febbraio, 1956, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/d97.
563 Frus, 1955-57, vol. XXVII, Memorandum of Conversation Between the President and the Secretary of State, White House, Washington, 27 febbraio, 1956, pp. 336-339, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_336.
564 Frus, 1955-1957, vol. XXVII, Memorandum From the Director of the Office of Western European Affairs (Jones) to the Assistant Secretary of State European Affairs (Merchant), Washingtn, 17 gennaio, 1956, pp. 324-327, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_324; Frus, 1955-1957, vol. XXVII, Memorandum of a Conversation, White House, Washington, 1 marzo, 1956, pp. 343-348, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_343.
565 Le elezioni decretarono la vittoria schiacciante dalla Dc e del Psi. Allo stesso tempo, il Pci perse un totale di 298.948 voti, a causa degli eventi provenienti dal blocco orientale. Elezioni amministrative del 27 maggio, in «Aggiornamenti sociali», n.7, luglio 1956.
566 Nel mese di agosto Nenni e Saragat si erano incontrati a Pralognan per discutere i dettagli della riunificazione dei due partiti. Nenni si offriva di riconoscere le ragioni ideologiche dietro la scissione del 1947 e di essere disposto a formare maggioranze di governo senza il Pci. Saragat, da parte sua, accettava di rinunciare ad ogni forma di discriminazione dei comunisti sul luogo di lavoro, e una forma di neutralità limitatamente al campo occidentale. Il 4 ottobre il Patto di Unità tra Psi e Pci venne derubricato a Patto di Consultazione. A. Giannuli, Il Noto Servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro. La clamorosa scoperta di un servizio segreto che riscrive la recente storia dell’Italia, Milano, Tropea, 2011, p. 82; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 81-86.
567 L. Nuti, Commitment to NATO and Domestic Politics: The Italian Case and Some Comparative Remarks, in “Contemporary European History”, 7, 3 (1998): pp. 361-377, p. 365.
568 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. p. 63.
569 Frus, 1958-60, vol. VII, Nsc 6014, Draft Statement of U.S. Policy Toward Italy, Washington, 16 agosto, 1960, p. 600-11, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1958-60v07p2/pg_600.
570 Frus, 1955-1957, vol. XVII, Letter From the Chargé in Italy (Jernegan) to the Director of the Office of Western European Affairs (Jones), Rome, 26 giugno, 1956, pp. 361-372, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_361; Frus, 1955-1957, vol. XVII, Telegram from the Embassy in Italy to the Department of State, Rome, 12 settembre, 1956, pp. 381-383, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/pg_381; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. p. 64.
571 Frus, 1958-60, vol. VII, Report by the Operations Coordinating Board, Operations Plan for Italy, 8 luglio 1959, p. 529, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1958-60v07p2/d239; L. Nuti, Commitment to NATO and Domestic Politics, cit. p. 365; Frus, 1955–1957, Vol. XXVII, Outline Plan of Operations with Respect to Italy, Washington, 26 settembre, 1956, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1955-57v27/d121.
572 A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, cit. p. 168;¸L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 69-72.
573 M. Del Pero, Anticomunismo d’assalto, cit. p. 641. 574 E. Ortona, Anni d’America, 1953-1961, cit. pp. 186-192; G. Formigoni, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, Il Mulino, 2016; I verbali dei colloqui sono in Frus, 1955-1957, vol. XVII, pp. 373-378.
575 "Accordo fra il Servizio informazioni italiano e il Servizio informazioni USA relativo all'organizzazione ed all'attività della rete clandestina post-occupazione (Stay-behind) italo-statunitense".
576 Commissione stragi, Relazione del Comitato parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per il segreto di Stato sulla “Operazione Gladio”, (marzo 1992), in “Atti parlamentari”, X legislatura, doc. XLVIII, n. 1, p. 104.
577 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. p. 47; A. Silj, Malpaese, cit. p. 48.
578 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 101-103; L. Nuti, Commitment to NATO and Domestic Politics, cit. p. 368.
579 E’ molto difficile ricostruire l’insieme delle organizzazioni paramilitari attive sul territorio italiano sin dalla fine della seconda guerra mondiale, in parte assorbite dalla rete di S/B. Per una analisi dettagliata: G. Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Torino, Einaudi, 2014.
580 P. Willan, I Burattinai, cit. p. 34.
581 Le varie S/B nets erano coordinate a livello internazionale dall’Acc e dal Cpc dello Shape. D. Ganser, Gli eserciti segreti della Nato, cit. p. 7.
582 Organizzazione informativa operativa nel territorio nazionale suscettibile di occupazione nemica¸ in S. Flamigni (a cura di), Dossier Gladio, Roma, Kaos, 2012, pp. 155-162; M. Coglitore, S. Scarso, La notte dei gladiatori. Omissioni e silenzi della Repubblica, Padova, CaluscaEdizizoni, 1992.
583 Commissione stragi, Relazione sull'inchiesta condotta sulle vicende connesse all'operazione Gladio (aprile 1992), in “Atti parlamentari”, X legislatura, doc. XXIII, n. 51.
584 L’acquisizione dei terreni necessari avvenne attraverso la costituzione di una società a responsabilità limitata (Torre Marina) per consentire di derogare alle norme della legge che vietava agli ufficiali di possedere quote azionarie e di costituire società. A. Cipriani, G. Cipriani, Sovranità limitata, cit. pp. 33 e ss.
585 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. p. 40; A. Silj, Malpaese, cit. p. 46.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

