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mercoledì 31 luglio 2024

Per Marco Innocenti

vedere n.d.r.

vedere n.d.r.

Per Marco Innocenti
Caro Marco / anche questo
Terzo Flugblätter è meraviglioso ­-
È pieno come un cocco
Di poesia
Sul termine cartiglia
Non mi sembra sia chiaro a tutti, perciò lo spiego qui, in una cartiglia,
appunto,
che il termine cartiglia, ovverosia - piccola carta, foglietto - è un omaggio
alla Carte e cartigli, collana di saggistica del meraviglioso editore
lepómene, ideato da Marco Innocenti, che adoro
Sugli orcoclasti
Orcoclasti ci chiama Marco
Siamo quelli che scrivono haikai
O almeno ci si prova
E in fondo ci prova anche lui
Per Marco Innocenti
Sono commosso, Marco mi ha regalalo il suo Catalogo delle opere
grafiche, piango
Per Marco Innocenti
Io lo invidio con tutte le mie forze,
Marco Innocenti
È lì che ti arriva gaudioso,
con tutti quei libretti fatti in casa, con tutta quella roba dentro
e quelle copertine un po' così,
collage, frottage, mai visti e mai sentiti
Da Dante a Topolino, non c'è quasi argomento, con grazia e levità, che non
abbia trattato
È la sua forza
Io lo amo e lo odio, il caro Inno
e lo adoro
Fabio Barricalla, Cinque cartiglie in (a cura di) Alfredo Moreschi, Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, aprile 2021

n.d.r.: di seguito si riportano gli accrediti delle immagini qui pubblicate, così come registrate nel citato Quaderno:
in copertina: Rebus, (giugno 2003)
retro di copertina: Doppio autoritratto, 1973, due immagini bianco e nero, stampate il 28 agosto 1973, pellicola Ilford 35 mm. con fotocamera Zeiss Ikon

giovedì 18 luglio 2024

A febbraio, a Robilante, si svolge un convegno per la difesa dei danni della silice

Robilante (CN). Foto: Giuliav92. Fonte: Wikipedia

PCI e PSI alle soglie del centrosinistra
A) Il PCI cuneese dopo la sconfitta
La grave sconfitta nel '58 riapre nel PCI cuneese un grosso dibattito sulla gestione degli ultimi anni e sulle immediate prospettive. Sono sotto accusa la scelta per cui si sono privilegiate le lotte contadine e la debolezza mostrata sul caso Giolitti, il cui ingresso nel PSI è commentato dalla Voce con insolito livore (1). Riassume i motivi di critica Gino Sparla, da sempre avversario della politica di Rinascita. "Sul risultato del voto hanno influito la scelta di Giolitti, ma soprattutto una politica errata nei grossi centri, l'incapacità di conquistare gli elettori all'ideologia e alle posizioni del PCI. Per recuperare il terreno perduto è necessario respingere l'analisi della struttura economica di Cuneo, secondo cui il tessuto sarebbe caratterizzato da scarsi nuclei operai e dal prevalere del ceto medio e rurale. Cardine dell'azione del partito debbono tornare ad essere i lavoratori di fabbrica, sommati ai pensionati e ai disoccupati. Anche la politica di alleanza verso i ceti urbani e rurali non è praticabile se si è deboli nelle fabbriche. Le forze operaie sono concentrate in 23 comuni nei quali il PCI raccoglie il 60% della propria forza. Verso questi centri deve, quindi, essere rivolto il grosso dell'attività politica ed organizzativa" (2).
La successiva nomina a segretario di Giovanni Nestorio, vercellese, da alcuni anni funzionario a Cuneo, significherà una profonda modificazione del modo di essere del partito, dei suoi rapporti con le altre forze politiche e con la gente, un serrare le fila su cui, ancora oggi, a distanza di oltre 30 anni, divergono le valutazioni degli stessi dirigenti comunisti.
