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lunedì 20 marzo 2023

1960: il partito comunista contro il congresso del MSI a Genova

Genova: Piazza De Ferrari

Il 16 febbraio del 1959, la caduta del governo ‘monocolore’ democristiano, in carica dal luglio dell’anno precedente, fu il primo di una serie di eventi che segnarono uno snodo importante nell’immaginario della sinistra italiana, e forse non solo di questa. Dopo le dimissioni del secondo governo di Amintore Fanfani, e di un altro, brevissimo, guidato per la seconda volta dal democristiano Antonio Segni, il 26 marzo 1960 il presidente della repubblica Giovanni Gronchi incaricò un altro esponente della DC, Fernando Tambroni, di formare un nuovo governo. Il nuovo monocolore proposto ottenne una stretta fiducia alla Camera grazie all’appoggio del movimento sociale italiano e, successivamente, in Senato, grazie ancora all’appoggio missino e a quello dei monarchici.
Il mese successivo, il MSI, guidato da Arturo Michelini, annunciò che il VI congresso del partito avrebbe avuto luogo a Genova a inizio luglio. La decisione missina, considerando il fatto che Genova era medaglia d’oro per la Resistenza, fu interpretata dalla sinistra come una provocazione, ad aggravare la quale concorse la comunicazione della partecipazione al convegno di Carlo Emanuele Basile. Questi era stato infatti deputato e consigliere nazionale della Camera dei fasci e delle corporazioni durante il fascismo, aveva dichiarato immediata adesione alla repubblica di Salò, era stato prefetto di Genova ed era stato tra i responsabili degli arresti di molti operai e antifascisti per gli scioperi del giugno 1944, a cui aveva fatto seguito la deportazione di oltre un migliaio di operai in Germania. Sedici anni dopo, il pomeriggio del 30 giugno del 1960, un corteo di migliaia di manifestanti sfilò per le strade della città, fino a raggiungere piazza della Vittoria per il comizio finale. La manifestazione, accompagnata da molte altre in svariate città d’Italia, la sera degenerò in scontri aperti all’altezza di piazza de Ferrari. Fu infine presa la decisione di rinviare il congresso, mentre proseguivano le manifestazioni e gli scontri non solo a Genova, nuovi reparti di polizia venivano inviati in città, e le organizzazioni partigiane davano vita a un comitato di liberazione. Manifestazioni e disordini continuarono nei giorni seguenti. A Licata, in Sicilia, il 5 luglio un manifestante fu ucciso e ne furono feriti molti altri; due giorni dopo, a Reggio Emilia, furono uccisi altri cinque manifestanti.
Tambroni si dimise il 22 luglio, lasciando infine spazio per un terzo governo Fanfani, monocolore, che rimase in carica fino al febbraio 1962.
Le strategie discorsive che contraddistinsero la narrazione degli eventi da parte della stampa comunista durante il breve governo Tambroni sono un chiaro esempio di quella sovradeterminazione linguistica e concettuale in cui era incorsa una parte del discorso comunista tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, idiomatizzazione in cui era stata coinvolta anche la concettualizzazione del ‘popolo’. "l’Unità" del 6 aprile dipinse il governo proposto da Tambroni alla Camera, che nel frattempo aveva ottenuto l’appoggio missino e che aveva provocato le proteste di parte del suo partito, come una «offesa» «al Parlamento» e un «danno» «al prestigio delle istituzioni democratiche, sollecitando un voto che non avrebbe [avuto] altro senso, evidentemente, che di imporre alle Camere e al Paese questo stato di cose, e di lasciare che la Democrazia Cristiana [conservasse] il suo monopolio politico e [continuasse] ad esercitarlo per conto di forze ed interessi che [erano] fuori del gioco della democrazia» <117.
Nei giorni seguenti, mentre davano le dimissioni dieci ministri democristiani, tra cui Giulio Pastore e Nullo Biaggi, seguìti dai ministri Giorgio Bo e Fiorentino Sullo e dai sottosegretari Antonio Pecoraro e Lorenzo Spallino, "l’Unità" pubblicava il suo dissenso «contro il vergognoso connubio fra la DC e il MSI» <118. Ingrao sottolineava poi lo «scandalo», la «vergogna» e «la gravità» del fatto, e cioè che nella «Repubblica sorta dalla Resistenza» ci fosse «un governo che [stava] in piedi solo grazie al consenso della forza politica che [rappresentava] ed [esaltava] la parte peggiore e più umiliante» della storia italiana. D’altra parte, continuava il dirigente comunista, nonostante le dimissioni dei ministri democristiani, l’ala sinistra del partito non poteva essere assolta: perché aveva consentito «questo risultato sciagurato» e perché si era compromessa «in una grottesca operazione trasformistica», vendendo, «per un piatto di lenticchie», la possibilità di opporsi «non solo alla svolta a destra, ma alla sagra degli inganni, delle ipocrisie, delle doppiezze» <119.
