Anche se, come visto, la stragrande maggioranza delle strutture clandestine anticomuniste italiane si era formata nella “zona calda” del Nord-Est, non mancarono dei gruppi armati che si costituirono in altre parti della penisola, che non riguardavano la lotta al comunismo. Ne erano esempio il gruppo paramilitare “Volontari della Corona” <40, formato da ufficiali che cercarono di preservare la monarchia dal cambio di regime del 1946, e l’ “Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia” (EVIS), che era nato in una regione “focolaio” di cospirazioni <41.
Le elezioni politiche del 1948 erano state un evento che aveva mobilitato una pluralità di organizzazioni, reti, gruppi armati di ispirazione partigiana che si identificavano nel medesimo scopo di proteggere l’Italia da un’eventuale invasione slavo-sovietica. Tuttavia, già il 2 febbraio di quell’anno il Governo De Gasperi aveva esplicitamente proibito l’esistenza di queste organizzazioni, di qualunque schieramento politico <42. Sebbene riconosciuti e supportati in tempo di guerra dal Comando Supremo Alleato, con la fine delle ostilità queste strutture, secondo la neonata Repubblica Italiana, non avevano più ragione di esistere, se non alimentare l’odio politico e riaprire una guerra civile, che già c’era dal punto di vista politico.
Solo un’organizzazione si “salvò”. Il 6 aprile 1950 una direttiva dello Stato Maggiore (per ordine del Generale Raffaele Cadorna) rinominò il “Terzo Corpo Volontari della Libertà” in “Organizzazione O” (in onore della vecchia “Brigata Osoppo”) <43, divenendo la principale rete Stay Behind italiana, cioè una struttura occulta alle dirette dipendenze del servizio segreto (SIFAR) che doveva impedire o limitare un’invasione comunista dalla parte orientale del paese, operando appunto “dietro le linee nemiche”. Quindi tale organizzazione fu l’unica riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano e da esso finanziata.
Il Generale Cadorna in persona si impegnò a fornire l’armamento necessario alla “Organizzazione O”, che avrebbe puntato ad un organico di 10.000 unità <44. A capo della struttura venne messo il Colonnello Luigi Olivieri, già noto attore nella lotta anticomunista per essere stato il cofondatore della formazione armata “Fratelli d’Italia”. Egli fu delegato a riarmare in segreto i “più fedeli osovani” e ordinarli in reparti per la difesa della popolazione di frontiera. Gli episodi di Porzus e dei “quaranta giorni” di Trieste dimostravano senza dubbio la pericolosità del nemico jugoslavo, anche dopo lo scisma dall’URSS del 1948.
Già nell’aprile del 1946, in una riunione segreta, vennero fissati i principali compiti che l’organizzazione avrebbe dovuto avere. Tra di essi troviamo <45: -accendere, alimentare la fiamma della resistenza in tutto il Friuli e, possibilmente, nel Goriziano, contro le mire annessionistiche slave; - sviluppare l’organizzazione cercando di portare la forza possibilmente a 10.000 uomini, le armi, le munizioni, i mezzi finanziari sarebbero stati inviati per mezzo dell’ufficiale di collegamento con lo Stato Maggiore, il Tenente Colonnello Zitelli; - far fruire un certo numero di armi e munizioni a Pola, Trieste e Gorizia; - mantenere il massimo segreto e in qualsiasi evenienza non coinvolgere la responsabilità dell’esercito in quanto tutto veniva a svolgersi in regime armistiziale; - mantenere efficiente il servizio informazioni riferendo le notizie più importanti; -vigilare e difendere con elementi in posto il territorio ad Ovest della linea: Tarvisio, Predil, Sella Nevea, Monte Canin, Monte Matajur, Colovrat, torrente Judrio, Cormos, Medea, Belvedere; - tenere disponibili elementi di riserva con adeguati mezzi di trasporto da noleggiare per essere impiegati nelle zone di eventuali infiltrazioni avversarie in forze. Per quanto riguardava l’organico, al momento della sua ufficiale costituzione, il 6 aprile 1950, l’ “Organizzazione O” si componeva di <46: - 256 ufficiali, - 496 sottufficiali, - 5.728 uomini di truppa. Tutti gli uomini impiegati erano alle dirette dipendenze del 5° Corpo d’Armata, guidato dal Generale Biglino. Come scriveva lo stesso Colonnello Olivieri: “L’organizzazione manteneva una buona efficienza sotto tutti gli aspetti; costituiva, anche in pace, un valido campanello di allarme ai confini della Patria e si prevedeva che in caso di mobilitazione […] poteva essere una sicura difesa contro le azioni di bande partigiane jugoslave e contro le azioni di sabotatori al soldo dello straniero e pervasi di false ideologie politiche” <47.
