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lunedì 30 ottobre 2023

Elementi che caratterizzeranno il movimento del '77


Il movimento del '77 fu un fenomeno esclusivamente italiano: seppur considerato conclusivo della stagione di movimenti del '68-69, se ne differenziò per natura e modalità.
Lo storico inglese Paul Ginsborg, concentrandosi nella distinzione e nell'articolazione della natura e dei componenti del movimento, affermò che: «in termini generali è possibile differenziare il movimento del '77 in due tendenze, anche se spesso si intrecciano. La prima era “spontanea” e “creativa”, sensibile al discorso femminista, ironica e irriverente incline a creare strutture alternative piuttosto che a sfidare quelle al potere. […] La seconda tendenza “autonoma” e militarista , intendeva valorizzare una cultura della violenza degli anni precedenti e organizzare i “nuovi soggetti sociali” per una battaglia contro lo Stato» <118.
Nonostante la maggior parte del movimento del '77 si definiva antifascista e trattasse con diffidenza i giovani di estrema destra, alcuni stessi esponenti della sinistra istituzionale a compresero da subito la differenza con il movimento del '68, l'allontanamento del movimento dalla dottrina marxista-leninista, additando come “diciannovisti”, cioè fascisti mascherati o “barbari da respingere” <119 i contestatori.
I giovani fascisti, nonostante in minoranza e nonostante la diffidenza con cui erano trattati, come era accaduto per il '68, si lasceranno anche in questa occasione coinvolgere dalla contestazione. Anzi proprio perché il '68 « non era stato fatto», in occasione della nuova ondata «ci sarebbero stati» <120.
Le differenze fra il '68 e questa nuova ondata movimentista vanno ricercate principalmente nel contesto politico, economico e sociale, ormai mutato dalla fine degli anni '60.
Dal punto di vista economico, l'Italia avrebbe vissuto in quegli anni un'intesa recessione causata dalla crisi petrolifera dei primi anni '70, dovuta all'improvvisa e inaspettata interruzione del flusso di approvvigionamento di petrolio provenienti dalle nazioni appartenenti all'Opec <121.
La crisi rese chiaro a tutti la necessità di intervenire per cercare di ridurre i consumi energetici ed evitare di rimanere senza una delle fonti energetiche primarie più importanti; il prezzo al barile del 1973, attualizzato ad oggi, raggiungeva i 100 dollari.
A questi segnali si aggiunsero le prime avvisaglie della crisi del ciclo di accumulazione del capitale, apertasi ufficialmente con il recesso degli Stati Uniti, per volontà del presidente Nixon, dagli accordi di Bretton Woods, basati su un sistema di cambi fissi e sulla convertibilità del dollaro in oro <122.
Il venir meno di questi accordi avrebbe generato un nuovo sistema, basato su cambi flessibili e sulla fluttualità delle valute, con una conseguente speculazione sui mercati finanziari <123.
Questo fattore contribuì a potenziare la crisi del 1973 e la successiva del 1979, costringendo quei paesi che dovevano pagare il petrolio in dollari ad esborsi sempre maggiori, man mano che la valuta statunitense si apprezzava <124.
In sintesi la crisi petrolifera avrebbe generato in pochi anni un altissimo tasso di inflazione, il regresso della produzione industriale e conseguentemente, una forte disoccupazione.
Nonostante la differenza generazionale fra i giovani sessantottini e quelli che si preparavano ad affrontare il '77, alcuni problemi, tra cui quelli legati al mondo delle università e del lavoro sembravano mostrare le stesse, se non peggiori, criticità del decennio precedente. Nell'anno accademico '77-78, infatti, gli studenti immatricolati negli atenei italiani erano più di un milione, il doppio di quanti fossero dieci anni prima. Il boom di iscrizioni si registrò in particolare nella piccola borghesia e nelle regioni del Sud: «La loro motivazione era chiaramente la fuga dalla disoccupazione. Da un'inchiesta condotta nel 1975 tra gli studenti risultò che il 66% di essi ( nel sud addirittura 78%) sarebbe stato pronto a lasciare immediatamente gli studi in cambio di un posto di lavoro stabile» <125.
La crescente insoddisfazione di quelle fasce giovanili che non vedevano nemmeno più nel titolo di studio una modalità di cambiamento del proprio status, la mancanza di lavoro congiungete alle nuove istanze in tema di diritti umani e civili, la lotta al proibizionismo, sembravano non trovare un canale istituzionale in cui rispecchiarsi, bensì portarono a molteplici risposte autonome, che andavano dal pacifismo e l'isolazionismo hippy alla violenza degli scontri di strada.
