Rispetto alla stampa, più spesso analizzata nell’ambito della saggistica sul caso Moro, la fonte televisiva risulta molto meno esplorata e tuttavia particolarmente interessante poiché in grado di apportare ulteriori elementi di riflessione e di analisi sulla vicenda, agendo secondo molteplici prospettive.
Nell’immaginario collettivo, televisivamente parlando, la memoria visiva si muove tra due limiti temporali di riferimento: il servizio di Paolo Frajese in onda nell’edizione straordinaria del Tg1 la mattina del 16 marzo, con la ripresa della scena dell’agguato di via Fani, e le immagini riprese da Valerio Leccese del corpo di Moro in via Caetani, unica testimonianza filmata esistente che la Rai fu costretta a comprare da una piccola emittente privata romana, la Gbr.
Immediatamente emerge il legame forte che unisce l’evento all’immagine, l’accaduto alla sua rappresentazione iconica e, per altro verso, la grande carica semiotica che a sua volta l’immagine trasferisce all’evento stesso, influenzandone la percezione e dilatandone senso e significato.
[...] Il caso Moro è però il primo evento nella storia della Repubblica a rendere i media fortemente determinanti all’interno dello stesso processo di sviluppo della vicenda. Viene considerato come la prima grande tragedia nazionale dell’era televisiva, vissuta con intenso coinvolgimento emotivo da tutta l’opinione pubblica. È il primo episodio terroristico in Italia a svolgersi praticamente in diretta Tv: quei 55 giorni cambieranno per sempre il rapporto tra terrorismo e comunicazione e il modo di fare giornalismo e informazione. Da quelle immagini in diretta dei corpi a terra, del sangue sull’asfalto, delle auto crivellate dai colpi di mitra, non si tornerà più indietro. E poi ancora i botta e risposta tra i brigatisti e il governo, il susseguirsi di rivendicazioni e prese di posizione, le telefonate, i comunicati, le lettere: tutto passava attraverso i media e in particolare attraverso lo schermo televisivo e i Tg d’informazione.
Ciò che è interessante notare è proprio quella sorta di giostra mediatica che è nata con e intorno al caso Moro. Primo fra tutti lo stesso Aldo Moro e a seguire i suoi carcerieri, le Br, e ancora le istituzioni, il mondo dell’informazione e i giornalisti e, a chiudere il cerchio, i cittadini, l’opinione pubblica: cinque protagonisti della scena coinvolti in un gioco delle parti che si è svolto interamente in campo mediatico, legati a doppio filo tra loro in un intreccio comunicativo articolato su più livelli.
Uno degli aspetti più importanti da analizzare è il meccanismo di costruzione dell’informazione intorno a quegli avvenimenti che ha attuato di fatto la trasformazione da evento reale a evento mediale il quale, sotto forma di notizia e con il fondamentale ausilio delle immagini e del sonoro, “passava” attraverso la televisione e raggiungeva l’opinione pubblica con una forza di impatto mai sperimentata fino a quel momento.
L’assoluta centralità dei mezzi di comunicazione nell’evoluzione dell’intera vicenda è innegabile: gli stessi brigatisti facevano pervenire i loro comunicati - e le lettere dell’ostaggio - , non direttamente ai rispettivi destinatari (politici, familiari, istituzioni, ecc..), né alle questure o alle prefetture, ma alle redazioni dell’Ansa e dei quotidiani locali e nazionali, con modalità ed orari strategici, mostrando una certa capacità nel saper gestire le potenzialità dei media e nel riuscire a sfruttare gli organi di informazione pretendendo, nelle telefonate di rivendicazione, un’adeguata divulgazione e diffusione dei loro messaggi e in generale della loro azione.
La televisione, nel bene e nel male, ha contribuito ad amplificare in modo esponenziale tutti gli aspetti della vicenda, facendo da cassa di risonanza alle voci dei vari protagonisti. Certo, è necessario poi riuscire a valutare il peso di ciascuno: paradossalmente si è dato, se non più spazio, di sicuro maggior credito ai comunicati delle Br che alle lettere di Moro, di cui si metteva in dubbio la capacità di intendere e di volere; così come, per altro verso, nell’economia delle iniziative prese e delle operazioni svolte, i risultati dell’attività investigativa delle forze dell’ordine e delle istituzioni apparivano piuttosto deludenti rispetto alla spietata efficacia delle azioni dei terroristi, a partire dalla dinamica dell’agguato di via Fani.
