Ci sono diverse ragioni alla base della mancata presa di posizione nei confronti delle mire espansionistiche sovietiche. In parte, ad influire fu la debolezza caratteriale e fisica mostrata dal Roosevelt nelle trattative con Stalin, a Yalta <292. Bisogna inoltre avere presente la volontà di far sentire Stalin un membro effettivo ed integrato della comunità internazionale, senza discriminare o indispettire in alcun modo il leader sovietico. Espandere la propria influenza sui paesi limitrofi avrebbe fornito a Stalin le garanzie necessarie contro un attacco da occidente, e l’atteggiamento condiscendente degli Stati Uniti lo avrebbe ben predisposto verso la partecipazione al sistema di sicurezza collettivo. Inoltre, la deferenza verso la politica sovietica si giustifica anche con la necessità di preservare la pace internazionale, non provocando l’ira del capo sovietico. Un obiettivo, questo, che per essere raggiunto implicava qualche piccola concessione territoriale a Stalin. Infine, le origini della tolleranza statunitense vanno anche ricercate nella convinzione che per una grande potenza fosse fisiologico esercitare il proprio predominio sugli affari interni dei paesi limitrofi minori e che, nel caso specifico, l’Europa orientale fossse un’area di naturale interesse per l’Unione sovietica, in quanto gli Stati Uniti non potevano sobbarcarsene la responsabilità per ragioni geografiche e politiche <293. Tutte queste interpretazioni, prese nel loro insieme, contribuiscono a descrivere la natura dell’accettazione statunitense nei confronti dell’influenza sovietica in Europa orientale. Ad ogni modo, da parte degli Stati Uniti emerge spesso la constatazione che il destino dell’Europa orientale non fosse tanto importante di per sé, quanto piuttosto per la potenziale minaccia alla distribuzione del potere e alla pace che l’egemonia sovietica rappresentava nell’ambito di un’Europa libera e integrata. Le conferenze che nel dopoguerra dettarono l’ordine mondiale post-bellico furono il riflesso delle esigenze statunitensi di preservare l’influenza sovietica sui balcani, pur facendo in modo che l’autodeterminazione e l’indipendenza dei governi dell’est Europa fossero sempre garantite.
I rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica iniziarono ad inclinarsi al momento dei negoziati di pace con Romania, Bulgaria e Ungheria. Concluse a Parigi nel febbraio 1947, le trattative finirono con “l’accentuare il processo di divisione già iniziato a Potsdam determinando sia da parte degli Stati Uniti che da parte dell’Urss prese di posizioni che inevitabilmente portarono al consolidamento delle rispettive zone di influenza” <294. Le notizie che iniziavano a giungere dall’Europa orientale avevano spinto alcuni settori dell’amministrazione Truman a ripensare la politica americana nei confronti dell’Urss. Da alcuni comportamenti di Stalin, cominciava ad essere chiaro che il capo sovietico non aveva alcuna intenzione di rispettare le promesse fatte a Yalta, e di limitarsi ad esercitare quell’influenza “legittima” sui paesi balcanici che gli americani auspicavano, ma che invece mirava ad una vera e propria estensione del sistema sovietico, attraverso la progressiva instaurazione di governi fantocci, ognuno sorto in seguito alle specifiche vicende interne ai paesi ma tutti ugualmente basati sull’abolizione delle libertà civili, sulla corrispondenza al modello sovietico e sull’emarginazione degli oppositori politici <295. Al termine della guerra, in quasi tutti i paesi dell’Europa orientale si erano formati governi di coalizione, detti di unione nazionale, da cui erano esclusi solo i partiti fascisti <296. A partire dal 1946, tuttavia, il partito comunista di ciascuno di questi paesi cominciò ad acquisire maggiore potere attraverso l’assunzione del controllo della polizia segreta, del Ministero degli Interni e di quello della Difesa, ma anche attraverso il controllo dei principali mezzi di comunicazione <297. In più, i paesi dell’est Europa iniziarono a stringere una serie di accordi bilaterali con l’Urss in tema di difesa militare e cooperazioine economica e culturale <298. Il passaggio al pieno comunismo, ovvero l’esclusione o l’assorbimento totale di ogni altro partito politico, fu completato nel 1948, e segnò l’inizio del controllo sovietico totale sulla regione, del ruolo direttivo dello Stato sull’economia e della rottura definitiva con l’Europa occidentale.
