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venerdì 19 maggio 2023

Oltre alle lettere scambiate con Sbarbaro e Barile, Serra pubblica anche quelle con Saba


Negli anni '50 Ettore Serra si stabilizza nel capoluogo romano, senza tuttavia porre un freno definitivo al suo spirito da "girovago" che, soprattutto in seguito al 1954 - anno della perdita della moglie -, lo spinge a non mettere radici troppo profonde nella sua casa romana. I suoi viaggi presentano come meta principale la costa francese, in particolare Marsiglia, residenza del figlio maggiore Antonio che, seguendo le orme familiari, dirige una stazione di salvataggi marittimi. Nel percorrere in tutta la sua estensione il golfo ligure, come testimonia lo stesso autore parlando di sé in terza persona, «Serra, che faceva le navette fra l'Italia e la Francia, molto sovente sostava a Savona per visitare l'«amico di Levante» (Barile ad Albisola) e l'«amico di Ponente» (Sbarbaro a Spotorno) <157».
Queste frequentazioni derivano da un profondo legame umano e rappresentano un grande sollievo per Ettore che, non più giovane, ha la possibilità di continuare a confrontarsi con due interlocutori che condividono il suo amore per la poesia, attraverso lo scambio di idee, articoli, volumi, riviste e componimenti inediti. Verso la fine degli anni '50, infatti, i rapporti tra questi tre poeti - Sbarbaro, Barile e Serra - appaiono molto stretti e tra loro incrociati grazie agli incontri - a volte anche in trio - ai quali fa eco un nutrito scambio di lettere, come testimoniano i rispettivi scambi epistolari, editi parzialmente dallo stesso Serra all'interno della sua raccolta di saggi.
In questo volume, pubblicato postumo nel 1983, insieme ai due saggi eponimi, "Il tascapane di Ungaretti" e "Il mio vero Saba", si trovano riuniti diversi profili dedicati ad alcune personalità di spicco del Novecento italiano tra le quali, oltre a Cardarelli e il tipografo Tallone, sono inseriti anche i due poeti liguri Sbarbaro e Barile; questi saggi, per lo più rievocazioni di amicizie, non possiedono grande spessore critico: l'aspetto più interessante va ricercato soprattutto nella pubblicazione parziale di alcuni carteggi personali (oltre alle lettere scambiate con Sbarbaro e Barile, Serra pubblica anche quelle relative al legame con Saba), che rappresentano una testimonianza importante e autentica per ricostruire il profondo sodalizio umano e poetico, che univa questo circolo di poeti, e l'ambiente culturale che costituiva lo sfondo delle loro frequentazioni <158.
Gli scambi epistolari con i due poeti liguri, pubblicati all'interno del "Tascapane", ricoprono circa il medesimo lasso temporale (la corrispondenza con Sbarbaro va dal ‘56 al ‘66, mentre quella con Barile dal '57 al '66) e presentano diversi punti di contatto, a partire dalle discussioni poetiche fino ai confidenziali aggiornamenti sulla salute reciproca e all'organizzazione degli incontri - la vicinanza geografica dei due corrispondenti (dieci chilometri separano Albisola da Spotorno), consente a Serra di intrecciare le visite («Spero presto venire a Savona per vedere l'amigo de levante (Albisola) e l'amigo de ponente (Spotorno)»;) o di cambiare itinerario all'ultimo («Caro Serra, non hai perso nulla quella domenica non trovandomi; seppi poi da Angelo che andasti ad Albisola da lui» scrive Sbarbaro il 20 luglio del 1959). Questa "triplice amicizia" viene ricordata anche all'interno della produzione serriana, come dimostra la dedica affettuosa e confidenziale apposta a "Virgulti sulla frana" «Agli amici Barile e Sbarbaro ricordando una pergola», dalla quale traspare un riferimento ai loro incontri nella Riviera di Ponente.