Il passaggio dal “Terzo Corpo Volontari della Libertà” all’“Organizzazione O” non riguardava solo il cambio del nome, ma segnò la vera e propria nascita di un reparto paramilitare occulto dell’esercito italiano, che rispondeva allo Stato Maggiore. Tuttavia, la struttura Stay Behind verrà mobilitata ufficialmente solo una volta, precisamente il 16 ottobre 1953, quando Tito minacciò di invadere con le sue truppe il “Territorio Libero di Trieste” <48.
L’obiettivo del Governo Pella era esercitare una pressione psicologica sulla Jugoslavia e sugli alleati, con la mobilitazione di 70.000 uomini del 5° Corpo d’Armata e della “Organizzazione O”, che compì importanti operazioni armate clandestine oltre il confine <49. Il Colonnello Olivieri ricordava infine che all’inizio del 1956 la struttura era composta esattamente da 5.050 unità <50.
Dal punto di vista internazionale era importante, per gli americani, assicurare la solidità del blocco occidentale, visto che la minaccia comunista di occupare l’Europa senza che vi fosse stata un’adeguata resistenza era più che possibile.
Come spiegherà il Generale Paolo Inzerilli (responsabile Gladio dal 1974 al 1986): "Quando è finita la Seconda guerra mondiale praticamente non esistevano più gli eserciti, esistevano solo tre eserciti: quello sovietico, quello americano e quello inglese. Tutti gli altri erano stati spazzati via dalla guerra" <51. Era risaputo che i sovietici potevano contare su un vasto esercito “campale”, in particolare riguardo la fanteria, e che quindi sarebbe stato difficile sostenere uno scontro in campo aperto, soprattutto all’indomani della guerra che più delle precedenti aveva provato fortemente la consistenza degli eserciti. Inoltre, il Generale Inzerilli riferiva in proposito del particolare caso italiano: "Le invasioni [sovietiche], per quanto riguarda l’Italia, sarebbero avvenute una secondo la solita soglia di Gorizia e la seconda sarebbe stata quella attraverso l’Austria per occupare quella che era la cosa più importante in Italia, che era il cosiddetto “triangolo industriale”, e tutta la Pianura Padana". Una conferma la si avrà in futuro con la testimonianza dell’Onorevole Giulio Andreotti, che durante uno dei procedimenti giudiziari riguardanti Gladio riferirà: "[…] Caduto il mondo della sinistra filosovietica, abbiamo avuto la visita, a Roma, del primo ministro ungherese József Antal che, parlando dell’anno nel quale svolse il servizio di leva a Budapest, disse pubblicamente che l’esercitazione era l’occupazione della Val Padana" <52.
Era quindi chiaro che l’Europa aveva un forte bisogno di riarmarsi, da qui il piano americano “Mutual Defence Assistance Program” del 1949. Tuttavia, già nel marzo dell’anno precedente era stato firmato il “Trattato di Bruxelles” <53, un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e i paesi del Benelux, che avrebbe poi favorito la nascita del Patto Atlantico. Si aggiungerà poi il Trattato CED, che, come visto, prevedeva la costruzione di un vero e proprio “esercito europeo”.
Nello specifico caso italiano, lo “Psichological Strategy Board” del dipartimento della Difesa americano preparò, nell’aprile del 1952, il cosiddetto piano “Demagnetize” <54, adottato dal Pentagono, con lo scopo di ridurre il potere comunista in Italia <55 (un piano parallelo, detto “Cloven”, era stato previsto in Francia). Il piano insisteva sulla necessità di colpire i privilegi del Partito Comunista, ridurre le sue fonti di finanziamento, circoscrivere la sua influenza nel sindacato. Inoltre, gli americani ritenevano non necessario che il governo italiano (e quello francese) venisse messo al corrente del piano, in quanto era chiaro che il suo programma poteva interferire con la rispettiva sovranità nazionale <56.
[NOTE]
40 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 524-525.
41 Nuti Leopoldo, The Italian ‘Stay-Behind’ network - The origins of operation ‘Gladio’, rivista Journal of strategic studies, vol. 30, n° 6, 2007, p. 958-959.
42 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 195.
43 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 121.
44 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 123. 45 Idem, p. 125-126. 46 Idem, p. 130.
47 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131. 48 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
49 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 532.
50 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131.
51 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
52 Youtube, Processo Gladio: parla Andreotti (deposizione completa), 1999.
53 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 341.
54 “Smagnetizzazione delle menti intossicate dalla propaganda rossa”. Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 546.
55 Formigoni Guido, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, il Mulino, 2016, p. 191.
56 Ganser Daniele et al., Gli eserciti segreti della Nato: operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi, 2005, p. 87.