In Romania, nel 1947 re Michele fu costretto ad abdicare. L’anno successivo si arrivò alla fusione dei partiti socialista e comunista, e all’offensiva contro quei membri del partito comunista la cui fedeltà a Mosca era messa in dubbio. Tra questi, anche il leader Lucretiu Patrascanu fu accusato di deviazione nazionalista ed estromesso dalle sue cariche. Inoltre, nel 1948 fu proclamata la repubblica popolare rumena, fortemente ricalcata sull’esempio sovietico, e basata su una Costituzione perfettamente allineata alle esigenze di Mosca299. In Ungheria, dopo la proclamazione della Repubblica (gennaio 1946), il leader comunista Ràkosi assunse un ruolo egemone nella vita politica ungherese e avviò le epurazioni all’interno del partito comunista. Una delle vittime più celebri fu l’ex Ministro degli Interni e degli Esteri Rajk, giustiziato con le accuse di spionaggio, titoismo e tradimento <300. Nel 1948, dalla fusione tra il partito comunista e quello socialdemocratico, nacque il Partito ungherese dei lavoratori. L’anno successivo fu infine introdotta una costituzione di tipo sovietico. In Bulgaria, allo stesso modo, la proclamazione della Repubblica (1946) non impedì la presa del potere da parte dei comunisti attraverso il ricorso alle epurazioni dei soggetti accusati di tradimento, alla progressiva soppressione degli altri partiti e ad una nuova Costituzione (1947) ispirata al modello sovietico e molto lontana dal sistema parlamentare rappresentativo <301. In Polonia, invece, le elezioni politiche del 1947 portarono alla vittoria del partito comunista e di quello socialista, legati da un patto di unità d’azione, e da quel momento il paese subì un irrigidimento delle istituzioni e della politica in senso stalinista. Gomulka, fautore dell’indipendenza e contrario alla collettivizzazione affrettata delle campagne, fu rimosso dalle sue cariche e “posto sotto custodia” <302. Inoltre, anche in questo caso si arrivò alla fusione tra il partito socialista e quello comunista, che diedero vita al Partito operaio unificato polacco (Poup). Nel 1952 fu proclamata la Repubblica popolare polacca e venne varata una nuova Costituzione di tipo sovietico <303. In ultimo luogo, nel 1946 anche in Cecoslovacchia i comunisti divennero la forza di maggioranza. Una crisi di governo provocò un’ondata di manifestazioni di massa e spinse i rappresentati dei partiti non comunisti alle dimissioni. Il leader comunista, Gottwald, ne approfittò per formare un nuovo governo a maggioranza comunista e socialista. In questo stesso periodo, la Cecoslovacchia raggiunse l’apice delle epurazioni, con l’eliminazione fisica di leader comunisti come Vladimir Clemensis e Slanský, si dotò di una nuova Costituzione di stampo sovietico, e dichiarò la Repubblica democratica popolare. Negli anni successivi, in questi paesi venne avviato un processo di radicale trasformazione politica, economica e sociale, attraverso lo sviluppo dell’industria pesante, la nazionalizzazione dell’industria privata e la collettivizzazione agricola. Questa fase si sarebbe protratta fino al 1953, quando la morte di Stalin e il ricambio dei vertici avrebbero inaugurato la stagione della cosiddetta “destalinizzazione” caratterizzata dalla progressiva separazione tra partito e governo e dalla fine del monolitismo stalinista. La destalinizzazione non toccò gli aspetti di fondo del sistema, come ad esempio l’allineamento sul modello sovietico o il rigido controllo ideologico, ma nella maggior parte dei casi contribuì ad allontanare dal governo gli elementi maggiormente collusi con il vecchio sistema, ad abbandonare gli aspetti più dannosi per l’economia locale e a garantire un margine di autonomia ai leader locali <304.
La necessità di cambiare strategia nei confronti dell’Est Europa concise con l’elezione di Harry Truman e con la svolta che il nuovo Presidente impresse alla politica estera americana. Un altro fattore che determinò la politica di energica contrapposizione alla dominazione sovietica in Europa orientale fu il possesso dell’arma atomica, impiegata per la prima volta nell’agosto 1945, che alterava radicalmente l’equilibrio del potere e rendeva gli Usa meno inclini ad accordi e concessioni <305. La rapida diffusione del modello comunista in Est Europa accrebbe la necessità di intensificare gli sforzi e ridurre la dominazione sovietica nei paesi satelliti, sostituendola con governi democratici che prendessero parte alla comunità internazionale <306. Volendo in ogni caso escludere l’opzione della guerra, poco sostenibile in quel determinato momento storico, gli scopi individuati in questo senso erano molteplici, e comprendevano il tentativo di utilizzare il potere economico degli Usa, di mettere in campo operazioni psicologiche; infine di consolidare la forza attrattiva del modello statunitense sulle popolazioni dell’est <307. Inoltre, gli obiettivi degli Stati Uniti in Europa orientale dovevano consistere nel: a) respingere le forze militari sovietiche dietro i confini dell’Urss; b) isolare gli stalinisti dalle forze nazionali e dal supporto popolare; c) attaccare il dogma stalinista della subordinazione all’Urss e incoraggiare il nazionalismo; d) esercitare una maggiore pressione di carattere economico in maniera tale da alterare i rapporti tra Urss e paesi satelliti <308. Se il controllo sovietico sull’Europa orientale non poteva essere evitato, ma soltanto contenuto entro limiti accettabili imposti dal principio dell’autodeterminazione e dall’internazionalismo americano, bisognava comunque mantenere un’influenza economica sulla regione <309. Questa era infatti l’unica possibilità di esercitare quel potere sull’Europa orientale che dal punto di vista politico era inibito dalla presenza sovietica, con la prospettiva di generare delle ripercussioni anche nelle altre sfere della vita politica, militare e sociale. Inoltre, l’influenza economica in Europa orientale avrebbe garantito agli Stati Uniti l’opportunità di avere libero accesso commerciale alla regione, e di posizionarvi investimenti e beni statunitensi.
Washington era quindi intenzionata, almeno formalmente, a mantenere separate le considerazioni politiche dalle esigenze di natura economica <310. Uno degli strumenti che ritenne più efficace per penetrare commercialmente in Europa orientale fu quello dei prestiti e degli aiuti economici, la cui storia in Europa orientale fu assai travagliata e ostacolata da ragioni di carattere ideologico e di convenienza politica. In questa direzione, gli Stati Uniti parteciparono all’elaborazione e al sostegno finanziario della United Nations Relief and Rehabilitation Administration (Unrra) <311. Nonostante il contributo dell’agenzia nel soccorrere le nazioni maggiormente bisognose dell’Europa orientale, il programma fu sospeso a fine 1947 per volontà degli Stati Uniti che lo accusavano di sprechi, cattiva gestione finanziaria e corruzione, ma anche di fornire sostegno al comunismo <312. Esito ugualmente fallimentare ebbe la Commissione economica per l’Europa (Ece), concepita con il compito di coordinare i piani di ricostruzione dei vari paesi europei <313. Contemporaneamente, i paesi dell’Europa orientale riponevano grande fiducia nella possibilità di un sostegno finanziario diretto da parte degli Stati Uniti, che avrebbe permesso loro di soddisfare le esigenze della ricostruzione in maniera più efficace e veloce. In un primo momento gli Stati Uniti accolsero favorevolmente queste richieste, presto però divenne chiara l’impossibilità di separare le questioni politiche da quelle di natura economica <314. Per gli Stati Uniti era infatti necessario sostenere con tutti gli sforzi i paesi alleati e i paesi di importanza strategica per la nazione, ed astenersi dall’aiuto ai paesi che si fossero mostrati contrari ai principi sostenuti o che non fossero in grado, attraverso gli aiuti, di liberarsi dal dominio sovietico <315. Gli aiuti finanziari ai paesi dell’est Europa erano dunque subordinati alla dimostrazione concreta di amicizia nei confronti degli Stati Uniti. Per poter usufruire del sostegno economico statunitense, i Paesi dell’Europa orientale avrebbero inoltre dovuto rettificare quelle iniziative di politica interna che si scontravano con gli interessi economici degli Stati Uniti nella zona. Le politiche interne da modificare in base al modello statunitense erano principalmente quelle che ricalcavano il modello sovietico e riguardavano la nazionalizzazione delle industrie dei settori chiave, la pianificazione economica finalizzata all’aumento del livello di produzione e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale, e infine gli accordi commerciali conclusi con Mosca <316. In occasione dell’enunciazione del Piano Marshall, inoltre, Polonia e Cecoslovacchia, che avevano manifestato la propria adesione al piano, furono costrette a ritirarla di fronte al divieto di Stalin di prendervi parte. La partecipazione di questi paesi al piano Marshall sarebbe stata considerata un atto di imicizia contro l’Urss, e quindi i loro governi rinunciarono, loro malgrado, ad inviare la propria delegazione alla Conferenza intereuropea per il Piano Marshall, che si svolse a Parigi dal luglio a settembre 1947.
