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domenica 15 gennaio 2023

Galleppini, dal canto suo, riservava a Tex Killer le ore più tarde della sera e della notte


[...] Estate, 1948: in un’Italia ancora in macerie, un curioso esperimento imprenditoriale sta avendo luogo in un appartamento di via Saffi a Milano. <1 Tea Bertasi, ex moglie di Gianluigi Bonelli ed ex assistente di tipografia, ha assunto le redini della casa editrice Audace, e dopo avere ristampato i materiali pubblicati nell’anteguerra ha deciso di mettersi a produrre cose nuove. Nell’appartamento di via Saffi in cui vive col figlio Sergio, ha assegnato una stanza ad Aurelio Galleppini, un giovane artista intenzionato a guadagnarsi da vivere disegnando fumetti. Per questo motivo Galleppini si incatena al tavolo da disegno giorno e notte, lavorando con cura a un nuovo personaggio che sembra destinato a diventare la punta di diamante dell’Audace: Occhio Cupo, <2 su sceneggiature di Gianluigi Bonelli. Occhio cupo è ambientato a metà Settecento, nello scenario della guerra franco-indiana, e racconta le vicende di Carlo Lebeau, un francese falsamente accusato di omicidio che, in apertura del primo albo, viene mostrato sulla rotta della deportazione verso il Canada. <3 Qui Lebeau assume l’identità del giustiziere mascherato Occhio Cupo, con un costume corredato di mascherina domino, camicia a frange, pantaloni attillati, e stivali a cima floscia, da illustrazione per I tre moschettieri. Così camuffato, Occhio Cupo si batte per vendicarsi del suo nemico Vitrè (che lo ha fatto condannare), per carpire il cuore della bella Clara e per porsi al servizio di deboli e indifesi. Il tutto in una narrazione distesa e posata, ben calibrata, con una successione di duelli, inseguimenti e palpitazioni che ha un andamento quasi letterario, come se si trattasse della trasposizione a fumetti di un romanzo anziché dell’espressione di un’idea originale. Gli elementi per il successo sembrano, insomma, esserci tutti. Anzi, forse il fumetto era stato fatto troppo bene, troppo ‘da manuale’, e il risultato non era eccitante. Per prendere in prestito una bella immagine di Raffaele De Falco, Occhio Cupo era come una pietanza fatta di ingredienti deliziosi, ma che nessuno voleva mangiare. <4 Il fiasco fu totale, e non ci volle molto all’editore e agli autori per capirlo. <5
Ma tornando all’estate del 1948, nell’appartamento-redazione-pensione di via Saffi c’era anche un altro progetto che stava prendendo forma, distrattamente e senza clamore. Si trattava di una serie pensata per la nuova nicchia editoriale del formato a striscia, con minuscoli albetti comprendenti una sola striscia di fumetto per pagina. E questa serie, ovviamente, era Tex. Quanto a cura, la nuova impresa risultava del tutto opposta a Occhio Cupo, concepita com’era nei ritagli di tempo tanto dello sceneggiatore quanto del disegnatore.
Bonelli, dopo essersi profuso a calibrare le orologerie narrative di Occhio Cupo e di altri progetti in corso, si accontentava di riciclare in Tex idee e abbozzi prodotti in precedenza per il personaggio di Red Killer, pubblicato da Giovanni Di Leo, <6 e trasformava quel pistolero in una copia quasi omonima - Tex Killer. Galleppini, dal canto suo, riservava a Tex Killer le ore più tarde della sera e della notte. Dopo il minuzioso autocontrollo mantenuto sui dettagli di Occhio Cupo, Galleppini aveva bisogno di lasciarsi andare, e quindi lavorava su Tex per linee libere e svelte, omettendo le minuzie, rubacchiando qualche immagine dagli albi di Molino, <7 trapiantando elementi già pronti da Occhio Cupo (come l’abbigliamento di Tex, identico a quello di Lebeau) e anche da una sua storia western precedente, Il segreto della valle nascosta (dove troviamo un cowboy la cui fisionomia già richiama il volto del primo Tex). <8 Nella sua ansia di risparmiar tempo Galleppini arrivava addirittura a ricalcare i suoi stessi disegni per Tex da un albo all’altro, in una sorta di curioso autoplagio. <9
La serie insomma prendeva forma in un processo rapido e spontaneo, spigliato all’estremo, che sostituiva i raffinati intarsi di Occhio Cupo con pochi ed essenzialissimi nuclei visivi.
Il risultato, dopo un cambio di nome da Killer a Willer, <10 arriverà in edicola il 30 settembre 1948. E questo Tex scritto e disegnato in tutta fretta, in difficili condizioni tecniche, proprio per la sua natura naif finisce per essere caratterizzato da un freschissimo senso di energia e dinamismo.
 

