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martedì 7 novembre 2023

Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele all’etica professionale


Intanto giova interrogarsi sui motivi che spinsero Paronetto ad aiutare in questo modo e nella sua veste di vicedirettore dell’Iri la Resistenza romana ed il Fronte militare clandestino. Come detto, i documenti sulla vicenda sono pochi e sostanzialmente privi di una spiegazione circostanziata sulle ragioni di questa attività clandestina. I dati emersi nella lettera a Menichella consentono però di formulare alcune ipotesi. Paronetto sottolineò di aver operato a favore della Resistenza con una «libera e spontanea decisione», svolgendo così il suo «dovere di cittadino e di italiano». Ritenne il Fronte militare clandestino l’«unica autorità» legittima nella Capitale e si assunse la «piena responsabilità delle conseguenze» della sua azione <180. La storiografia ha cercato di ricostruire la mappa degli influssi formativi che hanno agito nelle scelte resistenziali, con un’attenzione specifica a quelle dei credenti, e ha individuato all’interno di questi percorsi i possibili elementi che hanno sostenuto le loro coscienze nel momento di prendere posizione dinanzi allo sfascio della patria <181.
Gli studi hanno inoltre ampliato la prospettiva sul fenomeno della Resistenza non soltanto come un fatto ideologico circoscritto, ma come un processo ricco di sfaccettature, nelle molteplici forme, non sempre armate, che assunse l’opposizione al nazifascismo. Questo allargamento di prospettiva, se rischia di far sbiadire la nozione forte di Resistenza e la consapevolezza politica che essa comportava, aiuta però a qualificare le esperienze illegali e clandestine, caritatevoli ed umanitarie, logistiche e di supporto che confluirono, come tanti rivoli, dentro il torrente della lotta ai nazisti e ai fascisti fedeli alla Repubblica sociale. Tra queste si collocò senz’altro l’opera di Paronetto <182. Ma cosa motivò la «libera e spontanea decisione» di aiutare Montezemolo facendo dell’Iri, come ricorda Ossicini, la cassa dei partigiani? <183 Senz’altro fu attivo in lui quella che Guido Formigoni ha individuata come una delle ragioni delle scelte resistenziali dei credenti, cioè un «senso di rigore morale, la percezione del dovere come un compito e un’esigenza fortemente introiettata. Nell’educazione cattolica di quei decenni, infatti - prosegue Formigoni - questo era un topos ricorrente: magari non era presente una tendenza a costruire un discernimento storico-politico, ma certamente esisteva la forte sottolineatura dell’integrità morale come esigenza prioritaria della persona, che comportava il rifiuto tendenziale di compromessi e adattamenti, nella vita privata come in quella pubblica» <184. In una dimensione personale e solitaria della scelta, che è un altro elemento comune del poliedrico movimento resistenziale <185, in Paronetto era altrettanto forte la consapevolezza di dover bilanciare la concretezza del reale e il radicalismo utopico, che fu la grande forza dell’approccio duttile del cattolicesimo alla Resistenza <186. Le ipotesi sulle motivazioni e sullo spirito con cui svolse il suo ruolo devono però fare i conti con almeno altri tre elementi: la «laicità» di questa scelta, l’etica professionale che la contraddistinse e la visione progettuale del futuro dell’Iri che la ispirò. Sul primo ed il secondo aspetto basta riportare alla mente le riflessioni espresse sia in Morale “professionale” del cittadino che in Rivoluzione e professione, delle quali, si può dire, l’opzione resistenziale fu una logica, “naturale” conseguenza. Nell’assumersi la responsabilità verso il Fronte militare clandestino egli compì il proprio «dovere di cittadino», senza alcun bisogno di direttive, interrogando solo la propria coscienza. Non è un aspetto da trascurare e le riflessioni di Maurilio Guasco in proposito sono interessanti: la Resistenza contribuì cioè a portare alla luce responsabilità e ruoli dei «laici» a lungo dimenticati, secondo una prassi diffusa che superò principi e teorie ed incise in modo sotterraneo ma notevole nel cammino di progressiva emancipazione del laicato a suo tempo richiamato <187.