domenica 15 gennaio 2023

Galleppini, dal canto suo, riservava a Tex Killer le ore più tarde della sera e della notte


[...] Estate, 1948: in un’Italia ancora in macerie, un curioso esperimento imprenditoriale sta avendo luogo in un appartamento di via Saffi a Milano. <1 Tea Bertasi, ex moglie di Gianluigi Bonelli ed ex assistente di tipografia, ha assunto le redini della casa editrice Audace, e dopo avere ristampato i materiali pubblicati nell’anteguerra ha deciso di mettersi a produrre cose nuove. Nell’appartamento di via Saffi in cui vive col figlio Sergio, ha assegnato una stanza ad Aurelio Galleppini, un giovane artista intenzionato a guadagnarsi da vivere disegnando fumetti. Per questo motivo Galleppini si incatena al tavolo da disegno giorno e notte, lavorando con cura a un nuovo personaggio che sembra destinato a diventare la punta di diamante dell’Audace: Occhio Cupo, <2 su sceneggiature di Gianluigi Bonelli. Occhio cupo è ambientato a metà Settecento, nello scenario della guerra franco-indiana, e racconta le vicende di Carlo Lebeau, un francese falsamente accusato di omicidio che, in apertura del primo albo, viene mostrato sulla rotta della deportazione verso il Canada. <3 Qui Lebeau assume l’identità del giustiziere mascherato Occhio Cupo, con un costume corredato di mascherina domino, camicia a frange, pantaloni attillati, e stivali a cima floscia, da illustrazione per I tre moschettieri. Così camuffato, Occhio Cupo si batte per vendicarsi del suo nemico Vitrè (che lo ha fatto condannare), per carpire il cuore della bella Clara e per porsi al servizio di deboli e indifesi. Il tutto in una narrazione distesa e posata, ben calibrata, con una successione di duelli, inseguimenti e palpitazioni che ha un andamento quasi letterario, come se si trattasse della trasposizione a fumetti di un romanzo anziché dell’espressione di un’idea originale. Gli elementi per il successo sembrano, insomma, esserci tutti. Anzi, forse il fumetto era stato fatto troppo bene, troppo ‘da manuale’, e il risultato non era eccitante. Per prendere in prestito una bella immagine di Raffaele De Falco, Occhio Cupo era come una pietanza fatta di ingredienti deliziosi, ma che nessuno voleva mangiare. <4 Il fiasco fu totale, e non ci volle molto all’editore e agli autori per capirlo. <5
Ma tornando all’estate del 1948, nell’appartamento-redazione-pensione di via Saffi c’era anche un altro progetto che stava prendendo forma, distrattamente e senza clamore. Si trattava di una serie pensata per la nuova nicchia editoriale del formato a striscia, con minuscoli albetti comprendenti una sola striscia di fumetto per pagina. E questa serie, ovviamente, era Tex. Quanto a cura, la nuova impresa risultava del tutto opposta a Occhio Cupo, concepita com’era nei ritagli di tempo tanto dello sceneggiatore quanto del disegnatore.
Bonelli, dopo essersi profuso a calibrare le orologerie narrative di Occhio Cupo e di altri progetti in corso, si accontentava di riciclare in Tex idee e abbozzi prodotti in precedenza per il personaggio di Red Killer, pubblicato da Giovanni Di Leo, <6 e trasformava quel pistolero in una copia quasi omonima - Tex Killer. Galleppini, dal canto suo, riservava a Tex Killer le ore più tarde della sera e della notte. Dopo il minuzioso autocontrollo mantenuto sui dettagli di Occhio Cupo, Galleppini aveva bisogno di lasciarsi andare, e quindi lavorava su Tex per linee libere e svelte, omettendo le minuzie, rubacchiando qualche immagine dagli albi di Molino, <7 trapiantando elementi già pronti da Occhio Cupo (come l’abbigliamento di Tex, identico a quello di Lebeau) e anche da una sua storia western precedente, Il segreto della valle nascosta (dove troviamo un cowboy la cui fisionomia già richiama il volto del primo Tex). <8 Nella sua ansia di risparmiar tempo Galleppini arrivava addirittura a ricalcare i suoi stessi disegni per Tex da un albo all’altro, in una sorta di curioso autoplagio. <9
La serie insomma prendeva forma in un processo rapido e spontaneo, spigliato all’estremo, che sostituiva i raffinati intarsi di Occhio Cupo con pochi ed essenzialissimi nuclei visivi.
Il risultato, dopo un cambio di nome da Killer a Willer, <10 arriverà in edicola il 30 settembre 1948. E questo Tex scritto e disegnato in tutta fretta, in difficili condizioni tecniche, proprio per la sua natura naif finisce per essere caratterizzato da un freschissimo senso di energia e dinamismo.
 