B) Autonomisti e carristi nel PSI cuneese
La fase di maggior crescita e maggior successo del PSI si accompagna, però, alle prime consistenti divergenze interne. Se la grande maggioranza si schiera su posizioni autonomistiche (Nenni), la sinistra auspica una politica unitaria con il PCI, accusando la nuova dirigenza di essere scivolata a destra e di avere ridotto l'alternativa socialista ad uno slogan. Più sfumate, quasi uno sforzo di mediazione, le posizioni di chi si richiama a Lelio Basso.
Al congresso provinciale del dicembre 1958, la corrente autonomista ottiene una grande affermazione. I più votati nel direttivo sono Cipellini, Giolitti, La Dolcetta, Boselli, Brizio, Achino. Eletti anche Cogo, Belliardi, Vineis, Nardo, da poco confluiti nel partito. Per la sinistra, che elegge Balsamo, Giacosa e Zonta, la vittoria della corrente nenniana apre la strada alla rottura con il PCI, alla frattura nella CGIL, alla collaborazione con la DC. Per i bassiani Tarrico e Sciolla è, invece, necessario frenare la spinta correntizia e la lotta interna.
Se la Sentinella delle Alpi plaude alla svolta e polemizza contro i filocomunisti, molte sono, invece, le preoccupazioni in casa comunista (3). Nella primavera del '59, Mario Pellegrino lascia la direzione di Lotte Nuove che viene assunta da Roberto Balocco. La maggioranza autonomista è in contraddizione con un quindicinale diretto da un leader della sinistra. A giugno confluisce il MUIS, ennesima frazione staccatasi dal PSDI. Tra i suoi componenti l'ex deputato Chiaramello, uno dei maggiori esponenti socialdemocratici della provincia. Nasce e si estende la componente socialista nella CGIL. Nelle maggiori città vengono lanciati i festival dell'Avanti, assidua la presenza di Giolitti sulla stampa e nelle iniziative locali.
C) Il governo Tambroni e l'antifascismo. Nasce il centro sinistra
Il 16 e 17 gennaio 1960 si svolge a Cuneo il 6° congresso provinciale comunista. Gaetano Amodeo ricorda, in apertura, la figura di Giovanni Germanetto, morto a Mosca pochi mesi prima, comunista sin dalla fondazione, antifascista, segretario della federazione della Camera del lavoro. Al suo ricordo vengono associati quelli di Ermes Bazzanini, partigiano, vicesegretario della federazione al tempo di Germanetto, e di Sibilla Aleramo: "anima ardente e appassionata e di scrittrice che, specialmente nelle sue opere degli ultimi 15 anni, mostrò come si possa coltivare un'arte al tempo stesso libera espressione di umanità e di impegno sociale". (4)
La relazione di Giuseppe Biancani passa in rassegna i fatti internazionali ed interni. "L'inizio della conquista del cosmo, da parte della scienza socialista dell'URSS, è un segno dell'inarrestabile processo di sviluppo del mondo socialista e delle prospettive di pace, di distensione, di competizione pacifica di sviluppo, in senso socialista, del resto del mondo, le cui ripercussioni si avvertono anche nel nostro paese. A questo deve corrispondere, anche da noi, un mutamento dello schieramento politico su scala nazionale e provinciale che rompa con le forze del monopolio economico e con quelle (la DC) del monopolio politico. Le due maggiori direttrici su cui il partito deve impegnarsi sono la questione contadina e quella operaia, in una fase in cui non sono ancora chiuse le lotte contadine e in cui la provincia va industrializzandosi. Per favorire l'industrializzazione occorrono iniziative quali l'acquedotto delle Langhe, l'utilizzazione delle acque del Tanaro, il ripristino delle vie di comunicazione, la riattivazione della Cuneo-Nizza, la creazione di moderne autostrade. Strumento per questa politica deve essere un partito più forte: obiettivi immediati sono i 7.000 iscritti e la ricostruzione della FGCI". Molti gli interventi, tutti proiettati