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giovedì 31 ottobre 2024

Il Msi sperava di ottenere un rinvio del provvedimento di istituzione delle regioni


Gli attentati del 12 dicembre [1969] non furono il vero detonatore delle violenze che si registrarono per tutto il corso del 1970, imputabili, invece, all’asprissima campagna elettorale che accompagnò la nascita delle Regioni [...] Le dimissioni del governo Rumor, il 7 febbraio 1970, aprirono una forte crisi politica che si sarebbe risolta solamente quaranta giorni dopo, il 23 marzo, con un nuovo incarico a Rumor a guida di un quadripartito Dc-Pri-Psu-Psi. In questo contesto la preoccupazione più grande del Movimento Sociale era che il Partito comunista volesse approfittare del momento di debolezza del sistema politico per puntare alla legge di istituzione delle Regioni per poi indire al più presto le elezioni nazionali, partendo da una posizione di vantaggio, avendo avuto modo già la possibilità di conquistare - secondo la previsione fatta dal Msi - l’Emilia Romagna, l’Umbria e la Toscana <505. In questo ragionamento, inoltre, era presente il timore che il Pci potesse controllare una fascia di “regioni rosse” in caso di una grave crisi nazionale che sarebbe potuta sfociare in conflitto aperto <506.
Già alla fine di gennaio e agli inizi di febbraio iniziò una serrata campagna stampa sul «Secolo d’Italia» che sembrò inaugurare, anticipatamente, la stagione elettorale <507. Il Movimento Sociale sperava di ottenere un rinvio del provvedimento di istituzione delle regioni e con questa prospettiva Almirante incrementò l’attivismo dei militanti, imprimendo una spinta decisiva al partito <508.
In questo contesto l’utilizzo della violenza tornò ad essere un elemento fondamentale così come lo era stato nel 1969, con la differenza, però, che nella campagna elettorale per le elezioni regionali del giugno 1970 il suo impiego risultò essere decisivo <509. I partiti usciti vincitori dalla consultazione elettorale avrebbero avuto maggiori possibilità di puntare al governo in occasione delle elezioni politiche o di condizionare dall’opposizione il futuro esecutivo <510. Le elezioni, inoltre, erano un’importante occasione per tutti i partiti per rinnovare e consolidare il proprio potere locale dato che, per la prima volta, si eleggevano un numero considerevole di consiglieri regionali <511. La campagna elettorale divenne, quindi, un terreno di confronto fondamentale per cercare consensi in una società attraversata da forti tensioni <512.
Il Movimento Sociale era consapevole dell’importanza delle elezioni regionali in un momento così delicato per la vita del Paese, avendo in mente ciò che aveva significato per la Francia la vittoria schiacciante del partito gollista nelle elezioni del giugno ’68 come fattore di stabilizzazione e di normalizzazione della conflittualità politica e sociale <513.
In preparazione delle elezioni regionali, accanto al lavoro di propaganda, il Msi tornò ad invocare la presenza di una piazza di destra per contrastare le sinistre sul loro stesso terreno; i Volontari Nazionali, ad esempio, si prepararono nelle campagne con esercitazioni sulla lotta corpo a corpo e l’utilizzo dell’alfabeto “Morse” <514. Nel marzo del 1970, in un comizio a Firenze, Almirante minacciò l’intervento delle strutture giovanili del partito per contrastare le manifestazioni degli avversari <515. Nello stesso giorno il consiglio nazionale della direzione nazionale giovanile del Msi votò un documento che minacciava azioni di ritorsione ad ogni violenza subita dai giovani di destra <516. Questa linea fu ribadita il 3 aprile 1970 in occasione del consiglio nazionale del Movimento Sociale <517: alla vigilia delle elezioni regionali si dotava il partito di un elemento in più da far pesare nella competizione elettorale, portando il confronto con gli altri partiti dalle tv e dai giornali agli scontri di piazza. Il clima si inasprì per le accuse mosse al Partito socialista di esercitare pressioni sul governo per restringere gli spazi d’agibilità politica al Movimento Sociale: in più di un’occasione i dirigenti del Msi denunciarono la “repressione” subita dalle forze dell’ordine <518.
L’8 maggio il Movimento Sociale inaugurò la campagna elettorale, in realtà già iniziata diversi mesi prima <519. Le elezioni furono presentate come un “broglio” organizzato dalla maggioranza e dal Partito comunista per continuare l’esperienza dei governi di centrosinistra <520. La campagna elettorale del Movimento Sociale fu caratterizzata per l’alto numero di comizi programmati per tutta l’Italia, nelle città, come nelle province e nei piccoli paesi <521. I comizi del Msi provocarono l’intervento dei partiti di sinistra e delle associazioni antifasciste, in particolar modo nei luoghi dove era più vivo il ricordo della guerra di Liberazione. Il 3 febbraio e il 10 marzo, ad esempio, scoppiarono gravi incidenti nel corso dei comizi tenuti da Almirante a Firenze e a Torino <522. Le sezioni dei partiti di sinistra, le Camere del Lavoro, le sedi sindacali furono assalite con sistematicità in una riedizione della «guerra dei vessilli» che aveva caratterizzato lo squadrismo degli anni Venti <523. A Deiva Marina, ad esempio, un paesino in provincia di La Spezia, un gruppo di neofascisti attaccò e distrusse la sezione locale del Partito Socialista, intitolata a Giacomo Matteotti, portandosi via la bandiera della federazione <524. Un piccolo fatto di cronaca locale raggiungeva picchi di tensione altissima nel momento in cui intervennero a denunciare l’aggressione i più importanti dirigenti dei partiti politici <525.
Questo tipo di violenza aveva alle spalle una lunga tradizione: i neofascisti penetravano nelle sedi dei partiti avversari, ne distruggevano i mobili e il materiale propagandistico, svuotando gli schedari con i nomi, cognomi e gli indirizzi delle abitazioni degli iscritti. Non di rado la sezione veniva danneggiata o addirittura incendiata <526. Di fatto queste azioni si configuravano come un «rituale di conquista» volto ad estirpare la presenza dell’avversario politico <527. I comizi del Movimento Sociale rivestirono un ruolo analogo: la scelta delle città “rosse” fu il tentativo di sfidare la sinistra non solo sul suo stesso campo, la piazza, ma anche nel suo territorio per appropriarsene, seppure su un piano simbolico.