La prima apparizione di Tex. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Energia e dinamismo, congiunte a essenzialità, sono in evidenza sin dalle due vignette iniziali del primo numero. Nella prima vignetta in assoluto vediamo Tex in cima a una roccia sul pendio di un canyon; la figura guarda in basso a destra, verso un fondo che non viene mostrato, portando così l’interesse del lettore fuori e oltre la vignetta e incitandolo a proseguire nella lettura. La composizione generale è semplicissima, pratica e funzionale, con l’eroe che domina lo spazio centrale, uno sfondo di macigni dall’aspetto credibile, e sulla sinistra il cavallo di Tex, a dire il vero un po’ fuori prospettiva perché troppo piccolo rispetto alla sua posizione.
Quello che conta di più è la sapiente posa della figura di Tex, solidamente piantata in scena grazie alle gambe divaricate, ma pure animata da una torsione interna, con i piedi verso il lettore e il corpo che gradualmente si gira fino a che il viso risulta rivolto verso il retro della scena. La figura è attraversata da quella che fin dal tardo Rinascimento viene conosciuta come ‘linea serpentinata’, che determina un senso di forte coinvolgimento del corpo nello spazio. L’impressione di movimento qui è rafforzata dal braccio destro di Tex, che estrae una seconda pistola, oltre a quella già impugnata con la mano sinistra, dando così al lettore la sensazione di un evento che richiede una reazione vigorosa.
Nella vignetta successiva, il cono formato dalla figura di Tex è contratto nella corta piramide del corpo accovacciato a scrutare verso il fondo del canyon, dove ora il nostro sguardo si dirige a scoprire un gruppo di figure lanciate in un’affannosa galoppata. Lo scopo e le intenzioni delle figurine a cavallo non sono ancora note (così che la curiosità del lettore ne risulta di nuovo sollecitata), ma è chiaro che sta avvenendo qualcosa di importante, visto che i cavalli corrono a gran velocità sollevando un polverone che avvolge la maggior parte dei personaggi (secondo un criterio, di nuovo, di dinamismo ed essenzialità).
I disegni di Galleppini riescono dunque a coinvolgere il lettore sin dalle prime vignette, trascinandolo in un turbine di figure in movimento e volumi protesi all’azione. In tale flusso visivo il naturalismo viene talvolta ridotto a vantaggio dell’effetto d’insieme, senza per questo ridurre la leggibilità della catena d’immagini.
Per citare un altro esempio: nella sequenza finale dell’albetto l’illuminazione si fa vivacemente espressionistica, con effetti non del tutto realistici ma di notevole impatto.
 

Tex, creatura delle ombre. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Si veda la prima vignetta di pagina 29, quando Tex ha raggiunto il criminale Coffin nella sua dimora. Tex, intenzionato a recuperare il medaglione rubato da Coffin, fa un’entrata teatrale e minacciosa, piazzandosi ben in mezzo alla finestra spalancata con le pistole puntate sui criminali. L’impressione generale risulta accentuata dalla coltre di tenebra che cela il volto e il petto del personaggio, conferendogli un aspetto inquietante. Questa barriera d’ombra, però, per quanto efficace, non ha alcun senso nella concezione generale della scena. Tex ha alle spalle la strada di una minuscola città del West a tarda notte, e sta rivolto verso l’interno di una stanza perfettamente illuminata. Se Galleppini avesse cercato un effetto di realismo, il volto e il petto di Tex sarebbero apparsi inondati di luce, mentre la schiena si sarebbe confusa nella tenebra retrostante. Eppure questo ‘errore’ funziona benissimo. Tex, che Coffin credeva morto, è per un istante un fantasma sovrannaturale tornato per compiere la propria vendetta; è una creatura misteriosa che vive nelle ombre, e che infatti poco dopo sparerà alla lampada per sconfiggere i suoi nemici con la copertura del buio.
 

