Powered By Blogger

martedì 9 dicembre 2025

Come si arrivò ai referendum del 1981


A completamento del quadro, necessariamente parziale ma - sembra - rappresentativo ed evocativo di un mutato sentire, all’inizio degli anni settanta si assiste a «uno straordinario attivismo dei magistrati, che, probabilmente per la prima volta nella storia d’Italia, hanno cominciato ad esercitare la parte dei protagonisti in molte vicende la cui importanza trascende considerevolmente la loro rilevanza giudiziaria» <46. Rispetto alla stagione precedente, nella quale i membri della magistratura provengono quasi tutti dal ventennio fascista e costituiscono un freno all’adattamento del diritto alle profonde modificazioni sociali verificatisi, si assiste all’azione di una nuova generazione di “pretori d’assalto”, fautrice di una linea riassumibile nella formula «giudice critico della legge», contrapposta a quella classica che considerava il «giudice bocca della legge» <47; vale la pena citare l’esperienza su questo versante di un’organizzazione quale Magistratura democratica <48, che svolge un ruolo attivo - si vedrà - nelle lotte di fine decennio.
Queste avvisaglie non sembrano colte dalla classe politica, che sul divorzio mostra di avere dell’Italia un’immagine ingessata, cristallizzata nello stereotipo. Così la Democrazia cristiana - che, pur avendo votato contro l’approvazione della legge Fortuna-Baslini, palesa al suo interno importanti divisioni sul tema - viene ricompattata da Fanfani sull’opzione del sì in un’accesa campagna referendaria. Nel complesso i partiti danno prova di temere il referendum: nel 1972 si avvia una crisi di governo che porta al primo scioglimento anticipato delle camere della storia repubblicana; in questo modo si ottiene il risultato di posticipare la data della consultazione, che verrà svolta solo nell’autunno del 1974 <49. Lo stesso Pci, che in quegli anni vara la proposta del compromesso storico, teme il contraccolpo del referendum, in particolare per quel che riguarda gli esiti elettorali, rispetto ai quali paventa una radicalizzazione del voto dell’opinione pubblica moderata; il partito palesa inoltre un’atavica sfiducia nei confronti delle masse, considerate immature e tendenti a inclinare verso pronunciamenti di marca conservatrice o, financo, reazionaria <50.
L’esito della consultazione è, quindi, in buona misura imprevisto: il 12 e 13 maggio [1974] partecipa al voto l’87,7% degli aventi diritto e il no si afferma con il 59,3% dei suffragi, a fronte del 40,3% dei sì. Al di là delle conseguenze politiche già tratteggiate, l’esito della votazione inaugura un particolare meccanismo di causa-effetto, per il quale da una parte (i radicali) il referendum diviene uno strumento capace di scardinare equilibri e connivenze politiche, dall’altra (i partiti dell’arco costituzionale) un momento di espressione popolare da evitare, in nome della centralità del parlamento nel processo decisionale. Queste considerazioni hanno il loro peso nell’approvazione della legge 22 maggio 1978, n. 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (così come, ad esempio, della legge Basaglia, con cui si giunge alla chiusura dei manicomi), che diviene un modo per impedire la consultazione referendaria promossa dal Partito radicale e, ancora una volta, temuta <51.
Si consideri ad esempio la posizione espressa da Bufalini alla riunione della direzione del Pci del 22 dicembre 1977, espressione della linea comunista orientata, in questo particolare frangente, all’obiettivo primario di mantenere unito il fronte della solidarietà democratica, in vista di un futuro coinvolgimento nell’area di governo: "Sulla questione dell’aborto la DC non ha margini. Così si va fatalmente al “referendum”. Per l’aborto la situazione è mutata negli ultimi due anni: la spinta pubblica allora era diversa, poi è seguita la mobilitazione della gerarchia ecclesiastica. Si va ad una crociata. Al divorzio siamo arrivati dopo aver fatto le proposte più ampie alla DC. Alla Camera i d.c. hanno fatto tre proposte: coinvolgere i padri; portare a 18 anni la maggiore età per abortire; ristabilire un principio di penalizzazione. Non siamo stati in grado di accogliere nessuna di queste proposte perché i socialisti non lo permettono. In quali condizioni andiamo dunque allo scontro? Gli altri referendum rendono più difficile tutto: abolizione dei 95 articoli del Codice Penale, compreso l’ergastolo, in un momento in cui, sbagliando, la gente chiede la pena di morte, ecc. Tutto porta la DC ad un blocco con le forze moderate ed oscurantiste. La DC dirà di no a tutto e noi sì a tutto, pur con i dovuti ragionamenti. Se si disinnescano i referendum su aborto e legge Reale, sugli altri si può andare con uno schieramento unitario. Se non è così si va in direzione opposta di un processo unitario" <52.