La reazione dei partiti di sinistra non tardò a venire, anche perché il Pci, il Psi e il Psiup infusero un particolare impegno nella campagna elettorale, data l’importanza del momento politico: per la prima volta gli italiani erano chiamati a votare per le regioni, da poco costituite grazie alla politica riformatrice dei governi di centro-sinistra <528. Ma a ben guardare si ha l’impressione che la posta in gioco in queste elezioni fosse altro. Come scrisse Gaetano Arfè in un editoriale sull’«Avanti» «la Repubblica salvò l’Italia dalla guerra civile. Le Regioni salveranno dai pericoli di una dissociazione delle forze sociali e di una disgregazione delle forze politiche, sulle quali il sovversivismo reazionario ha puntato e punta le sue carte» <529. Per questo motivo, lo sforzo attivistico del Msi fu interpretato come il tentativo di cavalcare la paura suscitata dagli attentati di dicembre per delegittimare l’operato del governo e i partiti di sinistra come forze adatte alla guida del Paese <530; la convinzione che polizia e carabinieri attaccassero le manifestazioni antifasciste, dopo che queste erano entrate in contatto con i comizi di destra, diede, inoltre, la sensazione che i neofascisti stessero svolgendo un ruolo di provocazione al servizio di oscuri interessi <531. A questo si aggiunse la partecipazione della sinistra extraparlamentare decisa ad impedire l’agibilità politica dei neofascisti. I gruppi si presentarono divisi all’appuntamento elettorale. L’Unione dei comunisti marxisti leninisti, ad esempio, invitò a votare per il Pci, ma il resto dell’area maoista decise di optare per l’astensione <532. Potere operaio e Lotta continua si mostrarono indifferenti al significato politico delle elezioni <533. In sostanza, però, le elezioni regionali furono viste dalla sinistra extraparlamentare come un’occasione di scontro con l’estrema destra e come momento di accelerazione della crisi che si riprometteva di approfondire grazie alla conflittualità di piazza. A tale scopo, secondo Lotta continua, si rendeva necessaria una maggiore organizzazione, una trasformazione «sul piano militare» dei servizi d’ordine che dovevano essere in grado di reggere lo scontro con la polizia e con gli avversari politici <534.
[NOTE]
505 Il Pci propone per la soluzione della crisi un governo che convochi subito le elezioni regionali, «L’Unità», 21 marzo 1970.
506 Su questo specifico problema si era già espresso Almirante nel settembre del 1969; cfr. Messaggio agli Italiani, Relazione del Segretario Nazionale del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante al Comitato Centrale del Partito, Roma, 27-28 settembre 1969, in AGSR, p. 15.
507 Cfr., ad esempio, Senza tregua la battaglia del Msi contro le Regioni, «Il Secolo d’Italia», 22 gennaio 1969; Secoli di generosi sforzi unitari annullati dalla follia regionalista, «Il Secolo d’Italia», 3 febbraio 1970.
508 Si diffonde il neofrontismo in attesa delle regioni rosse, «Il Secolo d’Italia», 21 aprile 1970.
509 Giacomo Sani, Mass Constrains on Political Realignments: Perceptions of AntiSystem Parties in Italy, «British Journal of Political Science», a. 1, n. 6, 1976.
510 David C. Rapoport, Leonard Weinberg, Elections and Violence, in Rapoport David C., Weinberg Leonard, edited by, The democratic experience and political violence, Frank Cass, London and Portland 2001, p. 31.
511 Per una panoramica d’insieme sulle campagne elettorali nella storia dell’Italia unita vedi P. Ballini, M. Ridolfi, a cura di, Storia delle campagne elettorali in Italia, Bruno Mondadori, Milano 2003; sul caso specifico delle regionali la posta in gioco per la quale lottavano i partiti è ben riassunta nell’articolo riassuntivo Convocati i comizi elettorali regionali. Il decreto del ministro Restivo, «l’Avanti!», 9 aprile 1970.
512 Burling, The Passage of Power: Studies in Political Succession, Academic Press, New York 1974
513 Mattei Dogan, How Civil War was Avoided in France, «International Political Science Review», n. 3, 1984.
514 Msi-Volontari Nazionali, Foglio d’Ordine, Bologna 13 gennaio 1970, riprodotto in Rapporto sulla violenza fascista, Napoleone Editore, Roma 1972, p. 257.
515 Mobilitare l’opinione pubblica per determinare una svolta politica, «Il Secolo d’Italia», 3 marzo 1970.
516 Riaffermato dalla gioventù nazionale l’impegno per la battaglia anticomunista, «Il Secolo d’Italia», 3 marzo 1970.
517 Il Msi unito nella volontà e nell’azione per garantire i valori della Nazione e dello Stato, «Il Secolo d’Italia», 4 aprile 1970; Noi siamo l’idea corporativa, siamo l’alternativa al sistema, «Il Secolo d’Italia», 7 aprile 1970.
518 P. Romualdi, Repressione a destra, «Il Secolo d’Italia», 13 marzo 1970; Si diffonde il neofrontismo in attesa delle regioni rosse, «Il Secolo d’Italia», 21 aprile 1970.
519 Il Msi guarda all’Italia di domani per realizzare le aspettative dei giovani, «Il Secolo d’Italia», 8 maggio 1970. La campagna elettorale si concluse il 6 giugno: Più voti al Movimento Sociale per sconfiggere il comunismo, «Il Secolo d’Italia», 6 giugno 1970.
520 L’illegittimità della convocazione delle elezioni del 7 giugno motivata nel ricorso del Movimento Sociale al Consiglio di Stato, «Il Secolo d’Italia», 8 maggio 1970.
521 Ministero dell’Interno, Gab. dell’on. Min., “Relazione su incidenti riguardanti l’ordine pubblico verificatisi nel mese di maggio 1970”, Roma, 25 giugno 1970, in ACS, MI, GAB, 1967-1970, b. 39.
522 Mobilitare l’opinione pubblica per determinare una svolta politica, «Il Secolo d’Italia», 3 marzo 1970; Grande manifestazione del Msi al comizio di Almirante a Torino, 10 marzo 1970. Poco tempo dopo, altri scontri si verificarono a Foggia e a Milano: Grandiosa manifestazione del Msi a Foggia, «Il Secolo d’Italia», 22 marzo 1970; Dalla grande manifestazione la certezza dell’avanzata del Msi, 14 aprile 1970.
523 M. Fincardi, I rituali della conquista, in «Contributi», 1987, pp. 21-22.
524 Sezione socialista assaltata da una banda di teppisti fascisti, «l’Avanti!», 7 aprile 1970.
525 Nuova aggressione fascista alla sede del Psi. Un indignato telegramma di Pertini, «l’Avanti!», 18 aprile 1970.
526 Commissione Terrorismo e Stragi, Ordinanza-sentenza Salvini, Sez. 14, deposizione di Martino Siciliano del 6 ottobre 1995.
527 M. Ridolfi, La contrapposizione amico/nemico nella celebrazione delle festività nazionali, in A. Ventrone, a cura di, L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della Repubblica, Donzelli, Roma 2006, p. 49.