Ora, i servizi degli inviati e dei corrispondenti dei Tg della Rai danno conto, o meglio cercano di dar conto, ad ogni edizione del telegiornale nel corso di tutti i 55 giorni, degli sviluppi delle indagini che corrono in due direzioni: da un lato la caccia ai terroristi delle Brigate rosse responsabili della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro, dall’altro la ricerca del covo dove il presidente della Dc è tenuto prigioniero. Molto spesso però i giornalisti si trovano a dover commentare la magra cronaca della giornata con un laconico “nessuno sviluppo nelle indagini su Moro” o, al massimo, “le indagini sono mantenute nel più stretto riserbo”, mentre a dare di tanto in tanto impulso alla vicenda e a fare davvero “notizia” sono gli stessi terroristi con i loro comunicati o lo stesso Moro con le sue lettere. <1
E sono proprio i media a dar voce a coloro che non appaiono fisicamente ma la cui assenza incombe pesantemente, per motivi opposti, non solo nella vita politica del paese, con uno Stato praticamente sotto assedio ma intenzionato a difendere la democrazia a tutti i costi, ma anche e soprattutto nel tessuto sociale, nella vita di tutti i giorni dei comuni cittadini, in un’opinione pubblica profondamente scossa dall’accaduto, in quanto già duramente provata da una lunga scia di azioni criminali che stava insanguinando il paese da circa un decennio. L’agenda setting è quasi completamente saturata dal caso Moro e si innesca un meccanismo per cui, seppur in assenza pressoché totale di novità importanti, anche quel “niente di nuovo” diventa notizia e qualsiasi considerazione, dubbio, illazione, supposizione o speranza è sufficiente a saziare la fame di informazioni dell’opinione pubblica che interroga ogni giorno giornali, radio e tv determinando impennate vertiginose nelle tirature dei quotidiani e negli ascolti dei telegiornali. Il Corriere della sera, il primo quotidiano in Italia, passò da una media di 560 mila copie al giorno a 738 mila copie il 17 marzo, per poi raggiungere le 825 mila copie il 10 maggio; La Repubblica (nata solo due anni prima) passò da 90 mila copie a 130 mila. La diffusione de L’Unità di domenica 19 marzo, con l’editoriale del segretario del Pci Enrico Berlinguer “Fare terra bruciata attorno ai terroristi”, toccò le 900 mila copie. L’edizione delle 20,00 del Tg1 del 16 marzo contò oltre 27 milioni di telespettatori, altri 3 milioni e mezzo erano sintonizzati sul Tg2, per un totale di 30 milioni e 700 mila telespettatori. L’edizione serale dei due Tg raggiunse l’apice il 9 maggio quando complessivamente l’ascolto salì oltre i 33 milioni. <2
È in particolar modo la televisione a dare il senso pieno della tragedia e, dopo la primissima notizia diffusa dal GR2, a renderlo tangibile attraverso la diretta e le immagini a colori delle auto di via Fani crivellate di colpi e del sangue rosso sull’asfalto e sui teli bianchi che ricoprono i corpi. <3 Immagini che resteranno impresse per sempre nella mente di uno spettatore del 1978 e nella memoria di chiunque ancora oggi abbia occasione di rivedere, per esempio, i già citati servizi di Paolo Frajese o le riprese di Valerio Leccese del cadavere di Moro in via Caetani, solo per richiamare i due filmati più noti. E ancora, le immagini della vasta distesa di ghiaccio e neve del Lago della Duchessa, dell’arsenale ritrovato nel covo dei brigatisti in via Gradoli, delle migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri e soldati dell’esercito impegnati ogni giorno in controlli, perquisizioni e posti di blocco in quasi ogni strada di Roma. E poi le dichiarazioni, le smentite, i collegamenti, i resoconti dei seppur minimi passi avanti delle indagini: nella definizione di Aldo Grasso, uno sceneggiato in presa diretta dal triste epilogo. <4
Cronaca giornalistica allora ma fonte storica oggi. Una fonte televisiva che, come tutte le tipologie di fonti del genere audiovisivo, certo va pesata e valutata nel mondo giusto, smontata, esaminata e ricomposta con l’utilizzo di strumenti adeguati propri della ricerca sociologica e dell’analisi critica dei codici espressivi e delle teorie sul medium, sui suoi effetti e sulle sue relazioni con la realtà sociale, ma di sicuro una fonte che potrebbe rivelarsi utile nel lavoro di ricerca e di ricostruzione di una fase storica del nostro paese che, a partire almeno dagli anni ’60, ha visto proprio il mezzo televisivo sostituire di fatto quello cinematografico nell’opera di ripresa, raccolta, narrazione e conservazione della memoria visiva degli eventi.