Il Piano Marshall suggellò la divisione definitiva tra Occidente e Oriente, e accelerò il processo di sovietizzazione dell’Europa orientale <317.
Un altro elemento chiave della politica degli Stati Uniti in Europa orientale fu rappresentato dalle pressioni esercitate dagli Stati Uniti per ottenere l’accesso senza restrizioni al Danubio, che avrebbe garantito agli Usa la possibilità di controllare i commerci tra gli Stati rivieraschi, con un grande vantaggio di natura economica e commerciale <318. Al fine di raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti si opposero alla restituzione delle chiatte fluviali sequestrate alla Germania in Europa orientale. La completa distruzione del sistema di trasporto est europeo rendeva le comunicazioni fluviali e le imbarcazioni di vitale importanza per trasportare gli aiuti e per agevolare la ricostruzione dell’area. La questione fu molto dibattuta, anche in seno alle Conferenze di pace di Londra e di Parigi: gli Usa si dichiaravano pronti a restituire le imbarcazioni solo nel momento in cui sarebbe stato possibile raggiungere un accordo con Stalin sull’accesso al Danubio, ma i sovietici erano determinati a non cedere su questo punto <319. Infine, un’ultima questione che causò l’irrigidimento dei rapporti con Stalin in Europa orientale fu rappresentata dalle riserve di oro di proprietà dell’Europa orientale sequestrate ai nazisti e conservate nelle banche americane. Anche in questo caso, la loro restituzione avrebbe diminuito la dipendenza dei governi locali da crediti stranieri. Dopo un iniziale rifiuto, gli Usa procedettero alla riconsegna dei beni trattenuti, subordinatamente a ragioni di convenienza politica e con modalità che variarono di paese in paese in base alle specifiche vicende interne. Ad esempio, l’oro polacco fu restituito nel dicembre 1946, quando fu raggiunto un accordo sulle compensazioni, l’oro ungherese soltanto nell’agosto 1946 e quello jugoslavo al momento della rottura con la Russia. Infine, l’oro ceco era ancora trattenuto nelle casse americane all’epoca dell’amministrazione Nixon, quando erano ancora in discussione le procedure della restituzione. Per completare un quadro già abbondantemente dissestato, a questa situazione va aggiunta la condizione di Romania, Bulgaria e Ungheria, ex paesi dell’Asse gravati dal peso delle riparazioni di guerra e dalla presenza dell’Armata rossa <320. Nel tentativo di sostenere le riparazioni, i governi di questi paesi furono costretti a favorire l’inflazione e a sottoporre a rigidi controlli la produzione industriale.
In conclusione, gli Stati Uniti non riuscirono nel tentativo di coinvolgere l’Europa orientale in una sfera di commercio multilaterale, sia per l’incompatibilità con il modello di sviluppo locale che per opposizione del dominio sovietico. I governi della regione continuarono infatti a perseguire una politica indipendente basata sull’autarchia e sul bilateralismo degli accordi commerciali <321. In questo senso, l’assenza di un piano di aiuti per l’Est-Europa, la questione del Danubio e quella dell’oro trattenuto segnarono un’ulteriore sconfitta degli Stati Uniti nella regione. Nell’approccio con i governi dell’est Europa, gli Stati Uniti scelsero allora una politica di ostilità, che strumentalizzava l’immagine della “cortina di ferro” per ingigantire le differenze esistenti tra modello di sviluppo occidentale ed esperienze politiche in Europa orientale. Tutti gli sforzi successivi furono volti ad isolare maggiormente l’Europa orientale sulla base della contrapposizione internazionale con l’Urss.
[NOTE]
292 J. Hart, The Deadly Hiatus. While America Slept, in “National Review”, 15 September 1989, pp. 32-33.
293 L’opinione pubblica americana non avrebbe accettato un intervento diretto negli affari dei governi est-europei e gli interessi economici americani in Europa Orientale erano di entità assai modesta T. G. Paterson, Soviet-American Confrontation, Johns Hopkins University Press, 1975 , pp. 101-12.
294 Le questioni più controverse furono legate alla questione dell’assetto territoriale di questi paesi, delle riparazioni e del disarmo. G. Mammarella, Europa-Stati Uniti, cit. p. 52. E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni internazionali, cit. p. 659.