528 Il Pci apre la campagna elettorale con grandi manifestazioni in tutto il Paese, «l’Unità», 6 aprile 1970.
529 Gaetano Arfè, 2 giugno 1946 - 7 giugno 1970. Repubblica-Regioni, «l’Avanti!», 2 giugno 1970.
530 A. Gismondi, 6 luglio l’ultima carta del partito della paura, «L’Astrolabio», a. VIII, n. 23, 7 giugno 1970.
531 M. Ferrara, La tensione che vogliono, «l’Unità», 20 aprile 1970.
532 A che cosa servono le elezioni? A che cosa servono le regioni?, volantino del Comitato Comunista Marxista-Leninista di Roma, del Centro Mao Tse Tung di Firenze e del Centro Comunista Marxista Leninista di Torino, s.d., in Archivio Gramsci, F. Cazzainiga, f. 14. Per la posizione della sinistra extraparlamentare nei confronti delle elezioni regionali vedi Ottaviano, La rivoluzione nel labirinto, vol. II…cit., p. 400 e segg.
533 Strategia rivoluzionaria degli obiettivi. Per costruire il partito della rivoluzione comunista, «Potere operaio», n. 27, a. II, 1970, 27 giugno 4 luglio.
534 I «Diritti democratici», «Lotta continua», a. II, n. 10, 18 aprile 1970.
Guido Panvini, Le strategie del conflitto. Lo scontro tra neofascismo e sinistra extraparlamentare nella crisi del centro-sinistra (1968-1972), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia - Viterbo, Anno Accademico 2007-2008

domenica 20 ottobre 2024

Gli inizi di una banda partigiana, da Roma all'Abruzzo

Sulmona (AQ). Foto: Lorenzo Testa. Fonte: Wikipedia

La banda «ABBRUZZI [sic!]» - poi banda Ciavarella <1830 - fu costituita con «il compito di insediare le forze tedesche nelle zone dell’Abbruzzo [sic!] e Molise, e favorire eventuali passaggi delle linee, data la natura dei luoghi in cui le opposte parti combattevano» <1831. La Commissione Regionale Abruzzese nel verbale di seduta n. 51, esame pratica n. 097, in data 31 luglio 1948, così si espresse in merito:
«presa in esame la relazione e documentazione probatoria relativa alla Formazione Partigiana “Ciavarella” del Raggruppamento Bande “Bandiera Rossa” comandata dal Sig. Ciavarella Francesco <1832 (trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 Marzo 1944) e da tale data comandata dal Sig. Novelli Bruno; ed operante in località varie del Lazio e dell’Abruzzo, per il periodo 9 Settembre 1943 - 10 Giugno 1944, con la forza numerica di n. 114 Partigiani e 11 Patrioti, dei quali: Caduti: n. 2 ; Feriti: n. 11; Invalidi: n. 3; Ex prigionieri all. n. 8; DELIBERA ALL’UNANIMITA’ di riconoscere la Formazione al comando del Caduto Ciavarella Francesco per il periodo 9 Settembre - 24 Marzo ’44 e del Sig. Novelli Bruno, per il periodo 25 Marzo ‘44 - 10 Giugno ’44, con la forza numerica sopraspecificata [sic!]» <1833.
Al termine dell’iter di riconoscimento, nella formazione ottennero la qualifica di partigiano un centinaio di elementi di cui 2 caduti <1834, 2 feriti <1835 e 2 invalidi per la lotta di Liberazione <1836. Riconosciute anche 28 qualifiche gerarchiche: 1 capo di stato maggiore <1837, 3 comandanti di brigata <1838, 1 ispettore con incarico organizzativo <1839, 1 comandante di distaccamento <1840, 2 comandanti di distretto <1841, 8 comandanti di squadra <1842, e 12 comandanti di nucleo <1843. Segnalati nella relazione del Novelli, 3 componenti della banda catturati e deportati: Giulio Di Giulio, Romeo Pomponi <1844 e Spartaco De Bono <1845.
La ricostruzione dell’esperienza resistenziale di questa banda è resa a tratti difficoltosa da quelle che sono le implicazioni dei suoi due tratti distintivi rispetto a buona parte di tutte le altre operanti in Abruzzo: un esordio che non avvenne nel territorio regionale bensì nella Capitale, ed il suo carattere di estrema mobilità che la portò ad operare in tre province abruzzesi spesso a ridosso delle linee del fronte. Per seguire il complesso intreccio di trasferimenti e attività della banda ci è affidati quindi in buona parte alla corposa relazione del Bruno Novelli che prima da vicecapo e poi da capo ne seguì l’evolversi nell’intero periodo tra il settembre ’43 ed il giugno ’44.
Il primo nucleo della banda si formò a Roma sotto la guida di Francesco Ciavarella <1846 che riunì attorno a sé i partigiani Bruno Novelli, Gastone Bruni <1847, Marino Cassanelli, Giuseppe Cipriano, Domenico D’Arpino, Giuseppe De Peretti <1848, Giulio Di Giulio <1849, Armando Fatatà, Orlando Faticoni, Giovanni Iovino, Menotti Pozzi e pochi altri. Immediatamente operativo, il 9 ed il 10 settembre [1943], il nucleo si fuse ad altri gruppi della Bandiera Rossa per partecipare compatti al comando di Aladino Govoni <1850 ai combattimenti contro i tedeschi tenutisi alla Cecchignola e a San Paolo <1851. La sera del 10 stesso, il Ciavarella ed i suoi uomini svolsero anche, per iniziativa personale, un «audacissimo» colpo di mano nella Caserma dell’81° Fanteria «allo scopo di rifornirsi di armi per se e per le esigenze della Formazione» <1852. Bottino dell’incursione: «22 moschetti, una mitragliatrice leggera e tre casse di bombe a mano» <1853. Scoperti da una pattuglia tedesca a colpo effettuato e ad armi messe al sicuro, riuscirono tutti a fuggirgli tranne Alfredo Ranucci che venne catturato e «per debolezza, si mise a disposizione del nemico alla ricerca dei compagni, dei quali diede generalità ed indirizzi» <1854. Ormai individuati, gli elementi della banda riuscirono a nascondersi fino a fine settembre, periodo in cui il Comando della Bandiera Rossa decise per misura precauzionale di allontanarli da Roma e dal Lazio, per inviarli nel basso Abruzzo ad «organizzare colà, alle spalle delle linee tedesche un centro di guerriglia e di sabotaggio» <1855.
Il 4 ottobre la banda divisa in quattro squadre <1856 di 20 elementi ciascuna <1857, iniziò il suo avvicinamento verso l’Abruzzo, «alla spicciolata e camuffati da borsari neri» <1858. La loro prima destinazione fu a Capranica Prenestina, piccolo comune laziale lungo la dorsale dei Monti Prenestini, in cui si accinsero al «lavoro di asporto, secondo gli ordini ricevuti, del materiale aeronautico della Stazione meterologica di Guadagnolo» <1859. A coadiuvarli nella loro missione fu don Pasquale Buttarazzi <1860 parroco della piccola frazione «che, dopo l’8 Settembre 43, già cappellano militare <1861, si era ritirato nel suo paese ed era in stretto collegamento con il Comitato Direttivo del M.C.I.» <1862 ed era stato addetto dall’aeronautica italiana alla custodia della Stazione <1863. Alle ore 13 del 25 ottobre, secondo le fonti a seguito di una delazione <1864, i tedeschi piombarono su Guadagnolo in tre gruppi provenienti da tre direzione diverse <1865, e perquisirono l’abitato «in cerca delle persone venute da Roma per portar via il materiale» <1866. Nonostante il reciso negare del parroco, il rinvenimento delle casse con il materiale pronto per essere trasportato <1867 causò il precipitare degli eventi: don Buttarazzi fu sottoposto prima a ripetuti interrogatori, poi fatto oggetto di un colpo di moschetto alla tempia sinistra <1868, ed infine ucciso da «bestiali raffiche di mitra» mentre ferito e sanguinante cercava di raggiungere la Canonica «sotto gli occhi terrorizzati dei suoi fedeli e della povera madre» <1869. Per ordine tedesco, pena rappresaglie, per le successive 48 ore <1870 il suo corpo crivellato fu lasciato a giacere nel punto in cui era caduto <1871.