verso il futuro e nessuno centrato sulla gravissima crisi che il partito ha alle spalle. Intervengono Panero, segretario della CGIL, Borgna sul mondo contadino, Antonietta Squarotti sulla partecipazione delle donne, Cipellini per il PSI. Per Giacomo Capellaro, la commissione federale di controllo ha dimostrato debolezza di fronte all'offensiva revisionista: "Oggi che le posizioni revisioniste sono state battute, uno dei compiti principali ... dovrà essere la lotta contro le manifestazioni di settarismo che ancora permangono in diversi strati del partito". (5) Molti i richiami alla tematica dell'antifascismo, molti i segni dell'affiorare di nuovi quadri (gli interventi di Anna Graglia e di Primo Ferro) e di ripresa delle lotte operaie (la Ferrero di Alba). Le difficoltà incontrate paiono potersi superare o per gli effetti della situazione mondiale o con grande sforzo attivistico ed organizzativo. Per Mario Izzi: "Si tratta, per i militanti, di essere consapevoli, fino in fondo, di una realtà evidentissima, ripetuta tutti i giorni dalla stampa e al centro dell'opinione pubblica mondiale che consiste nell'affermazione che il capitalismo ha cessato di essere, nel suo complesso, forza dominante. Non solo, ma a conclusione del piano settennale sovietico cesserà anche di essere la forza economica dominante nel mondo". (6). Per Mario Romano, il rinnovamento del partito è stato inteso come rinnovamento di quadri e allargamento delle sue file. Necessaria è l'unità concreta. Il congresso si chiude con l'impegno di favorire larghe alleanze, di cercare una alternativa democratica al monopolio della DC, per la conquista di nuove maggioranze alle, ormai prossime amministrative. (7) Il 24 marzo, ad Alba, vengono processati 54 contadini della Valle Bormida, in seguito alle lotte e alle manifestazioni del '57 contro i danni provocati dalla Montecatini di Cengio. Tra i processati, Giuseppe Biancani, segretario della federazione comunista di Cuneo, Giovanni Crosio dell'INCA provinciale, Guido Veronesi, segretario nazionale dell'Alleanza contadini, Walter Audisio, parlamentare di Alessandria. È un vero e proprio processo politico contro la parte più avanzata del movimento contadino che si è espressa in una battaglia che tornerà di drammatica attualità alla fine degli anni '80 e coinvolgerà una valle intera, facendo dei suoi abitanti un reale soggetto politico.
Riferendosi al democristiano Adolfo Sarti, scrive La Voce: "Ha un bell'imbrattare i muri con l'immondo manifesto sui 150 ragazzi impiccati a Budapest il nostro onorevole untorello, ora elevato ai fasti del SPES centrale! Lui e i suoi amici non riusciranno certamente, con le vecchie e nuove infami menzogne, a deviare la pubblica opinione dal pronunciare una condanna che non è certamente a carico dei contadini della valle Bormida, ma della Montecatini". (8).
Gli imputati vengono assolti. Gli interventi della difesa (gli avvocati Frau, Viglione, Beltrand, Fratino) ricordano che i danneggiati vengono trascinati davanti a un tribunale in forza di una legge eccezionale, mentre per gli oppressori non c'è legge. Si passano in rassegna i danni della Montecatini all'agricoltura, alla valle, alla salute degli stessi lavoratori. Colletta per le spese del processo e per il pranzo agli imputati. Le offerte vanno dalle 500 alle 5.000 lire. Bartolo Mascarello offre 6 bottiglie di barolo.
Il tema dell'ambiente, visto soprattutto come difesa della salute degli occupati, impegna la sinistra locale. A febbraio, a Robilante, si svolge un convegno per la difesa dei danni della silice. Sotto accusa le condizioni di lavoro (e i danni provocati all'agricoltura) in 5 fabbriche: la Mineraria di Limone, la Silice di Vernante, la SI.RO. e la SIES di Robilante, la Pepino-Audisio di Roccavione.