Ancor più importante è che Paronetto aiutò la Resistenza cercando di restare in prima persona fedele alla «professione di cittadino» e all’etica professionale sulla quale aveva a lungo insistito su «Studium». La collaborazione con Montezemolo, attuata da cittadino e da professionista, senza maschere burocratiche o troppo impegnativi riferimenti ideologici, diede semplicemente una forma compiuta alle sue intuizioni sul valore morale della professione, sulla responsabilità che essa comporta, sulla sua «significazione interiore accanto a una esteriore efficacia» <188. Tutto questo però non sarebbe spiegato sino in fondo senza considerare il “progetto” studiato dai dirigenti dell’Istituto a partire dal trasferimento al Nord, che sembrò fornire l’ispirazione politica necessaria per facilitare nei modi possibili per l’ente e a prezzo di un grosso rischio la liberazione dal nazifascismo. Se è vero che durante la Resistenza ci fu «una significativa evoluzione, a volte nelle stesse persone, sia nelle motivazioni che nelle prospettive, espressione di una più matura acquisizione dei termini storici del problema politico e non solo etico-religioso» e che la «relazione che si tese a stabilire non fu più con il passato ma con il futuro» <189, allora la proiezione dell’Iri nel futuro dell’Italia liberata e la disobbedienza all’ordine preesistente furono ragioni di rilievo per l’azione nei mesi in cui Paronetto occupò l’Ufficio di Roma. È particolarmente indicativo il quadro di legittimità dentro il quale egli giustificò la sua attività: in attesa della regolare ripresa delle attività dell’Istituto il solo «legittimo governo italiano» era quello del Sud. L’unica autorità «legittima» a Roma era il Fronte militare clandestino. Ma - ed è questo un dato sul quale si torna - il «legittimo» superiore al quale egli rimise l’incarico tenuto durante questa parentesi eccezionale fu Menichella. Questo gesto conferma che tutto ciò fu compiuto non in ossequio ad una legittimità formale, ma per una consonanza ideale e sostanziale sui compiti svolti dall’Iri in quei mesi, tra i quali l’aiuto alla Resistenza non fu un mero accidente ma un aspetto importante, inscritto dentro un piano più ampio e ad esso servente. Le parole con le quali Menichella, l’11 giugno, replicò alle dimissioni di Paronetto non lasciano spazio a molti dubbi:
"La Sua lettera dell’8 scorso ha sbagliato indirizzo qualificandomi con l’usato titolo di Direttore Generale dell’IRI, giacché è mia opinione che il Governo italiano, rientrando a Roma, debba essere libero di scegliere i suoi collaboratori, senza remore di precostituite situazioni; ma è essa è bene diretta e me che per tanti anni L’ho avuta vicino, più che compagni di lavoro, amico veramente fra i più cari fra quanti hanno accompagnato e sorretto la mia fatica. E l’amico Le risponde, commosso, che, se non gli erano noti i particolari dell’azione da Lei svolta durante il tragico periodo decorso dall’8 settembre alla liberazione di Roma, gli era ben noto che Lei si prodigava in ogni modo e con un’audacia che spesso lo ha fatto tremare nell’opera antitedesca e di assistenza a quanti con l’azione e non con la parola soltanto hanno lavorato per il riscatto della Patria. Ebbi dunque ragione a non volere che Lei perdesse i contatti con gli uomini e con le aziende dell’Istituto quando, vincendo la Sua strenua opposizione, Le imposi di rimanere funzionario dell’IRI e per giustificare tale qualifica Le feci accettare la nomina a vice direttore, sia pure, come Lei volle … a tariffa ridotta. Il grado lo rimetterà a chi prenderà il comando dell’Istituto; ma permetta che Le dica (e la Sua modestia non se ne dolga) che Paronetto ha un solo grado di fronte agli uomini di ingegno e di alto sentire morale che hanno la fortuna di conoscerlo, e quel grado è altissimo, fra i più splendenti di quelli che al nostro disgraziato paese pur rimangono. Quanto ai prelevamenti del denaro usato nell’opera di assistenza patriottica, ho da dirle una sola cosa, della quale spero non si offenderà: poiché conosco quanto sia modesta la Sua situazione finanziaria, L’autorizzo a dichiarare a chicchessia che io garantisco personalmente i prelevamenti fatti e son pronto a reintegrarli qualora l’ortodossia amministrativa dovesse farne ritenere legittimo il ricupero" <190.