Abbandonata, per timore di terribili conseguenze sulla popolazione, l’idea iniziale di «vendicare il generoso Eroe» mettendo a segno un’«azione violenta contro i tedeschi», gli uomini della banda lasciarono Guadagnolo per spostarsi prima verso Avezzano e poi Sulmona dove si accamparono in località San Francesco <1872. Qui si valsero dell’accoglienza di Gino Paris e del suo gruppo, «costretti a sloggiare da Roma dopo il colpo di mano compiuto a Castel Giubileo per il quale era stati individuati ed attivamente ricercati», e lì rifugiatisi da due settimane con l’incarico di costituire gruppi Bandiera Rossa a Leonessa e Monte Borraggine <1873. La prima azione di sabotaggio della banda del Ciavarella fu compiuta il 3 novembre presso un piccolo autoparco della Todt sito in località Rocca Pia lungo la rotabile «che da Sulmona va a Rivisondoli», ed ebbe per esito la distruzione di due automezzi tedeschi e l’asportazione di 16 copertoni <1874. Spostati quindi i quattro gruppi, a cui si erano uniti nel frattempo degli ex prigionieri alleati, nell’area di Pescocostanzo, vi condussero fino al 16 novembre quattro azioni in rapida successione: il 10 «scontro con una pattuglia tedesca in zona Cinquemiglia»; il 12, assalto ad un’autocolonna tedesca lungo la nazionale nei pressi di Rivisondoli operata con lancio di bombe a mano e raffiche di mitra; il 14, danneggiamento di oltre 30 metri di binari sul tratto «fra la stazione di Roccaraso e l’entrata della galleria della stazione di Pescocostanzo»; il 16, salvataggio di un gruppo di giovani renitenti alla leva ed ex militari nascostisi nel bosco della Serra di Monte Paradiso, che «si affiancarono con entusiasmo ai nostri proseguendo con essi in forma più attiva e più decisa, sebbene con più rischio e disagio, la vita clandestina» <1875.
Fortificata dai nuovi inserimenti benché in buona parte privi di armi, la banda si diresse separatamente ed alla spicciolata verso Palena, dove infine si ricompattò il 24 novembre in località Sant’Antonio <1876. Data l’estrema pericolosità dell’area percorsa da un intenso traffico di autocolonne tedesche, si rese qui necessaria una generale riorganizzazione degli uomini che vennero suddivisi in squadre «tatticamente dislocate in posti sicuri ed inaccessibili» che poterono contare sull’aiuto dei contadini locali <1877. A Palena si trattennero per circa due settimane «svolgendo continue azioni sull’autostrada, non indietreggiando di fronte a nessun rischio pur di rifornirsi del necessario a carico dei tedeschi e per tener fonte alle esigente, sia pur elementari, della vita quotidiana». Tra le azioni, ritenute dal Novelli «più importanti», vennero enumerate nella relazione: l’assalto del 26 novembre ad un automezzo tedesco diretto verso Casoli, compiuto all’imbrunire da due gruppi di partigiani, uno d’azione l’altro di protezione, durante il quale «agevolati da una tormenta di neve e da un freddo intensissimo», riuscirono a fermare il mezzo e ad asportare 22 coperte, due casse di gallette e una di burro, e tre «mascin-pistola»; il tentativo di salvataggio del 27 di un gruppo di ufficiali nascostisi «in contrada La Posta» oggetto di rastrellamento tedesco, durante il quale le due squadre al comando del Ciavarella e del Novelli partite in missione per rinvenire gli bandati ed avvertirli - si seppe solo dopo che si erano già spostati in un’area contigua ma più sicura - furono avvistate il 29 da «grossi pattuglioni di tedeschi» e ne seguì un inseguimento e diversi scontri a fuoco che durarono per circa due ore fino a che i partigiani non riuscirono a sganciarsi, complice anche «un’acqua torrenziale», ed a far rientro alla base; intanto nella stessa giornata, le due altre squadre operarono un tentativo di minamento della galleria di Lettopalena, che però non ebbe per esisto l’esplosione prevista a causa di un problema al detonatore <1878.
Intanto in seguito ai ripetuti disagi patiti, il Giulio Di Giulio di ammalò di pleurite e giocoforza il 30 novembre i compagni procedettero al suo trasferimento a Roma dove giunse il 9 dicembre dopo un viaggio avventuroso1879. Catturato il 10 dalla Gestapo fu trasferito in via Tasso e quindi deportato prima a «[Bergen-]Belsen e poi a Ma[u]thausen»1880. Riuscì a sopravvivere ad entrambi gli internamenti rientrando a Roma il 16 luglio 1945 per poi morire solo pochi mesi dopo per malattia contratta durante la prigionia <1881.
[NOTE]
1830 La denominazione le fu attribuita in un secondo tempo, in memoria del suo comandante Ciavarella Francesco. Cfr. ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1831 Ibidem.
1832 Proposta di Medaglia di Argento al Valor Militare per Ciavarella Francesco. «Ardimentoso partigiano, coraggioso organizzatore e sabotatore, animato da altissimo amor di Patria, animo fervente di democratico, provato alle persecuzioni nazifasciste, si prodigò nell’opera e nei compiti affidatigli, con grande spirito di sacrificio e di abnegazione. Dopo aver partecipatoai [sic!] combattimenti della resistenza di Roma alla Cecchignola e a San Paolo, segnalato alla polizia fascista, con un voloroso [sic!] gruppo di suoi compagni, si trasferisce nelle zone più impervie dell’Abruzzi e vi compie rischiose azioni di sabotaggio e di guerriglia. Con particolare sprezzo della vita attraversò più volte le linee nemiche finché, catturato, veniva condotto a Roma e terribilmente seviziato in Via Tasso, da dove il 24 marzo 44, condivideva l’eroica sorte dei Martiri delle Fosse Ardeatine», ivi, Raggruppamento», ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, documento del Comando Civile e Militare della città di Roma e suo territorio situato in zona di guerra.
1833 Ivi, Commissione Regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano, L’Aquila del 31 luglio 1948.
1834 Buttarazzi Pasquale e Ciavarella Francesco. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1835 Bruno Francesco e Di Cesare Lello. Cfr. ibidem.