La prima apparizione di Tex. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Energia e dinamismo, congiunte a essenzialità, sono in evidenza sin dalle due vignette iniziali del primo numero. Nella prima vignetta in assoluto vediamo Tex in cima a una roccia sul pendio di un canyon; la figura guarda in basso a destra, verso un fondo che non viene mostrato, portando così l’interesse del lettore fuori e oltre la vignetta e incitandolo a proseguire nella lettura. La composizione generale è semplicissima, pratica e funzionale, con l’eroe che domina lo spazio centrale, uno sfondo di macigni dall’aspetto credibile, e sulla sinistra il cavallo di Tex, a dire il vero un po’ fuori prospettiva perché troppo piccolo rispetto alla sua posizione.
Quello che conta di più è la sapiente posa della figura di Tex, solidamente piantata in scena grazie alle gambe divaricate, ma pure animata da una torsione interna, con i piedi verso il lettore e il corpo che gradualmente si gira fino a che il viso risulta rivolto verso il retro della scena. La figura è attraversata da quella che fin dal tardo Rinascimento viene conosciuta come ‘linea serpentinata’, che determina un senso di forte coinvolgimento del corpo nello spazio. L’impressione di movimento qui è rafforzata dal braccio destro di Tex, che estrae una seconda pistola, oltre a quella già impugnata con la mano sinistra, dando così al lettore la sensazione di un evento che richiede una reazione vigorosa.
Nella vignetta successiva, il cono formato dalla figura di Tex è contratto nella corta piramide del corpo accovacciato a scrutare verso il fondo del canyon, dove ora il nostro sguardo si dirige a scoprire un gruppo di figure lanciate in un’affannosa galoppata. Lo scopo e le intenzioni delle figurine a cavallo non sono ancora note (così che la curiosità del lettore ne risulta di nuovo sollecitata), ma è chiaro che sta avvenendo qualcosa di importante, visto che i cavalli corrono a gran velocità sollevando un polverone che avvolge la maggior parte dei personaggi (secondo un criterio, di nuovo, di dinamismo ed essenzialità).
I disegni di Galleppini riescono dunque a coinvolgere il lettore sin dalle prime vignette, trascinandolo in un turbine di figure in movimento e volumi protesi all’azione. In tale flusso visivo il naturalismo viene talvolta ridotto a vantaggio dell’effetto d’insieme, senza per questo ridurre la leggibilità della catena d’immagini.
Per citare un altro esempio: nella sequenza finale dell’albetto l’illuminazione si fa vivacemente espressionistica, con effetti non del tutto realistici ma di notevole impatto.
 

Tex, creatura delle ombre. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Si veda la prima vignetta di pagina 29, quando Tex ha raggiunto il criminale Coffin nella sua dimora. Tex, intenzionato a recuperare il medaglione rubato da Coffin, fa un’entrata teatrale e minacciosa, piazzandosi ben in mezzo alla finestra spalancata con le pistole puntate sui criminali. L’impressione generale risulta accentuata dalla coltre di tenebra che cela il volto e il petto del personaggio, conferendogli un aspetto inquietante. Questa barriera d’ombra, però, per quanto efficace, non ha alcun senso nella concezione generale della scena. Tex ha alle spalle la strada di una minuscola città del West a tarda notte, e sta rivolto verso l’interno di una stanza perfettamente illuminata. Se Galleppini avesse cercato un effetto di realismo, il volto e il petto di Tex sarebbero apparsi inondati di luce, mentre la schiena si sarebbe confusa nella tenebra retrostante. Eppure questo ‘errore’ funziona benissimo. Tex, che Coffin credeva morto, è per un istante un fantasma sovrannaturale tornato per compiere la propria vendetta; è una creatura misteriosa che vive nelle ombre, e che infatti poco dopo sparerà alla lampada per sconfiggere i suoi nemici con la copertura del buio.
 