Tex, giustiziere mascherato. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Quello che più conta, per la nostra comprensione dello stile visivo del primo Tex, è annotare come in questo caso il disegnatore abbia deciso di sacrificare in qualche misura il realismo in nome dell’effetto e dell’intensità espressiva. Tale soluzione si diparte solo di poco, e in maniera sottile, dal realismo, senza danneggiare il procedere serrato dell’azione e l’intuitiva accessibilità della lettura.
Così come la composizione visiva, anche la costruzione degli eventi è volta ad appassionare il lettore sin dalle prime vignette, con un inizio in medias res che presenta un’azione narrativamente poco determinata e che omette molti dettagli. È una narrazione volutamente sbilanciata, che trascina in avanti il lettore attraverso il desiderio di conoscere lo sviluppo degli eventi e di comprendere gli elementi che non gli sono ancora stati spiegati.
Ed è una narrazione tutta densa di inseguimenti, sparatorie, combattimenti, che rivela la sostanza della trama col contagocce, incorniciando i dialoghi più sviluppati tra intense scene di azione e soffondendo così anche questi momenti di rallentamento con un senso di pericolo incombente.
Di questo stile narrativo ellittico abbiamo un esempio già nell’esordio della serie, nella didascalia che dovrebbe introdurre situazione e personaggio: «In una delle gole selvagge del Rainbown [sic] Canyon, Tex Willer sta bivaccando dopo una lunga galoppata che lo ha portato oltre i confini del Texas, quando improvvisamente, alcuni spari echeggiano a non molta distanza». <11 Di certo questa didascalia ci insegna poco: abbiamo soltanto il nome del protagonista, il nome (sgrammaticato) di un’ambientazione esotica e astratta, e una non spiegata situazione di dislocamento spaziale (perché Tex ha lasciato il Texas?). Dopo aver letto questa didascalia, quello che vogliamo sapere è più di quello che abbiamo appreso, e questo è esattamente l’intento del testo.
Tex, rivoltosi a cercare la fonte degli spari, si chiede: «Per tutti i diavoli? che mi siano ancora alle costole?»; poi, scorgendo il gruppo a cavallo esclama: «Ah... eccoli... vengono dalla prateria... e non è lo sceriffo coi suoi scagnozzi...», mentre alla pagina successiva conclude: «Vediamo un po’... Ehi!... una giovane indiana... e che il diavolo mi porti se quello non è quel dannato di Coffin! Una faccenda losca, questo è sincero, ma non è detto che io lasci nei guai quella ragazza...». Certo questo non è il linguaggio che si insegnava nelle scuole e a catechismo nel 1948! Nel giro di quattro vignette Tex ha usato due espressioni che riguardano il diavolo e una che richiama i dannati, e in generale ha inaugurato quel gusto per l’espressione vivace e metaforeggiante che caratterizzerà poi l’intera serie di Tex nei decenni a venire.
Tuttavia, anche se i dialoghi di Tex risultano molto mossi e vitali grazie a scelte lessicali come queste, dubito che si possa parlare di realismo in senso facilmente mimetico. Si ha piuttosto l’impressione di un concentrato di espressioni gergali che derivano dalla letteratura, dal cinema e dall’invenzione bonelliana, impiegate con tale insistenza da suonare volutamente eccessive. Gianluigi Bonelli non è Faulkner, e all’atto di dare voce ai suoi personaggi non si preoccupa tanto di trasporre lo slang del Sud degli Stati Uniti, preferendo modulare il dialogo per spezzoni gergali artefatti che risultano rinvigoriti dall’accostamento, dalla frequenza con cui le coloriture si inseriscono in ogni aspetto del discorso.
Il senso di freschezza risiede dunque principalmente nello scostamento dal linguaggio paludato dell’ufficialità (soprattutto scolastica, per il giovane lettore di Tex) e nel giocoso gusto per la trovata insolita. Fin da quando Tex chiama ‘scagnozzi’ coloro che collaborano con lo sceriffo, appare inoltre chiaro che il personaggio deve provare poco rispetto per i rappresentanti della legge. Non a caso nelle riedizioni successive del testo la parola ‘scagnozzi’ verrà modificata dagli autori e sostituita col più neutro ‘uomini’, per dare a Tex un più chiaro allineamento coi valori dominanti.
Eppure, anche se parla di ‘scagnozzi’ dello sceriffo, questo primissimo Tex non può essere un vile criminale, perché già alla quarta vignetta decide di andare a prestare aiuto alla ragazza inseguita da Coffin, Tesah, senza che alcun obbligo lo vincoli e senza alcun apparente vantaggio personale. Questi due indizi sul carattere di Tex (irriguardoso verso la legge, ma dotato di forte etica) convergono nel dialogo chiarificatore che si legge poco dopo:
Tex: Hai mai inteso parlare di Tex Willer?
Tesah: Tex Willer, il fuori legge solitario?
Tex: Proprio io e se hai sentito parlare di me saprai anche che io uccido solo chi merita di essere ucciso. <12
Poco più avanti si scopre che Tesah si confida facilmente con Tex perché egli ha fama di uomo affidabile, che conta amici tra i nativi. <13 Si scorge già in questo passaggio il germe di quello che sarà poi un cruciale sviluppo della serie, con l’assunzione da parte di Tex del ruolo di mediatore tra la cultura dei bianchi e quella dei nativi.
È dunque, questo, un Tex fuori dal sistema del potere, escluso e amico di altri esclusi come i nativi americani, e trattato ingiustamente dalla legge, come si vede bene in questo dialogo che avviene tra due passanti, alla vista di Tex, in un albo successivo:
Passante 1: Povero Tex! Sempre in fuga davanti agli sceriffi!
Passante 2: Al diavolo gli sceriffi! Con dieci uomini come Tex Willer...  ...in un mese non vi sarebbero più banditi e bari in tutta l’Arizona!
Passante 1: Gli sceriffi... puah! <14
Annoto anche che questo passaggio rientra bene nella prospettiva delle origini, dove Tex viene mostrato come un eroe del popolo, aperto e alla mano nei rapporti con le persone comuni e felice di stare in mezzo a loro. <15 Nei primi albi sono infatti numerosi i momenti in cui Tex è al saloon attorniato da una folla che intona sonori hurrah perché Tex ha sconfitto dei criminali locali, o perché ha dato una lezione a uno sceriffo corrotto, o ha pagato da bere a tutti, o tutte queste cose insieme. In questa fase iniziale i crimini passati del personaggio vengono accennati molto vagamente, e si capisce che Tex è un ricercato perché ha commesso quelli che lui ritiene atti di giustizia [...]
 