1836 Faticone Orlando e Savoca Salvatore. Cfr. ibidem.
1837 Bruno Francesco, nato a Ripacandida (PZ) il 13 marzo 1913, sergente maggiore, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e capo di Stato Maggiore, dal 10/09/43 al 10/06/44, ferito durante uno sconto con repubblichini il 20 maggio 1944 in località Bivio Crisanti. Riconosciuto partigiano combattente ferito per la lotta di Liberazione. Cfr. ibidem.
1838 Ciavarella Francesco, nato a Pistoia il 7 gennaio 1917, ha svolto attività partigiana nella banda come capitano e comandante di brigata partigiana, dal 09/09/43 al 24/03/44, giorno in cui fu ucciso alle Fosse Ardeatine. Riconosciuto partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione. Cfr. ivi, schedario partigiani. Cfr. anche: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2127. Novelli Bruno, nato a Roma il 1° gennaio 1914, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e comandante di brigata partigiana, dal 09/09/43 al 10/06/44; Passalacqua Domenico, nato a Messina il 5 gennaio 1901, capitano 8° Rgt. Artiglieria, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e comandante di brigata partigiana, dall’11/11/43 al 10/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1839 Daniele Italo, nato a Tornareccio (CH) il 9 maggio 1918, ha svolto attività partigiana nella banda come tenente e ispettore con incarico organizzativo, dal 26/11/43 al 10/06/44. Nome di battaglia Della Testa Ennio. Cfr. ibidem.
1840 Faticone Orlando, nato a Roma il 13 luglio 1903, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distaccamento partigiano, dal 09/09/43 al 10/06/44, ferito durante uno sconto con i repubblichini il 20 maggio 1944 in località Bivio Crisanti. Riconosciuto partigiano combattente invalido per la lotta di Liberazione. Cfr. ibidem.
1841 D’Arpino Domenico, nato a Roma il 13 ottobre 1913, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distretto partigiano, dal 09/09/43 al 10/06/44; Fatatà Armando, nato a Roma il 9 dicembre 1908, soldato 4° Cavalleria, ha svolto attività partigiana nella banda come sottotenente e comandante di distretto partigiano, dal 09/09/43 al 10/06/44. Cfr. ibidem.
1842 Cipriani o Ciprari Giuseppe, nato a Roma il 14 luglio 1900, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 09/09/43 al 10/06/44; Di Cesare Lello o Nello, nato a Parigi il 21 novembre 1921, caporale 81° Rgt. Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 10/09/43 al 10/06/44, ferito a Rivisondoli il 3 novembre 1943. Riconosciuto partigiano combattente ferito per la lotta di Liberazione; Galletti Romolo, nato a Roma il 6 ottobre 1908, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 09/09/43 al 10/06/44; La Sorsa Cordelia, nata a Molfetta (BA) il 31 gennaio 1919, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 12/12/43 al 10/06/44; Pozzi Menotti, nato a Ascoli Piceno il 6 gennaio 1916, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 12/09/43 al 10/06/44; Santolamazza Mariano, nato a Roma il 7 marzo 1910, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 10/09/43 al 10/06/44; Savoca Salvatore, nato a Riese Pio X (TV) il 24 settembre 1896, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 10/09/43 al 10/06/44; Valentini Ermete, nato a Roma l’8 marzo 1903, ha svolto attività partigiana nella banda come maresciallo ordinario e comandante di squadra partigiana, dal 09/09/43 al 10/06/44. Cfr. ibidem.
1843 Azziti o Azzariti Luigi, nato il 3 luglio 1909, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/10/43 al 10/06/44; Calabrese Pasquale, nato a Palermo il 20 gennaio 1899, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 09/10/43 al 10/06/44; Cassanelli Marino, nato a Bisceglie (BT) il 16 maggio 1906, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 26/11/43 al 10/06/44; Gallo Giovanni, nato a Corato (BA) il 26 giugno 1926, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/11/43 al 10/06/44; Guerra Giorgio, nato a Roma il 10 aprile 1926, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 26/11/43 al 10/06/44; Iovino Giovanni, nato a Cerignola (FG) il 2 gennaio 1910, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/10/43 al 10/06/44; Passalacqua Cesare, nato a Borgorose (RI) il 19 aprile 1904, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/09/43 al 10/06/44; Piergentili Vicenzo, nato a Amorosi (BN) il 4 agosto 1907, soldato 81° Rgt. Fanteria, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 09/09/43 al 10/06/44; Rambotti Luigi, nato a Roma il 1° maggio 1905, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/10/43 al 10/06/44; Riso Aldo, nato a Castrignano del Capo (LE) il 24 agosto 1907, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 24/11/43 al 10/06/44; Sarra Gaetano, nato a Priverno (LT) il 7 agosto 1903, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 10/10/43 al 10/06/44; Venturi Antonio, nato a Spoleto (PG) il 2 aprile 1916, soldato 8a Comp. sussistenza, ha svolto attività partigiana nella banda come sergente e comandante di nucleo partigiano, dal 09/09/43 al 10/06/44. Cfr. ibidem.
1844 Pomponi Romeo, nato a Roma il 10 maggio 1914, ha svolto attività partigiana nella banda dal 10/09/43 al 28/09/45. Cfr. ibidem.
1845 De Bono o Del Buono Spartaco. Sulle circostanze del suo arresto avvenuto in Roma il 25 dicembre 1943, cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, dichiarazione di Di Iorio Angelo e Cardone Domenica.
1846 «[…] perseguitato politico e da poco rientrato dal confine di Polizia. Il 13 Agosto 1943, entrò a far parte del M.C.I. e si distingue subito per la sua attività antifascista e per la sincera fede democratica». La sera stessa dell’8 settembre, circolata in città la notizia dell’armistizio, il Ciavarella «chiamò a raccolta i suoi più fidati e prevedendo che la fine della guerra contro gli Alleati avrebbe portato, sensa [sic!] meno, a chissà a quale lotta contri i tedeschi […] si mise subito a disposizione del Comitato Esecutivo del M.C.I.», ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1847 Nato a Roma il 17 marzo 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 10/10/43 al 04/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1848 Nato a Milano il 1° giugno 1926, ha svolto attività partigiana nella banda dal 10/10/43 al 04/06/44. Cfr. ibidem.
1849 Nato a Roma il 2 ottobre 1907, ha svolto attività partigiana nella banda dal 09/09/43 al 26/12/43. Cfr. ibidem.
1850 Caduto il 24 marzo 1944 alla Fosse Ardeatine. Cfr. l’Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2127.
1851 ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1852 Ibidem.
1853 Ibidem.
1854 Ibidem.
1855 Ibidem.
1856 Guidate da: Fatatà Armando con vice D’Arpino Domenico, Di Giulio Giulio con vice Faticoni Orlando, Galletti Romolo con vice Pozzi Menotti e Valentini Ermete con vice Ciprari Giuseppe. Cfr. ibidem.