Questa lettera è una delle più efficaci - ed anche una delle ultime - testimonianze scritte del rapporto di amicizia che legò Menichella al suo collaboratore prediletto. Nonostante ogni auspicio egli dovrà però aspettare altri venti mesi prima di ritornare sullo scranno di direttore generale dell’Iri, appena pochi giorni prima di passare alla Banca d’Italia ed il suo primo pensiero - lo si è visto nell’incipit del quarto capitolo - sarà proprio il ricordo del «migliore» tra i suoi collaboratori, nel frattempo scomparso <191.
Come ai tempi dell’Ufficio studi, fu al loro sodalizio che si ricorse di nuovo per avere un’idea della situazione italiana all’indomani della liberazione di Roma. A farlo, stavolta, fu la Sottocommissione finanziaria del Controllo Alleato Americano, nella persona del capitano statunitense Andrew Kamarck, al quale, ai primi di luglio, giunse una lunga relazione sull’Iri e sullo scenario delle banche italiane a firma di Menichella. Al documento, come da antica consuetudine, aveva ampiamente lavorato Paronetto <192.
Nella relazione si richiamava a grandi linee la prassi di politica economica seguita negli ultimi decenni nel sistema bancario, gravata dall’idea che i crolli degli istituti di credito non fossero eventi fisiologici della salute economica del paese ma dei «drammi» che monopolizzavano gli sforzi e le preoccupazioni di tutti gli agenti economici. Si spiegava che «la lotta politica in Italia [aveva] trovato sempre nei dissesti bancari ampia materia per accusare e demolire uomini e correnti politiche per avventura compromessi o supposti compromessi con uomini e operazioni di banche in dissesto» <193. La spiegazione era rivolta a personale proveniente da Oltreoceano non avvezzo al quadro economico del paese e perciò era essenziale ma efficace: l’Iri non andava inteso «come l’ente di finanziamento e di controllo di una particolare categoria di industrie, che, per ragioni costituzionali, non fossero capaci di vivere nell’ambito dell’iniziativa privata ed avessero quindi bisogno di un particolare sussidio da parte dello Stato» <194. La funzione che l’Iri aveva svolto nel salvare l’economia italiana diventava ancora più importante nel momento in cui nessuno, se non lo Stato, poteva farsi carico della ricostruzione dell’apparato produttivo <195.
[NOTE]
180 AI, FSP, sc. 2, fald. 21, cart. 11, copia lettera ds. di Sergio Paronetto a Donato Menichella, 8 giugno 1944.
181 Per avere un’idea della mole di studi in proposito si può consultare il lavoro di P. TRIONFINI, I cattolici italiani, la seconda guerra mondiale, la resistenza: una bibliografia, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XXXI, 1996, n. 1, pp. 34-184. Cfr. anche G. VECCHIO, Il laicato cattolico italiano di fronte alla guerra e alla Resistenza: scelte personali e appartenenza ecclesiale, in G. DE ROSA (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., pp. 251-294, specialmente le pp. 279-283 e, per il valore della testimonianza, V. E. GIUNTELLA, Restare cristiani per rimanere uomini, in AA.VV., Cristiani per la libertà. Dalla Resistenza alla Costituzione, Vita e Pensiero, Milano 1987, che, a p. 72, offre un dato di interesse ricordando che molti resistenti provenivano dalla Fuci montiniana. Cfr. anche ID., I cattolici nella Resistenza, in DSMC, cit., vol. I, t. 2, pp. 112-128; S. TRAMONTIN, I cattolici e la Resistenza, in Storia del movimento cattolico in Italia, cit., vol. IV, pp. 379-507; A. BRAVO, Resistenza civile, in E. COLLOTTI, R. SANDRI, F. SESSI, Dizionario della Resistenza, vol. I, cit., pp. 268-282 e Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la resistenza, numero monografico di «Ricerche per la storia religiosa di Roma», n. 12, 2009. Quazza, sintetizzando le piste di ricerca, ha ricondotto le scelte collettive ed individuali della Resistenza «a un tratto essenziale: lo “spontaneo” concorrere della situazione, nelle sue urgenze e violenze, con il rapidissimo, quasi fulmineo maturare, nella coscienza dei singoli e dei gruppi, dell’obbligatorietà, dell’inevitabilità dello schierarsi, dover scegliere da soli, condizionati dalla situazione, ma nel profondo liberi perché la situazione consentiva tre soluzioni, per la guerriglia partigiana, per la Repubblica sociale, per l’attesa»: G. QUAZZA, La guerra partigiana: proposte di ricerca, in F. FERRATINI TOSI, G. GRASSI, M. LEGNANI (a cura di), L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Franco Angeli, Milano 1988, p. 457.
