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lunedì 5 dicembre 2022

Costretti al ripiegamento verso la val Toncea i partigiani di Marcellin abbandonarono il crinale Susa-Chisone

Adolfo ed Ettore Serafino. Fonte: Ecoistituto della valle del Ticino

I primi nuclei armati di resistenti, lungo il corso del Chisone, si organizzarono già dal pomeriggio del 9 settembre 1943, in seguito allo scioglimento del reparto del btg. alpino Fenestrelle di stanza nell'omonimo villaggio dell'alta valle. Attorno ad alcuni uomini di particolare carisma, quali il cap. Gros di Fenestrelle, Maggiorino Marcellin di Sestriere ed il parroco di Sestriere Borgata, don Bernardino Trombotto, si raccolsero alcuni alpini sbandati, che diedero vita ad un primo gruppo partigiano, che venne inizialmente denominato "Val Chisone". Subito il piccolo nucleo di armati si diede a rastrellare armi e munizioni, nelle innumerevoli casermette collocate lungo il crinale spartiacque Susa-Chisone e Susa-Guil, abbandonate dopo l'armistizio dai vari presidi della G.U.F. o dell'esercito regolare.
Contemporaneamente nella bassa valle, nella zona di Perosa Argentina, prende vita un altro cospicuo gruppo di patrioti, che trovò in Enrico e Gianni Gay, Enrico Pöet, Dario, Ezio e Mario Caffer i massimi animatori. Il primo rastrellamento nazista, interessò la zona di Prarostino, sulla prima collina pinerolese, ove si era organizzato un terzo nucleo di resistenti. Qui, il 20 ottobre, i tedeschi fecero le prime vittime e, nei giorni immediatamente successivi, essi riuscirono a sgominare l'intero C.L.N. di Pinerolo e ad arrestare un buon numero di partigiani nella zona di Roure (questi ultimi quasi tutti liberati dopo un periodo di detenzione alle carceri Nuove di Torino).
Queste drammatiche esperienze furono però il collante che portò all'unificazione delle varie bande costituitesi in valle, in particolare di quelle di Marcellin e dei fratelli Gay, che si fusero nella Divisione Alpina Autonoma "Val Chisone". Individuato il vallone del Bourcet come nascondiglio ideale, assai ben difendibile, i partigiani di Marcellin si acquartierarono a Chasteiran, villaggio dal quale, dopo una strenua difesa, furono costretti alla fuga verso la Val Troncea nel marzo 1944. Nella piccola vallata pragelatese i patrioti si riorganizzarono e, nel corso dell'estate di quello stesso anno, riuscirono addirittura a porre l'intero corso del Chisone e parte dell'alto bacino della Dora Riparia sotto il loro totale controllo. In questo breve ed effimero periodo, la valle fu totalmente isolata dal resto del paese grazie all'interruzione di numerosi ponti e di lunghi tratti di Statale; tra Perosa Argentina e Sestriere erano la 228° Compagnia di Enrico Gay, la 229° di Enrico Poet e la 231° di Ugo Enrico, che presidiavano rispettivamente la zona di Villaretto, quella del Colle delle Finestre ed il crinale che, passando per il Colle di Sestriere, si estendeva dal M. Sises al M. Fraiteve. Oltre ciò, gli Autonomi della val Chisone, presidiavano anche, con un plotone di guastatori al comando di Gianni Daghero, la linea compresa tra Cesana e Champlas du Col e con la 230°, 232° e la 233° compagnia, rispettivamente agli ordini di Fiore Toye, Luciano Beltramo ed Ezio Musso, lo spartiacque Susa-Chisone, dal M. Fraiteve fino al Colle delle Finestre. Nel periodo in cui la valle fu amministrata dai partigiani (libera Repubblica della Val Chisone, la definisce Maggiorino Marcellin nel suo libro: "Alpini.... finché le gambe ci portano") il numero di patrioti che operava nella zona crebbe fino a raggiungere il numero di 1700 unità, ponendo al comando seri problemi di vettovagliamento e di armamento.
Nel luglio 1943 la zona libera cominciò a subire i primi assalti da parte di reparti nazifascisti. Inizialmente, l'urto fu ben contenuto, anche in virtù delle poche bocche da fuoco che i partigiani possedevano (un pezzo da 149 ed uno da 157/32 postati sul M. Banchetta, due cannoncini anticarro collocati all'imbocco della valle, mortai da 81 ed alcune mitragliatrici pesanti). Dopo un primo assalto fallito, diretto verso il M. Triplex, lungo crinale Susa-Chisone, il nemico salendo da Sauze d'Oulx, prese di infilata il settore compreso tra il M. Genevris ed il M. Moucrons, sul lato sinistro orografico del Chisone. Anche in questo caso i difensori riuscirono ad avere la meglio, ma le quote presidiate furono prese e riconquistate a più riprese, con perdita di uomini ed armamenti. Fu questa una prima avvisaglia di ciò che sarebbe successo pochi giorni dopo: fra il 3 ed il 5 agosto entrarono in scena, l'aviazione e l'artiglieria. Un caccia tedesco, infatti, mitragliò Fenestrelle, Usseaux e Pragelato, facendo addirittura 5 vittime tra la popolazione civile, mentre un violentissimo bombardamento, sul versante di Val Susa, ove operava un treno blindato, scompaginò le postazioni partigiane del Moucrons. Su questa quota, un proiettile d'artiglieria centrò la piazzola su cui era installata una mitragliatrice pesante, uccidendo alcuni patrioti, fra i quali il perosino Sergio Stocco. L'1 agosto, intanto, la fanteria tedesca, dopo aver scelto Perosa Argentina come base operativa, aveva attaccato senza successo, con manovra a tenaglia, le Valli Chisone e Germanasca aggredendo i presidi partigiani di Villaretto e Mentoulles; in questa azione persero la vita i fratelli Dario ed Ezio Caffer che, per quanto feriti, rimasero alla mitragliatrice fino allo stremo delle forze.
Costretti al ripiegamento verso la val Toncea gli Autonomi di Marcellin abbandonarono il crinale Susa-Chisone il 5 agosto, raggiungendo dopo breve marcia la più sicura Val Troncea. Questo, ovviamente, significò l'abbandono della zona libera in mano nemica ed il ritiro della linea difensiva verso le più arretrate posizioni dello spartiacque Susa-Guil, dalle quali per altro i partigiani furono rimossi, dopo una strenue difesa del Col Mayt e del Pic Charbonnel, nell'ottobre dello stesso anno.
Il periodo che va dall'autunno 1944 alla liberazione fu drammatico ed assai travagliato: sorpresi ed accerchiati in una baita isolata nei boschi di Cantalupa, il 4 novembre, un nucleo di armati del "Val Chisone" al comando di Adolfo Serafino, cadevano dopo una accanita difesa della posizione. E' questo l'episodio più famoso e drammatico, tra i molti accaduti nelle valli pinerolesi, l'ultimo importante fatto d'armi che precedette la discesa a valle dei partigiani ed il loro dispiegamento nelle campagne che circondano Pinerolo e nei paesi della prima cintura torinese. Il bilancio conclusivo della guerra partigiana in val Chisone conta più di 200 morti fra gli Autonomi, di cui ben 27 ufficiali.
Redazione, La Resistenza nel Pinerolese, Sentieri della Resistenza nel Pinerolese