1857 Specificò il Novelli, che detti gruppi «diminuivano o aumentavano di forza, a seconda delle circostanze e degli eventi», ibidem.
1858 Ibidem.
1859 Ibidem. Frazione di Capranica Prenestina. Stando alla dichiarazione del Comitato di Liberazione Nazionale, a timbro dell’Ufficio Stralcio Bandiera Rossa del 23 aprile 1948, il gruppo del Ciavarella si rifugiò a Guadagnolo con «compito di mettere al sicuro il materiale della Stazione Metereologica tenuto in custodia dall’ex cappellano militare tenente Buttarazzi», ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa.
1860 Nato a Monte San Giovanni Campano (FR) il 06/01/1906, tenente e cappellano militare, ha svolto attività partigiana nella banda dal 09/09/43 al 25/10/44, giorno in cui fu assassinato dai tedeschi quale collaboratore di partigiani nella frazione di Guadagnolo del comune di Capranica Prenestina (RM). Riconosciuto partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione. Cfr. ivi, schedario partigiani e schedario caduti e feriti. Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, certificato di morte di Buttarazzi Pasquale.
1861 «[…] in Africa Orientale», ivi, memorandum del sacerdote Bernardino Nonni del 15 giugno 1948.
1862 Ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1863 Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, memorandum del sacerdote Bernardino Nonni del 15 giugno 1948.
1864 Il Novelli specificò che i tedeschi «non si erano fino allora, occupati o preoccupati, di detta Stazione e del materiale ivi esistente», ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno. Si segnala altresì che secondo la Relazione sulla morte di don Pasquale Buttarazzi a firma di padre Leo Woytyniak della Congregazione della Resurrezione del 14 maggio 1948 la delazione riguardò specificatamente la presenza di partigiani dislocati nelle montagne palestrinesi. Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa.
1865 Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, Relazione sulla morte di don Pasquale Buttarazzi a firma di padre Leo Woytyniak.
1866 Ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1867 Nonché di un telefono pubblico, per le trasmissioni dei bollettini, di un radiotelefono, e della divisa di ufficiale italiano appartenente allo stesso parroco. Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, memorandum del sacerdote Bernardino Nonni del 15 giugno 1948.
1868 Cfr. ibidem. Diverse le versioni in merito a detta circostanza. Per il Novelli il colpo fu inferto a fronte delle non credute giustificazioni del don in merito al rinvenimento di una innocua lanterna da lui usata di notte per le necessità del suo ministero e scambiata invece dai tedeschi «per chissà quale strumento di segnalazione spionistica», ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno. Per la Relazione sulla morte di don Pasquale Buttarazzi firma di padre Leo Woytyniaki della Congregazione delle Resurrezione del 14 maggio 1948, il parroco che non aveva opposto resistenza mentre i tedeschi operavano la distruzione di tutta l’apparecchiatura metereologica, reagì invece al vedersi sottrarre «una lampadina portatile ad accumulatore» cercando di strapparla di mano ad un soldato tedesco. Ne nacque una colluttazione in cui intervenne un commilitone che colpì il Parroco alla testa con il manico della rivoltella. Ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa. Secondo la versione del memorandum, trattavasi «di una lanterna a pila elettrica per le osservazioni degli apparecchi, fuori di casa, fatte di notte, lanterna, che usava anche per recarsi in Chiesa, di notte, ed ai moribondi», ivi, memorandum del sacerdote Bernardino Nonni del 15 giugno 1948.
1869 Ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno. Cfr. ivi, anche Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, Relazione sulla morte di don Pasquale Buttarazzi firma di padre Leo Woytyniaki della Congregazione delle Resurrezione del 14 maggio 1948 a cui l’evolversi della vicenda fu narrata da testimoni oculari. Cfr. ivi, anche atto di notorietà presso il comune di Capranica Prenestina del 14 giugno 1948.
1870 Nella Relazione sulla morte di don Pasquale Buttarazzi firma di padre Leo Woytyniaki, si parlò di sole 15 ore. Cfr. ivi.
1871 Cfr. ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno. «I suoi sentimenti erano di schietta italianità; imparziale, aiutava chiunque, per quanto poteva. La sua tragica fine ha lasciato una enorme impressione», ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, memorandum del sacerdote Bernardino Nonni del 15 giugno 1948. Cfr. anche Atlante Stragi: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=1907.
1872 Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno.
1873 Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, dichiarazione di Paris Gino del 13 marzo 1948. «[…] ho provveduto largamente» - scrisse il Paris nella sua relazione - «a potenziare ed incrementare il forte gruppo comandato da Ciavarella», ibidem. Cfr. ivi, Banda Bandiera Rossa, anche relazione di Novelli Bruno.
1874 Cfr. ibidem. Nell’azione rimase ferito da schegge di bomba a mano il Di Cesare Lello. Cfr. ivi, Raggruppamento Bande Bandiera Rossa, nota sulle attività svolte dal Di Cesare. Cfr. ivi, anche schedario partigiani.
1875 Ivi, Banda Bandiera Rossa, relazione di Novelli Bruno. Saputo che nell’area un contingente tedesco stava compiendo un rastrellamento, gli uomini della banda si divisero in due gruppi così che mentre gli uomini del primo «fintisi contadini, riuscirono a deviare l’itinerario dei tedeschi facendolo addentrare nel bosco Schiapparo a sud della Serra di Monte Paradiso», quelli del secondo raggiunsero ed avvisarono gli uomini alla macchia. Ibidem.
1876 Cfr. ibidem.
1877 Cfr. ibidem.
1878 Cfr. ibidem.1879 Cfr. ibidem.
1880 Ibidem.
1881 Cfr. ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 10 ottobre 2024

Si salvò solo l'Organizzazione O


Anche se, come visto, la stragrande maggioranza delle strutture clandestine anticomuniste italiane si era formata nella “zona calda” del Nord-Est, non mancarono dei gruppi armati che si costituirono in altre parti della penisola, che non riguardavano la lotta al comunismo. Ne erano esempio il gruppo paramilitare “Volontari della Corona” <40, formato da ufficiali che cercarono di preservare la monarchia dal cambio di regime del 1946, e l’ “Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia” (EVIS), che era nato in una regione “focolaio” di cospirazioni <41.
Le elezioni politiche del 1948 erano state un evento che aveva mobilitato una pluralità di organizzazioni, reti, gruppi armati di ispirazione partigiana che si identificavano nel medesimo scopo di proteggere l’Italia da un’eventuale invasione slavo-sovietica. Tuttavia, già il 2 febbraio di quell’anno il Governo De Gasperi aveva esplicitamente proibito l’esistenza di queste organizzazioni, di qualunque schieramento politico <42. Sebbene riconosciuti e supportati in tempo di guerra dal Comando Supremo Alleato, con la fine delle ostilità queste strutture, secondo la neonata Repubblica Italiana, non avevano più ragione di esistere, se non alimentare l’odio politico e riaprire una guerra civile, che già c’era dal punto di vista politico.