[...] Non ci è stato permesso di verificare la consistenza della “terza fase” del pensiero politico di Aldo Moro. Ripropongo, in conclusione, la domanda cruciale che si pone De Felice, “una domanda a cui non esiste a tutt’oggi una risposta adeguata: perché questa soluzione che si delinea non regge? Perché anziché un attenuarsi si ha un’accelerazione brutale della crisi italiana, introducendo nella dinamica e nello svolgimento dello scontro politico un elemento di barbarie e di degenerazione?”. <76
Il terrorismo “rosso” si era riorganizzato prima della solidarietà nazionale, secondo modalità non ancora chiarite a sufficienza dagli studi né dalle successive inchieste parlamentari77, e infittisce le sue imprese nella seconda metà degli anni ’70, con una escalation di violenza che raggiunge l’apice proprio nel 1978 <78, quando la maggiore organizzazione terroristica italiana, le Brigate rosse, compie quello che sarà il culmine e insieme il declino dei terrorismi in Italia: il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro.
È opinione comune che l’obiettivo dell’iniziativa delle Br fosse quello di interrompere l’esperienza di solidarietà nazionale ma si tratta di un giudizio parziale e riduttivo che “rischia di marginalizzare il carattere di intervento politico, lucido e preciso, che quell’iniziativa esprimeva e la qualità della questione su cui si esercitava”. <79 De Felice sostiene che non si trattava solo di bloccare, condizionare e contenere il processo di convergenza tra Dc e Pci ma di rispondere alla novità dirompente registrata nel 1976, con l’esaurimento di un elemento essenziale del modello militarizzato (fine della delegittimazione del Pci), creando le condizioni per il maturare di una risposta diversa da quella che, pur con tutti i limiti e le contraddizioni si era avviata. Il problema dunque, prosegue De Felice, non era tanto bloccare la convergenza in atto, quanto escluderne la stessa possibilità: era necessario un intervento diretto sui protagonisti storici della vicenda repubblicana, facendone precipitare, o accelerandone, la crisi latente. <80 Conclude De Felice: “Con la fine dell’esperienza della solidarietà nazionale si ottiene molto di più del blocco del tendenziale ampliamento del ceto politico: vengono colpiti la credibilità della strategia comunista, il collante del blocco sociale che aveva nella possibilità e capacità di trasformare il paese le ragioni della propria coesione. Quello che cessa di operare è quel particolare tipo di rapporto che aveva fatto del Pci, pur nella sua delegittimazione politica, il fattore centrale della vita politica italiana, rispetto a cui si definivano le posizioni e le scelte di tutte le altre forze e, in primo luogo, della Dc: aveva assolto un ruolo fondamentale di dinamizzazione, in un rapporto continuo di sfida-risposta-sfida (assedio reciproco). La crisi del Pci si aggiunge a quella della Dc [...] Il quadro di riferimento complessivo, dopo il 1979, cambia completamente e si modifica il modo stesso di definirsi e di operare delle forze che assumono la direzione del paese”. <81
La mattina di quel giovedì 16 marzo 1978, il presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, esce dalla sua abitazione in via del Forte Trionfale 79 a Roma, per recarsi alla Camera dei Deputati dove è in programma il voto di fiducia al quarto governo monocolore Dc di Giulio Andreotti, con il sostegno diretto del Partito comunista per la prima volta, dal 1947, nella maggioranza parlamentare.
Alle 9.02 l’auto sulla quale Moro viaggia, una Fiat 130 blu, si blocca di colpo quasi tamponata dall’Alfetta della scorta che lo segue: a sbarrare la strada alle due vetture una Fiat 128 bianca, con targa diplomatica, ferma allo “stop” all’altezza di via Fani, all’angolo con via Stresa.
