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giovedì 23 novembre 2023

Il giornalismo partecipativo in Italia come valutato alcuni anni fa


In Italia il fenomeno del citizen journalism è relativamente recente. Le sue origini possono essere fatte risalire al maggio 2006, quando diversi forum di utenti denunciarono la pubblicazione on line di un video dove alcuni studenti maltrattavano un compagno disabile, suscitando la reazione sdegnata della blogosfera e dando il via all’inchiesta giornalistica iniziata dai canali mainstream di informazione. Tuttavia, l’attenzione che i principali canali di diffusione diedero a questa prima denuncia ad opera degli utenti fu relativamente bassa. Le cronache si incentrarono principalmente sul contenuto del video pubblicato piuttosto che sulle modalità di denuncia da parte della rete, focalizzando l’attenzione sulla necessità di porre limiti etici ai contenuti pubblicati on line. Questo fatto di cronaca locale, ad ogni modo, rese la galassia web consapevole della propria importanza nel reperire elementi da poter denunciare ai mass media e alle autorità competenti, e da quell’anno si moltiplicarono le inchieste collettive, il cui obiettivo principale è stato focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su tematiche altrimenti poste in secondo piano dal mondo dell’informazione mainstream.
L’unità cellulare dell’open source journalism è anche in Italia rappresentata dai blog di informazione, blog che da ormai un decennio sono diventati, anche grazie a contest basati sulla qualità e sul successo nella blogosfera come il Macchianera Blog Awards, una pedina fondamentale per valutare le sensazioni dell’opinione pubblica. Il successo del giornalismo user generated sta proprio nel fatto che giornalismo oggi non significa più soltanto pubblicare un articolo: ogni contributo può infatti far sì che i media svolgano meglio la loro funzione di controllo e che possano trovare temi innovativi, utilizzando la blogosfera come termometro sociale. Nei blog e nelle communities, nonché tramite reporter-cittadini, i giornalisti che fanno ricerche in modo professionale possono trovare argomenti e informazioni inedite e scovare in tempi molto più rapidi cambiamenti e pericoli.
Il giornalismo partecipativo è anche in Italia la risultante di una doppia evoluzione, tecnologica e sociale. La democratizzazione di Internet, la comparsa dei blog, lo sviluppo del digitale in tutte le sue forme, tutto ciò ha aumentato la possibilità di esprimersi, di comunicare e di scambiare informazione. Questa nuova realtà tecnologica ha consentito a un fenomeno sociale più profondo di concretizzarsi: il desiderio del cittadino di non subire l'informazione ma di parteciparvi.
I redattori di Current TV188 hanno definito in pochi punti i motivi per cui in Italia ebbe così successo l’esperimento della televisione on line fondata da Al Gore. Secondo questo piccolo manifesto della nuova efficienza  dell’informazione le cause risiedevano in 5 fattori fondamentali:
- Qualità (video e pod erano infatti caricati dagli utenti e documentavano aspetti del mondo reali ed inesplorati)
- Flusso Continuo (non vi era un vero e proprio palinsesto, ma tutto si basava su pod e quindi su moduli di durata variabile, da 1 a 8 minuti; questo ha consentito un flusso ininterrotto dello stesso video durante un lasso temporale potenzialmente infinitamente esteso)
- Attualità (i redattori hanno trattato tematiche di informazione e approfondimento, e al contempo argomenti alternativi come lo sport e lo spettacolo)
- Democratizzazione (Current è riuscita infatti nell'intento di creare una community attorno al web dove non era prevista censura e dove era previsto che i video più graditi dagli utenti sarebbero stati trasmessi in tv e retribuiti)
- Rete Indipendente (a totale garanzia della democrazia dei contenuti).
Tra i primi a sperimentare il giornalismo partecipativo a tutti gli effetti in Italia vi furono i redattori di Radio Radicale con la creazione del sito FaiNotizia.it <189. Era il 2006, e il sito fu un “esperimento sociale e giornalistico finalizzato ad utilizzare il carattere libero e collaborativo dei nuovi media per dar vita a un nuovo modello di informazione”. Il sito divenne presto un luogo dove gli utenti si attivavano nella ricerca e nella redazione di notizie, potendo inserire i propri contributi testuali, video, foto, segnalare notizie interessanti trovate su altri siti o blog, commentare e votare le segnalazioni degli altri membri della community, e dare origine ad inchieste collaborative di vario genere. In un paio di anni FaiNotizia.it coinvolse più di 8.000 persone, che inserirono nel sito oltre 14.000 interventi, 18.000 segnalazioni, 27.000 commenti, 250 video e novanta inchieste.
Secondo gli ideatori del progetto, “la missione di un simile progetto è quella di tornare a mettere al centro dell'informazione il cittadino e il suo diritto a conoscere per deliberare, nella convinzione che nei nuovi media risieda un potenziale (ancora tutto da esplorare) tale da scardinare gli assetti attuali del sistema dell'informazione e da creare un luogo nuovo, una moderna agorà nella quale il cittadino è chiamato a dare un contributo attivo. Ogni persona rappresenta infatti una fonte unica e insostituibile di conoscenza e FaiNotizia.it costituisce lo spazio telematico per la condivisione e l'arricchimento di questo patrimonio di notizie, opinioni ed esperienze, che anche in questo caso è libero, grazie all'adozione delle licenze Creative Commons” <190.
Nello stesso anno è stato fondato Comincialitalia.net, il “primo quotidiano cartaceo italiano dei cittadini” <191, interamente scritto dai cittadini stessi, che ne rappresentano la Redazione. Si tratta di un giornale fai da te in cui l’utente-autore scrive on line, impagina e titola il suo articolo, e lo invia senza necessità di revisioni ulteriori. Ad oggi la testata vanta oltre sette mila visitatori unici al giorno, duecentomila al mese, e più di trecentocinquantamila pagine lette.
Navigando oggi nella rete è quindi possibile trovare numerosi esempi di piattaforme di user generated content. La versione italiana di Globalvoices <192, social media ideato dalla Harward Law School e basato sulla promozione del citizen journalism, è uno dei più attivi nella tutela dei consumatori e dei diritti umani. Il suo slogan è “il mondo ha bisogno di te: invia un contributo”.