La legge approvata viene duramente contestata dai gruppi femministi i quali, pur concedendo che finalmente un provvedimento è stato adottato, ritengono deleteria la previsione in esso contenuta dell’obiezione di coscienza, che inficerebbe alla base l’applicabilità stessa della legge. Lo stesso pensano i radicali, i quali promuovono una nuova ondata di referendum (dieci, ma ancora una volta diversi quesiti non vengono ammessi dalla Corte costituzionale), di cui uno tendente a liberalizzare il regime dell’interruzione di gravidanza; un altro quesito viene presentato dal Movimento per la vita, che punta a restringere, al contrario, i margini della liceità dell’aborto. Ancora una volta, alle votazioni svoltesi il 17 e 18 giugno 1981, vinceranno i no ed entrambe le proposte di modifiche della legge verranno respinte dall’elettorato <53.
Il paragone fra la vittoria dei no al referendum sul divorzio e la sconfitta radicale a quello sull’aborto e su altre tematiche inerenti alle libertà civili e sociali del paese ha prodotto negli anni un dibattito sulla natura e le caratteristiche del voto referendario <54, sulla scorta delle riflessioni iconoclaste di Pier Paolo Pasolini. L’intellettuale friulano sostiene già nel 1974 che la vittoria dei no sia il risultato della mutazione antropologica dei ceti medi e della borghesizzazione incipiente, in marcia sulle macerie dell’Italia contadina e paleoindustriale. In conclusione, il voto non va osannato come progressista, ma riconosciuto come frutto di un consumismo e un edonismo sempre più diffusi <55. Sicuramente i risultati dei referendum svolti negli anni settanta testimoniano del peso dei ceti medi i quali, se non si spostano in massa su posizioni avanzate, sicuramente subiscono l’influsso di una diffusa laicizzazione e, sembra doveroso ricordarlo, della mobilitazione collettiva - condotta soprattutto dai gruppi femministi. Né va trascurato il diverso clima sociale che grava sul paese nel 1978 rispetto al 1974 <56.
Un’altra importante conquista civile, di modernizzazione del paese sotto il profilo dei rapporti di genere, è l’approvazione della riforma del diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151), che sancisce la parità dei diritti e dei doveri fra coniugi, tenuti entrambi all’educazione dei figli e - in relazione alle proprie capacità economico-lavorative - a provvedere al sostentamento della famiglia <57; con essa inoltre si aboliscono quasi completamente le discriminazioni nei confronti dei figli nati al di fuori del vincolo matrimoniale.
[NOTE]
46 Alessandro Pizzorusso, Introduzione, in Id. (a cura di), L’ordinamento giudiziario, il Mulino, Bologna 1974, p. 36.
47 Cfr. Edmondo Bruti Liberati, La magistratura dall’attuazione della Costituzione agli anni novanta, in F. Barbagallo et al. (progetto e direzione), Storia dell’Italia repubblicana, cit., vol. 3, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, 2. Istituzioni, politiche, culture, pp. 139-237, in particolare p. 178. Sull’esperienza di Md cfr. inoltre Sergio Pappalardo, Gli iconoclasti. Magistratura democratica nel quadro della Associazione nazionale magistrati, Franco Angeli, Milano 1987 e Giovanni Palombarini, Giudici a sinistra. I 36 anni della storia di Magistratura democratica: una proposta per una nuova politica per la giustizia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2000.
48 Cfr. Salvatore Senese, La magistratura nella crisi degli anni Settanta, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., vol. 4, G. De Rosa e G. Monina, Sistema politico e istituzioni, pp. 403-20, in particolare pp. 416-18.
49 «Nel caso di scioglimento anticipato delle Camere […] il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per l’elezione di nuove Camere» e i «termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione»: legge n. 352/1970, art. 34, commi 2 e 3.
50 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 185 e pp. 501-04.
51 Cfr. A. Barbera e A. Morrone, L’istituto del referendum, cit., pp. 330-39.
52 Ig, Apc, 1977 - VI bimestre, Direzione, mf. 309, pp. 0124x e ss. Cfr. anche l’intervento di Berlinguer alla riunione della direzione del 7 dicembre 1977, in ivi, pp. 0085x e ss.: «Rilancio dell’intesa, accordo coi sindacati, ripresa dell’azione di governo, oggi affannosa e confusa, limitazione del numero dei referendum: queste sono le premesse per evitare da parte della DC la richiesta di elezioni politiche anticipate. Bisogna intanto impedire, per esempio, che si vada al referendum sull’aborto».
53 Cfr. A. Barbera e A. Morrone, L’istituto del referendum, cit., pp. 353-57.
54 Cfr. P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 391 e G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 504-06. 
55 Si veda Pier Paolo Pasolini, Gli italiani non sono più quelli, «Corriere della Sera», 10 giugno 1974.
56 Prova ne siano, fra l’altro, le percentuali plebiscitarie con cui si respingono la proposta di abolizione dell’ergastolo (77,4%) e di abrogazione della legge Cossiga sull’ordine pubblico (81,1%).
Salvatore Corasaniti, Quando parla Onda Rossa. I Comitati autonomi operai e l'emittente romana alla fine degli anni settanta (1977-1980), Tesi di dottorato, Sapienza - Università di Roma, Anno accademico 2017-2018