Anche il PCI, partito che da sempre aveva cercato di farsi portatore della voce del cambiamento, sembrò non comprendere le volontà di quei giovani emarginati, descrivendoli come “untorelli” <126, simili ai primi nuclei del fascismo nascente.
Il PCI infatti, in quegli anni era desideroso di governare insieme alla Dc e riteneva necessario prendere le distanze dal movimento settantasettino.
A livello politico infatti, gli anni presi in considerazione sono i cosiddetti anni del “compromesso storico”, formula ideata nel settembre-ottobre 1973, dall'allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, all'indomani del golpe di Pinochet.
La base di questa formula politica è rintracciabile nel lungo saggio pubblicato in tre parti dal quotidiano comunista «Rinascita» nel 28 Settembre del 1973, in cui Berlinguer rifletteva sull'esito drammatico dell'esperienza cilena <127 e da questi avvenimenti, pur così lontani, traeva alcune indicazioni utili alla riflessione sullo sviluppo della democrazia in Occidente <128.
Il disegno politico del segretario del PCI aveva un doppio intento: in primis, la collaborazione con la Dc avrebbe portato all'interruzione della conventio ad excludendum che aveva costretto i comunisti per trent'anni all'opposizione; inoltre, in un periodo storico segnato dall'aggravarsi della minaccia terrorista e dalla forza crescente delle violenze extraparlamentari, la partecipazione dei comunisti avrebbe potuto evitare una deriva autoritaria reazionaria .
Se la formula del compromesso così elaborata del segretario del Pci, trovò una sponda di discussione nell'ala sinistra della Dc, che aveva come riferimento il presidente di partito Aldo Moro, non ebbe altrettanto seguito nei settori più conservatori e reazionari del partito di maggioranza. Ciò contribuisce a spiegare, insieme ad una pluralità di condizionamenti interni e internazionali, la lentezza con la quale l'ipotesi dell'incontro tra cattolici e comunisti si sarebbe realizzata. Dopo una serie di contrattazioni si formò, dunque, nel 1976 il cosiddetto governo della “non-sfiducia”, un monocolore guidato da Giulio Andreotti in cui socialisti e comunisti, senza assumere incarichi ministeriali, si impegnarono a non votare contro l'esecutivo <129.
Da questo momento in poi il PCI, appoggiando dall'esterno il governo, da protettore dei giovani ribelli passò automaticamente dalla parte del nemico.
Nacque in opposizione nel 1973, lo stesso anno del lancio della formula del compromesso, alla sinistra istituzionale, “Autonomia Operaia”, che più che un movimento designava un'area che racchiudeva tutte le istanze ribellistiche, anarchiche, creative e generalmente rivoluzionarie che esplosero in quell'anno.
Come nel 1968 le proteste del movimento giovanile partirono dall'università, ma si diffusero in breve tempo nelle scuole superiori, dando vita alle prime autogestioni in licei ed istituti tecnici.
Assolutamente esplicativo della situazione che si andava profilando è ciò che accadde nel febbraio 1977: l'Università “La Sapienza” di Roma era in quei giorni occupata in segno di protesta contro una proposta di riforma dell'ordinamento. Quando Luciano Lama, segretario della CGIL, tentò di tenere un discorso nell'ateneo, accusando il movimento di essere un covo di fascisti, ebbe in risposta insulti e slogan urlati e fu costretto a fuggire mentre già erano scoppiati violenti scontri tra gli studenti e il servizio d'ordine del sindacato.
[NOTE]
118 P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, 1988, Torino.
119 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.
120 N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling&Kupfer Editori, Milano, 2008.
121 G. Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, CEDAM, Roma, 2012.
122 Ibidem
123 Ibidem
124 In economia il termine esprime l'aumento di valore di una valuta,espresso nell'unità monetaria di un'altra valuta.
125 P. A. Corsini, I terroristi della porta accanto, Newton Comtpon Editori, Roma, 2007.
126 Ibidem
127 L'11 settembre 1973 fu destituito, tramite colpo di stato, il governo di Salvador Allende. Augusto Pinochet, comandante dell'esercito e capo dei congiurati golpisti, instaurò una dittatura che durò fino all'11 marzo 1990.
