Un testimone importante per ricostruire la rete di responsabilità statunitense è Carlo Digilio. Informatore dei servizi segreti statunitensi interni alla base Ftase di Verona, Digilio si era infiltrato nell'ambiente di On di Venezia al fine di riferire quali fossero le attività di tale area. In tale contesto egli aveva appreso e riferito importantissime notizie sugli attentati del 12 dicembre 1969. Dalle sue dichiarazioni sappiamo che David Carret, un ufficiale della Us Navy in servizio presso la suddetta base, era stato informato della strage imminente dallo stesso Digilio, e queste informazioni “erano risultate in perfetta corrispondenza con gli elementi che l’ufficiale andava ricevendo certamente dalla struttura centrale di On collocata a Roma” <838. Ecco quanto affermato da Digilio: “Confermo innanzitutto che Maggi mi parlò del fatto che vi sarebbero stati grossi attentati, che bisognava aspettarsi perquisizioni nel nostro ambito e che vi sarebbe probabilmente stata anche una grossa reazione da parte delle forze di sinistra. Di conseguenza i militanti conosciuti dalla Polizia dovevano liberarsi in fretta di ogni materiale compromettente che avevano in casa. Qualche giorno dopo, e quindi pochissimi giorni prima degli attentati, ebbi un incontro con il capitano Carret dinanzi al Palazzo Ducale. Era uno dei nostri incontri consuetudinari, che avvenivano ogni 15 giorni circa e in cui facevamo il punto della situazione. […] Io riferii a Carret quanto mi aveva detto Maggi, facendone anche il nome, e percepii che la struttura di Carret aveva già le antenne alzate e si aspettava qualcosa e del resto Carret stesso mi confermò che sapeva benissimo che la destra in quel periodo stava preparando qualcosa di grosso nella direzione di una presa di potere da parte delle forze militari. Carret mi chiese di raccogliere e riferire tutte le informazioni possibili in merito a quanto stava per avvenire” <839. Nel corso di un secondo incontro tra i due, verificatosi il giorno dell’Epifania del 1970, Digilio afferma di aver riferito al capitano gli altri particolari acquisiti “e in particolare che il dr. Maggi aveva consentito imprudentemente l'uso della sua autovettura e Carret mi disse che, nonostante non ci fosse stata quella sterzata a destra che si pensava [e cioè, il Presidente del consiglio non aveva dichiarato lo stato di emergenza e non si era adoperato per lo scioglimento delle Camere], la situazione era comunque sotto controllo e, nonostante la reazione delle sinistre, l'ambiente di Ordine Nuovo non sarebbe stato toccato dalle indagini” <840. Digilio afferma poi “Il capitano Carret mi confermò che quello era stato il progetto, ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come Rumor. Mi spiegò anche che nei giorni successivi alla strage le navi militari sia italiane sia americane avevano avuto l'ordine di uscire dai porti perchè, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite. Anche con Sergio Minetto, a casa di Bruno Soffiati, vi furono da parte di quest'ultimo commenti simili prima ancora dei colloqui che ebbi con Carret” <841.
Sempre da dichiarazioni di personaggi implicati nell’eversione, in questo caso di Gian Adelio Maletti, possiamo raccogliere informazioni decisive sulle responsabilità dei servizi segreti dell’intellgence americana. Maletti ricorda di aver appreso, da un’informativa del centro di spionaggio di Trento, che l’esplosivo utilizzato a Piazza Fontana proveniva da un deposito militare statunitense. Nello specifico, era stato trasportato dalla Germania a bordo di un tir e, giusto a Mestre, era stato consegnato ad un esponente della cellula mestrina di On. Su questo punto la testimonianza di Maletti sembra corrispondere a quella di Digilio, che ricorda di aver visionato a Mestre delle cassette militari contenenti esplosivo con delle scritte in inglese all’interno di un portabagagliai. Maggi affermò di dover trasportare quelle cassette fino a