I temi dell'agricoltura sono anche al centro del 1° convegno femminile socialista. Alla presenza di Antonio Giolitti e di Giuliana Nenni, tutti gli interventi toccano i problemi della montagna, dello spopolamento, dell'abbandono della terra, dello specifico ruolo della donna: "Ai nostri figli facciamo mangiare il pane secco, altrimenti ne mangiano troppo e i soldi non bastano per comprarne dell'altro". (9).
[NOTE]
1) Cfr. Giuseppe BIANCANI, Sull'ingresso degli autonomisti nel PSI, in La Voce, n. 12, 6 luglio 1958
2) Cfr. Gino SPARLA, Considerazioni sui risultati elettorali del 25 maggio, in La Voce, n. 12, 6 luglio 1958
3) Cfr. Grio e gli autonomisti in La sentinella delle Alpi n. 1, 31 gennaio 1959, Ai compagni socialisti per il loro 9° congresso in La Voce n. 22, 14 dicembre 1958, Mila MONTALENTI: Sul congresso provinciale del PSI in La Voce n. 23, 28 dicembre 1958
4) Il 6° congresso provinciale del PCI in La Voce n. 1, 31 gennaio 1960
5) Giacomo CAPELLARO, in Interventi al 6° congresso provinciale del PCI in La Voce n. 1, 31 gennaio 1960
6) Mario IZZI, ivi
7) Al termine dei lavori, la mozione è stata approvata all'unanimità ed è stato rivolto un caldo saluto al Comitato Centrale del nostro partito ed al compagno Palmiro Togliatti in Conclusioni, La Voce, n. 1, 31 gennaio 1960. Lo stile retorico e formale di questa prosa comunista pare accompagnarsi al persistente moralismo dei fogli cattolici. Nel gennaio 1960, commentando l'improvvisa morte di Fausto Coppi, scrive La Guida settimanale delle diocesi di Cuneo: "Aveva errato assai. Aveva errato pubblicamente, offrendo grave motivo di scandalo alle folle. Vorrei perfino dire che, talvolta, anche gli applausi per Coppi, in questi ultimi anni, parevano avere un sapore polemico nei confronti della legge divina che egli aveva calpestato così clamorosamente ... Le folle hanno narrato di due donne attorno alla salma del campione. Una, la moglie, silenziosa, pudica ... un'altra donna, quella dell'errore, che non ha saputo o voluto evitare manifestazioni clamorose e indubbiamente inopportune di dolore ... C'è un bimbo che desta la pena di tutti. Il piccolo frutto dell'errore. Forse la maggiore vittima del grave trascorso dello scomparso. Ci auguriamo che a lui ... si evitino le tristi conseguenze del male che egli non compì e di cui, purtroppo, sembra oggi umanamente destinato a portare il maggior peso, ELLEESSE: Fausto Coppi in La Guida n. 2, 8 gennaio 1960
8) 54 contadini della Valle Bormida saranno processati ad Alba il 24 marzo in La Voce n. 2, 21 febbraio 1960
9) Agire in modo cosciente per migliorare le condizioni di vita della campagna in Lotte Nuove, n. 10, 14 marzo 1960
Sergio Dalmasso, I rossi nella Granda, la sinistra nella provincia di Cuneo, Quaderno CIPEC n° 21, maggio 2002

sabato 6 luglio 2024

Dopo la fine della guerra Tito voleva conquistare il nostro partito non solo a Trieste, ma nel Friuli e altrove


Nei giorni del viaggio di Nikita Chruščëv a Belgrado (maggio 1955), che doveva sancire la ricomposizione della frattura tra l’Urss e la Jugoslavia <148, la direzione del Pci motivava il suo assenso al nuovo indirizzo dimostrando piena comprensione del significato dei passaggi internazionali in atto. Fatto per nulla casuale, dell’incontro di Belgrado si parlò in un tutt’uno con la stipula del trattato di Stato austriaco <149. Mentre Scoccimarro dava fondo a tutte le riserve di continuismo marxista-leninista per spiegare il voltafaccia sovietico verso Tito (“Non si tratta di una nuova politica ma di fasi nuove della politica di pace dell’Urss”), Longo si concentrava sull’esigenza di “combattere la tendenza a recriminare” <150.