128 Da “Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile”, pubblicato da Rinascita, 28 settembre-2 ottobre 1973.
129 P. Ginsborg, Storia dell'Italia contemporanea, società e politica, 1943-1988, Einaudi, Torino, 1990.
Arianna Pepponi, Dal '68 fascista alla strage di Bologna: l'evoluzione della destra violenta in Italia, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno Accademico 2015-2016

Al di là delle forzature interpretative possiamo vedere che il perpetrarsi del non governo, democristiano, contribuiva ad accelerare lacerazioni crescenti, tuttavia nonostante tutte queste difficoltà Berlinguer proseguiva nella sua proposta, ovvero utilizzare la politica di austerità come mezzo per mettere in discussione un sistema in crisi: "I cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l'esaltazione dei particolarismi e dell'individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. Austerità come rigore, efficienza, serietà e giustizia: cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato in passato e che ha portato oggi a una crisi di drammatica portata. […] Viviamo, io credo, in uno dei momenti nei quali per alcuni paesi e in ogni caso per il nostro o si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società o si può andare incontro alla rovina comune delle classi in lotta; e cioè alla decadenza di una civiltà, alla rovina del paese". <111
Siamo al Teatro Eliseo, a Roma, è il 15 gennaio 1977, questo è il famoso discorso agli intellettuali cui abbiamo fatto accenno in precedenza. Nella tensione utopica e nelle connessioni culturali di questo appello possiamo trovare tutti i motivi di conflitto che percorreranno l'Italia di lì a pochi giorni. Nelle parole di Berlinguer echeggiano i tratti salienti della storia culturale del partito comunista, una storia di lungo periodo che vede nella questione morale e nella serietà gli elementi cardine di azione sulla realtà. Secondo Crainz, questa ipotesi di Berlinguer è rimasta: "nei cieli della metafisica" <112 in stridente contrasto con la politica concretamente praticata ed avallata.
Questa interpretazione non ci convince del tutto: come vedremo nello svolgersi del capitolo la politica di austerità, con anche i suoi corollari morali, verrà effettivamente applicata e sarà la piattaforma di consenso attraverso la quale avverrà un'opera sistematica di delegittimazione e repressione del movimento del '77.
4.2 Le occupazioni delle Università e la cacciata di Lama
Giunti a questo punto del lavoro abbiamo ormai ben presenti gli elementi che caratterizzeranno il movimento del '77. Bisogna solo mettere in luce l'occasione che accenderà la miccia. A offrirla è il ministro Malfatti che introduce all'Università misure restrittive per piani di studio e appelli d'esame e riaccende la mobilitazione studentesca. Il primo febbraio, all'Università La Sapienza di Roma, mentre sono in corso alcune assemblee, vi è un'irruzione di neofascisti: usano bottiglie molotov e armi, uno studente è ferito gravemente da un colpo di pistola.
Il giorno dopo, un corteo promosso dai collettivi autonomi esce dall'università per raggiungere la sede missina da cui era partita la spedizione: le forze dell'ordine intervengono sparando a raffica, un agente e due studenti rimangono gravemente feriti. Nei giorni successivi, altre facoltà vengono occupate, finché il 5 febbraio una grande assemblea, tenutasi all'aperto, in piazzale della Minerva, decide l'occupazione dell'intera città universitaria in risposta al divieto, da parte del ministero dell'Interno, di manifestare. Quel giorno, in assemblea, fu sconfitta l'ipotesi di chi si dichiarava disposto ad accettare il livello dello scontro imposto dalla polizia che circondava l'Ateneo; e l'occupazione, seguita il giorno successivo da una grande festa indetta nell'università, segnò un importante rafforzamento per il movimento romano. Nell'Università occupata si delineava una presenza sociale nuova rispetto a quella classica delle occupazioni universitarie; numerosi osservatori colsero immediatamente questa novità, di un movimento composto più che da semplici studenti, da studenti - lavoratori, precari, marginali. Scrive Rivolta su "la Repubblica": "l'occupazione dell'Università e diventata una 'festa continua'. Dopo la festa popolare di giovedì, ieri di nuovo, nei viali c'era musica, agli studenti che protestano per la riforma si sono aggiunti i freak, i disperati, tutti quelli che la città ha spinto ai margini, tutti quelli che vivono alienati nelle piazze e nelle strade di periferia. E' un cocktail esplosivo, difficile da egemonizzare politicamente, che subisce la suggestione del disperato tentativo di 'riprendersi la vita' in ogni modo con tutti i mezzi. <113
E' interessante vedere come il mondo comunista approccia le agitazioni all'università: sulle prime prevale la sottovalutazione ed una narrazione che descrive sparuti gruppi di collettivi autonomi con forme di lotta dedite alla violenza.
[NOTE]
111 E. Berlinguer, Austerità. Occasione per trasformare l'Italia, Roma 1977, pp. 13-18.
112 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, p. 548.
113 C. Rivolta, Occupazione con feste e processi, da "la Repubblica", 12 febbraio 1977.

Lorenzo Orsi, Tra austerità e desiderio. Ragioni e passioni di un conflitto tra comunisti e movimenti sociali tra 1976-1977, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2014-2015