Tex, giustiziere mascherato. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Quello che più conta, per la nostra comprensione dello stile visivo del primo Tex, è annotare come in questo caso il disegnatore abbia deciso di sacrificare in qualche misura il realismo in nome dell’effetto e dell’intensità espressiva. Tale soluzione si diparte solo di poco, e in maniera sottile, dal realismo, senza danneggiare il procedere serrato dell’azione e l’intuitiva accessibilità della lettura.
Così come la composizione visiva, anche la costruzione degli eventi è volta ad appassionare il lettore sin dalle prime vignette, con un inizio in medias res che presenta un’azione narrativamente poco determinata e che omette molti dettagli. È una narrazione volutamente sbilanciata, che trascina in avanti il lettore attraverso il desiderio di conoscere lo sviluppo degli eventi e di comprendere gli elementi che non gli sono ancora stati spiegati.
Ed è una narrazione tutta densa di inseguimenti, sparatorie, combattimenti, che rivela la sostanza della trama col contagocce, incorniciando i dialoghi più sviluppati tra intense scene di azione e soffondendo così anche questi momenti di rallentamento con un senso di pericolo incombente.
Di questo stile narrativo ellittico abbiamo un esempio già nell’esordio della serie, nella didascalia che dovrebbe introdurre situazione e personaggio: «In una delle gole selvagge del Rainbown [sic] Canyon, Tex Willer sta bivaccando dopo una lunga galoppata che lo ha portato oltre i confini del Texas, quando improvvisamente, alcuni spari echeggiano a non molta distanza». <11 Di certo questa didascalia ci insegna poco: abbiamo soltanto il nome del protagonista, il nome (sgrammaticato) di un’ambientazione esotica e astratta, e una non spiegata situazione di dislocamento spaziale (perché Tex ha lasciato il Texas?). Dopo aver letto questa didascalia, quello che vogliamo sapere è più di quello che abbiamo appreso, e questo è esattamente l’intento del testo.
Tex, rivoltosi a cercare la fonte degli spari, si chiede: «Per tutti i diavoli? che mi siano ancora alle costole?»; poi, scorgendo il gruppo a cavallo esclama: «Ah... eccoli... vengono dalla prateria... e non è lo sceriffo coi suoi scagnozzi...», mentre alla pagina successiva conclude: «Vediamo un po’... Ehi!... una giovane indiana... e che il diavolo mi porti se quello non è quel dannato di Coffin! Una faccenda losca, questo è sincero, ma non è detto che io lasci nei guai quella ragazza...». Certo questo non è il linguaggio che si insegnava nelle scuole e a catechismo nel 1948! Nel giro di quattro vignette Tex ha usato due espressioni che riguardano il diavolo e una che richiama i dannati, e in generale ha inaugurato quel gusto per l’espressione vivace e metaforeggiante che caratterizzerà poi l’intera serie di Tex nei decenni a venire.