Milano nei giorni successivi <842. Tornando invece alla testimonianza di Maletti, il generale non sapeva dire se l’esplosivo fosse stato consegnato direttamente dagli americani. Inoltre a tratti i suoi ricordi diventano offuscati. Su un aspetto, comunque, non sembrava nutrire dubbi, e cioè che: “gli americani (Cia e Counter intelligence corps, il servizio segreto dell’esercito) diedero la loro approvazione. Avevano grande disponibilità di materiali ed erano interessati a condurre un’operazione politica in un paese vicino […] avevano interesse a proteggere e foraggiare i gruppi estremisti […] Gli americani fornivano il materiale, ovvero l’esplosivo. Per il resto, c’era una sorta di laissez-faire, cioè un indirizzo generale, che poi veniva messo in pratica da gruppi italiani o internazionali”. Il generale si spinge ancora oltre arrivando a sostenere che: “il Presidente degli Stati Uniti aveva senz’altro conoscenza del fatto che la Cia stava lavorando in Italia. Forse, non sapeva dell’episodio in sé prima che questo si verificasse, ma può anche darsi” . Infine, Maletti afferma di essere convinto che “gli americani non volessero la strage, avvenuta invece “per caso, per disguido, per errato calcolo dei tempi. La banca era aperta, l’ora era sbagliata e le transazioni erano ancora in corso. La bomba, almeno nelle intenzioni, doveva essere quasi innocua. Non si trattò di un’azione militare, ma di una mossa psicologica, politica” <843. E’ sempre Maletti a parlare di un rapporto subalterno tra Servizio americano e quello italiano: “questo derivava dal fatto che da parte americana vi era una consistente iniezione di mezzi tecnici e non, al contrario, di informazioni. La collaborazione era più spesso unilaterale e il rapporto era, per lo meno nel periodo in cui sono stato a capo di quella branca, di scarsa fiducia nei nostri confronti e più che un rapporto era una decisa azione autonoma del Servizio americano in Italia, in appoggio alla loro politica e senza molto riguardo per quello che noi conoscevamo e sapevamo” <844.
Emerge quindi un quadro molto frastagliato e di complessa ricostruzione delle responsabilità statunitensi nella strage di Piazza Fontana. Da un lato, gli organi della diplomazia ufficiale statunitense tendevano a scartare la possibilità di una presa del potere da parte dei comunisti italiani almeno nei successivi due o tre anni, ma ritenevano necessario correggere la deriva a sinistra della politica italiana e influenzare le forze democratiche italiane attraverso misure tradizionali che consentissero di incrementare la fiducia della leadership italiana da parte dell’opinione pubblica e di sostenere i sindacati democratici <845. Al tempo stesso, le forze di intelligence in ambito militare lavoravano per mantenere l’Italia ancorata al blocco occidentale, attraverso modalità che andavano ben oltre il limite delle azioni rientranti nelle possibilità di un Servizio di Sicurezza di un Paese alleato, in quanto prevedevano l’appoggio materiale e logistico per la realizzazione di attentati e la strumentalizzazione di personaggi della destra eversiva implicati a vario titolo nelle stragi.
[NOTE]
838 Sentenza ordinanza del G.I. Guido Salvini, 1998, cit. p. 292; A. Giannuli, Il braccio della destra nera la mente della Cia e i Servizi a depistare, in “L’Unità”, 12 dicembre 2009.
839 Interrogatorio di Carlo Digilio, 5 marzo 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 252-255.
840 Ibidem.
841 Interrogatorio di Carlo Digilio, 21 febbraio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 244-247.
842 Interrogatorio di Carlo Digilio, 16 maggio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 301-307.
843 A. Sceresini, N. Palma, E. M. Scandaliato, Piazza Fontana. Noi sapevamo. Le verità del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti, 2010, pp. 87-88, 98, 100-101. Su questi punti si veda anche: P. E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 380.