[NOTE]
Scrive Aldo Grasso: “Non restate passivi di fronte al televisore a aspettare l’ultimo comunicato delle Br! […] Il rapporto di fascinazione che lega il triangolo Br-Media-Massa crea nella società un clima irreale”, Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 1992, p. 351.
2 Cfr. Sergio Trasatti, Il Lago della duchessa, cit. e Sergio Flamigni e Ilaria Moroni, L’informazione durante il sequestro Moro, in Mirco Dondi (a cura di), I neri e i rossi. Terrorismo, violenza e informazione negli anni Settanta, Controluce, Nardò, 2008.
3 La radio è stato il primo mezzo a diffondere la notizia della strage e del rapimento con un breve flash del GR2 alle 9.25, circa venti minuti dopo l’accaduto. Un redattore del GR2, incrociando incidentalmente il luogo degli avvenimenti, ha potuto telefonare al proprio direttore, Gustavo Selva, che dopo un controllo presso la Questura centrale, ha trasmesso un flash di 1’30’’ circa. Il primo dispaccio dell’Ansa (i cui dipendenti hanno immediatamente interrotto uno sciopero in corso) è stato diramato alle 9.28. Sono le edizioni straordinarie, partite quasi in contemporanea, del Tg1 delle 10.00 e del Tg2 delle 10.01 a trasmettere le primissime immagini del luogo della strage, via Fani, con la cosiddetta crime scene ancora praticamente intatta.
4 Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, cit., p. 351.
76 Franco De Felice, Nazione e crisi, op. cit., pag. 78.
77 Nicola Tranfaglia, Parlamento, partiti e società civile, op. cit., pag. 323; cfr. anche N. Tranfaglia, Un capitolo del “doppio stato”. La stagione delle stragi e dei terrorismi, in Storia dell’Italia repubblicana,Vol. 3 L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio 2. Istituzioni, politiche, culture, Einaudi, Torino, 1995.
78 Cfr. Donatella della Porta, Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, Bologna, 1990 e Giorgio Galli, Storia del partito armato, Rizzoli, Milano, 1986.
79 Franco De Felice, Nazione e crisi, op. cit., pag. 78.
80 Ibidem, pag. 79.
81 Ibidem, pag. 80.
Ilenia Imperi, I 55 giorni del caso Moro: l'evento mediatico nella ricostruzione storica, Tesi di dottorato, Università degli Sudi della Tuscia - Viterbo, 2013
Nell’immaginario collettivo, televisivamente parlando, la memoria visiva si muove tra due limiti temporali di riferimento: il servizio di Paolo Frajese in onda nell’edizione straordinaria del Tg1 la mattina del 16 marzo, con la ripresa della scena dell’agguato di via Fani, e le immagini riprese da Valerio Leccese del corpo di Moro in via Caetani, unica testimonianza filmata esistente che la Rai fu costretta a comprare da una piccola emittente privata romana, la Gbr.
Immediatamente emerge il legame forte che unisce l’evento all’immagine, l’accaduto alla sua rappresentazione iconica e, per altro verso, la grande carica semiotica che a sua volta l’immagine trasferisce all’evento stesso, influenzandone la percezione e dilatandone senso e significato.
[...] Il caso Moro è però il primo evento nella storia della Repubblica a rendere i media fortemente determinanti all’interno dello stesso processo di sviluppo della vicenda. Viene considerato come la prima grande tragedia nazionale dell’era televisiva, vissuta con intenso coinvolgimento emotivo da tutta l’opinione pubblica. È il primo episodio terroristico in Italia a svolgersi praticamente in diretta Tv: quei 55 giorni cambieranno per sempre il rapporto tra terrorismo e comunicazione e il modo di fare giornalismo e informazione. Da quelle immagini in diretta dei corpi a terra, del sangue sull’asfalto, delle auto crivellate dai colpi di mitra, non si tornerà più indietro. E poi ancora i botta e risposta tra i brigatisti e il governo, il susseguirsi di rivendicazioni e prese di posizione, le telefonate, i comunicati, le lettere: tutto passava attraverso i media e in particolare attraverso lo schermo televisivo e i Tg d’informazione.
Ciò che è interessante notare è proprio quella sorta di giostra mediatica che è nata con e intorno al caso Moro. Primo fra tutti lo stesso Aldo Moro e a seguire i suoi carcerieri, le Br, e ancora le istituzioni, il mondo dell’informazione e i giornalisti e, a chiudere il cerchio, i cittadini, l’opinione pubblica: cinque protagonisti della scena coinvolti in un gioco delle parti che si è svolto interamente in campo mediatico, legati a doppio filo tra loro in un intreccio comunicativo articolato su più livelli.