Solo un’organizzazione si “salvò”. Il 6 aprile 1950 una direttiva dello Stato Maggiore (per ordine del Generale Raffaele Cadorna) rinominò il “Terzo Corpo Volontari della Libertà” in “Organizzazione O” (in onore della vecchia “Brigata Osoppo”) <43, divenendo la principale rete Stay Behind italiana, cioè una struttura occulta alle dirette dipendenze del servizio segreto (SIFAR) che doveva impedire o limitare un’invasione comunista dalla parte orientale del paese, operando appunto “dietro le linee nemiche”. Quindi tale organizzazione fu l’unica riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano e da esso finanziata.
Il Generale Cadorna in persona si impegnò a fornire l’armamento necessario alla “Organizzazione O”, che avrebbe puntato ad un organico di 10.000 unità <44. A capo della struttura venne messo il Colonnello Luigi Olivieri, già noto attore nella lotta anticomunista per essere stato il cofondatore della formazione armata “Fratelli d’Italia”. Egli fu delegato a riarmare in segreto i “più fedeli osovani” e ordinarli in reparti per la difesa della popolazione di frontiera. Gli episodi di Porzus e dei “quaranta giorni” di Trieste dimostravano senza dubbio la pericolosità del nemico jugoslavo, anche dopo lo scisma dall’URSS del 1948.
Già nell’aprile del 1946, in una riunione segreta, vennero fissati i principali compiti che l’organizzazione avrebbe dovuto avere. Tra di essi troviamo <45: -accendere, alimentare la fiamma della resistenza in tutto il Friuli e, possibilmente, nel Goriziano, contro le mire annessionistiche slave; - sviluppare l’organizzazione cercando di portare la forza possibilmente a 10.000 uomini, le armi, le munizioni, i mezzi finanziari sarebbero stati inviati per mezzo dell’ufficiale di collegamento con lo Stato Maggiore, il Tenente Colonnello Zitelli; - far fruire un certo numero di armi e munizioni a Pola, Trieste e Gorizia; - mantenere il massimo segreto e in qualsiasi evenienza non coinvolgere la responsabilità dell’esercito in quanto tutto veniva a svolgersi in regime armistiziale; - mantenere efficiente il servizio informazioni riferendo le notizie più importanti; -vigilare e difendere con elementi in posto il territorio ad Ovest della linea: Tarvisio, Predil, Sella Nevea, Monte Canin, Monte Matajur, Colovrat, torrente Judrio, Cormos, Medea, Belvedere; - tenere disponibili elementi di riserva con adeguati mezzi di trasporto da noleggiare per essere impiegati nelle zone di eventuali infiltrazioni avversarie in forze. Per quanto riguardava l’organico, al momento della sua ufficiale costituzione, il 6 aprile 1950, l’ “Organizzazione O” si componeva di <46: - 256 ufficiali, - 496 sottufficiali, - 5.728 uomini di truppa. Tutti gli uomini impiegati erano alle dirette dipendenze del 5° Corpo d’Armata, guidato dal Generale Biglino. Come scriveva lo stesso Colonnello Olivieri: “L’organizzazione manteneva una buona efficienza sotto tutti gli aspetti; costituiva, anche in pace, un valido campanello di allarme ai confini della Patria e si prevedeva che in caso di mobilitazione […] poteva essere una sicura difesa contro le azioni di bande partigiane jugoslave e contro le azioni di sabotatori al soldo dello straniero e pervasi di false ideologie politiche” <47.
Il passaggio dal “Terzo Corpo Volontari della Libertà” all’“Organizzazione O” non riguardava solo il cambio del nome, ma segnò la vera e propria nascita di un reparto paramilitare occulto dell’esercito italiano, che rispondeva allo Stato Maggiore. Tuttavia, la struttura Stay Behind verrà mobilitata ufficialmente solo una volta, precisamente il 16 ottobre 1953, quando Tito minacciò di invadere con le sue truppe il “Territorio Libero di Trieste” <48.
L’obiettivo del Governo Pella era esercitare una pressione psicologica sulla Jugoslavia e sugli alleati, con la mobilitazione di 70.000 uomini del 5° Corpo d’Armata e della “Organizzazione O”, che compì importanti operazioni armate clandestine oltre il confine <49. Il Colonnello Olivieri ricordava infine che all’inizio del 1956 la struttura era composta esattamente da 5.050 unità <50.
Dal punto di vista internazionale era importante, per gli americani, assicurare la solidità del blocco occidentale, visto che la minaccia comunista di occupare l’Europa senza che vi fosse stata un’adeguata resistenza era più che possibile.
Come spiegherà il Generale Paolo Inzerilli (responsabile Gladio dal 1974 al 1986): "Quando è finita la Seconda guerra mondiale praticamente non esistevano più gli eserciti, esistevano solo tre eserciti: quello sovietico, quello americano e quello inglese. Tutti gli altri erano stati spazzati via dalla guerra" <51. Era risaputo che i sovietici potevano contare su un vasto esercito “campale”, in particolare riguardo la fanteria, e che quindi sarebbe stato difficile sostenere uno scontro in campo aperto, soprattutto all’indomani della guerra che più delle precedenti aveva provato fortemente la consistenza degli eserciti. Inoltre, il Generale Inzerilli riferiva in proposito del particolare caso italiano: "Le invasioni [sovietiche], per quanto riguarda l’Italia, sarebbero avvenute una secondo la solita soglia di Gorizia e la seconda sarebbe stata quella attraverso l’Austria per occupare quella che era la cosa più importante in Italia, che era il cosiddetto “triangolo industriale”, e tutta la Pianura Padana". Una conferma la si avrà in futuro con la testimonianza dell’Onorevole Giulio Andreotti, che durante uno dei procedimenti giudiziari riguardanti Gladio riferirà: "[…] Caduto il mondo della sinistra filosovietica, abbiamo avuto la visita, a Roma, del primo ministro ungherese József Antal che, parlando dell’anno nel quale svolse il servizio di leva a Budapest, disse pubblicamente che l’esercitazione era l’occupazione della Val Padana" <52.
Era quindi chiaro che l’Europa aveva un forte bisogno di riarmarsi, da qui il piano americano “Mutual Defence Assistance Program” del 1949. Tuttavia, già nel marzo dell’anno precedente era stato firmato il “Trattato di Bruxelles” <53, un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e i paesi del Benelux, che avrebbe poi favorito la nascita del Patto Atlantico. Si aggiungerà poi il Trattato CED, che, come visto, prevedeva la costruzione di un vero e proprio “esercito europeo”.
