Dopo otto anni da quel 23 novembre 1980 e nonostante i vari aiuti internazionali ricevuti <217 e gli investimenti dello Stato, la ricostruzione dell’Irpinia non è ancora avvenuta così Indro Montanelli, allora direttore de Il Giornale, intuisce "che quel terremoto non aveva trasformato solo una regione d’Italia, ma addirittura una classe politica" <218 e, deciso a scoprire che fine hanno fatto i soldi destinati alla ricostruzione, decide di condurre un’inchiesta, affidandola a Paolo Liguori.
Racconta quest’ultimo che, recandosi sul posto, erano emersi due aspetti fra loro diversi e complementari. Il primo era di carattere pratico:
dopo otto anni gli ingenti fondi avevano consentito non solo una semplice ricostruzione, ma un vero e proprio rilancio dell’economia irpina; banche, finanziarie ed esagerazioni edilizie, il trionfo dei geometrie di una generazione che prima del sisma non era niente ma ora era diventata potentissima. Il secondo aspetto era invece politico: in quegli anni gli amici d’Irpinia erano diventati gruppo di potere assoluto, prendendo in mano il governo e la maggioranza <219.
Liguori, fra il 19 e il 27 novembre, scrive quindi cinque articoli raccontando situazioni bizzarre: ha infatti scoperto che alcuni soci della Banca d’Irpinia sono minorenni ed anche la regione è costellata di finte aziende che hanno preso i contributi senza poi però produrre nulla.
Il primo episodio dell’inchiesta, pubblicato il 19 novembre e intitolato "Quei terremotati della ricchezza", racconta come gli effetti della scossa siano stati quasi una benedizione per la zona ove ora vi sono legioni di automobili di lusso e dove non c’è nessuno che lava vetri ai semafori in quanto i più poveri tra gli abitanti della provincia di Avellino hanno sempre almeno una pensione di invalidità. Il 90 per cento dei comuni è ancora invaso da baracche, prefabbricati e container ma in compenso i comuni terremotati da 389 sono diventati 687. Il sisma, secondo Liguori, ha sotterrato l’economia della zona ma ne ha creata un’altra, florida e senza crisi, dipendente esclusivamente dal bilancio dello Stato.
Nell’ultimo articolo, "Il silenzio irpino sulle imprese del clan De Luca", il giornalista racconta invece di come l’allora Presidente del Consiglio fosse riuscito a controllare l’intera zona collocando parenti o amici fidatissimi lì dove non poteva arrivare in prima persona.
L’inchiesta si sviluppa in assoluta solitudine, procurando ai relatori del quotidiano un ostracismo pazzesco, in primis da parte del potere politico dell’epoca tanto che De Mita fa minacciare l’editore de Il Giornale <220 in sede politica. Ad ogni puntata il clima diventa più pesante: i reporter della testata a Montecitorio sono accolti tra la freddezza ed aperta ostilità non solo da parte dei politici, ma anche dalla maggioranza dei giornalisti. Per fermare l’inchiesta inizialmente si cerca di coprirla con una coltre di silenzio, poi si sparge la voce che questa venga manovrata dai servizi segreti, mentre le fonti migliori sono proprio i politici della DC e gli attivisti del Pci locale furenti perché il loro partito ha coperto lo scandalo per esigenze di coalizione <221.
Per qualche giorno l’inchiesta cade nel vuoto finché, dopo un’interrogazione parlamentare dell’allora radicale Calderisi, L’Unità, diretta dall’onorevole Massimo D’Alema, pubblica un articolo di taglio basso firmato da Geremicca in cui si accusa di abuso di potere la corrente De Mita. È il segnale che il Pci non intende più difendere, dopo anni di unità nazionale, la sinistra democristiana che governa il Paese; è l’inizio delle polemiche che dureranno diciotto giorni, ovvero fino alla costituzione della commissione parlamentare d’inchiesta che avrebbe potuto far tremare i muri del Palazzo ma che, affidata a Oscar Luigi Scalfaro, finisce per coprire tutto ciò che i reporter hanno scoperto.
[NOTE]
217 Settanta milioni di dollari dagli Stati Uniti, trenta milioni dalla Repubblica Federale Tedesca, dieci dall’Arabia Saudita, che si aggiungono ai sessantatre miliardi di lire investiti dallo Stato.
218 LIGUORI P., Irpiniagate, in Il Giornale, 24 novembre 2004.
219 Erano gli anni del doppio incarico a Ciriaco De Mita, il suo segretario era Riccardo Mussi, il segretario del partito in Campania era Clemente Mastella, il capogruppo DC al Senato era Nicola Mancino e il direttore della Rai era Biagio Agnes.
220 Era già Silvio Berlusconi.
221 De Mita e i comunisti avevano infatti un obiettivo comune: fare la guerra a Craxi.
Nicolò Maria Salvi, Il requisito della verità della notizia nel giornalismo d'inchiesta, Tesi di laurea, Università LUISS Guido Carli, Anno accademico 2015-2016
Intervista a Gabriele Ivo Moscaritolo, autore del saggio Memorie dal cratere (Editpress)
[...] Dottor Moscaritolo, da cosa è scaturito il suo interesse per il sisma del 1980?