Tex, fuorilegge e uomo del popolo (con un esempio di sopravvivenza del cognome originale). Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

[NOTE]
1 Sulle origini delle pubblicazioni Bonelli, quando la casa non si chiamava ancora con questo nome, e soprattutto sull’origine di Tex, si vedano almeno La leggenda di Tex. Il West di Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini, [Catalogo della mostra], testi di L. Bertuzzi, Monza, Fondazione Franco Fossati, 2014; R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, Roma, Nicola Pesce Editore, 2013; G. Romani, L’arte di Galep. Aurelio Galleppini: il creatore grafico di Tex, Modena, Panini Comics, 2012; L’audace Bonelli. L’avventura del fumetto italiano, [Catalogo della mostra], Napoli, Napoli Comicon/Facta Manent, 2010; S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, Milano, Mondadori, 2008; A. Mondillo, Tex. Tra mito e storia, Battipaglia, Tesauro, 2008; L. Tamagnini (a cura di), Galep prima di Tex, Torino, Scarabeo, 2000; F. Gargarone (a cura di), Galep: cinquant’anni di avventura a fumetti, Torino, Scarabeo, 1999; G. Frediani (a cura di), Le frontiere di carta. Piccola storia del western a fumetti, Milano, Bonelli, 1998; D. Parolai, E. Detti, Storia e storie di Tex, Roma, Anicia, 1994; C. Scaringi, Tex, Roma, Gremese, 1998; E. Linari (a cura di), Gianluigi Bonelli, dal romanzo a Tex, Firenze, Glamour International, 1991; A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, Milano, Ikon, 1989; Buon Compleanno Tex, Firenze, Glamour International, 1989; E. Detti, Il fumetto fra cultura e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1984, p. 80 sgg; Il mio nome è Tex: evoluzione del fumetto avventuroso italiano attraverso gli originali di Galep, Genova, Prima cooperativa grafica genovese, 1982.
2 L’intera produzione di Occhio cupo oggi è ristampata in G. Bonelli, A. Galleppini, Occhio cupo, San Giovanni in Persiceto (BO), Editoriale Mercury, 2014.
3 La serie aveva avuto una sua prova generale nell’albo conclusivo L’agguato nella foresta, disegni di Aurelio Galleppini, Milano, Audace, 1948, dove un giovane francese è costretto a trasferirsi in Canada in seguito a un combattimento in duello.
4 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 25.
5 Con l’uscita del 30 dicembre 1948 l’Audace pone fine alla serie.
6 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 26.
7 Cfr. ibidem, e A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 68.
8 Cfr. F. Baglioni, A. Galleppini, Il segreto della valle nascosta, Milano, Audace, 1948.
9 Per limitarsi solo ad alcuni esempi, la vignetta di destra a pagina 18, sull’albo 9, viene riproposta con pochi ritocchi a pagina 7 del numero 10; in questo caso Galleppini ha modificato l’originale cambiando i vestiti e la posa del personaggio centrale, a cui ha anche messo la barba, e ha riusato con pochi cambiamenti il gruppo di personaggi circostanti. La vignetta centrale a p. 27 del primo albo, con Tex che si arrampica sulla finestra di Coffin, viene riprodotta identica a p. 12 dell’albo 10, mentre, sempre in questo albo, ricompare a p. 17 la stessa figura di Tex che campeggia nella prima vignetta del primo albo.
10 A detta di Sergio Bonelli (cfr. S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 9), il cambio sarebbe stato voluto da Tea; a detta di Galleppini (cfr. A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 63) da lui stesso. Del nome originale rimane qualche traccia nelle pubblicazioni, forse a causa di refusi. Al numero 5, per esempio, Tex viene chiamato Killer tre volte, di cui una nella didascalia finale: «Riuscirà Tex Killer a far fronte alla mortale minaccia che lo sovrasta?» (p. 32). Sarà da imputarsi a semplice refuso anche il fatto che più avanti nel corso dell’annata il nostro eroe venga indicato in un’occasione come «Tex Viller» (n. 41, p. 32).
11 G. Bonelli, A. Galleppini, Il totem misterioso, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 1, Milano, Audace, 1948, p. 1. Il toponimo ‘Rainbown Canyon’ sarà corretto in ‘Rainbow Canyon’ nelle edizioni successive.
12 Ivi, p. 4.
13 Ivi, p. 11.
14 G. Bonelli, A. Galleppini, Pista insanguinata, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 6, Milano, Audace, 1948, p. 8.
15 Come ricorda Sergio Bonelli in un’intervista, nei casi di attrito tra Tex e la legge «mio padre ha modo di sfogare da un lato la sua antipatia per le istituzioni (e per chi le gestisce arrogantemente) e dall’altra di conquistarsi la simpatia di tutti gli italiani, che eleggono Tex a paladino delle classi sociali più deboli» (S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 48).