Ma non passarono neppure cinque giorni che Vidali ritenne di far conoscere pubblicamente i perché e la misura delle sue rabbiose recriminazioni. Lo fece con un gesto politicamente disperato, che alla radice racconta, oltre i suoi contenuti più immediati, lo smarrimento e lo scompiglio in cui era stato gettato il mondo comunista dopo la morte di Stalin. Nell’articolo "La dichiarazione del comp. Kruscev ed i comunisti triestini", comparso sul ‘Lavoratore’ il 30 maggio, dapprima egli dichiarava che il suo partito aveva “salutato con gioia” l’incontro tra Tito e il neosegretario del Vkp(b), condividendone gli obiettivi. Poi però, piuttosto contradditoriamente, si lanciava in un attacco inaudito contro Chruščëv, che nel suo discorso al cospetto di un compiaciutissimo Tito aveva rinnegato le risoluzioni del Kominform del 1948 e 1949, scaricando ogni responsabilità per le accuse allora formulate su Beria e Abakumov (vittime della recente resa dei conti nel gruppo dirigente sovietico poststaliniano). Affermava Vidali: "La nostra sorpresa per questa affermazione è stata enorme ed ha scosso il nostro partito come la bora scuote i nostri alberi. Tutti sanno che il nostro partito e tutti i democratici triestini, italiani e slavi, all’annuncio della risoluzione dell’Ufficio d’informazione manifestarono la loro gratitudine in forma clamorosa ed unanime. Essa rifletteva una situazione che da anni perdurava nel nostro territorio. Un documento simile, nelle sue parti fondamentali, si elaborava da anni nelle menti di tutti noi, sulla base delle esperienze, di ciò che si vedeva e si udiva, di ciò che si faceva e che si era obbligati a fare. Tutti noi eravamo convinti da tempo che non era marxismo-leninismo quello che si applicava nel nostro territorio, ed anche nel Paese vicino […]. Era sfrenato nazionalismo camuffato da socialismo, avventurismo, settarismo, terrorismo politico e fisico. Noi avallammo quella risoluzione […] con nostre sofferenze, con nostre esperienze, senza interventi di un Beria e di agenti dell’imperialismo. […] Perciò noi non possiamo solidarizzare con la dichiarazione del compagno Kruscev e sebbene siamo profondamente addolorati e dispiaciuti di questa divergenza di giudizio preferiamo esprimere francamente la nostra opinione perché siamo convinti che essa, almeno per le nostre esperienze, corrisponde alla verità obiettiva. Sia chiaro per tutti che se nel giugno del 1948 noi fossimo stati convinti - perché le relazioni del nostro partito con il partito jugoslavo erano strettissime e di dipendenza assoluta - che in Jugoslavia, che nella zona B si praticava il socialismo […] l’atteggiamento dei comunisti triestini sarebbe stato differente. Quell’atteggiamento fu meditato, cosciente e non un puro atto di cieca disciplina. […] Se essere pagliacci, settari, cocciuti dannosi, testardi incorreggibili significa avere principii, carattere, dignità, onestà politica e morale, ebbene allora dichiariamo di non sentirci offesi da tali aggettivi. Preferiamo essere tutte queste cose piuttosto che dei venduti e dei mercenari" <151. In margine all’articolo, era pubblicata una nota del Cc del PcTT che dichiarava di sentirsi “fier[o] delle lotte combattute in questi ultimi anni per ricostruire il partito sulle basi del marxismo-leninismo-stalinismo” <152.