295 Quest’ultimo obiettivo fu raggiunto per mezzo di “purghe”, cioè l’eliminazione fisica, o la deportazione in campi di lavoro, di coloro che erano sospettati di opposizione al regime sovietico. Dapprima rivolte esclusivamente agli oppositori del Pcus e a quelle classi considerate “sgradite”, come ad esempio la borghesia, successivamente colpirono anche quei comunisti la cui fedeltà a Mosca era messa in dubbio. Furono all’incirca 1.230.000 gli espulsi dal pc in Europa orientale fino alla morte del dittatore sovietico. A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale. L’Europa centro-orientale dal secondo conflitto mondiale alla caduta dei regimi comunisti, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 47 e ss.¸ P. Craveri, G. Quagliariello, L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 92.
296 In questo contesto, la Jugoslavia differiva dagli altri paesi est-europei, in quanto il suo partito comunista (Kpj) si trovava in una situazione di “monopolio politico” per il ruolo di capofila svolto nella resistenza ai nazisti e all’Italia, e per il fatto che il suo leader, Tito, agiva in maniera autonoma e indipendente da Mosca, fino alla rottura definitiva (1948). B. Fowkes, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 40-4, A. M. Banti, Storia contemporanea: : dalla Grande Guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 479.
297 Altre due tecniche attraverso cui i sovietici acquisirono il potere in Europa orientale furono: il maquillage, ovvero il ricorso alle masse come strumento di pressione, sostenendo agitazioni e dimostrazioni in favore del partito comunista, e la cosiddetta “tattica del salame”, e cioè l’epurazione dai partiti comunisti dei loro membri più a destra. Ibid. pp. 38 e ss.; N. Naimark, L. Gibianskii (a cura di), The Establishment of Communist Regimes in Eastern Europe, 1944-1949, Boulder, Westview Press, 1997, p. 255.
298 K. Lowe, ll continente selvaggio: l'Europa alla fine della seconda guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2015.
299 A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale, cit. pp. 56-60.
300 T. Judt, Postwar: La nostra storia. 1945-2005, Bari, Laterza, 2005, p. 224.
301 Ibidem.
302 A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale, cit. p. 64; T. Judt, Postwar, cit. p. 225.
303 A. Applebaum, La cortina di ferro. La disfatta dell’Europa dell’Est. 1944-1956, Milano, Mondadori, 2016.
304 M. L. Salvadori, Storia del pensiero comunista: da Lenin alla crisi dell'internazionalismo, Milano, Mondadori, 1984, pp. 515 e ss; J. M. Le Breton, Una storia infausta. L’Europa centrale e orientale dal 1917 al 1990, Bologna, Il Mulino, 1997.
305 M. Guidetti (a cura di), Storia d'Italia e d'Europa: comunità e popoli. vol. 8, t. 2, cit. p. 409.
306 Nsc 20/1, US Objectives with Respect to Russia, 18 agosto, 1948, in T. E. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment. Documents on American Policy and Strategy, 1945-1950, New York, Columbia University Press, 1978, pp. 173-203.
307 Frus, 1952-1954, vol. VIII, Memorandum Prepared in the Department of State, Concept and Ideas for Psychological Warfare in Europe Developed by the Chiefs of Mission Meeting at Luxembourg on September 18–19, 1953, Washington, 1 ottobre, 1953, pp. 82-86, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1952-54v08/pg_82.
308 Nsc 58, United States Policy Toward the Soviet Satellite States in Eastern Europe, 14 settembre, 1949, top secret, in in T. E. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment. Documents on American Policy and Strategy, cit. pp. 211-223.
309 Nsc 20/1, US Objectives with Respect to Russia, August 18, 1948, in Ibid., pp. 173-203.
310 Frus, 1945, vol. V, The Secretary of State to the Ambassador in Poland (Lane), Washington, 24 novembre, 1945, p. 419, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945v05/pg_419.
311 M. Andreis, Gli Stati Uniti e i paesi sottosviluppati: forme e problemi dell’assistenza economica da Truman a Kennedy, Torino, Einaudi, 1962, p. 10; B. Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei. Dalla guerra civile ad oggi, Firenze, Giunti, 2010, p. 110.
312 K. Lowe, Il continente selvaggio, cit. p. 50.
313 A. Polsi, Storia dell’Onu, Bari, Laterza, 2015.
314 J e G. Kolko, I limiti della potenza americana, cit. p. 237.
315 “Notwithstanding the listing given above, no aid of any sort to Hungary or to Czechoslovakia and Poland is advocated. The reason for this is the United States cannot give aid to all countries requiring aid on the basis of their need in sufficient amounts toh ave any real effect on the ability of allo f these countries to retain, or regain, freedom from predominant Soviet influence. From the military point of view, it is firmly believed that assistance should be concentrated on those countries of primary strategic importance to the United States in case of ideological warfare, excepting in those rare instances which presenta n opportunità for the United State sto gain worldwide approbation by an act strikingly humanitarian: for example, the recent provision of food for the famine areas of Roumania. Therefore, from the viewpoint of the National security of the United States, assistanceshould be extended to the following countries listed in order arrived at by considerino their importance to United States security and the urgency of their need in combination: 1) Great Britain; 2) France; 3) Germany; 4) Italy, 5) Greece; 6) Turkey; 7) Austria; 8) Japan; 9) Belgium; 10) Netherlands; 11) Latin America; 12) Spain; 13) Korea; 14) China, 15) The Philippines; 16) Canada”. Jcs 1769/1, United States Assistance to Other Countries from the Standpoint of National Security, April 29, 1947, in T. H. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment, cit. pp. 71-83.
316 J., G. Kolko, I limiti della potenza americana, cit. p. 237; B. Fowkes, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, cit. p. 56; M. Guidetti (a cura di), Storia d’Italia e d’Europa: comunità e popoli, vol. 8, L’Europa nell’orizzonte del mondo, t. 2, Il secondo dopoguerra e le trasformazioni della vita sociale, Milano, Jaca Books, 1984, pp. 353 e ss; D. M. Nuti, Managing Transition Economies, in S. White, J. Batt, P. G. Lewis (a cura di), , New York, Palgrave Macmillan, 2007, pp. 245-263; M. Kaser, J. G. Zielinski, La pianificazione nell’Europa orientale. La gestione statale dell’industria, Milano, Feltrinelli, 1970.