Adolfo Serafino nasce il 31 maggio 1920 a Rivarolo Canavese (Torino). Tenente s.p.e. (servizio permanente effettivo) fanteria (alpini), partigiano combattente.
Conseguita la maturità classica nel Collegio Militare di Milano nel 1938, entrò all’Accademia di Modena dalla quale uscì sottotenente di fanteria in s.p.e. nell’agosto 1940. Destinato al 3° reggimento alpini ed assegnato al battaglione Pinerolo, frequentò la Scuola d’applicazione d’arma nell’inverno 1940-41 rientrando al reggimento nell’aprile. Dal gennaio 1942 al settembre dello stesso anno fu in Croazia col reggimento, conseguendo la promozione a tenente. Rimpatriato, venne comandato prima quale istruttore all’Accademia di Modena e poi al deposito reggimentale a Pinerolo per l’addestramento reclute. Fece poi ritorno nei territori ex jugoslavi dove rimase fino al giugno 1943 allorché fu trasferito al battaglione Val di Fassa dove si trovava alla dichiarazione dell’armistizio. Prese parte alla lotta clandestina prima nella zona di Massa Carrara e in seguito in Piemonte, dove combatté nelle file della Divisione alpini autonoma Val Chisone della quale divenne capo di S.M. (Stato Maggiore). Morì in combattimento in Frossasco il 4 novembre 1944.
Ufficiale degli alpini, dopo l’armistizio impegnava nella zona di Massa Carrara combattimento contro forze tedesche assumendo di iniziativa anche il comando di una batteria. Ritornato in Piemonte organizzava le prime formazioni partigiane delle valli pinerolesi divenendo poi capo di stato maggiore della Divisione alpina autonoma Val Chisone e partecipando a varie azioni di sabotaggio. Nel novembre 1944, circondato da forze soverchianti, con una banda di patrioti si poneva alla testa di alcuni ufficiali, decisi, pur essendo consci del sicuro sacrificio, a resistere fino all’estremo per ritardare l’avanzata del nemico e consentire di mettere in salvo uomini ed armi. Impegnato il combattimento, dopo varie ore di lotta, esaurite le munizioni, nell’estremo tentativo di aprirsi un varco con le bombe a mano, veniva falciato dal fuoco nemico, unitamente agli altri ufficiali, attirati dal suo sublime esempio di eroismo. Il suo nome è divenuto leggendario in tutta la Val Chisone ed alla sua memoria fu intitolata la , Divisione partigiana Serafino che combatte nella stessa valle valorosamente il tedesco fino alla liberazione. - Italia occupata, settembre 1943- novembre 1944.
Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’oro al Valore Militare, volume secondo (1942-1959), [Tipografia Regionale], Roma, 1965, p. 586.
Redazione, Adolfo Serafino, Ancfargl, 21 settembre 2016