In conversazioni interne con i dirigenti nazionali, Vidali si difendeva raccontando che nel corso di un soggiorno a Mosca in aprile era stato informato sui preparativi del viaggio di Chruščëv, ma nessuno aveva accennato a un rovesciamento di politica tanto grossolano; anzi era stato messo in guardia dalle manovre disgregatrici che i titini avrebbero ripreso nei confronti del suo partito e del Pci, ricevendo la direttiva di “difendersi con fermezza” <153. Non che i membri della segreteria a Roma fossero insensibili alla minaccia di un rilancio dell’attività eversiva dei comunisti jugoslavi nel loro partito. Scoccimarro espresse timori condivisi da Longo e prospettati anche da Pellegrini in direzione, quando affermò: “Dopo la fine della guerra Tito voleva conquistare il nostro partito non solo a Trieste, ma nel Friuli e altrove. Non è escluso che essi riprendano ora i loro tentativi, ma noi daremo battaglia” <154. Ma il punto, come rilevò ancora Scoccimarro rivolgendosi a Vidali e ad altri rappresentanti del PcTT, era che “malgrado la vostra autonomia la responsabilità del vostro partito ricade su di noi” e “non è concepibile che si prenda posizione contro il Pc dell’Unione Sovietica” <155.
Di fronte a simili assunti, le argomentazioni di Vidali non avevano modo di fare breccia. Convocato in segreteria a Roma, addusse con toni drammatici che nella zona B “continua la snazionalizzazione con metodi nazisti”, che “fin dall’agosto 1947 dichiarai che erano una banda di nazionalisti e rimasi a Trieste solo dietro vostra insistenza”, che ora i titini volevano la testa sua e degli altri dirigenti più compromessi nella lotta kominformista (Maria Bernetich) per “conquistare il comune […] e poi riporre il problema del passaggio di Trieste alla Jugoslavia” <156. Anche questa sua autodifesa, appassionata ma inevitabilmente perdente, rivelava una richiesta ormai esasperata di protezione, emessa da un organo dipendente al proprio centro politico. Vidali aveva tentato più volte di condizionare e anche di modificare la posizione del centro in relazione alle esigenze del suo partito, e dal 1948 si era adeguato alle istruzioni provenienti da Roma con qualche riluttanza politica, ma sempre con sostanziale lealtà ideologica. Aveva operato in condizioni locali avverse, che risentivano del grave retaggio lasciato dalla linea seguita dal movimento comunista a Trieste prima del suo arrivo; tuttavia era riuscito largamente a compattarlo, mantenendo unitaria la sua base binazionale e preservando la maggioranza degli sloveni comunisti dalle suggestioni panjugoslave promanate dagli avversari titini. Aveva ripristinato l’allacciamento con il Pci puntando tutto sul richiamo della fedeltà sovietica, e ora il suo lavoro rischiava di essere spazzato via. I comunisti titini avevano sempre potuto contare sul forte sostegno di Lubiana e Belgrado; Vidali pretendeva, così come aveva preteso in passato, di ricevere un sostegno pari da Roma, che forse in questi anni gli era parsa paradossalmente più lontana di Mosca.
Ma la vittoria di Tito nella circoscritta ‘guerra fredda’ combattuta nel campo socialista tra l’Urss e la Jugoslavia imponeva a lui e al PcTT di rassegnarsi. Come disse un suo sconsolato delegato, dopo la visita di Chruščëv a Belgrado esso non era più che un “distaccamento sacrificato del comunismo internazionale” <157. Nella doppia seduta di segreteria del 7 e 8 giugno 1955, si consumò la messinscena di un processo politico nel perfetto stile della terza internazionale. L’accusa, pronunciata con particolare veemenza da Edoardo D’Onofrio e da Pajetta, era quella di aver commesso un “errore dal punto di vista della disciplina, del costume comunista”, di aver dato “prova di malcostume politico”, essere “venuti meno alla solidarietà del movimento comunista internazionale”, aver compiuto insomma una “porcheria” e una vera e propria “provocazione” (specie in riferimento, notava con arguzia Pajetta, all’accenno di Vidali alle “basi del marxismo-leninismo-stalinismo”) <158. In più tappe, fu redatta una dichiarazione di pentimento totale che Vidali, malgrado le proteste <159, fu costretto a firmare e portare a Trieste per ottenere l’approvazione del Cc del suo partito <160.