317 B. Fowkes, L’europa orientale dal 1945 al 1970, cit. p. 67; T. Judt, Postwar, cit. p. 120.
318 Frus, 1945-1952, vol. V, The Policy of the United States Regarding International Regulation of the Danube River, CC–93, 18 febbraio, 1946, p. 237 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1946v05/pg_237.
319 Frus, 1945, vol. I, Department of State Memorandum, Policy With Respect to the Administration of the Danube, secret, Washington, 10 luglio, p. 329, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945Berlinv01/pg_329; Frus, 1945, vol. I, Memorandum Regarding Policy With Respect to the Administration of the Danube River, Washington, 10 luglio, pp. 330 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945Berlinv01/pg_330.
320 E. Ehrlich, G. Révész, Tendenze economiche nell’Est europeo, in P. Anderson (a cura di), Storia d’Europa, vol. I, L’Europa oggi, Torino, Einaudi, 1993, pp. 223-309.
321 J. e G. Kolko, I limiti della potenza americana.cit. p. 270.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
I rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica iniziarono ad inclinarsi al momento dei negoziati di pace con Romania, Bulgaria e Ungheria. Concluse a Parigi nel febbraio 1947, le trattative finirono con “l’accentuare il processo di divisione già iniziato a Potsdam determinando sia da parte degli Stati Uniti che da parte dell’Urss prese di posizioni che inevitabilmente portarono al consolidamento delle rispettive zone di influenza” <294. Le notizie che iniziavano a giungere dall’Europa orientale avevano spinto alcuni settori dell’amministrazione Truman a ripensare la politica americana nei confronti dell’Urss. Da alcuni comportamenti di Stalin, cominciava ad essere chiaro che il capo sovietico non aveva alcuna intenzione di rispettare le promesse fatte a Yalta, e di limitarsi ad esercitare quell’influenza “legittima” sui paesi balcanici che gli americani auspicavano, ma che invece mirava ad una vera e propria estensione del sistema sovietico, attraverso la progressiva instaurazione di governi fantocci, ognuno sorto in seguito alle specifiche vicende interne ai paesi ma tutti ugualmente basati sull’abolizione delle libertà civili, sulla corrispondenza al modello sovietico e sull’emarginazione degli oppositori politici <295. Al termine della guerra, in quasi tutti i paesi dell’Europa orientale si erano formati governi di coalizione, detti di unione nazionale, da cui erano esclusi solo i partiti fascisti <296. A partire dal 1946, tuttavia, il partito comunista di ciascuno di questi paesi cominciò ad acquisire maggiore potere attraverso l’assunzione del controllo della polizia segreta, del Ministero degli Interni e di quello della Difesa, ma anche attraverso il controllo dei principali mezzi di comunicazione <297. In più, i paesi dell’est Europa iniziarono a stringere una serie di accordi bilaterali con l’Urss in tema di difesa militare e cooperazioine economica e culturale <298. Il passaggio al pieno comunismo, ovvero l’esclusione o l’assorbimento totale di ogni altro partito politico, fu completato nel 1948, e segnò l’inizio del controllo sovietico totale sulla regione, del ruolo direttivo dello Stato sull’economia e della rottura definitiva con l’Europa occidentale.
In Romania, nel 1947 re Michele fu costretto ad abdicare. L’anno successivo si arrivò alla fusione dei partiti socialista e comunista, e all’offensiva contro quei membri del partito comunista la cui fedeltà a Mosca era messa in dubbio. Tra questi, anche il leader Lucretiu Patrascanu fu accusato di deviazione nazionalista ed estromesso dalle sue cariche. Inoltre, nel 1948 fu proclamata la repubblica popolare rumena, fortemente ricalcata sull’esempio sovietico, e basata su una Costituzione perfettamente allineata alle esigenze di Mosca299. In Ungheria, dopo la proclamazione della Repubblica (gennaio 1946), il leader comunista Ràkosi assunse un ruolo egemone nella vita politica ungherese e avviò le epurazioni all’interno del partito comunista. Una delle vittime più celebri fu l’ex Ministro degli Interni e degli Esteri Rajk, giustiziato con le accuse di spionaggio, titoismo e tradimento <300. Nel 1948, dalla fusione tra il partito comunista e quello socialdemocratico, nacque il Partito ungherese dei lavoratori. L’anno successivo fu infine introdotta una costituzione di tipo sovietico. In Bulgaria, allo stesso modo, la proclamazione della Repubblica (1946) non impedì la presa del potere da parte dei comunisti attraverso il ricorso alle epurazioni dei soggetti accusati di tradimento, alla progressiva soppressione degli altri partiti e ad una nuova Costituzione (1947) ispirata al modello sovietico e molto lontana dal sistema parlamentare rappresentativo <301. In Polonia, invece, le elezioni politiche del 1947 portarono alla vittoria del partito comunista e di quello socialista, legati da un patto di unità d’azione, e da quel momento il paese subì un irrigidimento delle istituzioni e della politica in senso stalinista. Gomulka, fautore dell’indipendenza e contrario alla collettivizzazione affrettata delle campagne, fu rimosso dalle sue cariche e “posto sotto custodia” <302. Inoltre, anche in questo caso si arrivò alla fusione tra il partito socialista e quello comunista, che diedero vita al Partito operaio unificato polacco (Poup). Nel 1952 fu proclamata la Repubblica popolare polacca e venne varata una nuova Costituzione di tipo sovietico <303. In ultimo luogo, nel 1946 anche in Cecoslovacchia i comunisti divennero la forza di maggioranza. Una crisi di governo provocò un’ondata di manifestazioni di massa e spinse i rappresentati dei partiti non comunisti alle dimissioni. Il leader comunista, Gottwald, ne approfittò per formare un nuovo governo a maggioranza comunista e socialista. In questo stesso periodo, la Cecoslovacchia raggiunse l’apice delle epurazioni, con l’eliminazione fisica di leader comunisti come Vladimir Clemensis e Slanský, si dotò di una nuova Costituzione di stampo sovietico, e dichiarò la Repubblica democratica popolare. Negli anni successivi, in questi paesi venne avviato un processo di radicale trasformazione politica, economica e sociale, attraverso lo sviluppo dell’industria pesante, la nazionalizzazione dell’industria privata e la collettivizzazione agricola. Questa fase si sarebbe protratta fino al 1953, quando la morte di Stalin e il ricambio dei vertici avrebbero inaugurato la stagione della cosiddetta “destalinizzazione” caratterizzata dalla progressiva separazione tra partito e governo e dalla fine del monolitismo stalinista. La destalinizzazione non toccò gli aspetti di fondo del sistema, come ad esempio l’allineamento sul modello sovietico o il rigido controllo ideologico, ma nella maggior parte dei casi contribuì ad allontanare dal governo gli elementi maggiormente collusi con il vecchio sistema, ad abbandonare gli aspetti più dannosi per l’economia locale e a garantire un margine di autonomia ai leader locali <304.