Progetto di citizen journalism nato in Francia e dal 3 ottobre 2008 attivo anche in Italia, Agoravox.it193 è un sito d’informazione fatto dai cittadini che ha come obiettivo la creazione di un nuovo spazio d’incontro per la libera circolazione delle notizie. Il sito offre agli utenti la possibilità di pubblicare e commentare articoli e reportage di qualsiasi tipo, dalla cronaca allo sport passando per la cultura, l’economia e l’ambiente. Sfruttando le potenzialità di Internet, Agoravox si propone come nuova fonte d’informazione aperta da affiancare ai media tradizionali, proponendo periodicamente inchieste provenienti dal basso, e ottimizzando così il contributo dei propri blogger.
Il sito italiano di Indymedia (Indipendent Media Center Italia) è una rete di utenti attivi nel mondo della comunicazione: videomaker, radio, giornalisti e fotografi. Nato nel giugno del 2000, in occasione del vertice CSE di Bologna, oggi è tra i portali più attivi e visitati, grazie all’offerta di un eclettico strumento d’informazione e di dibattito interno al movimento No Global e non solo. Durante il G8 di Genova del 2001 è stato “il punto di riferimento non solo per le migliaia di mediattivisti che hanno partecipato alla copertura dell’evento, ma anche per milioni di persone che l’hanno considerato veritiero più di ogni altro mass media, attendibile nella cronaca degli eventi” <194. Visto
positivamente sia dal mediascape italiano che internazionale, il quale non ha potuto evitare di utilizzarlo come fonte privilegiata assegnandole agli occhi di un vasto pubblico un passe-partout di credibilità e attendibilità, Indymedia è un sito a pubblicazione aperta: chiunque può caricare direttamente e senza censura, registrazioni audio e video, immagini, articoli, comunicati.
Sensibilizzati dal fervore creativo generato dalla rete, anche numerosi giornalisti hanno aperto delle vetrine on line, con le quali avere un dialogo aperto e costante con i proprio lettori. Un fenomeno in costante crescita che ha trovato il proprio punto di riferimento nel blog di Beppe Grillo, personaggio di grande impatto sul pubblico che ha aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. Il vantaggio verificato dai giornalisti sta nell’essere slegati da organizzazioni editoriali, e dunque nel dovere rispondere solo al proprio pubblico, potendo così affidarsi ad una presentazione della realtà molto più diretta. Nello specifico, il blog di Beppe Grillo <195, votato nel marzo 2008 dall’Observer come nono blog più influente al mondo, si caratterizza per i toni spesso esasperati e folcloristici, connessi alla costante ricerca dello scoop, ma questo non ha impedito la pubblicazione e la citazione di molti dei suoi contenuti nei canali di informazione nazionali mainstream.
Altri esempi di grande impatto degli ultimi anni sono stati l’esperienza di Zero in Condotta a Bologna <196, il progetto interno a Wikipedia definito Wiki News <197, il progetto di editoria sociale collettiva Diggita <198, e il network sociale di giornalismo indipendente Open Journalist <199. Anche diverse testate giornalistiche italiane si sono aperte alla collaborazione dei propri lettori, e non sono rari in cui intere sezioni sono dedicate ai contributi bottom-up degli utenti. La Repubblica e Panorama sono state tra le prime testate ad aprire un dialogo reale con gli utenti, sia tramite i commenti alle notizie sia tramite gli spazi dedicati ai blog partecipativi dove i lettori possono interagire attraverso commenti critiche e suggerimenti, mentre Il Sole 24 Ore ha aperto il sito Nova100 che espleta la funzione di feed RSS (raccoglitore di notizie) impostato sulla raccolta di post di oltre 100 blogger privati <200.
Dal 2008, inoltre, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata è attivo il primo Master in Giornalismo Partecipativo, mentre nel 2010 la Rai ha realizzato la prima trasmissione del servizio pubblico di giornalismo partecipativo, “Citizen Report”, ideata da Giovanni Minoli e condotta da Federica Cellini; lo scopo fu quello di creare una “redazione diffusa” di vlogger e video maker impegnata in diversi temi di attualità: dal lavoro alla famiglia, dalla religione all'ecologia, dall'immigrazione alle dipendenze, fino al mondo degli studenti universitari, delle scuole di ballo, delle tifoserie e dei blog. Per Gianni Minoli Citizen Report ha rappresentato “l'ennesima declinazione del concetto di servizio pubblico, e in questo caso è stato il servizio pubblico ad aprirsi alle nuove forme di comunicazione multimediali e multipiattaforma, indipendenti e democratiche” <201. Nel 2011 Federica Cellini è stata inoltre autrice e conduttrice su Rai 2 de “I nuovi Mille”, trasmissione che si avvaleva degli strumenti del giornalismo partecipativo video blogger, dedicata a scoprire le storie di giovani Italiani nell’anno del 150 anniversario dell'Unità d'Italia.
Nel 2011 è stato infine lanciato anche in Italia il servizio di SpotUs, portale statunitense di crowfunding che cerca i fondi necessari per le inchieste proposte dagli utenti dai lettori stessi della blogosfera. Si tratta sostanzialmente dell’informazione generata e al contempo finanziata dal basso, e si sviluppa in tre differenti fasi:
- i cittadini, anche a nome di comitati o associazioni, propongono dei temi di inchiesta (sul territorio, sul mondo del lavoro o su tematiche sociali)
- i reporter, tanto giornalisti iscritti all’Ordine quanto semplici utenti, adottano la proposta e ne fissano il costo di realizzazione
- tutti gli utenti iscritti al sito possono votare le proposte più interessanti ed effettuare donazioni per finanziare l’inchiesta.