Nello specifico caso italiano, lo “Psichological Strategy Board” del dipartimento della Difesa americano preparò, nell’aprile del 1952, il cosiddetto piano “Demagnetize” <54, adottato dal Pentagono, con lo scopo di ridurre il potere comunista in Italia <55 (un piano parallelo, detto “Cloven”, era stato previsto in Francia). Il piano insisteva sulla necessità di colpire i privilegi del Partito Comunista, ridurre le sue fonti di finanziamento, circoscrivere la sua influenza nel sindacato. Inoltre, gli americani ritenevano non necessario che il governo italiano (e quello francese) venisse messo al corrente del piano, in quanto era chiaro che il suo programma poteva interferire con la rispettiva sovranità nazionale <56.
[NOTE]
40 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 524-525.
41 Nuti Leopoldo, The Italian ‘Stay-Behind’ network - The origins of operation ‘Gladio’, rivista Journal of strategic studies, vol. 30, n° 6, 2007, p. 958-959.
42 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 195.
43 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 121.
44 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 123. 45 Idem, p. 125-126. 46 Idem, p. 130.
47 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131. 48 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
49 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 532.
50 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131.
51 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
52 Youtube, Processo Gladio: parla Andreotti (deposizione completa), 1999.
53 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 341.
54 “Smagnetizzazione delle menti intossicate dalla propaganda rossa”. Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 546.
55 Formigoni Guido, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, il Mulino, 2016, p. 191.
56 Ganser Daniele et al., Gli eserciti segreti della Nato: operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi, 2005, p. 87.
Daniele Pistolato, "Operazione Gladio". L’esercito segreto della Nato e l’Estremismo Nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2023-2024

giovedì 3 ottobre 2024

Andreotti dispose un finanziamento di 300.000 lire in favore del “Circolo Cavana”


Il Trattato di pace di Parigi del 1947 era stato, per l'Occidente, la fine di una complessa discussione che vedeva rivendicata la paternità della città di Trieste, nonché tutta la regione Orientale italo-jugoslava. Ma i due paesi interessati consideravano la questione tutt'altro che conclusa.
Con lo scisma titino dall'URSS nel 1948, la Jugoslavia veniva rivalutata agli occhi degli americani, e quindi la vexata quaestio di Trieste venne “congelata” nonostante le concordi volontà di USA, Regno Unito e Francia di far tornare la sovranità italiana su tutto il “Territorio Libero di Trieste” (TLT) <30.
La sorte della città preoccupava seriamente il popolo italiano e il suo ritorno sotto il governo di Roma rimaneva un obiettivo di primario interesse, a prescindere dal colore politico dell'esecutivo in carica.
Con la leadership moderata la questione del TLT divenne inoltre l'indice più evidente della validità della “scelta occidentale” del paese <31. Le questioni aperte del trattato di pace non fecero altro che limitare lo spazio di manovra dell'Italia nell'ambito internazionale, spostando l'attenzione sul tema dell'integrazione europea e il rafforzamento dei legami dei maggior partner della Nazione, primo fra tutti gli Stati Uniti. I terribili “quaranta giorni” dell'occupazione jugoslava di Trieste avevano sconcertato l'Italia intera. L'“Ufficio Zone di Confine” aveva, come si è visto, un ruolo fondamentale nel finanziamento delle “squadre armate” irregolari che si erano via via costituite nel Friuli-Venezia Giulia. Fin dal 1945 queste strutture avevano svolto anche attività di “polizia parallela”, in quanto l'effettivo apparato di pubblica sicurezza nazionale era ritenuto ancora troppo debole ed impreparato, soprattutto per la minaccia titina <32.
I Circoli “Cavana” e “Stazione” erano ufficialmente due aggregazioni sportive calcistiche, che prendevano il nome dei quartieri di Trieste dove avevano la loro sede. Ma lo sport era solo una copertura: nati all'indomani della fine dell'occupazione slava, i due circoli armati, formati per lo più da ex partigiani “bianchi”, si impegnavano ad una dura repressione degli uomini del Maresciallo Tito, ma anche dei comunisti italiani che li sostenevano. Nel febbraio 1949, il governo di Roma, riconosciute ufficialmente queste strutture atipiche, decise di sostenerle. Il Sottosegretario di Stato Giulio Andreotti dispose infatti un finanziamento di 300.000 lire in favore del “Circolo Cavana”, sotto la falsa dicitura “per attività sportive e ricreative” <33.
Anche il “Circolo Stazione” ricevette un finanziamento da Palazzo Chigi, nel marzo 1950, tuttavia questa seconda struttura clandestina si prefiggeva lo specifico scopo di punire le attività produttive
italiane filo-titine <34.
Nel 1997, nel corso di una sua deposizione davanti al Giudice Istruttore Carlo Mastelloni, l'ex Ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani ammise di essere stato lui ad organizzare, negli anni '50, l'invio a “non meglio precisate strutture segrete triestine” <35.
Dopo che l'amministrazione Truman finanziò il riarmo dell'Europa occidentale, la decisione di includere nel programma anche la Germania Ovest si scontrò con una forte opposizione del governo francese, spingendo quest'ultimo a lanciare, nel 1950, il “Piano Pleven” (dal nome del premier, René Pleven), con lo scopo di creare una “Comunità Europea di Difesa” (CED) <36, che prevedeva la creazione di un esercito europeo. Si voleva includere anche lo Stato italiano. Se da un lato l'Italia approvava positivamente il coinvolgimento tedesco nel programma di riarmo atlantico, dall'altro non voleva scontrarsi con la Francia, soprattutto in vista dei trattati che avrebbero successivamente dato vita alla CECA. Dopo un lungo periodo di incertezza, il Governo De Gasperi decise di firmare il trattato CED, il 27 maggio 1952 <37. Tuttavia, la sua ratifica divenne una questione delicata. Era stato previsto un rinvio, in quanto la ratifica fu oggetto di dibattito nella politica interna italiana, nel quale che c'era chi voleva utilizzarlo come “arma di pressione” nei confronti degli alleati occidentali, finché non si sarebbe arrivati ad una risoluzione della questione di Trieste.
Nonostante una forte mediazione degli americani, non si riusciva comunque a trovare un punto d'incontro fra i governi italiano e jugoslavo.
Solo nel 1954 ci sarà finalmente la volontà di concludere la questione, concordando il ritorno della sovranità italiana sul “Territorio Libero di Trieste” (e quindi la città), tramite un memorandum d'intesa <38. Insieme al TLT, l'Italia incorporava l'intera “Zona A”, mentre lo Stato titino incorporava la “Zona B” all'interno del suo territorio.
Il fatto verrà tuttavia riconosciuto formalmente solo nel 1975, con il “Trattato di Osimo”, firmato dai due stati, Italia e Jugoslavia <39.
[NOTE]
30 Formigoni Guido, Storia d'Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, il Mulino, 2016, p. 152.
31 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 160-161.
32 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell'Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 71.
33 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell'Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 76.
34 Idem, p. 78.
35 Idem, p. 102.
36 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 310-311. 37 Formigoni Guido, Storia d'Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, il Mulino, 2016, p. 192.
38 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 161.
39 Banti Alberto Mario, L'età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 258.
Daniele Pistolato, "Operazione Gladio". L'esercito segreto della Nato e l'Estremismo Nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2023-2024