 

Tex, ranger. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Marco Arnaudo, Il Tex delle origini. Una lettura ravvicinata, Arabeschi, n. 9, gennaio-giugno 2017

mercoledì 11 gennaio 2023

Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia può provare a sollevarsi contro il governo italiano di Roma

Roma. Foto: F. Z.

La situazione italiana proprio in quel periodo presentava diversi punti di contatto con le vicende da cui fu investita la penisola ellenica. La preoccupazione da parte di Churchill e del Foreign Office che il movimento partigiano italiano costituisse una forza autonoma dal controllo e dal potere degli angloamericani aumentava man mano che la guerra di Liberazione nella penisola procedeva, mostrando il valore militare e sociale della resistenza. Il punto focale della questione era in merito al trattamento da parte degli alleati del movimento partigiano e del suo organo, il CLNAI. La strategia portata avanti in accordo dai vertici alleati nella penisola - Macmillan per la parte inglese, e Stone per la parte americana - era quella di favorire il rafforzamento di un organo unitario dei partigiani, che si rapportasse sia con il governo italiano che con il potere dell’AMGOT [Amministrazione Militare Alleata], e che dunque funzionasse da garante delle tendenze del movimento stesso. Ma l’idea di un organo di rappresentanza dei partigiani spaventava Churchill, che vedeva in esso la possibile ricreazione di un’organizzazione forte e incontrollabile, che avrebbe operato in direzione di un radicale mutamento degli assetti del potere, parallelamente al movimento greco. Il 31 ottobre del ’44 il Foreign Office diramava alla Special Force questo comunicato: “E’ di fondamentale importanza che non creiamo ancora una volta un mostro alla Frankenstein, come nel caso dell’EAM in Grecia, e che quindi istituiamo un fermo controllo sul CLNAI in maniera da impedire che se ne impadroniscano i comunisti. Ciò significherà probabilmente che il generale Alexander dovrà nominare un presidente con poteri dittatoriali e forse anche un comandante sul campo, che avrebbe autorità su tutte le bande partigiane” <109.
Nelle settimane successive alla firma dell’accordo di Varkiza si rese evidente il fatto che la ripresa dell’offensiva in Italia sarebbe stata necessariamente rimandata, a causa del prelevamento di forze chiamate ad operare nel teatro greco contro l’Elas. “La presenza di queste truppe in Grecia è bastata a ritardare la ripresa dell’offensiva alleata in Italia”, scriveva il capo della sezione di Atene dell’Oss all’ambasciatore americano MacVeagh, nel marzo del ’45 <110. Il panorama politico e sociale della penisola presentava molti aspetti che, a giudizio dei vertici britannici, lo portavano ad avvicinarsi a quello greco. Il movimento partigiano nel centro-nord aveva assunto delle dimensioni importanti e la presenza di una forte corrente comunista al suo interno, unita alla notevole popolarità del movimento, lo rendeva agli occhi inglesi molto vicino al movimento partigiano greco. Ciò che più temeva Churchill era che, considerata la preponderante forza sul campo, i dirigenti partigiani decidessero di imporre un governo a guida Cln, una volta liberata la nazione dalle forze nazifasciste.
Il 30 gennaio del ‘45 i vertici militari americani del Joint Chief of Staff ricevettero da parte del British Chief of Staff - il comando inglese - un’urgente ed allarmata richiesta di massima attenzione e allerta rispetto alle azioni del Cln Alta Italia. Il pericolo, a detta degli inglesi, era che, proprio come successo in Grecia, l’organizzazione partigiana potesse decidere da un momento all’altro di tentare di porsi al di sopra del governo italiano a Roma: “In considerazione delle esperienze in Grecia, il Foreign Office è preoccupato che, vista la forza dei poteri conferiti al Comitato di Liberazione Nazionale per il Nord Italia (C.L.N.A.I.) in base all’accordo militare con il Comando Supremo Alleato, Mediterraneo (SACMED) e all’accordo politico con il governo italiano firmati rispettivamente il 7 e il 26 dicembre 1944, questo possa ad un certo punto tentare di sollevarsi in opposizione al governo italiano di Roma” <111.