Se la proposta ottiene i fondi necessari, il reporter potrà realizzarla, e sarà seguito nel suo lavoro da un redattore di SpotUs, ai fini di supervisione ed editing, a cui spetterà una percentuale del 10%. Al termine del lavoro, dopo aver ottenuto il vaglio della redazione, l’inchiesta viene pubblicata sulla piattaforma sotto licenza Creative Commons Attribuzione 2.5. Secondo David Cohn, giornalista che nel 2008 fondò Spot.us, “il giornalismo non è un prodotto, è un processo ed è un processo partecipativo”. Negli Stati Uniti questo connubio tra crowfunding e giornalismo è da diversi anni una solida realtà, e molte importanti inchieste sono state finanziate dal pubblico, sia privati cittadini, sia comitati e organizzazioni. Secondo Federico Bo, uno dei fondatori della versione italiana di SpotUs “si deve capire che se si è davvero interessati a un problema o a una tematica, non basta più un semplice click, o un ‘mi piace’, ma devi essere disposto a impegnarti sul serio, a versare anche pochi euro, in modo da permettere ai reporter di affrontare quel tema senza rimetterci di tasca propria” <202.
[NOTE]
188 www.current.com
189 www.fainotizia.it
190 www.fainotizia.it
191 www.comincialitalia.net
192 it.globalvoicesonline.org
193 www.agoravox.it
194 italy.indymedia.org
195 www.beppegrillo.it
196 www.zic.it
197 it.wikinews.org/
198 www.diggita.it
199 www.openjournalist.com
200 www.nova100.ilsole24ore.com/
201 G. Minoli, da Citizen Report, la tv dà voce ai vlogger, in Corriere della Sera, 12 aprile 2010
202 www.spotus.it
Danilo di Capua, Tra società informazionale e prosumerismo: il citizen journalism e la partecipazione on line, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2012

Focus sull’italia: Rai Educational e Youreporter
Anche in Italia non tutti sono rimasti indifferenti o spaventati dal fenomeno del citizen journalism.
Numerosi giornalisti di professione hanno incominciato a partecipare attivamente alla vita del Web e a coinvolgere i citizen journalist nei loro lavori.
La stessa Rai accortasi della nuova tendenza nel mondo del giornalismo decise di creare una piattaforma a disposizione dei cittadini giornalisti curata e gestita da Gianni Minoli, pubblicista e conduttore televisivo <77.
Nacque infatti nel gennaio del 2008 una grande community online all’indirizzo www.citizenreport.rai.it firmata da Rai Educational e con la collaborazione di TheBlogTV.
Si trattava di una piattaforma dove chiunque poteva caricare foto, articoli e filmati che successivamente sarebbero diventati un programma televisivo innovativo in dieci puntate che avrebbe trattato i temi del periodo considerati più caldi dall’audience, con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e di raccontare storie che i media tradizionali avrebbero ignorato <78.
Un’idea sicuramente inedita ma che purtroppo non ha avuto i risultati sperati. Il progetto infatti, anche a causa di scarsi finanziamenti, ha cessato di esistere dopo solo un anno di attività, il sito eliminato e i contenuti andati perduti.
Il primo esperimento italiano è fallito, sia per gli scarsi risultati di audience ma soprattutto per la poco importanza che è stata attribuita a questo progetto dagli addetti ai lavori che hanno deciso di produrla in una canale come Rai Educational che raggiunge solo una piccola nicchia del pubblico italiano.
[NOTE]
77 http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Minoli
78 D. MAZZOTTI, Il citizen journalism seduce Gianni Minoli, 20/09/2009, agoravox.it
Riccardo Matarazzi, Il futuro dell’informazione tra giornalismo tradizionale e citizen journalism, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno Accademico 2013-2014

sabato 18 novembre 2023

Un numero monografico di Propaganda imbastì la risposta del partito alla scomunica comminata a luglio ai suoi militanti


Dopo la grande diffusione degli spunti per l’attacco alle gerarchie ecclesiastiche basati sulla partecipazione del Vaticano agli aspetti peggiori dell’economia capitalistica, ancora più a ridosso del 18 aprile [n.d.r.: 18 aprile 1948, data di svolgimento delle prime elezioni politiche del secondo dopoguerra] la propaganda di sinistra si concentrò su un altro tema che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto contribuire all’immagine di un alto clero cattolico ormai assai distante dallo spirito di libertà e giustizia proprio del cristianesimo, ma che avrebbe finito per portare «grave discredito» per il Fronte popolare e per allontanare da qualunque «analisi seria sulla linea politica della Santa Sede» <419. La pubblicazione avvenne a quindici giorni dal voto, il 3 aprile, e continuò il 4, giorno in cui con l’uscita della "Lettera aperta" il Fronte rivendicava la propria partecipazione alla migliore tradizione cristiana: in quei due numeri, la terza pagina dell’Unità fu interamente dedicata alla presentazione di alcuni "Documenti segreti della diplomazia vaticana", nell’ambito di un’inchiesta che sarebbe continuata nei giorni seguenti. Il quadro presentato rivelava una serie di dirette pressioni della Curia dapprima sugli ambienti della corte, e dal 2 giugno sulla DC: in cambio di finanziamenti per la campagna elettorale, le gerarchie ottennero l’uscita delle sinistre dal governo e l’attuazione di una politica estera rigidamente antisovietica. L’intrusione ecclesiastica, oltre ad essere una indebita ingerenza negli affari interni di un paese sovrano e costituzionalmente laico, appariva tanto più criticabile, dal momento che la diplomazia vaticana non sembrava escludere la possibilità di un intervento per favorire il ritorno di un regime autoritario <420.
Nello stesso giorno della pubblicazione da parte dell’Unità, sull’Avanti! si diede risalto alla nuova documentazione, mettendo in evidenza soprattutto il possibile ruolo dei gesuiti nell’intesa tra Chiesa e gruppi di destra per un possibile rovesciamento del regime democratico in caso di prevalenza del Fronte alle urne <421. Anche Il Paese, il 4 aprile, dedicò la propria terza pagina alla presentazione di tali documenti ritenuti dal commentatore assolutamente eccezionali, per la loro chiarezza nel dare una spiegazione su un atteggiamento che la Chiesa cattolica teneva nascosto ai suoi stessi fedeli <422.