Lo scambio di lettere tra il poeta spezzino e il poeta di Spotorno appare ampio e variegato: Serra invia a Sbarbaro alcuni componimenti e l'amico risponde sia con consigli e apprezzamenti («ci saranno sì delle ridondanze ma scriverlo ti ha consolato, e che si può chiedere di più alla poesia?», in riferimento ai "Ritratti di famiglia"), sia valutando le varianti serriane (in riferimento alla lirica "Autoritratto" così osserva: «Non ho più trovato né le viti riguardanti il mare, che non mi piaceva, né il «propense» che mi fa gola. Grande tentazione di appropriarmene, se farò "Vendemmia in mare"»), prendono accordi e invocano prossimi incontri («Se sarò sicuro di poterti vedere tornerò a Savona alla fine del mese o ai primi di ottobre» scrive Serra e "Millo" - come Sbarbaro firma le sue missive - tre giorni dopo risponde «Per fine mese, primi d'ottobre ti aspetto quindi a piè fermo (o quasi)»), si aggiornano sulle reciproche condizioni di salute (scrive Sbarbaro «Da un anno io non cammino più che con stento e il camminare era stato tutta la vita la mia gioia maggiore» o ancora «Barile mi dice che gli chiedi nostre (mie e di mia sorella) notizie; lasciati prima dire che spero tollerabili le nevralgie al trigemino che lamenti e soprattutto che t'auguro di gran cuore di liberartene» e Serra risponde «ti ringrazio della tua lettera perché denuncia una partecipazione alla mia pena, cioè una simpatia nel senso di "soffrire insieme"»), si scambiano e consigliano libri («(Ho ancora qui quel volume tuo della poesia del Cinquecento; devo spedirtelo?», domanda Sbarbaro ed Ettore qualche mese dopo «Oso perciò farti una proposta: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me […]; vale a dire ti invio un esemplare di "Primizie", poiché posseggo quest'opera in duplice copia, e tu mi spedisci il "Ciclope"») e, infine, si informano sulle recenti o prossime pubblicazioni (Serra scrive nel '61, anno di pubblicazione di "Serata d'addio": «ti ho mandato un librone triste e tristo», e Sbarbaro nel '65 «da una doppia corrispondenza (a Angelo Barile e a casa) 1909-1919 ho ricavato un libretto del quale sto correggendo le bozze, intitolato "Cartoline in franchigia"; c'è dentro riflesso il tempo di "Resine" (!) di "Pianissimo" e dei "Trucioli" '21. Pubblico quindi, alla mia età, un libretto giovanile, grazie a Angelo che conservò quelle lettere»).
La fitta trama di rapporti intessuta tra questi poeti si rintraccia anche nelle missive firmate Barile, all'interno delle quali il nome di Sbarbaro ricorre con frequenza (a volte in collegamento anche a quello di Serra) in occasione della progettazione di incontri («Non vedo da parecchio tempo Sbarbaro […] Uno di questi giorni, certamente prima di Natale, vado a Spotorno e gli recherò il tuo saluto», o ancora «Pensa che non sono neppure andato a trovare Sbarbaro a Spotorno […] (dovremmo andarci un giorno con te)»), di bollettini letterari («leggo con molto piacere che tu e Sbarbaro siete i candidati più quotati per il Premio Bagutta […] è già consolante che la poesia sia rappresentata da te e Camillo, cioè, ancora una volta, da due liguri… ») o, infine, di aggiornamenti inerenti alle sue condizioni di salute («Forse saprai già della malattia di Sbarbaro, piuttosto seria a quanto mi dice il medico»).
Un altro dato ricorrente nelle lettere bariliane è il ricordo e l'invocazione delle visite dell'amico «giramondo» - così Barile appella affettuosamente Serra -, evocando i luoghi concreti degli incontri: «Avremo molte cose da raccontarci «sotto la pergola», o sul balcone tirreno della mia casa, o seduti insieme ai Pesci vivi» (un'osteria di Albisola dove avvenivano spesso i loro incontri). Tuttavia il vero punto d'unione tra i due interlocutori appare essere la poesia: le ventidue lettere (tra le quali solo una è firmata Serra) sono testimonianza di un legame profondo e intimo, dal quale emerge un sincero interesse da parte di Barile per il comporre serriano; Ettore invia componimenti e Barile attentamente legge, vaglia ogni possibile variante, esprime i suoi dubbi e illustra i suoi consigli all'amico, come mostra la missiva del 9 luglio 1959: "Ho riletto almeno due volte le tue 'Poesie' del '58; e quando ti restituirò il fascicoletto vi troverai segnata (a lapis), su ciascuna, la mia impressione, naturalmente breve, e sincera. Ci sono molte finezze. E qua e là una voce che vale più della parola. Se dovessi dirti quali preferisco, forse t'indicherei 'Grido notturno', 'Sera' e 'D'estate presso una moschea'… Mi persuadono meno le più elaborate e classicheggianti (ce ne sono!); direi che non ti giova certa attenzione verbale che appare talvolta eccessiva. Ma questo è un discorso che faremo direttamente sulla pagina al primo nostro incontro. In questa speranza trattengo il fascicolo, se non ti rincresce".
Inoltre, non solo consigliere, Barile si rivela anche lucido critico, tanto da riuscire a inquadrare con precisione la poesia dell'amico: «Forse, al mio gusto, le vorrei meno effuse, più asciutte; ma ci son tratti pienamente persuasivi, e lo stesso tuo «abbandono» (però vigilato) finisce col garantire della tua commozione e schiettezza», individuando nell'«effusione» uno degli aspetti penalizzanti del poetare serriano, oppure in un'altra missiva del 28 febbraio 1963, in riferimento a un gruppo di liriche non esplicitate, individua l'andamento descrittivo quale tratto distintivo della lirica serriana: «Hanno anche in comune una certa lentezza espressiva che è propria, del resto, della tua poesia, la quale vuol dir tutto, e dirlo bene, con proprietà, con esattezza, non per accenni lirici illuminanti, ma con tutti gli elementi, anche descrittivi, di quel mondo o di quel momento della tua fantasia».