182 È interessante paragonare le scelte ed il suo modus operandi a quello di un altro commis d’ètat, Paolo Albertario, Direttore generale del ministero dell’Argricoltura della Rsi cbe utilizzò il suo ruolo per tutelare i bisogni alimentari dei civili contro gli interessi dei militari rappresentati dal governo di occupazione tedesco. Entrambi i loro casi rivelano molte analogie nelle scelte compiute in qualità di “tecnici” a favore della Resistenza: S. MISIANI, La via dei “tecnici”. Dalla Rsi alla ricostruzione: il caso di Paolo Albertario, cit., pp. 78-128.
183 A. OSSICINI, Sergio Paronetto o delle idee chiare, cit., p. 288.
184 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, in L. PAZZAGLIA (a cura di), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, cit., pp. 471-497.
185 Su questo dato cfr. A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, in M. LEGNANI, F. VENDRAMINI, Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 433-457, specialmente pp. 442-442. Su di esso concorda F. TRANIELLO, Il mondo cattolico italiano nella seconda guerra mondiale, pp. 327-369.
186 G. FORMIGONI, Educazione, resistenza e coscienza cristiana, cit., p. 489. In questo senso, aggiunge Formigoni, «una partecipazione attenta alla lotta di Liberazione, portando dentro ad essa l’eredità di una fede così tratteggiata, dava alla lotta il senso di una “testimonianza cristiana”»: pp. 492-493.
187 M. GUASCO, I cattolici e la Resistenza: ipotesi interpretative e percorsi di ricerca, in B. GARIGLIO (a cura di), Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 305-317. Pavone ha scritto che «la distinzione che trovò particolare difficoltà ad essere mediata fu dunque quella fra religione come fatto istituzionale, amministrato, ma non in modo esclusivo, dai vertici della gerarchia, e religione come fatto di coscienza. All’interno di entrambi i livelli si verificava in effetti lo sdoppiamento fra lo stare super partes e lo schierarsi. Al primo livello lo sdoppiamento generava una prudenza diplomatica rotta talvolta dalla compromissione con, o dalla opposizione contro, le autorità nazifasciste; al secondo livello poneva in luce il contrasto fra la pietà religiosa che accomuna amici e nemici, vincitori e vinti, e l’impegno attivo a fianco degli amici contro i nemici, in virtù di un’ispirazione religiosa alla ribellione contro la prepotenza e l’ingiustizia»: C. PAVONE, Una guerra civile, cit., p. 282.
188 S. PARONETTO, Morale “professionale” del cittadino, cit.,
189 A. PARISELLA, Cattolici, guerra civile, guerra di liberazione. Orientamenti e problemi storiografici, cit., p. 451.
190 AI, FSP, sc. 5, fald. 13, cart. 40, fasc. 3, lettera ms. di Donato Menichella a Sergio Paronetto, 11 giugno 1944. A proposito della diminuzione dello stipendio, Menichella, ricordò l’«insegnamento di modestia e di bontà» ricevuto in «dieci anni di affettuosa, sincera e impareggiabile collaborazione», e confidò a Veronese: «Mi trattenni dal fare di più, come Egli meritava, solo per timore di turbare la Sua modestia, sicché grande fu la mia meraviglia allorquando mi si presentò per indurmi a limitare l’aumento che Gli avevo concesso, minimizzando il Suo lavoro e citando esempi di funzionari estranei al nostro ambiente, che, a Suo dire, valevano più di Lui ed avevano stipendi minori»: ASBI, Banca d’Italia, Direttorio Menichella, pratt., b. 25, fasc. 2, lettera ds. di Donato Menichella a Vittorino Veronese, 24 marzo 1955, riprodotta in Donato Menichella. Stabilità e sviluppo dell’economia italiana 1946-1960, vol. 1, Scritti e discorsi, cit., pp. 574-577.