La replica cattolica partì il 6 aprile, con una serie di articoli dell’Osservatore Romano tesa a dimostrare la scarsa credibilità delle informazioni raccolte dal Fronte. Ciò che era stato pubblicato nei giorni precedenti era tratto essenzialmente dal volume "Documenti Segreti della diplomazia vaticana", che si dichiarava pubblicato poco prima a Lugano. Secondo il quotidiano vaticano, però, i caratteri con cui era stato impostato tradivano la sua origine italiana, poiché rinviavano alla tipografia UESISA di Roma, il laboratorio da cui generalmente si serviva il PCI. Il lavoro, si veniva ancora a sapere, era stato curato da Virginio Scattolini, falsario noto già ai tempi del fascismo <423, ed era piuttosto affrettato: i documenti erano privi di riferimento archivistico, non si spiegava come si avesse avuto accesso a conversazioni e contatti riservati di cui si riportava il resoconto, gli spostamenti di alcuni personaggi potevano essere facilmente smentiti. L’impressione generale era riassunta in un brano dell’ultimo editoriale dell’Osservatore Romano relativo all’argomento:
«Mai era accaduto nella storia che, con un colpo di scena sensazionale, fossero rivelati i misteri di una delle più ermetiche e impenetrabili diplomazie». Queste parole stampate nel retro del leggendario volume dei “Documenti secreti” vaticani, rilette oggi hanno il sapore di una atroce ironia. Mai era infatti accaduto nella più modesta storia delle competizioni politiche ed elettorali, che, con un simile colpo di scena sensazionale, gli asseriti documenti avessero servito a documentare il falso di chi li raccolse e divulgò […] <424.
La scoperta dell’inaffidabilità dei documenti ebbe immediata eco sulla stampa cattolica ed in generale non comunista: diversi numeri del Quotidiano ospitarono interventi in proposito <425, e su Oggi si diede risalto, nel giorno stesso delle elezioni, alla «grande risata del Vaticano» causata dalla scoperta di simili falsificazioni <426.
Dopo il 18 aprile: una polemica sottotraccia
Forse, proprio la magra figura rimediata con i "Documenti segreti" contribuì ad una modifica nella strategia di comunicazione comunista sugli argomenti relativi alla religione e alla Chiesa negli anni successivi al 1948. L’unica ripresa sistematica di spunti ostili verso le istituzioni religiose cattoliche, da parte della propaganda istituzionale del PCI, si ebbe alla fine del 1949, quando dopo alcuni mesi di attesa <427 un numero monografico di Propaganda imbastì la risposta del partito alla scomunica comminata a luglio ai suoi militanti. Le “Direttive di lavoro” che introducevano l’esposizione di materiale invitavano da subito i militanti ad «evitare la lotta antireligiosa che poteva dividere gli italiani», continuando ad impegnarsi soprattutto a «denunciare la funzione reazionaria del clero, che ricordava quella che esso ebbe nei momenti più critici della vita sociale di ogni epoca» <428. Gli articoli e le illustrazioni proposte in seguito riprendevano le inchieste precedenti sul potere economico e finanziario degli ambienti vaticani, con slogan come «Le chiavi del Vaticano aprono tutte le casseforti», e interventi in base ai quali l’amicizia della Chiesa cattolica con gli Stati Uniti era conseguenza della politica di «capitalismo aggressivo» d’Oltretevere <429.
La linea di continuità con i messaggi che avevano caratterizzato le precedenti campagne di comunicazione non era comprovata soltanto dalla persistenza dell’ormai radicato utilizzo del termine Vaticano, sia come aggettivo che come sostantivo, per indicare i vertici cattolici nei loro atteggiamenti più biasimevoli, quasi a negare appellativi connotati da maggiore sacralità. Al ritratto delle gerarchie ecclesiastiche era contrapposta, come già in precedenza, «la speranza cristiana di milioni di diseredati» realizzata «nella società socialista». Accompagnati da disegni esplicativi, in alcune pagine erano riportati passi delle Sacre scritture, affiancati per una comparazione con alcuni articoli della Costituzione sovietica del 1936: ad esempio, il passo di Giovanni «Dio ha scelto coloro che noi chiamiamo poveri» era avvicinato all’articolo 1, «La Costituzione Sovietica affida il potere dello Stato a chi produce e lavora»; la frase di San Paolo «Chi non lavora non mangia» era presentata come realizzata dall’articolo 12, «il lavoro è nell’URSS dovere e pegno d’onore per ogni cittadino atto al lavoro, secondo il principio: “Chi non lavora non mangia”»; alcune frasi degli Atti degli apostoli sul comunismo dei primi cristiani erano vicine all’articolo 6, che poneva la terra e i mezzi di produzione in proprietà collettiva; il motto evangelico «ogni albero che non dà buon frutto sarà sradicato e gettato nel fuoco» era commentato con le seguenti parole: «nell’URSS è stato abbattuto l’albero marcio dello sfruttamento e del privilegio» <430.
Tutte queste proposte trovarono ampi riscontri nei prodotti propagandistici elaborati su scala locale, come in un opuscolo diffuso dalla Camera del Lavoro di Roma, alla cui conclusione tutti gli argomenti polemici erano sintetizzati in un unico quadro:
"La scomunica di fatto è l’estremo tentativo che fa non solo il Vaticano, considerato come grande potenza finanziaria, ma tutto il capitalismo mondiale, per sanare le contraddizioni interne sul terreno della guerra santa contro i paesi del socialismo e i paesi a democrazia popolare […]. La scomunica è in sostanza un atto contro tutti coloro che soffrono, che lavorano, che guadagnano il pane con il sudore della fronte e con la loro intelligenza […]. La scomunica è un atto contro il socialismo, contro l’umanità […]. La scomunica infine è un atto conto la legge fondamentale del Vangelo, che ha spinto milioni di schiavi a soffrire e a morire per realizzare la grande aspirazione dell’amore e della fratellanza fra gli uomini". <431
Ma in molti degli articoli che avevano maggiore risalto nel fascicolo di Propaganda, la critica anticlericale era presentata come strettamente intrecciata, quasi fusa, con altri spunti polemici: le gerarchia cattolica era presentata come una forza antipopolare essenzialmente per il suo ruolo antinazionale, svolto fin dal Medioevo e soprattutto nel corso del Risorgimento, e per la sua opposizione a qualunque tentativo di sviluppo sociale e di diffusione del benessere. Il Vaticano, insomma, avrebbe svolto un ruolo negativo in relazione a tutti i grandi valori di cui il Partito comunista si proponeva come difensore e realizzatore <432. Negli anni successivi, la ripresa di spunti critici verso la Chiesa sull’Unità o negli opuscoli del PCI si svolse soprattutto in questi termini indiretti, come un fiume carsico che veniva richiamato all’attenzione del pubblico nel corso di polemiche più ampie e spesso apparentemente lontane da temi religiosi.