A Buscate, ad Adolfo Serafino è dedicata la via adiacente all’abitazione dove, al momento della morte, risultava residente con suo padre Luigi, direttore tecnico della Conceria SACPA, e gli altri componenti della famiglia [n.d.r.: tra cui il fratello Ettore, che realizzò un notevole fondo fotografico relativo alla lotta di Liberazione in Val Chisone].
Redazione, Adolfo Serafino, Ecoistituto della valle del Ticino

Adolfo Serafino (Rivarolo Canavese, 31 maggio 1920 - Frossasco, 4 novembre 1944) fece parte di quella schiera di militari italiani impegnati nella Lotta di Liberazione. Oltre alle truppe regolari, in campo a fianco degli anglo-americani, molti aderirono individualmente alle brigate partigiane già esistenti, mentre interi battaglioni si trasformarono in formazioni partigiane autonome, guidate dai loro stessi ufficiali.
Questa storia di Resistenza iniziò dopo l’Armistizio dell’8 Settembre, quando a Carrara, dove si trovava con il suo Battaglione “Val di Fassa”, ricevette l’intimazione, da parte di un ufficiale tedesco, di consegnare le armi. Adolfo rifiutò e organizzò la difesa della strada che portava verso La Spezia, sostenendo un combattimento, il 10 settembre 1943. Quest’azione consentì alla flotta navale di La Spezia di salpare.
Disciolto il battaglione si rifugiò con la sua compagnia (o parte di essa) a Colonnata, dove, aiutato dal parroco, nascose le armi e si procurò abiti civili. A fine settembre raggiunse Ettore, suo fratello maggiore, a Bobbio Pellice, dove si stavano formando le prime bande partigiane. Nel novembre partecipò a una missione in Francia per prendere contatto con gli alleati, passando dal Col Galizia, a monte delle Valli di Lanzo. A dicembre ritornò a Colonnata per recuperare le armi. In seguito ebbe l’incarico, insieme all’amico e futuro cognato Franco Faldella e al di lui padre, Emilio (colonnello, comandante del Terzo Alpini), di infiltrarsi nelle fila della Repubblica Sociale Italiana. Adolfo fornì preziose informazioni fino a maggio del ’44, poi fu sospettato e incarcerato per due mesi, a Milano. Dopo il rilascio (o la fuga, non è documentato l’episodio), si ricongiunse finalmente al fratello Ettore, partigiano nelle brigate autonome del Piemonte.
Nell’autunno di quell’anno, arrivato in val Chisone, Adolfo assunse il ruolo di capo di stato maggiore della Divisione Alpina Autonoma “Val Chisone”, guidata da Maggiorino Marcellin. Il comando della divisione passò a Ettore Serafino solamente nel marzo del ’45, quando a Marcellin furono affidati altri incarichi.
Adolfo Serafino cadde durante uno scontro con i nazifascisti il 4 novembre 1944 a San Martino di Cantalupa, allora parte del Comune di Frossasco.
Dopo la sua morte, la Divisione “Val Chisone” prese il nome di “Adolfo Serafino”.
Redazione, Adolfo Serafino, Ecoistituto della valle del Ticino