La necessità di cambiare strategia nei confronti dell’Est Europa concise con l’elezione di Harry Truman e con la svolta che il nuovo Presidente impresse alla politica estera americana. Un altro fattore che determinò la politica di energica contrapposizione alla dominazione sovietica in Europa orientale fu il possesso dell’arma atomica, impiegata per la prima volta nell’agosto 1945, che alterava radicalmente l’equilibrio del potere e rendeva gli Usa meno inclini ad accordi e concessioni <305. La rapida diffusione del modello comunista in Est Europa accrebbe la necessità di intensificare gli sforzi e ridurre la dominazione sovietica nei paesi satelliti, sostituendola con governi democratici che prendessero parte alla comunità internazionale <306. Volendo in ogni caso escludere l’opzione della guerra, poco sostenibile in quel determinato momento storico, gli scopi individuati in questo senso erano molteplici, e comprendevano il tentativo di utilizzare il potere economico degli Usa, di mettere in campo operazioni psicologiche; infine di consolidare la forza attrattiva del modello statunitense sulle popolazioni dell’est <307. Inoltre, gli obiettivi degli Stati Uniti in Europa orientale dovevano consistere nel: a) respingere le forze militari sovietiche dietro i confini dell’Urss; b) isolare gli stalinisti dalle forze nazionali e dal supporto popolare; c) attaccare il dogma stalinista della subordinazione all’Urss e incoraggiare il nazionalismo; d) esercitare una maggiore pressione di carattere economico in maniera tale da alterare i rapporti tra Urss e paesi satelliti <308. Se il controllo sovietico sull’Europa orientale non poteva essere evitato, ma soltanto contenuto entro limiti accettabili imposti dal principio dell’autodeterminazione e dall’internazionalismo americano, bisognava comunque mantenere un’influenza economica sulla regione <309. Questa era infatti l’unica possibilità di esercitare quel potere sull’Europa orientale che dal punto di vista politico era inibito dalla presenza sovietica, con la prospettiva di generare delle ripercussioni anche nelle altre sfere della vita politica, militare e sociale. Inoltre, l’influenza economica in Europa orientale avrebbe garantito agli Stati Uniti l’opportunità di avere libero accesso commerciale alla regione, e di posizionarvi investimenti e beni statunitensi.
Washington era quindi intenzionata, almeno formalmente, a mantenere separate le considerazioni politiche dalle esigenze di natura economica <310. Uno degli strumenti che ritenne più efficace per penetrare commercialmente in Europa orientale fu quello dei prestiti e degli aiuti economici, la cui storia in Europa orientale fu assai travagliata e ostacolata da ragioni di carattere ideologico e di convenienza politica. In questa direzione, gli Stati Uniti parteciparono all’elaborazione e al sostegno finanziario della United Nations Relief and Rehabilitation Administration (Unrra) <311. Nonostante il contributo dell’agenzia nel soccorrere le nazioni maggiormente bisognose dell’Europa orientale, il programma fu sospeso a fine 1947 per volontà degli Stati Uniti che lo accusavano di sprechi, cattiva gestione finanziaria e corruzione, ma anche di fornire sostegno al comunismo <312. Esito ugualmente fallimentare ebbe la Commissione economica per l’Europa (Ece), concepita con il compito di coordinare i piani di ricostruzione dei vari paesi europei <313. Contemporaneamente, i paesi dell’Europa orientale riponevano grande fiducia nella possibilità di un sostegno finanziario diretto da parte degli Stati Uniti, che avrebbe permesso loro di soddisfare le esigenze della ricostruzione in maniera più efficace e veloce. In un primo momento gli Stati Uniti accolsero favorevolmente queste richieste, presto però divenne chiara l’impossibilità di separare le questioni politiche da quelle di natura economica <314. Per gli Stati Uniti era infatti necessario sostenere con tutti gli sforzi i paesi alleati e i paesi di importanza strategica per la nazione, ed astenersi dall’aiuto ai paesi che si fossero mostrati contrari ai principi sostenuti o che non fossero in grado, attraverso gli aiuti, di liberarsi dal dominio sovietico <315. Gli aiuti finanziari ai paesi dell’est Europa erano dunque subordinati alla dimostrazione concreta di amicizia nei confronti degli Stati Uniti. Per poter usufruire del sostegno economico statunitense, i Paesi dell’Europa orientale avrebbero inoltre dovuto rettificare quelle iniziative di politica interna che si scontravano con gli interessi economici degli Stati Uniti nella zona. Le politiche interne da modificare in base al modello statunitense erano principalmente quelle che ricalcavano il modello sovietico e riguardavano la nazionalizzazione delle industrie dei settori chiave, la pianificazione economica finalizzata all’aumento del livello di produzione e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale, e infine gli accordi commerciali conclusi con Mosca <316. In occasione dell’enunciazione del Piano Marshall, inoltre, Polonia e Cecoslovacchia, che avevano manifestato la propria adesione al piano, furono costrette a ritirarla di fronte al divieto di Stalin di prendervi parte. La partecipazione di questi paesi al piano Marshall sarebbe stata considerata un atto di imicizia contro l’Urss, e quindi i loro governi rinunciarono, loro malgrado, ad inviare la propria delegazione alla Conferenza intereuropea per il Piano Marshall, che si svolse a Parigi dal luglio a settembre 1947.