Sui fogli più direttamente ispirati all’anticlericalismo tradizionale, i richiami alle polemiche con la Chiesa rimasero abbastanza frequenti, soprattutto per quanto riguardava gli interventi culturali di terza pagina. Sul Paese, numerosi autori dedicarono i loro interventi alle proteste per le difficoltà che le minoranze religiose protestanti incontravano nell’esercizio dei loro culti, nonostante le garanzie della Costituzione e della legislazione ordinaria, a causa delle pressioni dei prelati locali sulle forze dell’ordine. Nel febbraio del 1953, su questo tema, uscì sul quotidiano romano una lunga e documentata inchiesta dell’avvocato Giacomo Rosapepe, che attraverso la trattazione di casi concreti raccolse gli spunti lanciati nel corso degli anni da collaboratori più assidui come Arturo Labriola e Mario Berlinguer <433.
[NOTE]
419 I giudizi riportati sono quelli di G. Miccoli, “Cattolici e comunisti…” cit., p. 78.
420 “I documenti segreti della diplomazia vaticana”, L’Unità, 3/IV/1948, p. 3, e 4/IV/1948, p. 3.
421 “L’ombra del ‘papa nero’ oscura il ‘papa bianco’”, Avanti!, 4/IV/1948, pp. 1-2.
422 “Una spietata accusa contro la DC docile pedina della Segreteria di Stato”, Il Paese, 4/IV/1948, p. 3.
423 Documenti segreti della diplomazia Vaticana, Lugano, SCOE, 1948, pp. 313.
424 “Una pessima carta”, L’Osservatore Romano, 10/IV/1948, p. 1.
425 Cfr. ad es. “Perché il preteso diario è un falso costruito male”, Il Quotidiano, 8/IV/1948, p. 1.
426 V. Favori, “La grande risata del Vaticano”, Oggi, IV, 16, 18/IV/1948, pp. 6-7.
427 Parziale eccezione fu il foglio speciale del Propagandista (I, 2, 18/VII/1949), che proponeva già in una presentazione scarna e sintetica alcuni spunti sviluppati in seguito.
428 Propaganda, 26, 30/XI/1949, p. 1.
429 Cfr. “Il Vaticano potenza capitalistica” e “La politica del Vaticano è oggi quella del capitalismo aggressivo”, Ibid., pp. 15-16 e 20.
430 “La speranza cristiana di milioni di diseredati si realizza nella società socialista”, Ibid., pp. 45-47.
431 La scomunica arme di classe, a cura dell’Ufficio Stampa e Propaganda della Camera del Lavoro di Roma e Provincia, Roma, 1949, pp. 12-13.
432 Cfr. “Il Vaticano contro il Risorgimento”, “L’Unità d’Italia bestia nera del Vaticano”, “Il Vaticano contro i grandi italiani”, “Con le armi straniere contro la libertà del popolo italiano”, “Contro il progresso e la civiltà”, Propaganda, 26, 30/XI/1949, pp. 31-33.
433 Per alcune informazioni sulle pressioni cattoliche contro le manifestazioni pubbliche del culto protestante negli anni successivi al 1948, cfr. l’ampia documentazione raccolta in P. Soddu, L’Italia del dopoguerra cit., passim e spec. Pp. 99 e ss.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di perfezionamento in discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2007

martedì 7 novembre 2023

Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele all’etica professionale


Intanto giova interrogarsi sui motivi che spinsero Paronetto ad aiutare in questo modo e nella sua veste di vicedirettore dell’Iri la Resistenza romana ed il Fronte militare clandestino. Come detto, i documenti sulla vicenda sono pochi e sostanzialmente privi di una spiegazione circostanziata sulle ragioni di questa attività clandestina. I dati emersi nella lettera a Menichella consentono però di formulare alcune ipotesi. Paronetto sottolineò di aver operato a favore della Resistenza con una «libera e spontanea decisione», svolgendo così il suo «dovere di cittadino e di italiano». Ritenne il Fronte militare clandestino l’«unica autorità» legittima nella Capitale e si assunse la «piena responsabilità delle conseguenze» della sua azione <180. La storiografia ha cercato di ricostruire la mappa degli influssi formativi che hanno agito nelle scelte resistenziali, con un’attenzione specifica a quelle dei credenti, e ha individuato all’interno di questi percorsi i possibili elementi che hanno sostenuto le loro coscienze nel momento di prendere posizione dinanzi allo sfascio della patria <181.