Uno degli aspetti più importanti da analizzare è il meccanismo di costruzione dell’informazione intorno a quegli avvenimenti che ha attuato di fatto la trasformazione da evento reale a evento mediale il quale, sotto forma di notizia e con il fondamentale ausilio delle immagini e del sonoro, “passava” attraverso la televisione e raggiungeva l’opinione pubblica con una forza di impatto mai sperimentata fino a quel momento.
L’assoluta centralità dei mezzi di comunicazione nell’evoluzione dell’intera vicenda è innegabile: gli stessi brigatisti facevano pervenire i loro comunicati - e le lettere dell’ostaggio - , non direttamente ai rispettivi destinatari (politici, familiari, istituzioni, ecc..), né alle questure o alle prefetture, ma alle redazioni dell’Ansa e dei quotidiani locali e nazionali, con modalità ed orari strategici, mostrando una certa capacità nel saper gestire le potenzialità dei media e nel riuscire a sfruttare gli organi di informazione pretendendo, nelle telefonate di rivendicazione, un’adeguata divulgazione e diffusione dei loro messaggi e in generale della loro azione.
La televisione, nel bene e nel male, ha contribuito ad amplificare in modo esponenziale tutti gli aspetti della vicenda, facendo da cassa di risonanza alle voci dei vari protagonisti. Certo, è necessario poi riuscire a valutare il peso di ciascuno: paradossalmente si è dato, se non più spazio, di sicuro maggior credito ai comunicati delle Br che alle lettere di Moro, di cui si metteva in dubbio la capacità di intendere e di volere; così come, per altro verso, nell’economia delle iniziative prese e delle operazioni svolte, i risultati dell’attività investigativa delle forze dell’ordine e delle istituzioni apparivano piuttosto deludenti rispetto alla spietata efficacia delle azioni dei terroristi, a partire dalla dinamica dell’agguato di via Fani.
Ora, i servizi degli inviati e dei corrispondenti dei Tg della Rai danno conto, o meglio cercano di dar conto, ad ogni edizione del telegiornale nel corso di tutti i 55 giorni, degli sviluppi delle indagini che corrono in due direzioni: da un lato la caccia ai terroristi delle Brigate rosse responsabili della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro, dall’altro la ricerca del covo dove il presidente della Dc è tenuto prigioniero. Molto spesso però i giornalisti si trovano a dover commentare la magra cronaca della giornata con un laconico “nessuno sviluppo nelle indagini su Moro” o, al massimo, “le indagini sono mantenute nel più stretto riserbo”, mentre a dare di tanto in tanto impulso alla vicenda e a fare davvero “notizia” sono gli stessi terroristi con i loro comunicati o lo stesso Moro con le sue lettere. <1
E sono proprio i media a dar voce a coloro che non appaiono fisicamente ma la cui assenza incombe pesantemente, per motivi opposti, non solo nella vita politica del paese, con uno Stato praticamente sotto assedio ma intenzionato a difendere la democrazia a tutti i costi, ma anche e soprattutto nel tessuto sociale, nella vita di tutti i giorni dei comuni cittadini, in un’opinione pubblica profondamente scossa dall’accaduto, in quanto già duramente provata da una lunga scia di azioni criminali che stava insanguinando il paese da circa un decennio. L’agenda setting è quasi completamente saturata dal caso Moro e si innesca un meccanismo per cui, seppur in assenza pressoché totale di novità importanti, anche quel “niente di nuovo” diventa notizia e qualsiasi considerazione, dubbio, illazione, supposizione o speranza è sufficiente a saziare la fame di informazioni dell’opinione pubblica che interroga ogni giorno giornali, radio e tv determinando impennate vertiginose nelle tirature dei quotidiani e negli ascolti dei