Il Piano Marshall suggellò la divisione definitiva tra Occidente e Oriente, e accelerò il processo di sovietizzazione dell’Europa orientale <317.
Un altro elemento chiave della politica degli Stati Uniti in Europa orientale fu rappresentato dalle pressioni esercitate dagli Stati Uniti per ottenere l’accesso senza restrizioni al Danubio, che avrebbe garantito agli Usa la possibilità di controllare i commerci tra gli Stati rivieraschi, con un grande vantaggio di natura economica e commerciale <318. Al fine di raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti si opposero alla restituzione delle chiatte fluviali sequestrate alla Germania in Europa orientale. La completa distruzione del sistema di trasporto est europeo rendeva le comunicazioni fluviali e le imbarcazioni di vitale importanza per trasportare gli aiuti e per agevolare la ricostruzione dell’area. La questione fu molto dibattuta, anche in seno alle Conferenze di pace di Londra e di Parigi: gli Usa si dichiaravano pronti a restituire le imbarcazioni solo nel momento in cui sarebbe stato possibile raggiungere un accordo con Stalin sull’accesso al Danubio, ma i sovietici erano determinati a non cedere su questo punto <319. Infine, un’ultima questione che causò l’irrigidimento dei rapporti con Stalin in Europa orientale fu rappresentata dalle riserve di oro di proprietà dell’Europa orientale sequestrate ai nazisti e conservate nelle banche americane. Anche in questo caso, la loro restituzione avrebbe diminuito la dipendenza dei governi locali da crediti stranieri. Dopo un iniziale rifiuto, gli Usa procedettero alla riconsegna dei beni trattenuti, subordinatamente a ragioni di convenienza politica e con modalità che variarono di paese in paese in base alle specifiche vicende interne. Ad esempio, l’oro polacco fu restituito nel dicembre 1946, quando fu raggiunto un accordo sulle compensazioni, l’oro ungherese soltanto nell’agosto 1946 e quello jugoslavo al momento della rottura con la Russia. Infine, l’oro ceco era ancora trattenuto nelle casse americane all’epoca dell’amministrazione Nixon, quando erano ancora in discussione le procedure della restituzione. Per completare un quadro già abbondantemente dissestato, a questa situazione va aggiunta la condizione di Romania, Bulgaria e Ungheria, ex paesi dell’Asse gravati dal peso delle riparazioni di guerra e dalla presenza dell’Armata rossa <320. Nel tentativo di sostenere le riparazioni, i governi di questi paesi furono costretti a favorire l’inflazione e a sottoporre a rigidi controlli la produzione industriale.
In conclusione, gli Stati Uniti non riuscirono nel tentativo di coinvolgere l’Europa orientale in una sfera di commercio multilaterale, sia per l’incompatibilità con il modello di sviluppo locale che per opposizione del dominio sovietico. I governi della regione continuarono infatti a perseguire una politica indipendente basata sull’autarchia e sul bilateralismo degli accordi commerciali <321. In questo senso, l’assenza di un piano di aiuti per l’Est-Europa, la questione del Danubio e quella dell’oro trattenuto segnarono un’ulteriore sconfitta degli Stati Uniti nella regione. Nell’approccio con i governi dell’est Europa, gli Stati Uniti scelsero allora una politica di ostilità, che strumentalizzava l’immagine della “cortina di ferro” per ingigantire le differenze esistenti tra modello di sviluppo occidentale ed esperienze politiche in Europa orientale. Tutti gli sforzi successivi furono volti ad isolare maggiormente l’Europa orientale sulla base della contrapposizione internazionale con l’Urss.
[NOTE]
292 J. Hart, The Deadly Hiatus. While America Slept, in “National Review”, 15 September 1989, pp. 32-33.
293 L’opinione pubblica americana non avrebbe accettato un intervento diretto negli affari dei governi est-europei e gli interessi economici americani in Europa Orientale erano di entità assai modesta T. G. Paterson, Soviet-American Confrontation, Johns Hopkins University Press, 1975 , pp. 101-12.
294 Le questioni più controverse furono legate alla questione dell’assetto territoriale di questi paesi, delle riparazioni e del disarmo. G. Mammarella, Europa-Stati Uniti, cit. p. 52. E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni internazionali, cit. p. 659.
295 Quest’ultimo obiettivo fu raggiunto per mezzo di “purghe”, cioè l’eliminazione fisica, o la deportazione in campi di lavoro, di coloro che erano sospettati di opposizione al regime sovietico. Dapprima rivolte esclusivamente agli oppositori del Pcus e a quelle classi considerate “sgradite”, come ad esempio la borghesia, successivamente colpirono anche quei comunisti la cui fedeltà a Mosca era messa in dubbio. Furono all’incirca 1.230.000 gli espulsi dal pc in Europa orientale fino alla morte del dittatore sovietico. A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale. L’Europa centro-orientale dal secondo conflitto mondiale alla caduta dei regimi comunisti, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 47 e ss.¸ P. Craveri, G. Quagliariello, L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, p. 92.
296 In questo contesto, la Jugoslavia differiva dagli altri paesi est-europei, in quanto il suo partito comunista (Kpj) si trovava in una situazione di “monopolio politico” per il ruolo di capofila svolto nella resistenza ai nazisti e all’Italia, e per il fatto che il suo leader, Tito, agiva in maniera autonoma e indipendente da Mosca, fino alla rottura definitiva (1948). B. Fowkes, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 40-4, A. M. Banti, Storia contemporanea: : dalla Grande Guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 479.