Gli studi hanno inoltre ampliato la prospettiva sul fenomeno della Resistenza non soltanto come un fatto ideologico circoscritto, ma come un processo ricco di sfaccettature, nelle molteplici forme, non sempre armate, che assunse l’opposizione al nazifascismo. Questo allargamento di prospettiva, se rischia di far sbiadire la nozione forte di Resistenza e la consapevolezza politica che essa comportava, aiuta però a qualificare le esperienze illegali e clandestine, caritatevoli ed umanitarie, logistiche e di supporto che confluirono, come tanti rivoli, dentro il torrente della lotta ai nazisti e ai fascisti fedeli alla Repubblica sociale. Tra queste si collocò senz’altro l’opera di Paronetto <182. Ma cosa motivò la «libera e spontanea decisione» di aiutare Montezemolo facendo dell’Iri, come ricorda Ossicini, la cassa dei partigiani? <183 Senz’altro fu attivo in lui quella che Guido Formigoni ha individuata come una delle ragioni delle scelte resistenziali dei credenti, cioè un «senso di rigore morale, la percezione del dovere come un compito e un’esigenza fortemente introiettata. Nell’educazione cattolica di quei decenni, infatti - prosegue Formigoni - questo era un topos ricorrente: magari non era presente una tendenza a costruire un discernimento storico-politico, ma certamente esisteva la forte sottolineatura dell’integrità morale come esigenza prioritaria della persona, che comportava il rifiuto tendenziale di compromessi e adattamenti, nella vita privata come in quella pubblica» <184. In una dimensione personale e solitaria della scelta, che è un altro elemento comune del poliedrico movimento resistenziale <185, in Paronetto era altrettanto forte la consapevolezza di dover bilanciare la concretezza del reale e il radicalismo utopico, che fu la grande forza dell’approccio duttile del cattolicesimo alla Resistenza <186. Le ipotesi sulle motivazioni e sullo spirito con cui svolse il suo ruolo devono però fare i conti con almeno altri tre elementi: la «laicità» di questa scelta, l’etica professionale che la contraddistinse e la visione progettuale del futuro dell’Iri che la ispirò. Sul primo ed il secondo aspetto basta riportare alla mente le riflessioni espresse sia in Morale “professionale” del cittadino che in Rivoluzione e professione, delle quali, si può dire, l’opzione resistenziale fu una logica, “naturale” conseguenza. Nell’assumersi la responsabilità verso il Fronte militare clandestino egli compì il proprio «dovere di cittadino», senza alcun bisogno di direttive, interrogando solo la propria coscienza. Non è un aspetto da trascurare e le riflessioni di Maurilio Guasco in proposito sono interessanti: la Resistenza contribuì cioè a portare alla luce responsabilità e ruoli dei «laici» a lungo dimenticati, secondo una prassi diffusa che superò principi e teorie ed incise in modo sotterraneo ma notevole nel cammino di progressiva emancipazione del laicato a suo tempo richiamato <187.
Ancor più importante è che Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele alla «professione di cittadino» e all’etica professionale sulla quale aveva a lungo insistito su «Studium». La collaborazione con Montezemolo, attuata da cittadino e da professionista, senza maschere burocratiche o troppo impegnativi riferimenti ideologici, diede semplicemente una forma compiuta alle sue intuizioni sul valore morale della professione, sulla responsabilità che essa comporta, sulla sua «significazione interiore accanto a una esteriore efficacia» <188. Tutto questo però non sarebbe spiegato sino in fondo senza considerare il “progetto” studiato dai dirigenti dell’Istituto a partire dal trasferimento al Nord, che sembrò fornire l’ispirazione politica necessaria per facilitare nei modi possibili per l’ente e a prezzo di un grosso rischio la liberazione dal nazifascismo. Se è vero che durante la Resistenza ci fu «una significativa evoluzione, a volte nelle stesse persone, sia nelle motivazioni che nelle prospettive, espressione di una più matura acquisizione dei termini storici del problema politico e non solo etico-religioso» e che la «relazione che si tese a stabilire non fu più con il passato ma con il futuro» <189, allora la proiezione dell’Iri nel futuro dell’Italia liberata e la disobbedienza all’ordine preesistente furono ragioni di rilievo per l’azione nei mesi in cui Paronetto occupò l’Ufficio di Roma. È particolarmente indicativo il quadro di legittimità dentro il quale egli giustificò la sua attività: in attesa della regolare ripresa delle attività dell’Istituto il solo «legittimo governo italiano» era quello del Sud. L’unica autorità «legittima» a Roma era il Fronte militare clandestino. Ma - ed è questo un dato sul quale si torna - il «legittimo» superiore al quale egli rimise l’incarico tenuto durante questa parentesi eccezionale fu Menichella. Questo gesto conferma che tutto ciò fu compiuto non in ossequio ad una legittimità formale, ma per una consonanza ideale e sostanziale sui compiti svolti dall’Iri in quei mesi, tra i quali l’aiuto alla Resistenza non fu un mero accidente ma un aspetto importante, inscritto dentro un piano più ampio e ad esso servente. Le parole con le quali Menichella, l’11 giugno, replicò alle dimissioni di Paronetto non lasciano spazio a molti dubbi:
"La Sua lettera dell’8 scorso ha sbagliato indirizzo qualificandomi con l’usato titolo di Direttore Generale dell’IRI, giacché è mia opinione che il Governo italiano, rientrando a Roma, debba essere libero di scegliere i suoi collaboratori, senza remore di precostituite situazioni; ma è essa è bene diretta e me che per tanti anni L’ho avuta vicino, più che compagni di lavoro, amico veramente fra i più cari fra quanti hanno accompagnato e sorretto la mia fatica. E l’amico Le risponde, commosso, che, se non gli erano noti i particolari dell’azione da Lei svolta durante il tragico periodo decorso dall’8 settembre alla liberazione di Roma, gli era ben noto che Lei si prodigava in ogni modo e con un’audacia che spesso lo ha fatto tremare nell’opera antitedesca e di assistenza a quanti con l’azione e non con la parola soltanto hanno lavorato per il riscatto della Patria. Ebbi dunque ragione a non volere che Lei perdesse i contatti con gli uomini e con le aziende dell’Istituto quando, vincendo la Sua strenua opposizione, Le imposi di rimanere funzionario dell’IRI e per giustificare tale qualifica Le feci accettare la nomina a vice direttore, sia pure, come Lei volle … a tariffa ridotta. Il grado lo rimetterà a chi prenderà il comando dell’Istituto; ma permetta che Le dica (e la Sua modestia non se ne dolga) che Paronetto ha un solo grado di fronte agli uomini di ingegno e di alto sentire morale che hanno la fortuna di conoscerlo, e quel grado è altissimo, fra i più splendenti di quelli che al nostro disgraziato paese pur rimangono. Quanto ai prelevamenti del denaro usato nell’opera di assistenza patriottica, ho da dirle una sola cosa, della quale spero non si offenderà: poiché conosco quanto sia modesta la Sua situazione finanziaria, L’autorizzo a dichiarare a chicchessia che io garantisco personalmente i prelevamenti fatti e son pronto a reintegrarli qualora l’ortodossia amministrativa dovesse farne ritenere legittimo il ricupero" <190.