Il pericolo proveniva dunque dalla minaccia alla democrazia e, nelle parole di Togliatti a una manifestazione organizzata dalla FGCI ad Albano, dalla potenziale «involuzione reazionaria» del paese <120. In definitiva, veniva utilizzata la stessa retorica politica che aveva caratterizzato il discorso pubblico comunista degli ultimi anni di guerra e dell’immediato dopoguerra, quello della lotta contro il fascismo, prima, e del pericolo di un suo ritorno, poi.
Ora come allora, il popolo era chiamato a svolgere sulla stampa una funzione politica legittimante, che si snodava attraverso due plessi narrativi tra loro intrecciati: quello che faceva leva sull’oltraggio perpetrato dalle forze reazionarie sul popolo e quello della legittimità della protesta politica di opposizione in sua difesa. «La DC», si sosteneva, era «diretta di fatto da quelle forze clericali e autorità ecclesiastiche che [volevano] togliere al popolo le sue conquiste democratiche» <121.
Nell’intervallo tra la fiducia ottenuta dal governo alla Camera (4 aprile) e la fiducia ottenuta al Senato (29 aprile), Tambroni presentò le dimissioni (11 aprile). Prima che Gronchi le respingesse, l’Unità aprì il numero del 12 aprile con “Il paese non tollera il ritorno a un passato di vergogna”. Alfredo Reichlin commentò le dimissioni con un articolo dal titolo fortemente evocativo, “Vittoria antifascista”, che instaurava un’equivalenza diretta tra le dimissioni del ministro democristiano e la caduta del fascismo:
«L’avventura del governo DC-fascisti è finita in tre giorni nel modo più vergognoso. […] La vergognosa conclusione dell’avventura di Tambroni è una chiara vittoria dell’antifascismo. Ancora una volta la DC ha dovuto prendere atto che il Paese non tollera che si superi un certo limite, il limite oltre il quale le manovre reazionarie assumono apertamente le sembianze ripugnanti del fascismo. Ma non solo questo: per la prima volta si è visto che i partiti di
ispirazione democratica o liberale […] non sembrano più disposti a servire da comodino alla DC. […] Tuttavia, sarebbe sciocco negare che la situazione è molto seria e che gravi sono le minacce che incombono sulla democrazia italiana. L’opinione pubblica avverte queste minacce ed è bene che sia così. Ritornare ai tempi delle camicie nere è impossibile, perché il popolo non lo permetterebbe mai» <122.
L’equivalenza tra nazione, popolo e antifascismo era stato il refrain della retorica comunista nei primi anni della repubblica, così come lo era stato l’accento sull’unità delle forze democratiche contro quelle reazionarie (in questo caso richiamata da «i partiti di ispirazione democratica o liberale»). La ‘riesumazione’ del governo a opera del presidente della repubblica, nelle parole de "l’Unità", era descritta sul quotidiano come «grave offesa alla coscienza democratica e antifascista del paese» contro la quale si faceva appello affinché «si [unissero] nella lotta e nella protesta le masse lavoratrici e gli antifascisti» <123. Il parallelismo tra la DC e il fascismo era piuttosto esplicito nella maggioranza degli articoli e dei commenti, alcune volte per accostamento diretto per giustapposizione. L.P., per esempio, sullo stesso numero, si chiedeva:
«Avrebbero mai immaginato coloro che quindici anni fa insorsero vittoriosamente contro l’invasore tedesco e i suoi servi fascisti, che nell’anniversario di quelle giornate gloriose si sarebbe tentato di dar vita, per la seconda volta, a un governo sostenuto da quattro cialtroni eredi del fascismo? Quale moto di rivolta avvertiranno oggi, nell’animo loro, i cittadini di fede democratica che si riuniscono in tutto il paese per celebrare il 25 aprile? La decisione di ieri, il rinnovato tentativo di imporre il governo Tambroni, è prima di tutto uno schiaffo all’antifascismo. Un tale governo fu travolto e si dimise per la ribellione suscitata nella coscienza antifascista di tutto il popolo e di tutte le forze democratiche, laiche e cattoliche: la resurrezione del governo è una sfida a questa coscienza» <124.
Per questo, dichiarava Togliatti, «Questo partito è ormai, agli occhi di tutti, uno ostacolo che apertamente si frappone a che il Paese abbia un governo, e soprattutto a che abbia un governo rispondente alle necessità odierne, alle aspirazioni e alla volontà della grande maggioranza del popolo» <125.
Era il popolo per primo, dunque, che rifiutava in massa il fascismo, almeno la sua «grande maggioranza», quella che era espressione «di tutte le forze democratiche, laiche e cattoliche», quella che aveva «coscienza antifascista». «Occorre un governo nuovo», scriveva "l’Unità" del 30 aprile, «e il popolo riuscirà a imporlo» <126. Così, in giugno, alla notizia del congresso missino, alcuni ambienti a Genova stilarono un manifesto che venne sottoscritto da PCI, PSI, PSDI, PRI e PR: «I partiti democratici», era scritto, «denunciano questa grave provocazione e, mentre esprimono il disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del fascismo, testimoniano l’indignazione e la protesta di Genova, medaglia d’oro della Resistenza» <127.