Daniele Pistolato, "Operazione Gladio". L’esercito segreto della Nato e l’Estremismo Nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2023-2024
Le elezioni politiche del 1948 erano state un evento che aveva mobilitato una pluralità di organizzazioni, reti, gruppi armati di ispirazione partigiana che si identificavano nel medesimo scopo di proteggere l’Italia da un’eventuale invasione slavo-sovietica. Tuttavia, già il 2 febbraio di quell’anno il Governo De Gasperi aveva esplicitamente proibito l’esistenza di queste organizzazioni, di qualunque schieramento politico <42. Sebbene riconosciuti e supportati in tempo di guerra dal Comando Supremo Alleato, con la fine delle ostilità queste strutture, secondo la neonata Repubblica Italiana, non avevano più ragione di esistere, se non alimentare l’odio politico e riaprire una guerra civile, che già c’era dal punto di vista politico.
Solo un’organizzazione si “salvò”. Il 6 aprile 1950 una direttiva dello Stato Maggiore (per ordine del Generale Raffaele Cadorna) rinominò il “Terzo Corpo Volontari della Libertà” in “Organizzazione O” (in onore della vecchia “Brigata Osoppo”) <43, divenendo la principale rete Stay Behind italiana, cioè una struttura occulta alle dirette dipendenze del servizio segreto (SIFAR) che doveva impedire o limitare un’invasione comunista dalla parte orientale del paese, operando appunto “dietro le linee nemiche”. Quindi tale organizzazione fu l’unica riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano e da esso finanziata.
Il Generale Cadorna in persona si impegnò a fornire l’armamento necessario alla “Organizzazione O”, che avrebbe puntato ad un organico di 10.000 unità <44. A capo della struttura venne messo il Colonnello Luigi Olivieri, già noto attore nella lotta anticomunista per essere stato il cofondatore della formazione armata “Fratelli d’Italia”. Egli fu delegato a riarmare in segreto i “più fedeli osovani” e ordinarli in reparti per la difesa della popolazione di frontiera. Gli episodi di Porzus e dei “quaranta giorni” di Trieste dimostravano senza dubbio la pericolosità del nemico jugoslavo, anche dopo lo scisma dall’URSS del 1948.
Già nell’aprile del 1946, in una riunione segreta, vennero fissati i principali compiti che l’organizzazione avrebbe dovuto avere. Tra di essi troviamo <45: -accendere, alimentare la fiamma della resistenza in tutto il Friuli e, possibilmente, nel Goriziano, contro le mire annessionistiche slave; - sviluppare l’organizzazione cercando di portare la forza possibilmente a 10.000 uomini, le armi, le munizioni, i mezzi finanziari sarebbero stati inviati per mezzo dell’ufficiale di collegamento con lo Stato Maggiore, il Tenente Colonnello Zitelli; - far fruire un certo numero di armi e munizioni a Pola, Trieste e Gorizia; - mantenere il massimo segreto e in qualsiasi evenienza non coinvolgere la responsabilità dell’esercito in quanto tutto veniva a svolgersi in regime armistiziale; - mantenere efficiente il servizio informazioni riferendo le notizie più importanti; -vigilare e difendere con elementi in posto il territorio ad Ovest della linea: Tarvisio, Predil, Sella Nevea, Monte Canin, Monte Matajur, Colovrat, torrente Judrio, Cormos, Medea, Belvedere; - tenere disponibili elementi di riserva con adeguati mezzi di trasporto da noleggiare per essere impiegati nelle zone di eventuali infiltrazioni avversarie in forze. Per quanto riguardava l’organico, al momento della sua ufficiale costituzione, il 6 aprile 1950, l’ “Organizzazione O” si componeva di <46: - 256 ufficiali, - 496 sottufficiali, - 5.728 uomini di truppa. Tutti gli uomini impiegati erano alle dirette dipendenze del 5° Corpo d’Armata, guidato dal Generale Biglino. Come scriveva lo stesso Colonnello Olivieri: “L’organizzazione manteneva una buona efficienza sotto tutti gli aspetti; costituiva, anche in pace, un valido campanello di allarme ai confini della Patria e si prevedeva che in caso di mobilitazione […] poteva essere una sicura difesa contro le azioni di bande partigiane jugoslave e contro le azioni di sabotatori al soldo dello straniero e pervasi di false ideologie politiche” <47.
Il passaggio dal “Terzo Corpo Volontari della Libertà” all’“Organizzazione O” non riguardava solo il cambio del nome, ma segnò la vera e propria nascita di un reparto paramilitare occulto dell’esercito italiano, che rispondeva allo Stato Maggiore. Tuttavia, la struttura Stay Behind verrà mobilitata ufficialmente solo una volta, precisamente il 16 ottobre 1953, quando Tito minacciò di invadere con le sue truppe il “Territorio Libero di Trieste” <48.