Questa lettera è una delle più efficaci - ed anche una delle ultime - testimonianze scritte del rapporto di amicizia che legò Menichella al suo collaboratore prediletto. Nonostante ogni auspicio egli dovrà però aspettare altri venti mesi prima di ritornare sullo scranno di direttore generale dell’Iri, appena pochi giorni prima di passare alla Banca d’Italia ed il suo primo pensiero - lo si è visto nell’incipit del quarto capitolo - sarà proprio il ricordo del «migliore» tra i suoi collaboratori, nel frattempo scomparso <191.
Come ai tempi dell’Ufficio studi, fu al loro sodalizio che si ricorse di nuovo per avere un’idea della situazione italiana all’indomani della liberazione di Roma. A farlo, stavolta, fu la Sottocommissione finanziaria del Controllo Alleato Americano, nella persona del capitano statunitense Andrew Kamarck, al quale, ai primi di luglio, giunse una lunga relazione sull’Iri e sullo scenario delle banche italiane a firma di Menichella. Al documento, come da antica consuetudine, aveva ampiamente lavorato Paronetto <192.
Nella relazione si richiamava a grandi linee la prassi di politica economica seguita negli ultimi decenni nel sistema bancario, gravata dall’idea che i crolli degli istituti di credito non fossero eventi fisiologici della salute economica del paese ma dei «drammi» che monopolizzavano gli sforzi e le preoccupazioni di tutti gli agenti economici. Si spiegava che «la lotta politica in Italia [aveva] trovato sempre nei dissesti bancari ampia materia per accusare e demolire uomini e correnti politiche per avventura compromessi o supposti compromessi con uomini e operazioni di banche in dissesto» <193. La spiegazione era rivolta a personale proveniente da Oltreoceano non avvezzo al quadro economico del paese e perciò era essenziale ma efficace: l’Iri non andava inteso «come l’ente di finanziamento e di controllo di una particolare categoria di industrie, che, per ragioni costituzionali, non fossero capaci di vivere nell’ambito dell’iniziativa privata ed avessero quindi bisogno di un particolare sussidio da parte dello Stato» <194. La funzione che l’Iri aveva svolto nel salvare l’economia italiana diventava ancora più importante nel momento in cui nessuno, se non lo Stato, poteva farsi carico della ricostruzione dell’apparato produttivo <195.
[NOTE]
180 AI, FSP, sc. 2, fald. 21, cart. 11, copia lettera ds. di Sergio Paronetto a Donato Menichella, 8 giugno 1944.
181 Per avere un’idea della mole di studi in proposito si può consultare il lavoro di P. TRIONFINI, I cattolici italiani, la seconda guerra mondiale, la resistenza: una bibliografia, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XXXI, 1996, n. 1, pp. 34-184. Cfr. anche G. VECCHIO, Il laicato cattolico italiano di fronte alla guerra e alla Resistenza: scelte personali e appartenenza ecclesiale, in G. DE ROSA (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., pp. 251-294, specialmente le pp. 279-283 e, per il valore della testimonianza, V. E. GIUNTELLA, Restare cristiani per rimanere uomini, in AA.VV., Cristiani per la libertà. Dalla Resistenza alla Costituzione, Vita e Pensiero, Milano 1987, che, a p. 72, offre un dato di interesse ricordando che molti resistenti provenivano dalla Fuci montiniana. Cfr. anche ID., I cattolici nella Resistenza, in DSMC, cit., vol. I, t. 2, pp. 112-128; S. TRAMONTIN, I cattolici e la Resistenza, in Storia del movimento cattolico in Italia, cit., vol. IV, pp. 379-507; A. BRAVO, Resistenza civile, in E. COLLOTTI, R. SANDRI, F. SESSI, Dizionario della Resistenza, vol. I, cit., pp. 268-282 e Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la resistenza, numero monografico di «Ricerche per la storia religiosa di Roma», n. 12, 2009. Quazza, sintetizzando le piste di ricerca, ha ricondotto le scelte collettive ed individuali della Resistenza «a un tratto essenziale: lo “spontaneo” concorrere della situazione, nelle sue urgenze e violenze, con il rapidissimo, quasi fulmineo maturare, nella coscienza dei singoli e dei gruppi, dell’obbligatorietà, dell’inevitabilità dello schierarsi, dover scegliere da soli, condizionati dalla situazione, ma nel profondo liberi perché la situazione consentiva tre soluzioni, per la guerriglia partigiana, per la Repubblica sociale, per l’attesa»: G. QUAZZA, La guerra partigiana: proposte di ricerca, in F. FERRATINI TOSI, G. GRASSI, M. LEGNANI (a cura di), L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Franco Angeli, Milano 1988, p. 457.
182 È interessante paragonare le scelte ed il suo modus operandi a quello di un altro commis d’ètat, Paolo Albertario, Direttore generale del ministero dell’Argricoltura della Rsi cbe utilizzò il suo ruolo per tutelare i bisogni alimentari dei civili contro gli interessi dei militari rappresentati dal governo di occupazione tedesco. Entrambi i loro casi rivelano molte analogie nelle scelte compiute in qualità di “tecnici” a favore della Resistenza: S. MISIANI, La via dei “tecnici”. Dalla Rsi alla ricostruzione: il caso di Paolo Albertario, cit., pp. 78-128.
183 A. OSSICINI, Sergio Paronetto o delle idee chiare, cit., p. 288.
184 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, in L. PAZZAGLIA (a cura di), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, cit., pp. 471-497.
185 Su questo dato cfr. A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, in M. LEGNANI, F. VENDRAMINI, Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 433-457, specialmente pp. 442-442. Su di esso concorda F. TRANIELLO, Il mondo cattolico italiano nella seconda guerra mondiale, pp. 327-369.