I successivi telegrammi mostrano la presa di posizione dei vertici militari statunitensi, nella direzione di un contrasto dell’espansione dei poteri del CLN. La decisione immediata maturata dai capi di Stato maggiore americani fu quella di diramare attraverso il Combined Chief of Staff l’ordine al Comando supremo alleato nel Mediterraneo, il Sacmed, di sorvegliare attentamente le mosse del ClnAi, e di mandare un rappresentante presso di esso per seguirne da vicino le mosse del gruppo dirigente <112. Alcuni giorni più tardi un memorandum del Joint Chiefs of Staff statunitense diretto al dipartimento di Stato sottolineava che “il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia può provare a sollevarsi contro il governo italiano di Roma” <113. Nello stesso telegramma veniva ribadita come indicazione fondamentale strategica la disposizione che “in considerazione della loro esperienza in Grecia, gli inglesi raccomandano di dare ordine al Sacmed di controllare strettamente questo Comitato di Liberazione Nazionale”.
Il ClnAi, come emerge in questi importanti documenti ritrovati nell’archivio di Washington, appariva e veniva considerato dai generali sia inglesi sia americani operanti nel paese come una pericolosa organizzazione pronta a sovvertire il potere del Sacmed, e non come un organo rappresentante la volontà popolare degli italiani. In ciò emergono le linee di una sostanziale alterità e differenziazione delle politiche decise da Roosevelt e dal segretario di Stato rispetto alle azioni e alle politiche formulate dai vertici militari americani sul campo. La considerazione del ruolo del CLN a livello politico all’interno del paese differiva radicalmente tra la Casa Bianca e i comandi militari nella penisola. Per Roosevelt, come si è visto, il CLN era “il miglior canale” esistente “per l’espressione della volontà popolare”, come il presidente aveva scritto in un telegramma ufficiale per Churchill <114. Per i comandi militari era invece un organismo visto in netta contrapposizione con il controllo alleato del territorio italiano, pertanto da controllare strettamente, e le raccomandazioni del Joint Chiefs of Staff in questo senso continuarono per i mesi successivi.
In Italia tuttavia, a differenza che in Grecia, l’interesse strategico che la penisola investiva per gli Stati Uniti fece da freno ai tentativi inglesi di prendere in mano la situazione attraverso una contrapposizione militare con le forze partigiane.
L’azione statunitense, come si vedrà, si dispiegò attraverso i servizi segreti, che fin dagli ultimi giorni del dicembre ’44 operarono clandestinamente proprio in direzione del controllo del CLNAI.
[NOTE]
109 Nota del Foreign Office diramata alla Special Force il 31 ottobre 1944, riportata in D. W. Ellwood, L’alleato nemico, cit., p. 294.
110 NARA, RG 226, Entry 1, Box 1, “Weekly Report No. 6”.
111 NARA, RG 165, Entry 421, Box 508, Folder “ABC 387.4 Italy sec. 6 - Political Situation in Italy”.
112 Ivi.
113 NARA, RG 165, Entry 421, Box 508, Folder cit., telegramma top secret datato 24 febbraio 1945 per l’assistente segretario di Stato, inviato dall’Authority of A.C., OPD. Sottolineatura presente nel documento originale.
114 Cfr. FRUS, 1944, vol. III Italy, pp. 1133-1134, telegramma di Roosevelt n. 562, doc. cit.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vegata”, Anno accademico 2009/2010