telegiornali. Il Corriere della sera, il primo quotidiano in Italia, passò da una media di 560 mila copie al giorno a 738 mila copie il 17 marzo, per poi raggiungere le 825 mila copie il 10 maggio; La Repubblica (nata solo due anni prima) passò da 90 mila copie a 130 mila. La diffusione de L’Unità di domenica 19 marzo, con l’editoriale del segretario del Pci Enrico Berlinguer “Fare terra bruciata attorno ai terroristi”, toccò le 900 mila copie. L’edizione delle 20,00 del Tg1 del 16 marzo contò oltre 27 milioni di telespettatori, altri 3 milioni e mezzo erano sintonizzati sul Tg2, per un totale di 30 milioni e 700 mila telespettatori. L’edizione serale dei due Tg raggiunse l’apice il 9 maggio quando complessivamente l’ascolto salì oltre i 33 milioni. <2
È in particolar modo la televisione a dare il senso pieno della tragedia e, dopo la primissima notizia diffusa dal GR2, a renderlo tangibile attraverso la diretta e le immagini a colori delle auto di via Fani crivellate di colpi e del sangue rosso sull’asfalto e sui teli bianchi che ricoprono i corpi. <3 Immagini che resteranno impresse per sempre nella mente di uno spettatore del 1978 e nella memoria di chiunque ancora oggi abbia occasione di rivedere, per esempio, i già citati servizi di Paolo Frajese o le riprese di Valerio Leccese del cadavere di Moro in via Caetani, solo per richiamare i due filmati più noti. E ancora, le immagini della vasta distesa di ghiaccio e neve del Lago della Duchessa, dell’arsenale ritrovato nel covo dei brigatisti in via Gradoli, delle migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri e soldati dell’esercito impegnati ogni giorno in controlli, perquisizioni e posti di blocco in quasi ogni strada di Roma. E poi le dichiarazioni, le smentite, i collegamenti, i resoconti dei seppur minimi passi avanti delle indagini: nella definizione di Aldo Grasso, uno sceneggiato in presa diretta dal triste epilogo. <4
Cronaca giornalistica allora ma fonte storica oggi. Una fonte televisiva che, come tutte le tipologie di fonti del genere audiovisivo, certo va pesata e valutata nel mondo giusto, smontata, esaminata e ricomposta con l’utilizzo di strumenti adeguati propri della ricerca sociologica e dell’analisi critica dei codici espressivi e delle teorie sul medium, sui suoi effetti e sulle sue relazioni con la realtà sociale, ma di sicuro una fonte che potrebbe rivelarsi utile nel lavoro di ricerca e di ricostruzione di una fase storica del nostro paese che, a partire almeno dagli anni ’60, ha visto proprio il mezzo televisivo sostituire di fatto quello cinematografico nell’opera di ripresa, raccolta, narrazione e conservazione della memoria visiva degli eventi.
[...] Non ci è stato permesso di verificare la consistenza della “terza fase” del pensiero politico di Aldo Moro. Ripropongo, in conclusione, la domanda cruciale che si pone De Felice, “una domanda a cui non esiste a tutt’oggi una risposta adeguata: perché questa soluzione che si delinea non regge? Perché anziché un attenuarsi si ha un’accelerazione brutale della crisi italiana, introducendo nella dinamica e nello svolgimento dello scontro politico un elemento di barbarie e di degenerazione?”. <76
Il terrorismo “rosso” si era riorganizzato prima della solidarietà nazionale, secondo modalità non ancora chiarite a sufficienza dagli studi né dalle successive inchieste parlamentari77, e infittisce le sue imprese nella seconda metà degli anni ’70, con una escalation di violenza che raggiunge l’apice proprio nel 1978 <78, quando la maggiore organizzazione terroristica italiana, le Brigate rosse, compie quello che sarà il culmine e insieme il declino dei terrorismi in Italia: il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro.