«Prima di tutto, c’è un aspetto di carattere personale che presiede a questo lavoro: sono originario di Mirabella Eclano, in Irpinia, e faccio parte della generazione post-terremoto, che ha dunque vissuto il sisma attraverso le testimonianze dei familiari e ha assistito al processo di ricostruzione dei paesi. Durante il mio percorso universitario, poi, mi sono appassionato agli studi sulla memoria, ai quali ho affiancato l’interesse e la curiosità per questo argomento, per la verità poco considerato dalla letteratura scientifica. Non a caso, ho dedicato al terremoto dell’Irpinia sia le mie tesi di laurea, sia la tesi di dottorato».
La sua ricerca si occupa di due comuni del cratere, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania. Per quale motivo ha deciso di focalizzare l’attenzione su questi due centri?
«Ho voluto concentrarmi su questi due casi perché rappresentano due modelli opposti di ricostruzione, che si possono associare al classico dibattito sul destino dei luoghi colpiti da una grande catastrofe: ripristinare il passato “com’era e dov’era” oppure provare ad avviare un nuovo corso? Le storie di Sant’Angelo dei Lombardi e di Conza sono i punti estremi di un orizzonte che tiene dentro tutte le dinamiche che caratterizzarono la ricostruzione, anche perché la legge dell’epoca lasciava agli enti locali ampia libertà di iniziativa».
La gestione illecita dei fondi per la ricostruzione e il rilancio dell’economia delle zone disastrate è stata oggetto di inchieste giornalistiche (il famoso Irpiniagate raccontato dal «Giornale» di Montanelli nel 1987) e di indagini della magistratura, che hanno a loro volta alimentato una serie di luoghi comuni e stereotipi sul dopo-terremoto. Come si possono superare le interpretazioni sommarie, offrendo così all’opinione pubblica un punto di vista diverso sugli eventi?
«Nella storia d’Italia, le catastrofi sono state generalmente esaminate in maniera parziale e stereotipata. Questo aspetto è particolarmente evidente nel caso dell’Irpinia, perché la narrazione degli scandali ha occupato tutta la scena, oscurando perciò ogni altro aspetto del terremoto. Ovviamente, non si possono negare i risvolti giudiziari del dopo-sisma, tanto è vero che è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta. L’enfasi con cui sono stati presentati questi episodi, però, ha confuso le acque: la stessa definizione di Irpiniagate sembra indicare uno scandalo circoscritto a un determinato territorio, con la conseguenza di attribuire a tutta la popolazione irpina le colpe del malaffare. In realtà, sappiamo che le cose sono andate diversamente: se gli enti locali si sono occupati della ricostruzione e del recupero degli insediamenti urbani, il finanziamento delle aree industriali è stato gestito dallo Stato centrale. Oltretutto, molti studi hanno dimostrato che, in provincia di Napoli, la criminalità organizzata rafforzò proprio in quegli anni la sua sfera di influenza, inserendosi nei circuiti dei subappalti e delle concessioni. Tutto questo per dire che c’è un’altra storia da raccontare: quella delle popolazioni dei comuni terremotati che, dopo i lutti e la distruzione, hanno dovuto vivere in un ambiente in continua trasformazione, adattandosi continuamente ai mutamenti sociali, economici e culturali».
Lei si è soffermato a lungo sulle differenze tra la gestione della ricostruzione a Sant’Angelo dei Lombardi e ciò che avvenne a Conza. Nel primo caso, si decise di ricostruire il paese lì dove sorgeva, mentre l’abitato di Conza fu trasferito a valle. Come hanno vissuto questa situazione gli abitanti dei due comuni, in particolar modo negli anni del «secondo terremoto»?
«Naturalmente, ci sono molte differenze tra questi due casi, soprattutto alla luce degli obiettivi di medio e lungo periodo che le due comunità intendevano conseguire. Se osserviamo da vicino il caso di Conza, sappiamo che all’inizio non c’erano aspettative ben precise: il futuro del paese dipendeva dalla forza dei suoi abitanti e dalle idee dell’amministrazione cittadina. Per come sono andate le cose, Conza rappresenta senz’altro un esempio positivo perché, nel corso degli anni, il paese è stato “vissuto” dalla sua gente. Sant’Angelo dei Lombardi, invece, rivestiva un ruolo molto importante anche in passato, dal momento che era sede di uffici e servizi pubblici essenziali come l’ospedale e il tribunale».
Nel libro trovano spazio anche le testimonianze di chi, come lei, fa parte della generazione nata dopo il 23 novembre 1980. Che cosa si è sedimentato nell’immaginario dei più giovani?