186 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, cit., p. 489. In questo senso, aggiunge Formigoni, «una partecipazione attenta alla lotta di Liberazione, portando dentro ad essa l’eredità di una fede così tratteggiata, dava alla lotta il senso di una “testimonianza cristiana”»: pp. 492-493.
187 M. GUASCO, I cattolici e la Resistenza: ipotesi interpretative e percorsi di ricerca, in B. GARIGLIO (a cura di), Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 305-317. Pavone ha scritto che «la distinzione che trovò particolare difficoltà ad essere mediata fu dunque quella fra religione come fatto istituzionale, amministrato, ma non in modo esclusivo, dai vertici della gerarchia, e religione come fatto di coscienza. All’interno di entrambi i livelli si verificava in effetti lo sdoppiamento fra lo stare super partes e lo schierarsi. Al primo livello lo sdoppiamento generava una prudenza diplomatica rotta talvolta dalla compromissione con, o dalla opposizione contro, le autorità nazifasciste; al secondo livello poneva in luce il contrasto fra la pietà religiosa che accomuna amici e nemici, vincitori e vinti, e l’impegno attivo a fianco degli amici contro i nemici, in virtù di un’ispirazione religiosa alla ribellione contro la prepotenza e l’ingiustizia»: C. PAVONE, Una guerra civile, cit., p. 282.
188 S. PARONETTO, Morale “professionale” del cittadino, cit.,
189 A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, cit., p. 451.
190 AI, FSP, sc. 5, fald. 13, cart. 40, fasc. 3, lettera ms. di Donato Menichella a Sergio Paronetto, 11 giugno 1944. A proposito della diminuzione dello stipendio, Menichella, ricordò l’«insegnamento di modestia e di bontà» ricevuto in «dieci anni di affettuosa, sincera e impareggiabile collaborazione», e confidò a Veronese: «Mi trattenni dal fare di più, come Egli meritava, solo per timore di turbare la Sua modestia, sicché grande fu la mia meraviglia allorquando mi si presentò per indurmi a limitare l’aumento che Gli avevo concesso, minimizzando il Suo lavoro e citando esempi di funzionari estranei al nostro ambiente, che, a Suo dire, valevano più di Lui ed avevano stipendi minori»: ASBI, Banca d’Italia, Direttorio Menichella, pratt., b. 25, fasc. 2, lettera ds. di Donato Menichella a Vittorino Veronese, 24 marzo 1955, riprodotta in Donato Menichella. Stabilità e sviluppo dell’economia italiana 1946-1960, vol. 1, Scritti e discorsi, cit., pp. 574-577.
191 Giova ricordare che Menichella, durante tutto il periodo della guerra era rimasto, nell’Iri, al centro di un reticolo di relazioni e collaborazioni, «l’educatore, il moderatore di tutti, la cui autorevolezza è fattore di armonia e di ispirazione tra individualità così forti e attrezzate. Egli è veramente il punto di affidabilità cui guardano tutti, il fulcro che dà sicurezza e “suscita energie”. Il tesoro di cui Menichella è garante è la continuità di funzionamento dell’élite, che prima aveva fatto centro sull’Iri e sulle sue banche e poi farà centro sulla Banca d’Italia»: in S. BAIETTI, G. FARESE, Sergio Paronetto e il conferimento di forma la sistema economico italiano tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, in IDD., Sergio Paronetto e il formarsi della costituzione economica italiana, cit., p. 27.
192 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, rappresentante della Finance Sub-Commission dell’A.C.C. presso l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.). Le origini dell’I.R.I. e la sua azione nei confronti della situazione bancaria», 2 luglio 1944. Il testo è commentato anche da G. LA BELLA, L’Iri nel dopoguerra, cit., p. 32 e da G. FUMI, Dalla fine del fascismo allo statuto del 1948, in V. CASTRONOVO (a cura di), Storia dell’Iri, cit., pp. 520-599, pp. 528-529. Giova riportare la testimonianza dello stesso Kamarck in proposito: «Poiché avevo bisogno di comprendere cosa fosse l’Iri, quale fosse e dovesse essere il suo ruolo nell’economia italiana, mi rivolsi a Menichella per avere informazioni. Trovai ciò che aveva da dirmi molto esauriente e, mi sembrò, degno di fede. Gli chiesi quindi di preparare un rapporto sulle origini e le funzioni dell’Iri, che potessimo usare come base per la determinazione della politica alleata nei confronti dell’Istituto. Egli lo preparò, e me lo consegno agli inizi del luglio 1944. A determinare la decisione allora presa dalla Acc sull’Iri concorsero molti fattori. Le mie conversazioni con il dottor Menichella mi avevano insegnato ad apprezzarlo, a rispettarlo e a riporre in lui la mia fiducia. L’aspetto esteriore dell’iri deponeva a favore dell’Istituto: gli uffici erano situati in una strada modesta, privi della pretenziosità e grandiosità fascista, si presentavano come gli uffici di un organismo pratico ed efficiente. Infine, il memorandum di Menichella era logico e convincente»: A. M. KAMARCK, Donato Menichella: la commissione di controllo alleata e l’Iri, l’Eca e la Banca d’Italia, in Donato Menichella. Testimonianze e studi raccolti dalla Banca d’Italia, cit., p. 39.
193 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, cit.
194 Ibid.
195 Su questo cfr. anche A. M. KAMARCK, Politica finanziaria degli alleati in Italia (luglio 1943, febbraio 1947), Carecas, Roma 1977, pp. 62-63 e L. ROSSI, Gli Stati Uniti e la “provincia” italiana. 1943-1945. Politica ed economia secondo gli analisti del servizio segreto americano, Napoli 1990.
196 Spataro ricordò il contributo di Paronetto alla Commissione economica della Dc, e che «il suo modo di fare modesto non impediva che si valutasse subito l’acutezza del suo ingegno e la solida preparazione culturale ed economica»: G. SPATARO, I democratici cristiani dalla dittatura alla Repubblica, Mondadori, Milano 1968 p. 349-352.
Tiziano Torresi, Ascesi, pensiero ed azione. La vicenda biografica e la riflessione politica ed economica di Sergio Paronetto (1911-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2015