sabato 7 gennaio 2023

E Guido Seborga scrisse sulla crisi dei missili del 1962

Genova: Piazza Brignole

Dopo la prima terribile notizia leggo molti quotidiani d’informazione che si autodefiniscono “indipendenti”, e mi stupisco oppure non mi stupisco affatto che nell’accusare i cubani di avere accettato aiuti sovietici nel dire e gridare per questa cosa, tacciano completamente delle numerosissime rampe missilistiche statunitensi che in tutto il mondo stringendo la Russia, mettono da anni in serio pericolo il mondo stesso, e anche l'Italia in modo particolare. Questo vuole anche dire che la nostra stampa d’informazione è ben disposta a farci arrostire tutti quanti per un motivo settario, per un motivo di classe. E naturalmente si accusa Cuba per avere seguito la via del socialismo, se la rivoluzione non fosse stata tale, ma borghese, più nessuno accuserebbe Cuba.
Gli americani del nord forse non riescono neppure a capire che i primi responsabili della situazione cubana sono loro stessi, essi sono sufficientemente rozzi e in cattiva fede da non vedere che gli atti che stanno compiendo con le loro nere navi nell’azzurro delirante dei Caraibi, sono le stesse azioni della loro cattiva coscienza, credono di battere Cuba e si stanno invece liquidando di fronte agli uomini di tutto il mondo. Perché sono proprio loro ad avere spinto i cubani alla situazione socialista, avendo per anni (dopo gli spagnoli) impedito ai cubani di formarsi una coscienza liberale, ma avendoli schiacciati con delle infami dittature fasciste o colonialiste da loro sempre volute. Occorre in sostanza capire che oggi non c'è più possibilità REALE per dei paesi soffocati da anni di colonialismo di diventare economicamente liberali, ma solo l’economia socialista può far risorgere un popolo. Kennedy gioca pericolosamente contro la storia, e mentre delira sulla parola libertà (ridotta a puro nome) ritorna a soffocare il piccolo e grande popolo cubano. D’altronde sia ben chiaro che la Rivoluzione di Castro è seguita dal 98% dei cubani, ha cioè una maggioranza questo governo assoluta, e come nessun governo borghese di nessuna nazione di questo mondo... Sono proprio gli errori dei Kennedy ad aver portato il popolo cubano a questa meravigliosa unità, della quale naturalmente ben si guarda di parlare la nostra stampa d’informazione, ben compresa anche quella del famoso centrosinistra. La mistificazione è terribilmente evidente e non lascia per noi motivo di minima incertezza: NOI SIAMO SEMPRE STATI PER CUBA, non per una ragione di libertà astratta e metafisica (che tanto seduce i crociani e idealisti nostri), ma per una ragione concreta e reale di libertà scientifica, che permetta la vita più ricca e piena a tutto il popolo cubano che ammiriamo per il suo coraggio, amiamo per la sua libera ed elegante civiltà, per il volto sereno e innocente di questo popolo sorridente e accogliente, che ha sempre e soltanto chiesto di poter vivere,vivere con gioia la sua storia nuova.
Chi può essere così in malafede da poter credere in un’aggressione cubana?
I cubani già aggrediti sapevano perfettamente che i colonialisti volevano fare un’aggressione in grande stile, volevano ridurre a deserto infuocato l'isola meravigliosa, le armi anche quelle sovietiche difensive sono appunto giunte DOPO le invasioni i bombardamenti gli atti quotidiani provocatori che con i dollari e le armi cercavano di creare una controrivoluzione artificiosamente ingaggiando lanzichenecchi bravacci d’ogni risma.
Il pericolo c’è ed è gravissimo, ormai poco potrebbe anche portarci alla catastrofe, ma Cuba non è sola, non è più sola. Pochi mesi fa poteva essere interamente distrutta, ma la rivoluzione cubana è valida per tutti gli uomini onesti e liberi e oggi non sarebbe solo Cuba ad essere distrutta ma l’intera umanità. Il tragico destino della umanità è nelle mani di gente inetta, politicamente ed umanamente incapace e solo trattenuta dalla paura di fare oggi la stessa fine che vorrebbe riservare agli uomini della giustizia della libertà della pace.
Però noi non disperiamo che si addivenga ad accordi pacifici. Molti uomini, molte nazioni si schierano in difesa dei cubani e di se stessi in una mirabile unità.
Ognuno porti a questo edificio di pace la sua piccola pietra, e anche a nome dell’Associazione Italocubana di Genova faccio appello a tutti gli intellettuali di qualsiasi tendenza di qualsiasi colore politico di prendere posizione in favore della rivoluzione cubana, che significa pace e libertà per tutti.
Guido Seborga, Noi siamo per Cuba, articolo del 1962, qui ripreso da una circolare di biblioteca dell'egoista, la cui redazione fa precedere al documento in parola la seguente nota: "Il testo che segue fu pubblicato sul n. 1, 26 ottobre 1962, di un giornaletto tirato al ciclostile - “Sierra Maestra” - che doveva costituire l’organo dell’associazione Italia-Cuba con sede a Genova (e, ci risulta, ma potremmo anche essere in errore, nello stesso edificio che ospitava l’analoga associazione di amicizia con l’URSS). Lo riproponiamo tale e quale, ben consapevoli del carattere avventuroso, non solo propagandistico, della pubblicazione. Seborga (vedi anche "Ricordo dell’esperienza surrealista" sulla nostra circolare del 2000) vi dimostrava, al di là di ogni altra considerazione che prescinda dalle condizioni di allora, la sua netta e disinteressata premura di contestatore".