Tuttavia, anche se i dialoghi di Tex risultano molto mossi e vitali grazie a scelte lessicali come queste, dubito che si possa parlare di realismo in senso facilmente mimetico. Si ha piuttosto l’impressione di un concentrato di espressioni gergali che derivano dalla letteratura, dal cinema e dall’invenzione bonelliana, impiegate con tale insistenza da suonare volutamente eccessive. Gianluigi Bonelli non è Faulkner, e all’atto di dare voce ai suoi personaggi non si preoccupa tanto di trasporre lo slang del Sud degli Stati Uniti, preferendo modulare il dialogo per spezzoni gergali artefatti che risultano rinvigoriti dall’accostamento, dalla frequenza con cui le coloriture si inseriscono in ogni aspetto del discorso.
Il senso di freschezza risiede dunque principalmente nello scostamento dal linguaggio paludato dell’ufficialità (soprattutto scolastica, per il giovane lettore di Tex) e nel giocoso gusto per la trovata insolita. Fin da quando Tex chiama ‘scagnozzi’ coloro che collaborano con lo sceriffo, appare inoltre chiaro che il personaggio deve provare poco rispetto per i rappresentanti della legge. Non a caso nelle riedizioni successive del testo la parola ‘scagnozzi’ verrà modificata dagli autori e sostituita col più neutro ‘uomini’, per dare a Tex un più chiaro allineamento coi valori dominanti.
Eppure, anche se parla di ‘scagnozzi’ dello sceriffo, questo primissimo Tex non può essere un vile criminale, perché già alla quarta vignetta decide di andare a prestare aiuto alla ragazza inseguita da Coffin, Tesah, senza che alcun obbligo lo vincoli e senza alcun apparente vantaggio personale. Questi due indizi sul carattere di Tex (irriguardoso verso la legge, ma dotato di forte etica) convergono nel dialogo chiarificatore che si legge poco dopo:
Tex: Hai mai inteso parlare di Tex Willer?
Tesah: Tex Willer, il fuori legge solitario?
Tex: Proprio io e se hai sentito parlare di me saprai anche che io uccido solo chi merita di essere ucciso. <12
Poco più avanti si scopre che Tesah si confida facilmente con Tex perché egli ha fama di uomo affidabile, che conta amici tra i nativi. <13 Si scorge già in questo passaggio il germe di quello che sarà poi un cruciale sviluppo della serie, con l’assunzione da parte di Tex del ruolo di mediatore tra la cultura dei bianchi e quella dei nativi.
È dunque, questo, un Tex fuori dal sistema del potere, escluso e amico di altri esclusi come i nativi americani, e trattato ingiustamente dalla legge, come si vede bene in questo dialogo che avviene tra due passanti, alla vista di Tex, in un albo successivo:
Passante 1: Povero Tex! Sempre in fuga davanti agli sceriffi!
Passante 2: Al diavolo gli sceriffi! Con dieci uomini come Tex Willer...  ...in un mese non vi sarebbero più banditi e bari in tutta l’Arizona!
Passante 1: Gli sceriffi... puah! <14
Annoto anche che questo passaggio rientra bene nella prospettiva delle origini, dove Tex viene mostrato come un eroe del popolo, aperto e alla mano nei rapporti con le persone comuni e felice di stare in mezzo a loro. <15 Nei primi albi sono infatti numerosi i momenti in cui Tex è al saloon attorniato da una folla che intona sonori hurrah perché Tex ha sconfitto dei criminali locali, o perché ha dato una lezione a uno sceriffo corrotto, o ha pagato da bere a tutti, o tutte queste cose insieme. In questa fase iniziale i crimini passati del personaggio vengono accennati molto vagamente, e si capisce che Tex è un ricercato perché ha commesso quelli che lui ritiene atti di giustizia [...]
 