È opinione comune che l’obiettivo dell’iniziativa delle Br fosse quello di interrompere l’esperienza di solidarietà nazionale ma si tratta di un giudizio parziale e riduttivo che “rischia di marginalizzare il carattere di intervento politico, lucido e preciso, che quell’iniziativa esprimeva e la qualità della questione su cui si esercitava”. <79 De Felice sostiene che non si trattava solo di bloccare, condizionare e contenere il processo di convergenza tra Dc e Pci ma di rispondere alla novità dirompente registrata nel 1976, con l’esaurimento di un elemento essenziale del modello militarizzato (fine della delegittimazione del Pci), creando le condizioni per il maturare di una risposta diversa da quella che, pur con tutti i limiti e le contraddizioni si era avviata. Il problema dunque, prosegue De Felice, non era tanto bloccare la convergenza in atto, quanto escluderne la stessa possibilità: era necessario un intervento diretto sui protagonisti storici della vicenda repubblicana, facendone precipitare, o accelerandone, la crisi latente. <80 Conclude De Felice: “Con la fine dell’esperienza della solidarietà nazionale si ottiene molto di più del blocco del tendenziale ampliamento del ceto politico: vengono colpiti la credibilità della strategia comunista, il collante del blocco sociale che aveva nella possibilità e capacità di trasformare il paese le ragioni della propria coesione. Quello che cessa di operare è quel particolare tipo di rapporto che aveva fatto del Pci, pur nella sua delegittimazione politica, il fattore centrale della vita politica italiana, rispetto a cui si definivano le posizioni e le scelte di tutte le altre forze e, in primo luogo, della Dc: aveva assolto un ruolo fondamentale di dinamizzazione, in un rapporto continuo di sfida-risposta-sfida (assedio reciproco). La crisi del Pci si aggiunge a quella della Dc [...] Il quadro di riferimento complessivo, dopo il 1979, cambia completamente e si modifica il modo stesso di definirsi e di operare delle forze che assumono la direzione del paese”. <81
La mattina di quel giovedì 16 marzo 1978, il presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, esce dalla sua abitazione in via del Forte Trionfale 79 a Roma, per recarsi alla Camera dei Deputati dove è in programma il voto di fiducia al quarto governo monocolore Dc di Giulio Andreotti, con il sostegno diretto del Partito comunista per la prima volta, dal 1947, nella maggioranza parlamentare.
Alle 9.02 l’auto sulla quale Moro viaggia, una Fiat 130 blu, si blocca di colpo quasi tamponata dall’Alfetta della scorta che lo segue: a sbarrare la strada alle due vetture una Fiat 128 bianca, con targa diplomatica, ferma allo “stop” all’altezza di via Fani, all’angolo con via Stresa.
[NOTE]
Scrive Aldo Grasso: “Non restate passivi di fronte al televisore a aspettare l’ultimo comunicato delle Br! […] Il rapporto di fascinazione che lega il triangolo Br-Media-Massa crea nella società un clima irreale”, Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 1992, p. 351.
2 Cfr. Sergio Trasatti, Il Lago della duchessa, cit. e Sergio Flamigni e Ilaria Moroni, L’informazione durante il sequestro Moro, in Mirco Dondi (a cura di), I neri e i rossi. Terrorismo, violenza e informazione negli anni Settanta, Controluce, Nardò, 2008.
3 La radio è stato il primo mezzo a diffondere la notizia della strage e del rapimento con un breve flash del GR2 alle 9.25, circa venti minuti dopo l’accaduto. Un redattore del GR2, incrociando incidentalmente il luogo degli avvenimenti, ha potuto telefonare al proprio direttore, Gustavo Selva, che dopo un controllo presso la Questura centrale, ha trasmesso un flash di 1’30’’ circa. Il primo dispaccio dell’Ansa (i cui dipendenti hanno immediatamente interrotto uno sciopero in corso) è stato diramato alle 9.28. Sono le edizioni straordinarie, partite quasi in contemporanea, del Tg1 delle 10.00 e del Tg2 delle 10.01 a trasmettere le primissime immagini del luogo della strage, via Fani, con la cosiddetta crime scene ancora praticamente intatta.
4 Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, cit., p. 351.
76 Franco De Felice, Nazione e crisi, op. cit., pag. 78.
77 Nicola Tranfaglia, Parlamento, partiti e società civile, op. cit., pag. 323; cfr. anche N. Tranfaglia, Un capitolo del “doppio stato”. La stagione delle stragi e dei terrorismi, in Storia dell’Italia repubblicana,Vol. 3 L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio 2. Istituzioni, politiche, culture, Einaudi, Torino, 1995.
78 Cfr. Donatella della Porta, Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, Bologna, 1990 e Giorgio Galli, Storia del partito armato, Rizzoli, Milano, 1986.
79 Franco De Felice, Nazione e crisi, op. cit., pag. 78.
80 Ibidem, pag. 79.
81 Ibidem, pag. 80.
Ilenia Imperi, I 55 giorni del caso Moro: l'evento mediatico nella ricostruzione storica, Tesi di dottorato, Università degli Sudi della Tuscia - Viterbo, 2013