L’obiettivo del Governo Pella era esercitare una pressione psicologica sulla Jugoslavia e sugli alleati, con la mobilitazione di 70.000 uomini del 5° Corpo d’Armata e della “Organizzazione O”, che compì importanti operazioni armate clandestine oltre il confine <49. Il Colonnello Olivieri ricordava infine che all’inizio del 1956 la struttura era composta esattamente da 5.050 unità <50.
Dal punto di vista internazionale era importante, per gli americani, assicurare la solidità del blocco occidentale, visto che la minaccia comunista di occupare l’Europa senza che vi fosse stata un’adeguata resistenza era più che possibile.
Come spiegherà il Generale Paolo Inzerilli (responsabile Gladio dal 1974 al 1986): "Quando è finita la Seconda guerra mondiale praticamente non esistevano più gli eserciti, esistevano solo tre eserciti: quello sovietico, quello americano e quello inglese. Tutti gli altri erano stati spazzati via dalla guerra" <51. Era risaputo che i sovietici potevano contare su un vasto esercito “campale”, in particolare riguardo la fanteria, e che quindi sarebbe stato difficile sostenere uno scontro in campo aperto, soprattutto all’indomani della guerra che più delle precedenti aveva provato fortemente la consistenza degli eserciti. Inoltre, il Generale Inzerilli riferiva in proposito del particolare caso italiano: "Le invasioni [sovietiche], per quanto riguarda l’Italia, sarebbero avvenute una secondo la solita soglia di Gorizia e la seconda sarebbe stata quella attraverso l’Austria per occupare quella che era la cosa più importante in Italia, che era il cosiddetto “triangolo industriale”, e tutta la Pianura Padana". Una conferma la si avrà in futuro con la testimonianza dell’Onorevole Giulio Andreotti, che durante uno dei procedimenti giudiziari riguardanti Gladio riferirà: "[…] Caduto il mondo della sinistra filosovietica, abbiamo avuto la visita, a Roma, del primo ministro ungherese József Antal che, parlando dell’anno nel quale svolse il servizio di leva a Budapest, disse pubblicamente che l’esercitazione era l’occupazione della Val Padana" <52.
Era quindi chiaro che l’Europa aveva un forte bisogno di riarmarsi, da qui il piano americano “Mutual Defence Assistance Program” del 1949. Tuttavia, già nel marzo dell’anno precedente era stato firmato il “Trattato di Bruxelles” <53, un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e i paesi del Benelux, che avrebbe poi favorito la nascita del Patto Atlantico. Si aggiungerà poi il Trattato CED, che, come visto, prevedeva la costruzione di un vero e proprio “esercito europeo”.
Nello specifico caso italiano, lo “Psichological Strategy Board” del dipartimento della Difesa americano preparò, nell’aprile del 1952, il cosiddetto piano “Demagnetize” <54, adottato dal Pentagono, con lo scopo di ridurre il potere comunista in Italia <55 (un piano parallelo, detto “Cloven”, era stato previsto in Francia). Il piano insisteva sulla necessità di colpire i privilegi del Partito Comunista, ridurre le sue fonti di finanziamento, circoscrivere la sua influenza nel sindacato. Inoltre, gli americani ritenevano non necessario che il governo italiano (e quello francese) venisse messo al corrente del piano, in quanto era chiaro che il suo programma poteva interferire con la rispettiva sovranità nazionale <56.
[NOTE]
40 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 524-525.
41 Nuti Leopoldo, The Italian ‘Stay-Behind’ network - The origins of operation ‘Gladio’, rivista Journal of strategic studies, vol. 30, n° 6, 2007, p. 958-959.
42 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 195.
43 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 121.
44 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 123. 45 Idem, p. 125-126. 46 Idem, p. 130.
47 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131. 48 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
49 Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 532.
50 Pacini Giacomo, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana: 1945-1991, Civitavecchia, Prospettiva, 2008, p. 131.
51 Archivio Rai Teche Venezia, Nome in codice Gladio, Documentario Rai DiXit, 2011.
52 Youtube, Processo Gladio: parla Andreotti (deposizione completa), 1999.
53 Varsori Antonio et al., La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, LED, 1993, p. 341.
54 “Smagnetizzazione delle menti intossicate dalla propaganda rossa”. Ilari Virgilio, Storia militare della prima repubblica, 1943-1993, Ancona, Nuove ricerche, 1994, p. 546.
55 Formigoni Guido, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, il Mulino, 2016, p. 191.
56 Ganser Daniele et al., Gli eserciti segreti della Nato: operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi, 2005, p. 87.
Daniele Pistolato, "Operazione Gladio". L’esercito segreto della Nato e l’Estremismo Nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2023-2024