191 Giova ricordare che Menichella, durante tutto il periodo della guerra era rimasto, nell’Iri, al centro di un reticolo di relazioni e collaborazioni, «l’educatore, il moderatore di tutti, la cui autorevolezza è fattore di armonia e di ispirazione tra individualità così forti e attrezzate. Egli è veramente il punto di affidabilità cui guardano tutti, il fulcro che dà sicurezza e “suscita energie”. Il tesoro di cui Menichella è garante è la continuità di funzionamento dell’élite, che prima aveva fatto centro sull’Iri e sulle sue banche e poi farà centro sulla Banca d’Italia»: in S. BAIETTI, G. FARESE, Sergio Paronetto e il conferimento di forma la sistema economico italiano tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, in IDD., Sergio Paronetto e il formarsi della costituzione economica italiana, cit., p. 27.
192 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, rappresentante della Finance Sub-Commission dell’A.C.C. presso l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.). Le origini dell’I.R.I. e la sua azione nei confronti della situazione bancaria», 2 luglio 1944. Il testo è commentato anche da G. LA BELLA, L’Iri nel dopoguerra, cit., p. 32 e da G. FUMI, Dalla fine del fascismo allo statuto del 1948, in V. CASTRONOVO (a cura di), Storia dell’Iri, cit., pp. 520-599, pp. 528-529. Giova riportare la testimonianza dello stesso Kamarck in proposito: «Poiché avevo bisogno di comprendere cosa fosse l’Iri, quale fosse e dovesse essere il suo ruolo nell’economia italiana, mi rivolsi a Menichella per avere informazioni. Trovai ciò che aveva da dirmi molto esauriente e, mi sembrò, degno di fede. Gli chiesi quindi di preparare un rapporto sulle origini e le funzioni dell’Iri, che potessimo usare come base per la determinazione della politica alleata nei confronti dell’Istituto. Egli lo preparò, e me lo consegno agli inizi del luglio 1944. A determinare la decisione allora presa dalla Acc sull’Iri concorsero molti fattori. Le mie conversazioni con il dottor Menichella mi avevano insegnato ad apprezzarlo, a rispettarlo e a riporre in lui la mia fiducia. L’aspetto esteriore dell’iri deponeva a favore dell’Istituto: gli uffici erano situati in una strada modesta, privi della pretenziosità e grandiosità fascista, si presentavano come gli uffici di un organismo pratico ed efficiente. Infine, il memorandum di Menichella era logico e convincente»: A. M. KAMARCK, Donato Menichella: la commissione di controllo alleata e l’Iri, l’Eca e la Banca d’Italia, in Donato Menichella. Testimonianze e studi raccolti dalla Banca d’Italia, cit., p. 39.
193 ACS, Asiri, b. STO/522, fasc. 1, ds. a firma di Donato Menichella «Rapporto al Sig. Capitano Andrew Kamarck, cit.
194 Ibid.
195 Su questo cfr. anche A. M. KAMARCK, Politica finanziaria degli alleati in Italia (luglio 1943, febbraio 1947), Carecas, Roma 1977, pp. 62-63 e L. ROSSI, Gli Stati Uniti e la “provincia” italiana. 1943-1945. Politica ed economia secondo gli analisti del servizio segreto americano, Napoli 1990.
196 Spataro ricordò il contributo di Paronetto alla Commissione economica della Dc, e che «il suo modo di fare modesto non impediva che si valutasse subito l’acutezza del suo ingegno e la solida preparazione culturale ed economica»: G. SPATARO, I democratici cristiani dalla dittatura alla Repubblica, Mondadori, Milano 1968 p. 349-352.
Tiziano Torresi, Ascesi, pensiero ed azione. La vicenda biografica e la riflessione politica ed economica di Sergio Paronetto (1911-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2015