«Anche se le generazioni più giovani non hanno vissuto in prima persona quella tragedia, non c’è dubbio che il sisma sia profondamente radicato nell’identità e nel vissuto di tutti. Molte persone che, come me, sono nate negli anni Ottanta dicono di essere nate nel terremoto, in quanto hanno vissuto in contesti che oggi si definirebbero post-apocalittici: paesi distrutti, cantieri in costruzione. Dall’indagine che ho condotto emergono sensazioni molto diverse tra loro: da una parte, la curiosità per le vicende del terremoto, unita alla consapevolezza che quel passato sia un elemento imprescindibile nella storia della comunità e della famiglia di appartenenza; dall’altra c’è il desiderio di vivere il presente a partire da ciò che si ha intorno. Parlo soprattutto di persone che hanno vissuto la loro infanzia a stretto contatto con gli effetti del terremoto. Questa consapevolezza, infatti, tende progressivamente a sfumarsi tra coloro che sono nati a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta» [...]
Carmine Marino, Irpinia 1980-2020, oltre gli stereotipi, Venti blog, 10 novembre 2020
[...] Il giudizio complessivo sul progetto di sviluppo dell'Irpinia, per tutta la serie di motivazioni esplicitate nel paragrafo precedente, non può che essere negativo sia sotto il profilo della regolarità che sotto i profili dell'efficacia e dell'efficienza.
Ciononostante non sono da sottovalutare, a distanza di decenni dal sisma, alcuni elementi positivi. Sebbene non sia mai stata realizzata l'industrializzazione così come sognata dal legislatore negli anni ottanta, è innegabile che a distanza di trent'anni l'Irpinia abbia ampliato il suo secondo settore grazie a otto aree industriali in più (rispetto alle sole tre del 1980), che impiegano complessivamente oltre 2900 operai.
Certo, non una grande cifra se confrontata al totale degli impiegati negli undici nuclei industriali della provincia di Avellino (circa 11.000) ma occorre tener presente, come spiegò alla Camera l'allora vicepresidente della Confindustria Luigi Abete, che gli investimenti furono «realizzati in zone sostanzialmente senza alcun livello di industrializzazione e in località interne, quindi con problemi sia di localizzazione, sia di infrastrutture, sia di cultura degli operatori; pertanto, alla luce di queste considerazioni, risulta evidente che il livello dell'effetto quantitativo degli investimenti non può essere misurato con lo stesso metro con il quale si valuterebbe analogo investimento realizzato in una realtà a cultura industriale avanzata o con infrastrutture di servizi - sia di gestione, sia di carattere generale - in grado di risultare competitivi con quella che può essere una media di riferimento normale».
Nonostante le non rosee premesse, tra le aziende nate dall'articolo 32 si possono segnalare alcuni esempi di successo imprenditoriale e occupazionale, come la Ferrero, un'impresa di livello internazionale che decise di costruire nell'area del cratere due stabilimenti: uno a Sant'Angelo dei Lombardi e l'altro a Balvano, il paese lucano che il 23 novembre 1980 vide la morte di 66 bambini in seguito al crollo della chiesa di Santa Maria Assunta. Nell'opificio irpino l'azienda piemontese si dotò dei più sofisticati sistemi tecnologici oltre a un magazzino prodotti completamente automatizzato e un nuovo impianto di trattamento delle acque. Sfruttando le competenze consolidate e una politica di marketing di successo, impiegò un numero di addetti superiore alle previsioni iniziali (a Sant'Angelo dei Lombardi 396 addetti nel 1995 rispetto ai 142 previsti). Oggi la Ferrero, dopo aver ottenuto 80 miliardi di lire dallo Stato, conta 400 occupati con contratti stabili; anche grazie all'ottima qualità della materia prima messa a disposizione in minima parte dal territorio irpino, tra le linee produttive dello stabilimento di Sant'Angelo si distinguono quelle che hanno la nocciola come ingrediente base, tra cui la Nutella.
Tra gli esempi di imprese che ce l'hanno fatta va citata la Desmon, un'azienda avviata nel 1998 da tre imprenditori irpini di Montemiletto e specializzata nella produzione di impianti di refrigerazione che esporta i suoi prodotti per l'85% del suo fatturato. La fabbrica dispone di un laboratorio termodinamico che consente di fare il check-up a un frigo situato dall'altra parte del mondo. Nel 2008 la Desmon, che ha stabilimenti anche in Turchia, Cina e India, ha ricevuto il "Confindustria Awards for Excellence" come riconoscimento alla sua attività.
A Morra De Sanctis ha invece sede l'EMA (Europea Microfusioni Aerospaziali), azienda che si occupa di componenti per veicoli aerei militari e civili. Si è insediata a Morra nel 1998 per iniziativa di Finmeccanica e Rolls Royce, per poi essere acquisita al 100% dall'azienda inglese nel gennaio 2010. Attualmente l'EMA ha 448 addetti, conta un fatturato di 38 milioni di euro l'anno ed esporta principalmente nel Regno Unito. [...]
Giuseppe Ceglia, Irpinia Anno Zero. Come il terremoto del 1980 ha cambiato l’economia del territorio negli ultimi trent’anni, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Anno accademico 2011-2012