Nel consigliare l'amico, il poeta di Albisola tocca anche problemi di natura spirituale, come quando commentando "Notte di anniversario" osserva: «(Mi colpisce ancora un po' «nel buio», ma per ragioni di un sentimento che non è il tuo. Preferirei «nell'ombra»: in umbra mortis…)», o in un'altra missiva: «Io ricordo benissimo quello che tu chiami il tuo «testamento letterario»: "Canto di un paria - mentre nasce la primavera". (Il titolo è un po' lungo e soprattutto amaro, come mi pare di averti già detto; ma tu avrai avuto di certo le tue buone ragioni per mantenerlo.)».
La confidenza e spiritualità maggiori, che traspaiono da questo epistolario rispetto a quello con Sbarbaro, rappresentano l'aspetto originale di questo legame, forse da collegare all'indole profondamente filantropa del poeta di Albisola.
Fortemente religioso, a partire dagli anni '60, Barile diviene il custode privilegiato delle ansie e delle remore del poeta spezzino, gravato per tutta la vita dal peso del dubbio, poi acuito in seguito alla morte della moglie e con l'appressarsi della vecchiaia. L'intensità di questo legame viene anticipata da Serra nel cappello introduttivo alle lettere, poi confluito all'interno del postumo "Piccolo Canzoniere" dedicato a Barile, nel quale quest'ultimo, definito con un'immagine infantile «amico del cuore», viene ritratto come il «buon giardiniere» nell'atto di raddrizzare «i rami storti della mala pianta […] forse nella speranza di ottenerne, sia pure tardivamente, qualche bel fiore <159». Infatti, se durante la stesura del "primo" canzoniere Barile, fidato consigliere, vagliò tutte le liriche che avrebbero dovuto comporre l'indice del volume, quando Serra si troverà a selezionare nuovamente il suo repertorio, per l'allestimento del definitivo canzoniere, non potrà più usufruire dei preziosi consigli dell'amico; per questo esprime il suo rammarico riguardo ad alcune composizioni posteriori al '67 (anno della scomparsa del poeta di Albisola) - come "Comparsa" e "Sommario" - che, prive della supervisione dell'amico e attraversate «dalla tormentosa ombra del dubbio», non avrebbero ottenuto il suo benestare <160.
Le diverse indoli dei due poeti vengono affrescate da Serra in un componimento scherzoso, pubblicato per la prima volta in "Serata d'addio" (Carpena, 1961):
Ad Angelo Barile.
Tu sei quasi un sereno,
io… quasi un nuvolo
che tende alla buriana.
A volte posso amare
l'argenteo rosa vivido del parago,
tu sempre, con ragione,
dal nero ti proteggi della seppia.
Però se un guizzo fai
verso me, ti prometto
che stretto nella tunica d'opale
terrò il fumoso inchiostro.
Hanno, come tu sai, parago e seppia
la stessa casa in questo nostro mare.
Albisola Marina ("Ai pesci vivi")
Aprile 1961.
Questi tredici versi sono basati su una doppia coppia di opposizioni figurate dietro alle quali è facile riconoscere i due poeti - interessante la scelta di Serra di disegnare Barile attraverso il titolo di un suo volumetto poetico, "Quasi sereno". Forse per la sua efficacia e semplicità, questa «scherzosa favoletta marina» è scelta da Serra come omaggio da inserire in un volumetto di contributi dedicati alla memoria del poeta di Albisola; con queste parole l'autore spiega il modo in cui nacquero i suoi versi, mettendo in luce il significato delle antinomie che li costituiscono <161: "…Invitato affettuosamente da lui che voleva consolarmi di un mio inguaribile lutto, trascorsi qualche giorno della primavera 1961 ad Albisola in sua compagnia. Angelo… angelico; io, per quanto già desideroso d'evasione, ancora invescato nelle cose del mondo. Proprio per questo volli «tranquillizzare» l'amico promettendo a lui «quasi sereno», a lui «roseo parago», che io «seppia» dalla tunica piena d'inchiostraccio nero, avrei fatto ad Albisola e possibilmente d'allora in poi dovunque «il bambino buono». Così nacque, ad un tavolo della locanda «Ai pesci vivi» di Albisola Marina, questa breve lirica della quale il testo, dopo sottili appassionati «pesages» di vocaboli e sillabe, fu consensualmente licenziato".
[NOTE]
157 E. Serra, (1983), cit., p. 131.
158 I carteggi - Lettere di Camillo Sbarbaro a Ettore Serra (pp.131-145) e Lettere di Angelo Barile a Ettore Serra (pp. 159-183) - sono pubblicati in appendice ai rispettivi saggi, Sbarbaro e l'oleandro (pp. 119-130) e Poesia-preghiera di Angelo Barile (pp. 149-158), sempre in E. Serra (1983), cit.. La scelta delle lettere è effettuata dallo stesso Serra e pertanto non va considerata esaustiva; nel caso di Barile sono escluse dalla pubblicazioni le missive serriane, eccetto una.
159 E. Serra, Note a Piccolo canzoniere (1987), cit., p. 213.
160 Nel 1967 Serra stava lavorando al progetto di Piccolo canzoniere, lasciato in sospeso a causa della morte improvvisa di Alberto Tallone, che doveva curarne la veste tipografica; di questo volume rimane soltanto lo specimen custodito presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Simona Borghetti, "Un amore a lungo termine": Ettore Serra poeta tra i poeti, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014