844 Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Audizione del Gen. Gian Adelio Maletti, 3 marzo 1997, disponibile al link: www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/maletti1.htm. 845 Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Box 1248, Saunders Chron File, NSSM 90, Us Policy on Italy and the Northern Mediterranean National Security Study Memorandum 88, 12 febbraio 1970; Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Nsc Institutional Files (H-Files), Box H–169, National Security Study Memoranda, NSSM 88, Response to National Security Study Memorandum 88, 11 giugno 1970; L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. pp. 68, 74.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
Sempre da dichiarazioni di personaggi implicati nell’eversione, in questo caso di Gian Adelio Maletti, possiamo raccogliere informazioni decisive sulle responsabilità dei servizi segreti dell’intellgence americana. Maletti ricorda di aver appreso, da un’informativa del centro di spionaggio di Trento, che l’esplosivo utilizzato a Piazza Fontana proveniva da un deposito militare statunitense. Nello specifico, era stato trasportato dalla Germania a bordo di un tir e, giusto a Mestre, era stato consegnato ad un esponente della cellula mestrina di On. Su questo punto la testimonianza di Maletti sembra corrispondere a quella di Digilio, che ricorda di aver visionato a Mestre delle cassette militari contenenti esplosivo con delle scritte in inglese all’interno di un portabagagliai. Maggi affermò di dover trasportare quelle cassette fino a Milano nei giorni successivi <842. Tornando invece alla testimonianza di Maletti, il generale non sapeva dire se l’esplosivo fosse stato consegnato direttamente dagli americani. Inoltre a tratti i suoi ricordi diventano offuscati. Su un aspetto, comunque, non sembrava nutrire dubbi, e cioè che: “gli americani (Cia e Counter intelligence corps, il servizio segreto dell’esercito) diedero la loro approvazione. Avevano grande disponibilità di materiali ed erano interessati a condurre un’operazione politica in un paese vicino […] avevano interesse a proteggere e foraggiare i gruppi estremisti […] Gli americani fornivano il materiale, ovvero l’esplosivo. Per il resto, c’era una sorta di laissez-faire, cioè un indirizzo generale, che poi veniva messo in pratica da gruppi italiani o internazionali”. Il generale si spinge ancora oltre arrivando a sostenere che: “il Presidente degli Stati Uniti aveva senz’altro conoscenza del fatto che la Cia stava lavorando in Italia. Forse, non sapeva dell’episodio in sé prima che questo si verificasse, ma può anche darsi” . Infine, Maletti afferma di essere convinto che “gli americani non volessero la strage, avvenuta invece “per caso, per disguido, per errato calcolo dei tempi. La banca era aperta, l’ora era sbagliata e le transazioni erano ancora in corso. La bomba, almeno nelle intenzioni, doveva essere quasi innocua. Non si trattò di un’azione militare, ma di una mossa psicologica, politica” <843. E’ sempre Maletti a parlare di un rapporto subalterno tra Servizio americano e quello italiano: “questo derivava dal fatto che da parte americana vi era una consistente iniezione di mezzi tecnici e non, al contrario, di informazioni. La collaborazione era più spesso unilaterale e il rapporto era, per lo meno nel periodo in cui sono stato a capo di quella branca, di scarsa fiducia nei nostri confronti e più che un rapporto era una decisa azione autonoma del Servizio americano in Italia, in appoggio alla loro politica e senza molto riguardo per quello che noi conoscevamo e sapevamo” <844.
Emerge quindi un quadro molto frastagliato e di complessa ricostruzione delle responsabilità statunitensi nella strage di Piazza Fontana. Da un lato, gli organi della diplomazia ufficiale statunitense tendevano a scartare la possibilità di una presa del potere da parte dei comunisti italiani almeno nei successivi due o tre anni, ma ritenevano necessario correggere la deriva a sinistra della politica italiana e influenzare le forze democratiche italiane attraverso misure tradizionali che consentissero di incrementare la fiducia della leadership italiana da parte dell’opinione pubblica e di sostenere i sindacati democratici <845. Al tempo stesso, le forze di intelligence in ambito militare lavoravano per mantenere l’Italia ancorata al blocco occidentale, attraverso modalità che andavano ben oltre il limite delle azioni rientranti nelle possibilità di un Servizio di Sicurezza di un Paese alleato, in quanto prevedevano l’appoggio materiale e logistico per la realizzazione di attentati e la strumentalizzazione di personaggi della destra eversiva implicati a vario titolo nelle stragi.
[NOTE]
838 Sentenza ordinanza del G.I. Guido Salvini, 1998, cit. p. 292; A. Giannuli, Il braccio della destra nera la mente della Cia e i Servizi a depistare, in “L’Unità”, 12 dicembre 2009.
839 Interrogatorio di Carlo Digilio, 5 marzo 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 252-255.
840 Ibidem.
841 Interrogatorio di Carlo Digilio, 21 febbraio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 244-247.
842 Interrogatorio di Carlo Digilio, 16 maggio 1997, in Atti BS/fasc. D/c-2, pp. 301-307.
843 A. Sceresini, N. Palma, E. M. Scandaliato, Piazza Fontana. Noi sapevamo. Le verità del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti, 2010, pp. 87-88, 98, 100-101. Su questi punti si veda anche: P. E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 380.
844 Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Audizione del Gen. Gian Adelio Maletti, 3 marzo 1997, disponibile al link: www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/maletti1.htm. 845 Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Box 1248, Saunders Chron File, NSSM 90, Us Policy on Italy and the Northern Mediterranean National Security Study Memorandum 88, 12 febbraio 1970; Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Nsc Institutional Files (H-Files), Box H–169, National Security Study Memoranda, NSSM 88, Response to National Security Study Memorandum 88, 11 giugno 1970; L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. pp. 68, 74.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020