Tex, fuorilegge e uomo del popolo (con un esempio di sopravvivenza del cognome originale). Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

[NOTE]
1 Sulle origini delle pubblicazioni Bonelli, quando la casa non si chiamava ancora con questo nome, e soprattutto sull’origine di Tex, si vedano almeno La leggenda di Tex. Il West di Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini, [Catalogo della mostra], testi di L. Bertuzzi, Monza, Fondazione Franco Fossati, 2014; R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, Roma, Nicola Pesce Editore, 2013; G. Romani, L’arte di Galep. Aurelio Galleppini: il creatore grafico di Tex, Modena, Panini Comics, 2012; L’audace Bonelli. L’avventura del fumetto italiano, [Catalogo della mostra], Napoli, Napoli Comicon/Facta Manent, 2010; S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, Milano, Mondadori, 2008; A. Mondillo, Tex. Tra mito e storia, Battipaglia, Tesauro, 2008; L. Tamagnini (a cura di), Galep prima di Tex, Torino, Scarabeo, 2000; F. Gargarone (a cura di), Galep: cinquant’anni di avventura a fumetti, Torino, Scarabeo, 1999; G. Frediani (a cura di), Le frontiere di carta. Piccola storia del western a fumetti, Milano, Bonelli, 1998; D. Parolai, E. Detti, Storia e storie di Tex, Roma, Anicia, 1994; C. Scaringi, Tex, Roma, Gremese, 1998; E. Linari (a cura di), Gianluigi Bonelli, dal romanzo a Tex, Firenze, Glamour International, 1991; A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, Milano, Ikon, 1989; Buon Compleanno Tex, Firenze, Glamour International, 1989; E. Detti, Il fumetto fra cultura e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1984, p. 80 sgg; Il mio nome è Tex: evoluzione del fumetto avventuroso italiano attraverso gli originali di Galep, Genova, Prima cooperativa grafica genovese, 1982.
2 L’intera produzione di Occhio cupo oggi è ristampata in G. Bonelli, A. Galleppini, Occhio cupo, San Giovanni in Persiceto (BO), Editoriale Mercury, 2014.
3 La serie aveva avuto una sua prova generale nell’albo conclusivo L’agguato nella foresta, disegni di Aurelio Galleppini, Milano, Audace, 1948, dove un giovane francese è costretto a trasferirsi in Canada in seguito a un combattimento in duello.
4 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 25.
5 Con l’uscita del 30 dicembre 1948 l’Audace pone fine alla serie.
6 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 26.
7 Cfr. ibidem, e A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 68.
8 Cfr. F. Baglioni, A. Galleppini, Il segreto della valle nascosta, Milano, Audace, 1948.
9 Per limitarsi solo ad alcuni esempi, la vignetta di destra a pagina 18, sull’albo 9, viene riproposta con pochi ritocchi a pagina 7 del numero 10; in questo caso Galleppini ha modificato l’originale cambiando i vestiti e la posa del personaggio centrale, a cui ha anche messo la barba, e ha riusato con pochi cambiamenti il gruppo di personaggi circostanti. La vignetta centrale a p. 27 del primo albo, con Tex che si arrampica sulla finestra di Coffin, viene riprodotta identica a p. 12 dell’albo 10, mentre, sempre in questo albo, ricompare a p. 17 la stessa figura di Tex che campeggia nella prima vignetta del primo albo.
10 A detta di Sergio Bonelli (cfr. S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 9), il cambio sarebbe stato voluto da Tea; a detta di Galleppini (cfr. A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 63) da lui stesso. Del nome originale rimane qualche traccia nelle pubblicazioni, forse a causa di refusi. Al numero 5, per esempio, Tex viene chiamato Killer tre volte, di cui una nella didascalia finale: «Riuscirà Tex Killer a far fronte alla mortale minaccia che lo sovrasta?» (p. 32). Sarà da imputarsi a semplice refuso anche il fatto che più avanti nel corso dell’annata il nostro eroe venga indicato in un’occasione come «Tex Viller» (n. 41, p. 32).
11 G. Bonelli, A. Galleppini, Il totem misterioso, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 1, Milano, Audace, 1948, p. 1. Il toponimo ‘Rainbown Canyon’ sarà corretto in ‘Rainbow Canyon’ nelle edizioni successive.
12 Ivi, p. 4.
13 Ivi, p. 11.
14 G. Bonelli, A. Galleppini, Pista insanguinata, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 6, Milano, Audace, 1948, p. 8.
15 Come ricorda Sergio Bonelli in un’intervista, nei casi di attrito tra Tex e la legge «mio padre ha modo di sfogare da un lato la sua antipatia per le istituzioni (e per chi le gestisce arrogantemente) e dall’altra di conquistarsi la simpatia di tutti gli italiani, che eleggono Tex a paladino delle classi sociali più deboli» (S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 48).

 

Tex, ranger. Fonte: Marco Arnaudo, op. cit. infra

Marco Arnaudo, Il Tex delle origini. Una lettura ravvicinata, Arabeschi, n. 9, gennaio-giugno 2017