[NOTE]
117 Fondo “La scelta c’è già”, in “31 deputati DC si pronunciano contro il monocolore Tambroni”, l’Unità, XXXVII, 97 (6 aprile 1960).
118 “Dieci ministri dimissionari. Convocata la direzione DC”, l’Unità, XXXVII, 101 (10 aprile 1960)
119 Pietro Ingrao, “Risposta a una sfida”, l’Unità, XXXVII, 101 (10 aprile 1960).
120 “Il pericolo di involuzione reazionaria viene dalla DC e dalla sua politica”, l’Unità, XXXVII, 102 (11 aprile 1960).
121 “Il pericolo di involuzione reazionaria viene dalla DC e dalla sua politica”, l’Unità, XXXVII, 102 (11 aprile 1960).
122 Alfredo Reichlin, “Vittoria antifascista”, l’Unità, XXXVII, 103 (12 aprile 1960).
123 “Riesumato il governo DC-MSI di Tambroni”, l’Unità, XXXVII, 115 (24 aprile 1960).
124 L.P., “Una sfida”, l’Unità, XXXVII, 115 (24 aprile 1960).
125 “Una dichiarazione di Togliatti”, l’Unità, XXXVII, 115 (24 aprile 1960).
126 “Tambroni passa anche al Senato solo coi voti della DC e del MSI”, l’Unità, XXXVII, 121 (30 aprile 1960).
127 “Manifesto unitario a Genova contro il congresso del MSI”, l’Unità, XXXVII, 159 (8 giugno 1960).
Giulia Bassi, Parole che mobilitano. Il concetto di ‘popolo’ tra storia politica e semantica storica nel partito comunista italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2015/2016

Nella primavera del 1960, falliti ben tre tentativi di accordo fra democristiani e socialisti, perché questi ultimi esigono l'inclusione nel programma di governo della nazionalizzazione dell'industria elettrica, il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi affida il compito di formare un nuovo governo al democristiano Tambroni. Il suo governo ebbe la fiducia grazie al voto determinante dei monarchici e del MSI.
Pochi mesi dopo la formazione del nuovo governo, nel giugno 1960, il MSI annunciò che avrebbe tenuto il suo congresso nazionale a Genova, città simbolo della Resistenza durante l'oppressione fascista. La scelta di Genova fu una scelta provocatoria e la risposta della popolazione non si fece attendere. Come già nel luglio del '48 all'epoca dell'attentato di Togliatti, Genova mostrò di essere la città italiana più pronta all'insurrezione. Il 30 giugno la CGIL proclamò lo sciopero generale e nel capoluogo ligure scoppiò il finimondo. Nel pomeriggio una manifestazione, a cui parteciparono decine di migliaia di persone, attraversò le strade della città. La repressione del governo fu immediata, si accesero duri scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. In questa atmosfera carica di tensione il prefetto di Genova, d'accordo con Tambroni, decise di rinviare il congresso del MSI.
Dopo questa sconfitta Tambroni volle riaffermare la sua autorità ad ogni costo, e diede il permesso alla polizia di sparare qualora si fossero verificate situazioni d'emergenza. In diverse città italiane ci furono scontri tra la popolazione e la polizia e alcuni dimostranti rimasero uccisi. La direzione democristiana allarmata cercò di sostituire Tambroni il più in fretta possibile. Il 19 luglio 1960, Tambroni fu costretto a dimettersi dalla carica di primo ministro. “L'Unità” ne dà l'annuncio con un titolo storico, «Vittoria del popolo e dell'unità antifascista. Tambroni cacciato», proponendo tuttavia contemporaneamente - attraverso i resoconti del Comitato centrale - l'impegno comunista di «raccogliere la spinta espressa dal movimento popolare» <21.
Fanfani fu richiamato per costituire un nuovo governo, formato da soli democristiani, con l'appoggio esterno di monarchici e socialdemocratici <22.
La vicenda, drammatica e grottesca, del governo Tambroni rese evidente a tutti che l'antifascismo era ormai radicato nella società italiana e ogni tentativo di svolta autoritaria e ogni attacco alle libertà costituzionali avrebbe incontrato l'opposizione di «un grandioso e incontrollabile movimento di massa di cui le forze comuniste sarebbero state una componente importante ma non certo unica» <23.
Ma in realtà, quei moti denunciano anche la questione comunista, «non è tanto la forza elettorale, infatti, a rendere impossibili l'isolamento e l'emarginazione ad aeternum del PCI, quanto piuttosto la sua partecipazione a pieno titolo al patto costituente: nonostante Stalin, la guerra fredda e gli stessi avvenimenti del 1956, resta il fatto che la carta fondamentale della Repubblica reca il marchio incancellabile del contributo comunista» <24.
[NOTE]
21 Cfr. “l'Unità”, 20 luglio 1960.
22 Cfr. P. Ginsborg, op. cit., pp. 346–348.
23 Ibid.
24 S. Lanaro, op. cit., p. 402.
Vincenzo Aristotele Sei, Il partito comunista nella società italiana da Togliatti a Berlinguer, Tesi di laurea, Università della Calabria, 2010