Il rito dell’autocritica poteva dirsi completato.
[NOTE]
148 L.M. Lees, Keeping Tito Afloat: the United States, Yugoslavia, and the Cold War, Pennsylvania State University Press, University Park, Pa. 1997, pp. 155 ss.; B Heuser, Western ‘Containment’ Policies in the Cold War: the Yugoslav Case 1948-1953, Routledge, London-New York 1989, pp. 200 ss.; Service, Compagni cit., p. 394.
149 Apc, Fondo M, ‘Verbali della direzione’, riunione del 26 maggio 1955, mf. 195. Valgano per tutti gli interventi di Negarville: “L’esempio dell’Austria e della Jugoslavia dimostra che Paesi con i più diversi sistemi sociali possono convivere con l’Urss”, e di Sereni: “Ciò che importa è che si stanno creando gruppi di Stati in Europa e nel mondo che vogliono restare estranei ai blocchi militari contrapposti”.
150 Ibidem.
151 V. Vidali, La dichiarazione del comp. Kruscev ed i comunisti triestini, ‘Il lavoratore’, 30 maggio 1955.
152 Intensificare la lotta - Respingere la provocazione, ivi.
153 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, Note sulla discussione col Pc di Trieste (riservato), autore Luigi Amadesi, 5 giugno 1955, allegati, b. 324, mf. 194.
154 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, cit. Poco prima, Pellegrini aveva paventato che “i titini potrebbero tentare di rifare la fila della loro organizzazione a Trieste e anche nella provincia
di Udine e pretendere di dirigere il nostro movimento a Trieste”: Apc, Fondo M, ‘Verbali della direzione’, riunione del 28 maggio 1955, cit.
155 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunione del 7 giugno 1955, cit.
156 Ibidem.
157 Note sulla discussione col Pc di Trieste (riservato) cit. L’(in)felice espressione è di Giovanni Postogna.
158 Apc, Fondo M, ‘Verbali della segreteria’, riunioni del 7 giugno 1955, cit. e dell’8 giugno 1955, b. 324, mf. 194. Anche: Gozzini, Martinelli, Storia del Partito comunista italiano cit., pp. 384-85.
159 “Non me la sento di accettare la vostra critica di malcostume. Sono rimasto molto scosso della discussione di ieri. In trent’anni di vita politica non ho mai sentito affermazioni così aspre, nei confronti di un compagno come nei vostri discorsi”: ibidem.
160 “Il Cc riconosce francamente che le riserve contenute nell’articolo de ‘Il lavoratore’ sulla dichiarazione del comp. Krusciov costituiscono un grave errore, determinato da un’interpretazione errata e affrettata della dichiarazione stessa, a cui si è stati tratti dalla situazione locale esasperata della lotta che ha diviso per tanti anni il movimento operaio e democratico triestino e dalle provocazioni di chi ha interesse a questa esasperazione. Il modo con cui si è reagito è contrario ai rapporti fraterni e solidali che devono intercorrere tra partiti fratelli, soprattutto quando sono in gioco interessi fondamentali della pace e del movimento democratico e operaio internazionale. Partendo da questa considerazione e ispirandosi agli accordi di Belgrado, i comunisti si impegnano a sviluppare sulla base dei principi marxisti-leninisti la politica del Pc di Trieste, allo scopo di consolidare le posizioni della classe lavoratrice, di rafforzare l’unità antifascista e democratica, di continuare e di cementare la fratellanza italo-slava, ampliando ancora l’azione e le iniziative già prese in questo senso”: ibidem, allegati.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008