297 Altre due tecniche attraverso cui i sovietici acquisirono il potere in Europa orientale furono: il maquillage, ovvero il ricorso alle masse come strumento di pressione, sostenendo agitazioni e dimostrazioni in favore del partito comunista, e la cosiddetta “tattica del salame”, e cioè l’epurazione dai partiti comunisti dei loro membri più a destra. Ibid. pp. 38 e ss.; N. Naimark, L. Gibianskii (a cura di), The Establishment of Communist Regimes in Eastern Europe, 1944-1949, Boulder, Westview Press, 1997, p. 255.
298 K. Lowe, ll continente selvaggio: l'Europa alla fine della seconda guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2015.
299 A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale, cit. pp. 56-60.
300 T. Judt, Postwar: La nostra storia. 1945-2005, Bari, Laterza, 2005, p. 224.
301 Ibidem.
302 A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale, cit. p. 64; T. Judt, Postwar, cit. p. 225.
303 A. Applebaum, La cortina di ferro. La disfatta dell’Europa dell’Est. 1944-1956, Milano, Mondadori, 2016.
304 M. L. Salvadori, Storia del pensiero comunista: da Lenin alla crisi dell'internazionalismo, Milano, Mondadori, 1984, pp. 515 e ss; J. M. Le Breton, Una storia infausta. L’Europa centrale e orientale dal 1917 al 1990, Bologna, Il Mulino, 1997.
305 M. Guidetti (a cura di), Storia d'Italia e d'Europa: comunità e popoli. vol. 8, t. 2, cit. p. 409.
306 Nsc 20/1, US Objectives with Respect to Russia, 18 agosto, 1948, in T. E. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment. Documents on American Policy and Strategy, 1945-1950, New York, Columbia University Press, 1978, pp. 173-203.
307 Frus, 1952-1954, vol. VIII, Memorandum Prepared in the Department of State, Concept and Ideas for Psychological Warfare in Europe Developed by the Chiefs of Mission Meeting at Luxembourg on September 18–19, 1953, Washington, 1 ottobre, 1953, pp. 82-86, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1952-54v08/pg_82.
308 Nsc 58, United States Policy Toward the Soviet Satellite States in Eastern Europe, 14 settembre, 1949, top secret, in in T. E. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment. Documents on American Policy and Strategy, cit. pp. 211-223.
309 Nsc 20/1, US Objectives with Respect to Russia, August 18, 1948, in Ibid., pp. 173-203.
310 Frus, 1945, vol. V, The Secretary of State to the Ambassador in Poland (Lane), Washington, 24 novembre, 1945, p. 419, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945v05/pg_419.
311 M. Andreis, Gli Stati Uniti e i paesi sottosviluppati: forme e problemi dell’assistenza economica da Truman a Kennedy, Torino, Einaudi, 1962, p. 10; B. Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei. Dalla guerra civile ad oggi, Firenze, Giunti, 2010, p. 110.
312 K. Lowe, Il continente selvaggio, cit. p. 50.
313 A. Polsi, Storia dell’Onu, Bari, Laterza, 2015.
314 J e G. Kolko, I limiti della potenza americana, cit. p. 237.
315 “Notwithstanding the listing given above, no aid of any sort to Hungary or to Czechoslovakia and Poland is advocated. The reason for this is the United States cannot give aid to all countries requiring aid on the basis of their need in sufficient amounts toh ave any real effect on the ability of allo f these countries to retain, or regain, freedom from predominant Soviet influence. From the military point of view, it is firmly believed that assistance should be concentrated on those countries of primary strategic importance to the United States in case of ideological warfare, excepting in those rare instances which presenta n opportunità for the United State sto gain worldwide approbation by an act strikingly humanitarian: for example, the recent provision of food for the famine areas of Roumania. Therefore, from the viewpoint of the National security of the United States, assistanceshould be extended to the following countries listed in order arrived at by considerino their importance to United States security and the urgency of their need in combination: 1) Great Britain; 2) France; 3) Germany; 4) Italy, 5) Greece; 6) Turkey; 7) Austria; 8) Japan; 9) Belgium; 10) Netherlands; 11) Latin America; 12) Spain; 13) Korea; 14) China, 15) The Philippines; 16) Canada”. Jcs 1769/1, United States Assistance to Other Countries from the Standpoint of National Security, April 29, 1947, in T. H. Etzold, J. L. Gaddis (a cura di), Containment, cit. pp. 71-83.
316 J., G. Kolko, I limiti della potenza americana, cit. p. 237; B. Fowkes, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, cit. p. 56; M. Guidetti (a cura di), Storia d’Italia e d’Europa: comunità e popoli, vol. 8, L’Europa nell’orizzonte del mondo, t. 2, Il secondo dopoguerra e le trasformazioni della vita sociale, Milano, Jaca Books, 1984, pp. 353 e ss; D. M. Nuti, Managing Transition Economies, in S. White, J. Batt, P. G. Lewis (a cura di), , New York, Palgrave Macmillan, 2007, pp. 245-263; M. Kaser, J. G. Zielinski, La pianificazione nell’Europa orientale. La gestione statale dell’industria, Milano, Feltrinelli, 1970.
317 B. Fowkes, L’europa orientale dal 1945 al 1970, cit. p. 67; T. Judt, Postwar, cit. p. 120.
318 Frus, 1945-1952, vol. V, The Policy of the United States Regarding International Regulation of the Danube River, CC–93, 18 febbraio, 1946, p. 237 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1946v05/pg_237.
319 Frus, 1945, vol. I, Department of State Memorandum, Policy With Respect to the Administration of the Danube, secret, Washington, 10 luglio, p. 329, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945Berlinv01/pg_329; Frus, 1945, vol. I, Memorandum Regarding Policy With Respect to the Administration of the Danube River, Washington, 10 luglio, pp. 330 e ss., disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1945Berlinv01/pg_330.
320 E. Ehrlich, G. Révész, Tendenze economiche nell’Est europeo, in P. Anderson (a cura di), Storia d’Europa, vol. I, L’Europa oggi, Torino, Einaudi, 1993, pp. 223-309.
321 J. e G. Kolko, I limiti della potenza americana.cit. p. 270.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020